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Autore: Tetide    18/03/2010    13 recensioni
Un tormento sconosciuto, un richiamo dal passato; le due metà di un'anima sola che si trovano riunite, dopo millenni. Detto così sembra facile... in realtà, il travaglio di queste due anime prende le mosse da ragioni ben più presenti e concrete. Oscar ed André, ancora una volta, si confermano uniti da un legame indissolubile, un legame più forte anche della morte. Questa storia è dedicata a Ninfea 306.
Genere: Romantico, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4 CAPITOLO 4

Oscar finì di firmare i dispacci ricevuti e si lasciò andare sullo schienale della poltrona, accasciandosi; sospirò, portandosi una mano sulla fronte e socchiudendo gli occhi.
Da quasi un mese, ormai, si trovava al comando dei Soldati della Guardia, il suo nuovo reggimento. Ma da quasi un mese, i suoi affanni si erano quadruplicati, per diverse ragioni.
Primo: il reggimento era composto da uomini indisciplinati e rissosi, lontani anni luce dai compìti damerini della Guardia Reale; tutti, o quasi, si erano arruolati per fame, o per sfamare le famiglie. Comandare uomini di questo tipo sarebbe già stato difficile per chiunque, figuriamoci per lei che veniva da una situazione antecedente tutt’altro che rilassata, e che, quindi, mancava della lucidità necessaria a quel complicatissimo compito.
Secondo: dopo aver saputo, per puro caso, che il loro nuovo comandante era una donna, la maggioranza dei soldati si era rifiutato di prestarle obbedienza. Già il primo giorno, alla parata in onore del nuovo comandante non si era presentato praticamente nessuno: tutti le erano palesemente ostili.
L’unica eccezione tra quei tosti sconosciuti era un ragazzone di nome Alain, un tipo alto e robusto, che portava sempre un fazzoletto rosso legato intorno al collo, ed ostentava un sorriso beffardo perenne sul viso. “Diamole una possibilità”, l’aveva sentito dire rivolto ai suoi compagni, una sera che si era trovata a passare davanti alle camerate “Se una donna ha avuto il coraggio di darsi alla vita militare, e di venire a comandare in mezzo a tipacci come noi, deve saperci fare davvero! E poi, a me piace: mi convince quel suo sguardo sicuro e fiero. Non è affatto una svenevole damina, si vede subito!”.
A queste parole era seguìto un coro di proteste, ma il ragazzone le aveva ignorate, ed aveva proseguito con i suoi argomenti; e dato che sembrava essere il loro capo, a lei ne era venuta per lo meno la possibilità di tentare di eseguire il suo incarico, anche se sotto sotto il malcontento continuava a serpeggiare, pronto ad esplodere da un momento all’altro nella forma più parossistica possibile.
Ma la cosa che più l’aveva sconvolta era stato ritrovare tra quegli individui da taverna André. Sì, proprio lui, André, il suo André, che dopo la scazzottata (conclusasi drammaticamente) di quella notte, era sparito da casa Jarjeays per un po’ di giorni, per poi ricomparire il giorno in cui Oscar, ricevuto l’incarico, era andata a presentarsi ai suoi soldati.
Davvero, non si era aspettata di trovarlo lì; lo aveva visto, come un fulmine a ciel sereno, mentre faceva l’appello, distrattamente, ai suoi nuovi soldati; e quando aveva letto il suo nome, aveva sentito in fondo al cuore un misto di sorpresa, sbigottimento, imbarazzo e… conforto. Sì, conforto: perché sapere di averlo lì, accanto a lei, le aveva data come la sensazione di essere tornata a casa.
Ma… ma cosa andava a pensare?!? Un soldato, un uomo, non ha di questi pensieri! E lei era un uomo, adesso!
Ciononostante, quella sensazione non passava; e, ciò che la faceva andare su tutte le furie più di ogni altra cosa, era che a lei quella sensazione piaceva. Sì, le piaceva: perché alleviava quel tormento interiore che da mesi, ormai, non le aveva più dato pace.
Ed ecco l’ultima, e più grave, ragione dei suoi affanni: il tormento.
Quell’oscuro nemico che abitava dentro di lei, che da troppo tempo aveva preso dimora nel suo animo, non l’aveva lasciata nemmeno quando aveva iniziata la sua nuova vita da uomo; ciò aveva scombinato tutti i suoi calcoli: il tormento permaneva anche dopo il distacco da Fersen! Non poteva più trattarsi di lui, o del proprio conflitto interiore uomo/donna ormai, era chiaro. Lei aveva scelto cosa essere, un uomo, e come vivere. Ma se non era questo, allora cos’era? E perché questo oscuro e temibile compagno sembrava placarsi solo in presenza di André?
In un certo senso sono contenta che tu ci sia, pensò, rivolta ad André; ricordò in un attimo il loro colloquio, avuto dopo la sorpresa di trovarselo lì, quando lo aveva convocato con una scusa nel proprio ufficio per parlargli.

“Perché sei qui?”,
“Te l’ho detto, Oscar: io ti amo, e voglio starti vicino; l’idea di vederti solo per poche ore la sera non mi piaceva per niente”,
“Tua nonna è molto preoccupata per te, non ti vede da giorni”,
“Allora dille dove sono! So badare a me stesso, non sono un bambino!”.
Oscar sospirò. Quell’uomo era testardo come un mulo! Eppure, era convinta che il ricordo della scazzottata di quella notte bruciasse anche a lui, dopo la confessione che le aveva fatto in lacrime, chino su di lei. E nonostante questo, aveva avuto il coraggio di seguirla fin laggiù: doveva essere davvero innamorato, pensò.
“Fai come ti pare!” gli aveva detto dandogli le spalle, e fingendo un tono seccato; in realtà, provava un gran sollievo al suo tormento, nell’averlo lì con lei.

Oscar riaprì gli occhi, rivolgendoli fuori dalla finestra: era quasi il tramonto, l’ora di tornare a Palazzo Jarjeays. Si apprestò ad uscire, quando la testa le girò, e dovette appoggiarsi allo stipite della porta.
Il colonnello D’Agout le venne prontamente in aiuto.
“Comandante, state bene? Siete pallidissima! Comandante Oscar!”.
La donna si scosse lentamente dal suo torpore “Sì, colonnello, non preoccupatevi, sto bene. E’ stato solo un capogiro, debbo essere molto stanca”.
Il colonnello le fece il saluto, e si congedò.
Oscar, invece, era assai di più che stanca: era spaventata.
Perché negli attimi in cui aveva perso il controllo del proprio corpo, aveva avvertito, chiarissimo, sulla pelle un forte bruciore, come se fosse stata toccata da qualcosa di infuocato.
E non aveva avuto percezione di null’altro: in quegli attimi, anche la stessa voce del colonnello sembrava venire da lontane ed inaccessibili profondità.
Allucinazioni tattili, pure! Andiamo bene! Ora si comincia davvero ad esagerare… che mi stia per andare in carriola il cervello?
Si ricompose, sprimacciandosi la divisa, e si avviò per il corridoio verso le stalle.
Montato che ebbe Cesar, si avviò verso casa; mentre procedeva, ripensava allo strano episodio occorsole poco prima; ma più ci pensava, meno riusciva a trovare una spiegazione.
Quello non era stato uno strappo, od una distorsione ad un tendine, no… le conosceva bene quelle sensazioni, da tanti anni di allenamenti; era proprio una scottatura, un qualcosa di inferto con un ferro caldo! Che assurdità! Non c’era nessun ferro caldo vicino a lei, in quel momento!
Giunta che fu a palazzo, la prima cosa che fece fu di correre in camera sua, spogliarsi e mettersi davanti allo specchio, osservando con attenzione il punto dove aveva avvertito quella strana sensazione: come si era aspettata, non c’era nulla: nessun segno, nessuna bruciatura, nulla. La sua pelle era bianchissima e liscia come sempre.
Si rivestì e si sedette sul letto per riflettere. La sensazione che aveva avvertita era stata chiara, niente che facesse pensare ad un’impressione o cose simili; Né poteva credere di essersi involontariamente ferita da qualche parte, il candore della sua pelle glielo mostrava chiaramente.
Forse la peste…, si spaventò Oscar; ma poi scosse la testa: da quasi un secolo, ormai, non si era più sentito di epidemie di peste bubbonica, ed anche singoli casi isolati erano molto rari, e lontani nel tempo (1). E poi, i sintomi di quella terrificante malattia erano ben diversi.
Istintivamente, si strofinò con la mano il punto dove aveva avvertito la strana sensazione: era la spalla destra, nel punto da cui da questa partiva il braccio.
Socchiuse gli occhi, sospirando; nonostante tutti quei dubbi che le turbinavano in testa, il tormento non l’aveva affatto lasciata; anzi, se possibile, si era fatto ancora più pressante. Addirittura, ricordava di averlo sentito crescere, con forza, dentro di sé, fino al momento in cui… aveva avvertito quel dolore!
Che cosa strana, si disse, perché mai è successa una cosa del genere? Che le due cose siano collegate?
Sì, molto probabilmente era così: da qualche parte aveva sentito che, quando una sofferenza dell’anima diventa troppo forte, viene scaricata sul corpo, anche dandoci dolori fittizi dall’origine incerta; e questo doveva essere ciò che era successo a lei.
E così, si ritornava al punto di partenza: il tormento.
Cosa era? Perché non la lasciava?
Si sdraiò sul letto, la testa che si era fatta pesante; tutti quei pensieri le turbinavano dentro, senza riuscire a trovare una sistemazione razionale, anzi! Più ci pensava e meno ci capiva.
Piano, piano, la stanchezza ebbe il sopravvento, le riflessioni cedettero il passo al sonno.
E Oscar, sfinita, cadde addormentata.
E sognò.
Si trovava in quello che assomigliava ad un antico tempio, simile a quelli di Paestum od al Partenone di Atene che aveva visto raffigurato in alcuni libri di suo padre; bianche, altissime colonne sorreggevano un immenso soffitto adorno di marmi; alle pareti, erano effigiate scene mitologiche di lotte tra uomini e centauri, immagini di déi ed eroi di vario genere; torce accese illuminavano quello che sembrava esser l’ingresso di un buio corridoio.
Oscar sentiva di esser lì, di conoscere quel luogo da sempre, sebbene fosse la prima volta che lo vedeva; e sentiva anche qualcos’altro: un senso di angoscia, di pericolo imminente che si riversava su di lei.
Si voltò, e vide accanto a sé due figure incappucciate e scure; dai cappucci calcati sul viso non si potevano scorgere i tratti. Una delle due figure la tratteneva forte per un braccio.
Abbassò gli occhi su di sé: indossava una lunga tunica verde scuro, consunta e strappata in varie parti, ed un paio di sandali, alla maniera delle donne dell’antichità.
Stava percorrendo il corridoio, scortata dalle due sinistre figure; le torce rischiaravano qua e là la penombra; i loro passi echeggiavano per le immense lastre di pietra dell’edificio.
Aveva paura: non sapeva perché, ma aveva paura. Sapeva di stare andando incontro a qualcosa di spaventoso.
Giunsero alla fine del lungo corridoio, in una grande sala quadrata, al centro della quale troneggiava un focolare; dalle pareti, pendevano strumenti per l’incatenamento dei prigionieri.
Un' alta figura si fece loro incontro: era un uomo calvo e grosso, con gli occhi rossastri e scintillanti come due tizzoni ardenti; indossava un mantello di colore viola scuro, con dei disegni ricamati sopra.
L’uomo le si avvicinò, e con un sogghigno le sollevò il mento con due dita; istintivamente, lei venne attraversata da una scarica di paura, ma non glielo diede a vedere, continuando a mostrare il suo sguardo fiero e battagliero.
L’uomo l’afferrò con forza per un polso, trascinandola fino agli spaventosi aggeggi che pendevano dai muri, per legarla per le braccia ad uno di essi; poi si allontanò, mentre una delle due figure che l’avevano scortata sin lì stava prendendo qualcosa dal focolare acceso.
La figura alzò la testa incappucciata, e si mosse nella sua direzione; la donna impallidì, vedendo che quella sinistra visione recava tra le mani un tizzone acceso.
Le si fece vicino e, dette poche parole, le impresse il tizzone ardente sulla sua spalla destra.
La donna lanciò un altissimo grido, mentre in sottofondo le giungeva la risata cupa dell’uomo calv
o e le sue parole, che (sebbene fossero pronunciate in quella strana lingua di poco prima) dicevano chiaramente “Non avresti dovuto, Derania”.
Oscar si svegliò di soprassalto, urlando; si sedette sul letto, madida di sudore, riprendendo lentamente conoscenza di dove si trovasse: era nel suo letto, nella sua stanza; doveva aver avuto un incubo.
Si passò una mano sulla fronte, tirando un lungo respiro; come aveva potuto avere quel terribile incubo? Non aveva mangiato molto, la sera precedente, a cena, e non era neppure particolarmente in ansia… se si escludeva il 
solito tormento. Dunque, quale ne era stata la causa?
Lentamente, poggiò i piedi a terra, scendendo giù dal letto; si diresse alla finestra, l’aprì: era l’alba, ed il cielo stava sfumando in un tenue rosa, preannunciando l’aurora; tra poco avrebbe dovuto alzarsi, era inutile ritornare a dormire. Respirò invece a pieni polmoni l’aria pulita di quell’ora mattiniera, cercando di ricacciare indietro il senso di tormento, il quale le rimarcava che anche lui, suo triste compagno, si era svegliato.
Tentando di ignorarlo, Oscar rivolse il suo pensiero ai compiti che l’attendevano quel giorno in caserma: la parata, gli addestramenti con le sciabole, i dispacci da completare… pensò ad Alain, quel simpatico ragazzone che, unico tra quegli uomini, le aveva dato fiducia, e sorrise; poi, inevitabilmente, il suo pensiero andò ad André.
Ed un senso di sollievo lo accompagnò.
Sollievo istantaneo dal tormento.
Come era possibile?
Oscar richiuse la finestra e rientrò nella stanza; da quando in qua, il pensiero di André la faceva star così bene, al punto da alleviare, anche se solo per poco, il suo tormento? Cosa c’entrava André con il suo tormento?
E soprattutto, cosa era veramente quel suo tormento?
Ripensò allora al sogno: era davvero strano che il suo aguzzino l’avesse marchiata proprio nello stesso punto dove, la sera prima, aveva creduto di sentir dolore; ed era strano che l’avesse marchiata con il fuoco, quando, la sera prima, lei era convinta di aver sentito sulla pelle proprio una scottatura.
Sciocchezze, devo essermi autosuggestionata! Il dolore di ieri sarà stato dovuto ad uno strappo, o a qualcosa di simile, ed io ho permesso che il pensarci troppo mi facesse avere quell’incubo! Tutto qui.
Ma a ben vedere, c’era qualcosa d’altro di strano, in quel sogno, che lei non aveva considerato in un primo momento, e cioè che i due uomini del suo sogno, o meglio del suo incubo, le avevano parlato in una lingua che lei, coscientemente, sapeva benissimo di non conoscere: non sapeva nemmeno di che lingua si trattasse. Eppure, nel sogno, aveva compreso molto bene il significato delle loro parole. Com’era possibile ciò?
Troppi misteri, decisamente!, si disse Oscar mentre si vestiva; poi uscì per andare a far colazione.
Nella sala dove la famiglia Jarjeays abitualmente pranzava, trovò solo il padre, con Nanny accanto che lo stava servendo.
“Buongiorno, Oscar!” la salutò il generale “Non hai una bella cera; che succede? Hai dormito male?”.
Lei si avvicinò al tavolo e si sedette “No, non molto, padre. C’era freddo, stanotte”,
“Freddo? Ma se siamo quasi all’inizio dell’estate! Forse hai la febbre!”,
“Sì, è probabile” mormorò lei, persa nei propri pensieri.
Nanny le si fece vicina “Cosa ti porto, bambina?”,
“Cioccolata, grazie”, le rispose,
“Arriva subito”, l’anziana donna uscì dalla stanza.
Oscar prese una brioche “Scusate, padre” cominciò “sapete dirmi se i Jarjeays hanno avuto un’antenata di nome Derania?”,
“Eh? Cosa?” il generale rimase con la mano a mezz’aria,
“Sì, insomma… tra gli annali di famiglia non risulta questo nome?”,
“Non che io sappia” rispose il generale “Perché questa strana domanda, Oscar?”,
“Niente di particolare, così…”, lo sguardo di Oscar era tornato a perdersi nel vuoto dei suoi pensieri.

                                       **********

Quando giunse in caserma, i soldati erano già tutti pronti per la parata; vide Alain, e i due si scambiarono un caldo sorriso; poi cercò con lo sguardo André.
Lo vide in fondo alla fila, e nel suo cuore sentì qualche cosa di simile ad un cielo che si schiariva; impercettibilmente, gli sorrise, di un sorriso che solo loro due potevano capire. Poi, diede inizio alla parata.


Nel tardo pomeriggio, Oscar stava rivedendo e firmando un gruppo di dispacci, oppressa come al solito dal suo tormento; le finestre erano aperte, e i rumori ed i profumi leggeri e festosi dell’inizio dell’estate si facevano strada nello studio.
Oscar interruppe il suo lavoro, ed appoggiò la testa sulle mani; perché aveva continuato a pensare a quello strano sogno per tutto il giorno?
Aveva deciso, quella sera sarebbe andata lei stessa in biblioteca a consultare gli annali della famiglia Jarjeays, finché non avesse trovato un riferimento, anche piccolo, a qualcuno che si chiamasse Derania: perché doveva esserci un nesso logico e razionale, in tutto quello!
Si alzò dalla scrivania, si avvicinò al tavolino e prese una fetta del dolce che la ragazza delle pulizie aveva portato come omaggio al nuovo comandante: cioccolato e latte, come piaceva a lei; eppure, neanche quel sapore così gradito riusciva ad alleviarla dalle sue sofferenze, oramai divenute una costante.
A dir la verità, non c’era più nulla che ci riuscisse, ormai. Solo André.
Lentamente, si era resa conto che l’idea di averlo accanto non toglieva nulla alle sue capacità militari, al contrario, il fatto che lui fosse lì le dava un senso di sollievo e calore che non nascondeva più a sé stessa; ed anche i soldati, complice Alain, stavano iniziando ad accettarla, avendo potuto verificare di persona le sue qualità come comandante, anche se era una donna.
Era un buon soldato, anche se donna.
Questo era ciò che andava scoprendo sempre più.
Ma è davvero così necessario essere un uomo, per essere un buon soldato?
Fu questa la constatazione che emerse nitidamente nella sua mente.

 



















(1) All’epoca di Oscar, l’ultima epidemia di peste in Francia si era verificata nel 1720, a Marsiglia, ma non aveva mai raggiunto Parigi.

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Ecco il quarto capitolo; ed ecco che le cose iniziano a cambiar piega: Oscar è tormentata come al solito, ma per altre ragioni... scusate se il capitolo è un pò lungo, ma non potevo spezzarlo più di così; ed ora, i ringraziamenti:
Bay: a quanto sembra, la malattia di Oscar non riguarda Fersen più di tanto... ma non ti anticipo niente!
Patrizialasorella: grazie sempre dei tuoi complimenti, questa storia è molto impegnativa, e sono contenta che stia riscuotendo successi.
Beatrix 1291: sì, ho cercato di riscattare alcuni personaggi dell'anime; ma la piega che la storia prenderà da adesso si allontana un pò da quella classica dell'anime, come avrete avuto modo di leggere in questo capitolo.
Lady in blue: è vero, di solito metto parecchia fantasia nelle mie storie, allontanandole anche di parecchio dall'originale... ma finora, sembra che piaccia, quindi continuo... soprattutto per chi, come te, è ansiosa di leggere il seguito!
Ninfea 306: Oscar doveva per forza sentirsi dir la verità in faccia da André, per potersi rendere conto che non c'è incompatibilità tra il suo esser donna e la sua vita da soldato... ma ho voluto un pò ammorbidire le cose (André è più dolce, così!! E poi, sapevo ti sarebbe piaciuto); spero che la storia continui a piacerti.
Pry: In questa storia sto mettendo più monologhi del solito, non so come mi siano venuti; se ti piacciono, fammelo sapere.
Un grande Grazie anche a tutti coloro che leggono senza recensire.
Tetide.


  
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