Chapitre
2
Un
nuovo inizio
Ottobre, 1877.
Parigi.
Pioveva.
Come sempre, del resto. Malgrado l’estate non fosse terminata
che da poche
settimane, il brutto tempo non si era lasciato attendere troppo. Le
gocce di
pioggia, pesanti e tristi come lacrime sui volti di giovani fanciulle
innamorate o di bimbe prive di una famiglia, scivolavano sulle grigie
mura
degli edifici parigini, del tutto incuranti e indifferenti di
ciò che accadeva
al loro interno. Neppure l’interno dell’edificio in
quel momento più
chiacchierato e celebre di Parigi sembrava destare
l’attenzione dei lumi
accidiosi.
Non
era infatti trascorso molto tempo da quegli ultimi eventi che avevano
sconvolto
il tempio dell’arte e della musica: poco più di
due anni, in realtà, ma già
sembrava che l’aristocrazia avesse dimenticato la strana
vicenda del Fantasma dell’Opera,
ed era ora alla
ricerca di qualche pettegolezzo più recente e
perché no, magari anche qualche
scandalo che riscaldasse i salotti più importanti. Quanto
alla povera gente, la
cosa non la riguardava minimamente: ben altre erano le
priorità, per loro.
Madame
Giry, la rigida insegnante di danza a teatro, percorreva a passo veloce
le
viuzze che separavano la sua casa in Rue Scribe dal luogo nel quale
lavorava
ormai sin da quando ne aveva memoria. Il bordo del suo lungo abito nero
strisciava sul marciapiede zuppo di pioggia, ma la donna non se ne
curava,
preoccupandosi unicamente di coprirsi il capo con il cappuccio cerato
del
mantello. Le strade erano quasi del tutto vuote, ad esclusione di
qualche gatto
o cane randagio. Le luci dei lampioni stavano iniziando ad accendersi
malgrado
la notte non fosse ancora del tutto calata, rendendo
l’atmosfera di quella
giornata autunnale ancora più malinconica del solito.
Fu
con un piccolo sospiro di sollievo che la donna si riparò
sotto il portico
dell’appartamento nel quale abitava con sua figlia,
Marguerite. Frugò
all’interno di una borsetta in pelle, anch’essa
nera, fino a quando non ne tirò
fuori una chiave d’ottone che utilizzò per aprire
la porta e scampare
finalmente al temporale che si era fatto ora ancora più
violento. Le luci
dentro casa erano accese, segno che Agnese, l’anziana
governante italiana che
si occupava della cucina e della casa, era già tornata dal
cimitero, nel quale
andava puntualmente ogni anno, alla stessa data, per prendersi cura
della tomba
del suo marito defunto qualche decennio prima. Anche lei, come madame
Giry, era
rimasta vedova molto presto, e non si era mai risposata, solo che non
aveva mai
potuto contare sull’affetto di figli che non erano mai
arrivati.
Un
giorno – molto tempo prima, monsieur Giry era ancora in vita
– Agnese era
andata all’Opera per offrirsi come sarta nel laboratorio del
teatro, e madame
Giry le aveva proposto invece di lavorare per lei, come governante,
offrendole
una casa che sicuramente era migliore delle stanzette che affidavano ai
lavoratori del teatro, sempre se le mettevano a disposizione, e la
donna aveva
accettato di buon grado, con tutto l’orgoglio che la
caratterizzava. In questo
le due donne erano molto simili, e divennero presto molto amiche,
malgrado la
leggera differenza di età. Ora, lei e Meg erano le uniche
due persone sulle
quali madame Giry poteva contare: senza di loro, la sua vita non
avrebbe più
avuto senso, malgrado il suo lavoro all’Opera, che continuava
ad amare
incondizionatamente.
Madame
portò il mantello zuppo di pioggia nella stanza da bagno,
appendendolo per
farlo gocciolare all’interno di una graziosa vasca in ottone,
dopodiché
raggiunse Agnese in cucina. Meg era rimasta a teatro, a quanto le aveva
detto
lei e alcune sue compagne della classe di ballo dovevano festeggiare il
compleanno
di una di loro. Probabilmente solo l’anno prima non avrebbe
mai permesso a sua
figlia di restare da sola a teatro, per la notte, ma ora che non
c’era più nessun
pericolo, non vedeva perché non avrebbe dovuto lasciarla con
le sue amiche.
«Buonasera,
Agnese.» La salutò con un mezzo sorriso, entrando
in cucina e avvicinandosi al
calore della stufa. «Avete trascorso una bella
giornata?»
«Oh,
buonasera Louise,» sorrise l’altra donna, di
rimando. «Si, è stata una bella
giornata... Per fortuna sono riuscita a rincasare prima che si
scatenasse
questo tremendo diluvio.»
Le
fece cenno di sedersi sulla panca accanto a lei, prima di ricominciare
a
rammendare alcune delle camice di Meg. «Come mai Meg non
è con voi?»
«È
voluta restare a teatro, a quanto pare doveva festeggiare il compleanno
di
un’amica.» Rispose distrattamente, mentre prendeva
a sua volta una camicia da
camera e controllava dove andasse fatto il rammendo. Senza che se ne
rendesse
conto, il suo pensiero corse all’unica persona di cui credeva
non doversi più
preoccupare. Erik... Quante volte aveva rammendato le sue, di camice?
Quando
era poco più che un bambino le portava alcuni dei vestiti
che aveva preso dagli
armadi della sartoria dell’Opera, troppo grandi per il suo
fisico allora ancora
mingherlino, e lei glieli adattava con un piacere misto a divertimento,
nel
fare da madre ad un bimbo così cresciuto. Eppure non le era
mai dispiaciuto,
anche se doveva occuparsi di Meg trovava sempre il tempo per quel
ragazzino che
aveva salvato, e di cui si era sempre sentita responsabile, come una
madre...
Oh, Louise Giry,
come sei sciocca! Che cosa ti porta a fare dei simili discorsi proprio
adesso? Riuscì ad impedirsi di versare quelle
lacrime che non avevano mai solcato il suo viso, e che di certo non
avrebbero
iniziato ora. Ma in realtà era da un po’ che
ripensava a lui, o meglio,
ultimamente stava quasi diventando un pensiero fisso. Non aveva mai
più avuto
sue notizie, dopo la notte dell’incendio: non che se le fosse
aspettate, sia
chiaro, ma in fondo si era quasi augurata che lui andasse a trovarla, o
perlomeno andasse a renderle conto delle sue azioni, del suo
tradimento... Era
stata ciò che più somigliava ad una madre per
lui, eppure non aveva esitato a
voltargli le spalle quando la situazione aveva iniziato a degenerare...
Ancora
adesso, l’ultimo pensiero che serbava dei suoi occhi
disperati e furiosi le
faceva stringere il cuore.
Ed
era per questo che non riusciva a capacitarsi del fatto che egli non
fosse mai
andato anche solo a minacciarla; le capitava, durante certe notti
silenziose,
quando non riusciva a prendere sonno, di sentire dei passi sotto la sua
finestra, un rumore attutito ma deciso, che sembrava fare su e
giù di fronte a
casa sua come se non fosse del tutto convinto della sua presenza
lì, e lei aveva
sempre, sempre sperato che si
trattasse del suo povero, sfortunato Erik, venuto da lei... Ma questo
non era
mai successo.
Era
forse destinata a morire senza sapere che sorte avesse avuto
l’uomo che aveva
allevato alla stregua di un figlio?
Ormai,
stava diventando un ossessione. Un’ossessione che si era
acuita nell’ultimo
periodo, da quando, precisamente, i due direttori del teatro, ancora
monsieur
Firmin e monsieur Andrè, avevano annunciato che un
gentiluomo straniero, forse
americano, aveva deciso di investire sull’Opera, diventandone
il nuovo
mecenate. Del giovane Visconte de Chagny non si era infatti
più saputo nulla,
si era come volatilizzato insieme alla sua sposa senza rendere conto a
nessuno
di dove andava, lasciando il teatro nella più completa
rovina e degradazione.
Messieurs
Firmin e Andrè si erano indebitati fino al collo per cercare
di riportare il
teatro allo splendore di un tempo, e anche se madame Giry non avrebbe
mai
scommesso un solo franco su di loro, doveva ammettere che ci erano
quasi riusciti.
Poi era arrivato questo misterioso mecenate, e l’Opera
Garnier era
definitivamente risorta dalle sue stesse ceneri.
C’era
da dire che nessuno aveva mai visto questo personaggio, che viveva in
una villa
della campagna parigina facendo solo brevi visite alla città
e al suo teatro
agli orari più insoliti, ma che aveva preteso
l’incarico di direttore artistico
di quest’ultimo. L’unica condizione che aveva posto
era stata infatti quella di
potersi occupare delle messe in scena e dei vari cantanti e ballerini,
e dato
che i due direttori avevano già messo gli occhi sul suo
denaro, non avevano
esitato a firmare il contratto che Bamdad, il segretario persiano di
monsieur
Destler – questo infatti era il nome del prezioso mecenate
– aveva presentato
loro.
Perciò,
la sua identità continuava a rimanere celata. Ma
fintantoché con il suo denaro
e con le sue scelte artistiche – peraltro sempre azzeccate
– contribuiva a
mandare avanti il teatro e ad accrescere la sua fama, nessuno gliene
avrebbe
mai fatto una colpa.
«Louise,
oggi siete molto pensierosa.»
La
dolce e leggermente tremula voce di Agnese riscosse madame Giry dai
suoi
pensieri, facendola tornare bruscamente al presente. «Oh si,
perdonatemi,
Agnese. Non volevo essere scortese.» Mormorò,
passandosi una mano sul volto
stanco.
«Non
preoccupatevi, comprendo pienamente le vostre
preoccupazioni.» Sorrise la
donna, prendendole una mano tra le sue.
Madame
si voltò, stupita, leggermente preoccupata che la sua amica
potesse aver
compreso più del necessario. «Ah si? Le
comprendete?»
L’altra
annuì. «Certo. Immagino che vi angusti
l’idea che vostra figlia trascorra la
notte fuori casa, anche se è circondata da amiche... A
quanto ricordo, il
teatro non è mai stato famoso per essere un luogo
sicuro.»
I
battiti di Louise diminuirono notevolmente, mentre la donna annuiva,
piano. Non
era propriamente a quello che stava pensando, anche se in effetti la
cara
governante non aveva tutti i torti. «No, infatti, non lo
è mai stato.» Ammise,
con un sospiro. «Ma ormai le cose sono cambiate, non
c’è più di che
preoccuparsi.»
Agnese
abbandonò il suo lavoro di cucito e si alzò,
decidendo di preparare la cena.
«Forse no,» replicò, portandosi una mano
al petto. «Ma se i gendarmi fossero riusciti
a catturare quell’assassino, due anni fa, immagino che ora
dormirei sonni più
tranquilli. Sapete, dormo sempre con la finestra chiusa da
allora.»
Questa
volta madame ebbe ragione di sgranare gli occhi, sorpresa. «A
chi vi riferite,
Agnese?» Le domandò, fingendo di non aver compreso
il soggetto del discorso.
«Al
demonio che viveva all’Opera! Quel... Quel
Fantasma!» Esclamò, voltandosi con
uno sguardo ancora spaventato in viso. «Dicevano che aveva il
volto del
diavolo... E che aveva ucciso più di diecimila anime! E come
può una povera
vecchia dormire tranquilla, con il terrore che esiste una simile
creatura che
potrebbe uccidermi nel sonno?»
Louise
era veramente sconvolta. Era la prima volta che sentiva Agnese fare dei
simili
discorsi, non era mai capitato che ne parlassero, prima. E di sicuro
non
credeva che la donna la pensasse in quel modo. Diecimila uomini?
Malgrado la
gravità del discorso, madame non riuscì a
trattenere un sorriso: Erik era stato
– o era ancora? – un uomo piuttosto crudele, ma
madame dubitava che avesse le
mani così sporche di sangue. No, non lo riteneva capace di
tanto.
Anche
se...
«E
ora perché ridete?» Sbottò Agnese,
leggermente offesa.
Madame
Giry si contenne subito. «Non rido, Agnese, per
carità. Dubito solo che possa
esistere un uomo tanto efferato così come voi e tanti altri
hanno dipinto...»
La
donna scrollò le spalle. «Ah, pensatela come
volete. Non riuscirete a
convincermi a dormire con la finestra aperta, ad ogni modo.»
Era
incredibile come l’anziana donna riuscisse a concludere in
quel modo ogni
singolo discorso... Celando l’ennesimo sorrisetto, madame si
alzò a sua volta,
con l’intenzione di andare a cambiarsi d’abito.
«State
andando voi alla porta?» Le domandò Agnese,
trafficando con una pentola.
Louise
sollevò un sopracciglio. «Perché
dovrei?»
«Mi
è sembrato di aver udito bussare.»
Replicò spicciativa.
Madame
non aveva sentito niente, ma annuì lo stesso. «In
tal caso vado a vedere chi
può essere a quest’orario così
insolito.»
Una
volta nel corridoio, madame sentì effettivamente bussare
alla porta, un bussare
insistente e continuo, come se il visitatore avesse
un’incredibile fretta di
entrare. Ma chi poteva mai essere? Meg era a teatro, e lei di sicuro
non
attendeva ospiti...
«Sto
arrivando!» Esclamò, per impedire che il
visitatore, chiunque esso fosse, se ne
andasse nella convinzione di aver trovato la casa vuota. Raggiunse la
porta e
armeggiò con il chiavistello, fino a quando non
riuscì a sganciarlo e aprire
così la porta.
Se
fosse stata un’altra persona, avrebbe senza dubbio lanciato
un urlo. Invece, in
una manciata di secondi madame ragionò lucidamente, pensando
che se avesse
urlato avrebbe senza dubbio attirato l’attenzione di Agnese,
che non avrebbe
esitato a correre a chiamare i gendarmi anche senza conoscere tutta la
storia.
Perciò deglutì, rimanendo a fissare a
metà tra lo spavento e il sollievo quella
figura incappucciata che si stagliava contro il cielo nuvoloso di
fronte a lei,
che aveva imparato a riconoscere e anche a temere.
«Cosa
succede, madame? Avete perduto le buone maniere? Non mi fate
entrare?»
Louise
rabbrividì al suono di una voce che non sentiva ormai da
troppo tempo, riuscendo
a cogliere la sottile vena di ironia e sarcasmo che velavano le
sussurrate
parole dell’uomo. Senza rispondergli si fece da parte,
invitandolo
silenziosamente ad entrare.
«Sei...
Sei davvero tu?» Mormorò, senza osare credere a
ciò che i suoi occhi le
facevano vedere. «O sei un... oh... Mon
Dieu...»
Si
portò in tempo le mani davanti alla bocca, per evitare di
dire ciò che sconsideratamente
stava per uscire dalle sue labbra sottili. Un fantasma.
No, anche se si era sempre firmato in quel modo, Erik non
amava definirsi in quel modo. L’umanità era una
delle poche cose che desiderava
e che gli era stata negata...
Ma
perché era lì, in casa sua? Perché
dopo tutto quel tempo, perché così
all’improvviso?
Egli
dovette accorgersi che madame fremeva dalla voglia di rivolgergli tutte
quelle
domande che le turbinavano in testa, perché la mise a tacere
ancora prima che
dicesse una sola parola. «Volete che la vostra governante mi
veda? Andiamo in
camera vostra, madame.»
Oh,
a quanto pareva non aveva perso l’abitudine di dare ordini.
«Agnese,
sto salendo in camera a cambiarmi!» Esclamò verso
la cucina, indicando ad Erik
le scale per salire al piano superiore.
«Chi
era alla porta, Louise?» Domandò la donna,
affacciandosi alla porta.
Madame
scrollò le spalle, riuscendo a mascherare la sua agitazione.
«Nessuno, Agnese.
Un mendicante... L’ho mandato via.»
Annuendo,
l’anziana governante ritornò in cucina, e madame
potè così raggiungere il suo
nuovo ospite nella sua stanza. Era una fortuna che Meg fosse rimasta a
teatro... Madame non riusciva ad immaginare cosa sarebbe successo se
anche la
ragazza fosse stata presente al ritorno di Erik.
E
soprattutto, al fatto che sua madre sembrava non avere nessuna
intenzione di
mandarlo via.
Quando
entrò in camera sua, madame vide che il suo ospite sedeva
sul letto, chino su
una figura distesa di cui lei prima non si era accorta. Accese la
lampada a gas
sulla specchiera a lato del letto e si avvicinò a
quest’ultimo, sporgendosi a
sua volta da dietro la spalla di Erik per cercare di capire chi fosse
la figura
addormentata. Trasalì quando il suo sguardo si
posò sui suoi tratti.
«Christine?!»
esclamò, portandosi una mano alla bocca dallo stupore.
Com’era possibile? Erik
non poteva certo averla rapita di nuovo!
«Non
siate sciocca, madame...» La riprese lui, senza neppure
degnarsi di guardarla.
«Per quanto la somiglianza sia notevole, non si tratta della Viscontessa de Chagny...»
Il
modo in cui sputò quel nome fece rabbrividire la donna, che
nel frattempo aveva
iniziato ad osservare meglio la fanciulla distesa sul suo letto con una
curiosità e un’attenzione particolare. Si, in
effetti Erik aveva ragione, non
poteva essere la sua Christine... Mentre quest’ultima aveva
dei soffici boccoli
d’oro, infatti, la ragazza che si trovavano di fronte aveva
dei morbidi e
lunghi capelli castani, con delle onde che ricordavano le chiome delle
donne
del Botticelli. La carnagione era leggermente abbronzata come quella
delle
contadine, e non era pallida e perlacea come richiedeva invece la moda
dell’aristocrazia, e questo portò madame a
domandarsi quale fosse in realtà
l’identità
di quella fanciulla che Erik le aveva portato in casa.
Improvvisamente,
un pensiero la colpì.
«Erik...»
mormorò. «Non si tratterà della tua
amante, vero?»
Finalmente
l’uomo si voltò di scatto, gli occhi che mandavano
lampi, con una furia in essi
tale da farla indietreggiare. «Non osate, madame.»
Sibilò, trattenendo a stento
una rabbia che, malgrado tutto, la donna non comprendeva. «Se
anche avessi
un’amante, o se ne avessi cento, non verrei sicuramente a
portarla a casa
vostra! E siete pregata di non trattarla nemmeno come tale.»
«Ma
allora chi è questa ragazza? Perché
l’hai portata qui?» Insisté Louise,
decisa
a non lasciarsi ancora intimidire da lui.
La
rabbia di Erik sembrò scemare, mentre si voltava nuovamente
ad osservare la
ragazza. «In realtà non so chi sia...
L’ho trovata all’Opèra, in una delle
gallerie che conducono al mio vecchio dominio. Non so come ci sia
finita, non
l’ho neanche mai vista prima, ma la sua somiglianza con la
persona che entrambi
conosciamo bene mi ha fatto prendere la decisione di portarla via di
là.»
La
donna non riuscì a trattenersi dallo sbuffare, scettica.
«Senza volerne nulla
in cambio? E da quando saresti diventato così
tenero?»
Lo
sguardo che Erik le rivolse era un misto di rabbia e divertimento.
«Da quando
sono diventato il nuovo mecenate dell’Opèra
Garnier, madame.»
Louise
Giry sgranò gli occhi, sconvolta, e non potè
impedirsi di indietreggiare.
Dunque... dunque! Tutti i suoi presentimenti si rivelavano
così essere fondati!
Che sciocca a non averlo compreso da subito, era caduta
nell’ennesimo tranello
del Fantasma dell’Opera come l’ultima delle
più ingenue ballerine, e chissà
quanto doveva aver riso lui nel
vedere che la sua rigida e perspicace amica non aveva collegato i vari
indizi!
«Monsieur
Destler... Saresti tu? Mon Dieu!»
Esclamò la donna, sorpresa.
Erik
non riuscì a trattenere una risatina di scherno alla
reazione di madame Giry.
«Non ditemi che l’idea non vi ha mai sfiorato,
Louise, perché non vi credo.»
Il
semplice fatto che lui l’avesse chiamata per nome la fece ben
sperare sulle sue
intenzioni, e d’istinto cambiò atteggiamento,
cercando di mostrarsi più
disponibile nei confronti di quella fanciulla che non aveva mai visto
prima.
«Va bene, Erik...» Sospirò, incerta se
posargli o meno una mano sulla spalla,
ma decidendo infine di mantenere le distanze, per quanto le costasse.
«Cosa
vuoi che faccia? Di sicuro non sei venuto in casa mia con una
sconosciuta tra
le braccia senza avere una richiesta o un ordine pronto.»
L’uomo
si voltò verso di lei, limitandosi ad osservarla per un
po’ con sguardo
critico. «Vedo che malgrado il tempo che è passato
e quello che è successo, non
vi siete dimenticata di me e delle mie... abitudini.»
Sollevò impercettibilmente le spalle prima di continuare.
«Tuttavia, è pur vero
che non ho nessun piano per questa ragazza... per
ora. Voglio solo che vi prendiate cura di lei fino a quando
non
si riprenderà – ha la febbre, infatti –
e dopo... Beh, allora ci penserò.»
Detto
questo si alzò, rivolgendo nuovamente tutta la sua
attenzione all’anziana
insegnante di ballo. «Vi sto nuovamente mettendo alla prova,
Louise. Lo sapete,
vero?» Sussurrò, truce.
Madame
Giry non potè fare a meno di annuire. «Lo so,
Erik. Ma avresti dovuto
immaginare che non sarei rimasta con le mani in mano mentre tu stavi
quasi
riuscendo a distruggere la vita di una ragazza che ho sempre
considerato come
figlia mia!»
Lo
sguardo dell’uomo si fece se possibile ancora più
terribile. «Non dimentico
però che voi dicevate di trattare anche me alla stregua di
un figlio.» Sibilò
crudele, come se non si rendesse conto del dolore che le causava
sputando
quelle parole. «Se era questo il modo di dimostrarmi il
vostro affetto, madame,
non oso pensare come sarebbe stato il vostro odio... Ma già,
un mostro come me
non può meritarsi altro.»
Il
forte schiaffo che seguì quell’ultima frase fu
sonoro e meritato, al punto che
Erik non osò ribattere ulteriormente. Si limitò a
stirare le labbra in quello
che molto vagamente doveva somigliare ad un sorriso, ma che era in
realtà più
una smorfia di tristezza.
«Spero
che questo vi abbia alleggerito la coscienza, madame.»
Mormorò soltanto,
facendo per andarsene.
La
donna scosse la testa. «Io invece mi auguro che non abbia
alleggerito la tua.»
Monsieur
Destler le diede in silenzio le spalle, arrivando alla porta e
sollevando la
maniglia. «Non basta certo così poco per
alleggerire la mia coscienza, madame.
Sapete meglio di me che nulla potrà mai cancellare il sangue
che ho sulle mani
e il ricordo del dolore che ho causato. Ma
tant’è...»
La
osservò da sopra la spalla, mestamente. «Il
passato non si può cambiare.»
«Ma
il futuro si, Erik...» Replicò lei, piano.
L’uomo
scosse la testa. «Apprezzo il vostro ottimismo, ma non
sprecatelo con me.
Arrivederci, madame. Avremo modo di vederci a teatro, uno di questi
giorni.»
Louise
Giry fece qualche passo verso di lui, tormentandosi le mani strette a
pugno. «Il
Fantasma dell’Opera è tornato?»
Sussurrò.
Erik
trovò la forza di ridere. «No, madame. Il Fantasma
dell’Opera non se ne è mai
andato.»
E, con questo, sparì da dietro la porta, lasciando la donna sola con i suoi turbinosi pensieri.