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Autore: Niglia    18/03/2010    1 recensioni
Ottobre, 1878. Parigi.
Il Fantasma dell'Opera non è morto. Anzi, non è mai stato più deciso a vivere di adesso. Accompagnato da dei nuovi piani di vendetta, torna nella città dalla quale è stato costretto a fuggire due anni prima, un uomo vuoto, senz'anima, con solo un nome nella testa che lo spinge a tornare a Parigi, in quello stesso teatro che in fondo è sempre stato il suo regno, la sua casa, perchè non può essere altrimenti...
E così la storia sembra ripetersi, ma c'è sempre qualcosa con cui dimentichiamo di fare i calcoli; possibile che il Fantasma possa trovarsi di fronte ad una ragazza - incredibilmente somigliante alla sua antica musa - capace di risvegliare in lui quel qualcosa che credeva essere morto per sempre?
In uno strano miscuglio di passato e presente, la strana vicenda del Fantasma dell'Opera sembra continuare a stupire e terrorizzare anche attraverso il tempo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erik/The Phantom, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Chapitre 2

Un nuovo inizio

 












Ottobre, 1877. Parigi.

 

Pioveva. Come sempre, del resto. Malgrado l’estate non fosse terminata che da poche settimane, il brutto tempo non si era lasciato attendere troppo. Le gocce di pioggia, pesanti e tristi come lacrime sui volti di giovani fanciulle innamorate o di bimbe prive di una famiglia, scivolavano sulle grigie mura degli edifici parigini, del tutto incuranti e indifferenti di ciò che accadeva al loro interno. Neppure l’interno dell’edificio in quel momento più chiacchierato e celebre di Parigi sembrava destare l’attenzione dei lumi accidiosi.

Non era infatti trascorso molto tempo da quegli ultimi eventi che avevano sconvolto il tempio dell’arte e della musica: poco più di due anni, in realtà, ma già sembrava che l’aristocrazia avesse dimenticato la strana vicenda del Fantasma dell’Opera, ed era ora alla ricerca di qualche pettegolezzo più recente e perché no, magari anche qualche scandalo che riscaldasse i salotti più importanti. Quanto alla povera gente, la cosa non la riguardava minimamente: ben altre erano le priorità, per loro.

Madame Giry, la rigida insegnante di danza a teatro, percorreva a passo veloce le viuzze che separavano la sua casa in Rue Scribe dal luogo nel quale lavorava ormai sin da quando ne aveva memoria. Il bordo del suo lungo abito nero strisciava sul marciapiede zuppo di pioggia, ma la donna non se ne curava, preoccupandosi unicamente di coprirsi il capo con il cappuccio cerato del mantello. Le strade erano quasi del tutto vuote, ad esclusione di qualche gatto o cane randagio. Le luci dei lampioni stavano iniziando ad accendersi malgrado la notte non fosse ancora del tutto calata, rendendo l’atmosfera di quella giornata autunnale ancora più malinconica del solito.

Fu con un piccolo sospiro di sollievo che la donna si riparò sotto il portico dell’appartamento nel quale abitava con sua figlia, Marguerite. Frugò all’interno di una borsetta in pelle, anch’essa nera, fino a quando non ne tirò fuori una chiave d’ottone che utilizzò per aprire la porta e scampare finalmente al temporale che si era fatto ora ancora più violento. Le luci dentro casa erano accese, segno che Agnese, l’anziana governante italiana che si occupava della cucina e della casa, era già tornata dal cimitero, nel quale andava puntualmente ogni anno, alla stessa data, per prendersi cura della tomba del suo marito defunto qualche decennio prima. Anche lei, come madame Giry, era rimasta vedova molto presto, e non si era mai risposata, solo che non aveva mai potuto contare sull’affetto di figli che non erano mai arrivati.

Un giorno – molto tempo prima, monsieur Giry era ancora in vita – Agnese era andata all’Opera per offrirsi come sarta nel laboratorio del teatro, e madame Giry le aveva proposto invece di lavorare per lei, come governante, offrendole una casa che sicuramente era migliore delle stanzette che affidavano ai lavoratori del teatro, sempre se le mettevano a disposizione, e la donna aveva accettato di buon grado, con tutto l’orgoglio che la caratterizzava. In questo le due donne erano molto simili, e divennero presto molto amiche, malgrado la leggera differenza di età. Ora, lei e Meg erano le uniche due persone sulle quali madame Giry poteva contare: senza di loro, la sua vita non avrebbe più avuto senso, malgrado il suo lavoro all’Opera, che continuava ad amare incondizionatamente.

Madame portò il mantello zuppo di pioggia nella stanza da bagno, appendendolo per farlo gocciolare all’interno di una graziosa vasca in ottone, dopodiché raggiunse Agnese in cucina. Meg era rimasta a teatro, a quanto le aveva detto lei e alcune sue compagne della classe di ballo dovevano festeggiare il compleanno di una di loro. Probabilmente solo l’anno prima non avrebbe mai permesso a sua figlia di restare da sola a teatro, per la notte, ma ora che non c’era più nessun pericolo, non vedeva perché non avrebbe dovuto lasciarla con le sue amiche.

«Buonasera, Agnese.» La salutò con un mezzo sorriso, entrando in cucina e avvicinandosi al calore della stufa. «Avete trascorso una bella giornata?»

«Oh, buonasera Louise,» sorrise l’altra donna, di rimando. «Si, è stata una bella giornata... Per fortuna sono riuscita a rincasare prima che si scatenasse questo tremendo diluvio.»

Le fece cenno di sedersi sulla panca accanto a lei, prima di ricominciare a rammendare alcune delle camice di Meg. «Come mai Meg non è con voi?»

«È voluta restare a teatro, a quanto pare doveva festeggiare il compleanno di un’amica.» Rispose distrattamente, mentre prendeva a sua volta una camicia da camera e controllava dove andasse fatto il rammendo. Senza che se ne rendesse conto, il suo pensiero corse all’unica persona di cui credeva non doversi più preoccupare. Erik... Quante volte aveva rammendato le sue, di camice? Quando era poco più che un bambino le portava alcuni dei vestiti che aveva preso dagli armadi della sartoria dell’Opera, troppo grandi per il suo fisico allora ancora mingherlino, e lei glieli adattava con un piacere misto a divertimento, nel fare da madre ad un bimbo così cresciuto. Eppure non le era mai dispiaciuto, anche se doveva occuparsi di Meg trovava sempre il tempo per quel ragazzino che aveva salvato, e di cui si era sempre sentita responsabile, come una madre...

Oh, Louise Giry, come sei sciocca! Che cosa ti porta a fare dei simili discorsi proprio adesso? Riuscì ad impedirsi di versare quelle lacrime che non avevano mai solcato il suo viso, e che di certo non avrebbero iniziato ora. Ma in realtà era da un po’ che ripensava a lui, o meglio, ultimamente stava quasi diventando un pensiero fisso. Non aveva mai più avuto sue notizie, dopo la notte dell’incendio: non che se le fosse aspettate, sia chiaro, ma in fondo si era quasi augurata che lui andasse a trovarla, o perlomeno andasse a renderle conto delle sue azioni, del suo tradimento... Era stata ciò che più somigliava ad una madre per lui, eppure non aveva esitato a voltargli le spalle quando la situazione aveva iniziato a degenerare... Ancora adesso, l’ultimo pensiero che serbava dei suoi occhi disperati e furiosi le faceva stringere il cuore.

Ed era per questo che non riusciva a capacitarsi del fatto che egli non fosse mai andato anche solo a minacciarla; le capitava, durante certe notti silenziose, quando non riusciva a prendere sonno, di sentire dei passi sotto la sua finestra, un rumore attutito ma deciso, che sembrava fare su e giù di fronte a casa sua come se non fosse del tutto convinto della sua presenza lì, e lei aveva sempre, sempre sperato che si trattasse del suo povero, sfortunato Erik, venuto da lei... Ma questo non era mai successo.

Era forse destinata a morire senza sapere che sorte avesse avuto l’uomo che aveva allevato alla stregua di un figlio?

Ormai, stava diventando un ossessione. Un’ossessione che si era acuita nell’ultimo periodo, da quando, precisamente, i due direttori del teatro, ancora monsieur Firmin e monsieur Andrè, avevano annunciato che un gentiluomo straniero, forse americano, aveva deciso di investire sull’Opera, diventandone il nuovo mecenate. Del giovane Visconte de Chagny non si era infatti più saputo nulla, si era come volatilizzato insieme alla sua sposa senza rendere conto a nessuno di dove andava, lasciando il teatro nella più completa rovina e degradazione.

Messieurs Firmin e Andrè si erano indebitati fino al collo per cercare di riportare il teatro allo splendore di un tempo, e anche se madame Giry non avrebbe mai scommesso un solo franco su di loro, doveva ammettere che ci erano quasi riusciti. Poi era arrivato questo misterioso mecenate, e l’Opera Garnier era definitivamente risorta dalle sue stesse ceneri.

C’era da dire che nessuno aveva mai visto questo personaggio, che viveva in una villa della campagna parigina facendo solo brevi visite alla città e al suo teatro agli orari più insoliti, ma che aveva preteso l’incarico di direttore artistico di quest’ultimo. L’unica condizione che aveva posto era stata infatti quella di potersi occupare delle messe in scena e dei vari cantanti e ballerini, e dato che i due direttori avevano già messo gli occhi sul suo denaro, non avevano esitato a firmare il contratto che Bamdad, il segretario persiano di monsieur Destler – questo infatti era il nome del prezioso mecenate – aveva presentato loro.

Perciò, la sua identità continuava a rimanere celata. Ma fintantoché con il suo denaro e con le sue scelte artistiche – peraltro sempre azzeccate – contribuiva a mandare avanti il teatro e ad accrescere la sua fama, nessuno gliene avrebbe mai fatto una colpa.

«Louise, oggi siete molto pensierosa.»

La dolce e leggermente tremula voce di Agnese riscosse madame Giry dai suoi pensieri, facendola tornare bruscamente al presente. «Oh si, perdonatemi, Agnese. Non volevo essere scortese.» Mormorò, passandosi una mano sul volto stanco.

«Non preoccupatevi, comprendo pienamente le vostre preoccupazioni.» Sorrise la donna, prendendole una mano tra le sue.

Madame si voltò, stupita, leggermente preoccupata che la sua amica potesse aver compreso più del necessario. «Ah si? Le comprendete?»

L’altra annuì. «Certo. Immagino che vi angusti l’idea che vostra figlia trascorra la notte fuori casa, anche se è circondata da amiche... A quanto ricordo, il teatro non è mai stato famoso per essere un luogo sicuro.»

I battiti di Louise diminuirono notevolmente, mentre la donna annuiva, piano. Non era propriamente a quello che stava pensando, anche se in effetti la cara governante non aveva tutti i torti. «No, infatti, non lo è mai stato.» Ammise, con un sospiro. «Ma ormai le cose sono cambiate, non c’è più di che preoccuparsi.»

Agnese abbandonò il suo lavoro di cucito e si alzò, decidendo di preparare la cena. «Forse no,» replicò, portandosi una mano al petto. «Ma se i gendarmi fossero riusciti a catturare quell’assassino, due anni fa, immagino che ora dormirei sonni più tranquilli. Sapete, dormo sempre con la finestra chiusa da allora.»

Questa volta madame ebbe ragione di sgranare gli occhi, sorpresa. «A chi vi riferite, Agnese?» Le domandò, fingendo di non aver compreso il soggetto del discorso.

«Al demonio che viveva all’Opera! Quel... Quel Fantasma!» Esclamò, voltandosi con uno sguardo ancora spaventato in viso. «Dicevano che aveva il volto del diavolo... E che aveva ucciso più di diecimila anime! E come può una povera vecchia dormire tranquilla, con il terrore che esiste una simile creatura che potrebbe uccidermi nel sonno?»

Louise era veramente sconvolta. Era la prima volta che sentiva Agnese fare dei simili discorsi, non era mai capitato che ne parlassero, prima. E di sicuro non credeva che la donna la pensasse in quel modo. Diecimila uomini? Malgrado la gravità del discorso, madame non riuscì a trattenere un sorriso: Erik era stato – o era ancora? – un uomo piuttosto crudele, ma madame dubitava che avesse le mani così sporche di sangue. No, non lo riteneva capace di tanto.

Anche se...

«E ora perché ridete?» Sbottò Agnese, leggermente offesa.

Madame Giry si contenne subito. «Non rido, Agnese, per carità. Dubito solo che possa esistere un uomo tanto efferato così come voi e tanti altri hanno dipinto...»

La donna scrollò le spalle. «Ah, pensatela come volete. Non riuscirete a convincermi a dormire con la finestra aperta, ad ogni modo.»

Era incredibile come l’anziana donna riuscisse a concludere in quel modo ogni singolo discorso... Celando l’ennesimo sorrisetto, madame si alzò a sua volta, con l’intenzione di andare a cambiarsi d’abito.

«State andando voi alla porta?» Le domandò Agnese, trafficando con una pentola.

Louise sollevò un sopracciglio. «Perché dovrei?»

«Mi è sembrato di aver udito bussare.» Replicò spicciativa.

Madame non aveva sentito niente, ma annuì lo stesso. «In tal caso vado a vedere chi può essere a quest’orario così insolito.»

Una volta nel corridoio, madame sentì effettivamente bussare alla porta, un bussare insistente e continuo, come se il visitatore avesse un’incredibile fretta di entrare. Ma chi poteva mai essere? Meg era a teatro, e lei di sicuro non attendeva ospiti...

«Sto arrivando!» Esclamò, per impedire che il visitatore, chiunque esso fosse, se ne andasse nella convinzione di aver trovato la casa vuota. Raggiunse la porta e armeggiò con il chiavistello, fino a quando non riuscì a sganciarlo e aprire così la porta.

Se fosse stata un’altra persona, avrebbe senza dubbio lanciato un urlo. Invece, in una manciata di secondi madame ragionò lucidamente, pensando che se avesse urlato avrebbe senza dubbio attirato l’attenzione di Agnese, che non avrebbe esitato a correre a chiamare i gendarmi anche senza conoscere tutta la storia. Perciò deglutì, rimanendo a fissare a metà tra lo spavento e il sollievo quella figura incappucciata che si stagliava contro il cielo nuvoloso di fronte a lei, che aveva imparato a riconoscere e anche a temere.

«Cosa succede, madame? Avete perduto le buone maniere? Non mi fate entrare?»

Louise rabbrividì al suono di una voce che non sentiva ormai da troppo tempo, riuscendo a cogliere la sottile vena di ironia e sarcasmo che velavano le sussurrate parole dell’uomo. Senza rispondergli si fece da parte, invitandolo silenziosamente ad entrare.

«Sei... Sei davvero tu?» Mormorò, senza osare credere a ciò che i suoi occhi le facevano vedere. «O sei un... oh... Mon Dieu...»

Si portò in tempo le mani davanti alla bocca, per evitare di dire ciò che sconsideratamente stava per uscire dalle sue labbra sottili. Un fantasma. No, anche se si era sempre firmato in quel modo, Erik non amava definirsi in quel modo. L’umanità era una delle poche cose che desiderava e che gli era stata negata...

Ma perché era lì, in casa sua? Perché dopo tutto quel tempo, perché così all’improvviso?

Egli dovette accorgersi che madame fremeva dalla voglia di rivolgergli tutte quelle domande che le turbinavano in testa, perché la mise a tacere ancora prima che dicesse una sola parola. «Volete che la vostra governante mi veda? Andiamo in camera vostra, madame.»

Oh, a quanto pareva non aveva perso l’abitudine di dare ordini.

«Agnese, sto salendo in camera a cambiarmi!» Esclamò verso la cucina, indicando ad Erik le scale per salire al piano superiore.

«Chi era alla porta, Louise?» Domandò la donna, affacciandosi alla porta.

Madame scrollò le spalle, riuscendo a mascherare la sua agitazione. «Nessuno, Agnese. Un mendicante... L’ho mandato via.»

Annuendo, l’anziana governante ritornò in cucina, e madame potè così raggiungere il suo nuovo ospite nella sua stanza. Era una fortuna che Meg fosse rimasta a teatro... Madame non riusciva ad immaginare cosa sarebbe successo se anche la ragazza fosse stata presente al ritorno di Erik.

E soprattutto, al fatto che sua madre sembrava non avere nessuna intenzione di mandarlo via.

Quando entrò in camera sua, madame vide che il suo ospite sedeva sul letto, chino su una figura distesa di cui lei prima non si era accorta. Accese la lampada a gas sulla specchiera a lato del letto e si avvicinò a quest’ultimo, sporgendosi a sua volta da dietro la spalla di Erik per cercare di capire chi fosse la figura addormentata. Trasalì quando il suo sguardo si posò sui suoi tratti.

«Christine?!» esclamò, portandosi una mano alla bocca dallo stupore. Com’era possibile? Erik non poteva certo averla rapita di nuovo!

«Non siate sciocca, madame...» La riprese lui, senza neppure degnarsi di guardarla. «Per quanto la somiglianza sia notevole, non si tratta della Viscontessa de Chagny...»

Il modo in cui sputò quel nome fece rabbrividire la donna, che nel frattempo aveva iniziato ad osservare meglio la fanciulla distesa sul suo letto con una curiosità e un’attenzione particolare. Si, in effetti Erik aveva ragione, non poteva essere la sua Christine... Mentre quest’ultima aveva dei soffici boccoli d’oro, infatti, la ragazza che si trovavano di fronte aveva dei morbidi e lunghi capelli castani, con delle onde che ricordavano le chiome delle donne del Botticelli. La carnagione era leggermente abbronzata come quella delle contadine, e non era pallida e perlacea come richiedeva invece la moda dell’aristocrazia, e questo portò madame a domandarsi quale fosse in realtà l’identità di quella fanciulla che Erik le aveva portato in casa.

Improvvisamente, un pensiero la colpì.

«Erik...» mormorò. «Non si tratterà della tua amante, vero?»

Finalmente l’uomo si voltò di scatto, gli occhi che mandavano lampi, con una furia in essi tale da farla indietreggiare. «Non osate, madame.» Sibilò, trattenendo a stento una rabbia che, malgrado tutto, la donna non comprendeva. «Se anche avessi un’amante, o se ne avessi cento, non verrei sicuramente a portarla a casa vostra! E siete pregata di non trattarla nemmeno come tale.»

«Ma allora chi è questa ragazza? Perché l’hai portata qui?» Insisté Louise, decisa a non lasciarsi ancora intimidire da lui.

La rabbia di Erik sembrò scemare, mentre si voltava nuovamente ad osservare la ragazza. «In realtà non so chi sia... L’ho trovata all’Opèra, in una delle gallerie che conducono al mio vecchio dominio. Non so come ci sia finita, non l’ho neanche mai vista prima, ma la sua somiglianza con la persona che entrambi conosciamo bene mi ha fatto prendere la decisione di portarla via di là.»

La donna non riuscì a trattenersi dallo sbuffare, scettica. «Senza volerne nulla in cambio? E da quando saresti diventato così tenero?»

Lo sguardo che Erik le rivolse era un misto di rabbia e divertimento. «Da quando sono diventato il nuovo mecenate dell’Opèra Garnier, madame.»

Louise Giry sgranò gli occhi, sconvolta, e non potè impedirsi di indietreggiare. Dunque... dunque! Tutti i suoi presentimenti si rivelavano così essere fondati! Che sciocca a non averlo compreso da subito, era caduta nell’ennesimo tranello del Fantasma dell’Opera come l’ultima delle più ingenue ballerine, e chissà quanto doveva aver riso lui nel vedere che la sua rigida e perspicace amica non aveva collegato i vari indizi!

«Monsieur Destler... Saresti tu? Mon Dieu!» Esclamò la donna, sorpresa.

Erik non riuscì a trattenere una risatina di scherno alla reazione di madame Giry. «Non ditemi che l’idea non vi ha mai sfiorato, Louise, perché non vi credo.»

Il semplice fatto che lui l’avesse chiamata per nome la fece ben sperare sulle sue intenzioni, e d’istinto cambiò atteggiamento, cercando di mostrarsi più disponibile nei confronti di quella fanciulla che non aveva mai visto prima. «Va bene, Erik...» Sospirò, incerta se posargli o meno una mano sulla spalla, ma decidendo infine di mantenere le distanze, per quanto le costasse. «Cosa vuoi che faccia? Di sicuro non sei venuto in casa mia con una sconosciuta tra le braccia senza avere una richiesta o un ordine pronto.»

L’uomo si voltò verso di lei, limitandosi ad osservarla per un po’ con sguardo critico. «Vedo che malgrado il tempo che è passato e quello che è successo, non vi siete dimenticata di me e delle mie... abitudini.» Sollevò impercettibilmente le spalle prima di continuare. «Tuttavia, è pur vero che non ho nessun piano per questa ragazza... per ora. Voglio solo che vi prendiate cura di lei fino a quando non si riprenderà – ha la febbre, infatti – e dopo... Beh, allora ci penserò.»

Detto questo si alzò, rivolgendo nuovamente tutta la sua attenzione all’anziana insegnante di ballo. «Vi sto nuovamente mettendo alla prova, Louise. Lo sapete, vero?» Sussurrò, truce.

Madame Giry non potè fare a meno di annuire. «Lo so, Erik. Ma avresti dovuto immaginare che non sarei rimasta con le mani in mano mentre tu stavi quasi riuscendo a distruggere la vita di una ragazza che ho sempre considerato come figlia mia!»

Lo sguardo dell’uomo si fece se possibile ancora più terribile. «Non dimentico però che voi dicevate di trattare anche me alla stregua di un figlio.» Sibilò crudele, come se non si rendesse conto del dolore che le causava sputando quelle parole. «Se era questo il modo di dimostrarmi il vostro affetto, madame, non oso pensare come sarebbe stato il vostro odio... Ma già, un mostro come me non può meritarsi altro.»

Il forte schiaffo che seguì quell’ultima frase fu sonoro e meritato, al punto che Erik non osò ribattere ulteriormente. Si limitò a stirare le labbra in quello che molto vagamente doveva somigliare ad un sorriso, ma che era in realtà più una smorfia di tristezza.

«Spero che questo vi abbia alleggerito la coscienza, madame.» Mormorò soltanto, facendo per andarsene.

La donna scosse la testa. «Io invece mi auguro che non abbia alleggerito la tua.»

Monsieur Destler le diede in silenzio le spalle, arrivando alla porta e sollevando la maniglia. «Non basta certo così poco per alleggerire la mia coscienza, madame. Sapete meglio di me che nulla potrà mai cancellare il sangue che ho sulle mani e il ricordo del dolore che ho causato. Ma tant’è...»

La osservò da sopra la spalla, mestamente. «Il passato non si può cambiare.»

«Ma il futuro si, Erik...» Replicò lei, piano.

L’uomo scosse la testa. «Apprezzo il vostro ottimismo, ma non sprecatelo con me. Arrivederci, madame. Avremo modo di vederci a teatro, uno di questi giorni.»

Louise Giry fece qualche passo verso di lui, tormentandosi le mani strette a pugno. «Il Fantasma dell’Opera è tornato?» Sussurrò.

Erik trovò la forza di ridere. «No, madame. Il Fantasma dell’Opera non se ne è mai andato.»

E, con questo, sparì da dietro la porta, lasciando la donna sola con i suoi turbinosi pensieri.









   
 
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