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Autore: Loveless    19/03/2010    0 recensioni
"Questo è ciò che sono
Un escapista, cercatore del paradiso..."

Prima dell'inizio della battaglia per la fine del mondo, durante il suo corso e dopo il suo epilogo, Seishirou Sakurazuka racconta tutto ciò che è rimasto in ombra.
I ricordi all'epoca di Tokyo Babylon, il legame che lo unisce a Subaru e a Fuuma, la sua "normalità", il suo desiderio...
E, forse, chi realmente lui sia.
Genere: Dark, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hokuto Sumeragi, Fuuma Monou, Seishiro Sakurazuka, Setsuka Sakurazuka, Subaru Sumeragi
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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"Fare thee well, little broken heart, downcast eyes, lifetime loneliness
Whatever walks in my heart will walk alone"


Il tempo prende a trascinarsi con una lentezza esasperante persino per me, che sono da sempre abituato all’attesa.
Mi accorgo delle ore che passano soltanto grazie ai numeri intermittenti del timer del televisore o alle visite di Yuuto, l’unico che ha la forza di entrare in questa stanza senza fermarsi di fronte alla porta; ha impiegato un po’ di tempo a realizzare che sono di nuovo qui, anche se con notevole fatica.
- Sei una sorpresa dopo l’altra, - mi ha detto una volta, - Non faccio in tempo a riprendermi dalla tua morte che subito ricompari nell’ascensore e chiedi una sigaretta con tutta la calma di questo mondo.
Poi si è messo a ridere. Ho risposto con una smorfia che assomigliava soltanto vagamente ad un sorriso, e non ho detto niente. Sto lasciando, sempre più spesso, che sia il silenzio a parlare per me.
La sua compagnia, però, è piacevole come sempre: mi tiene al corrente di quello che accade fuori dal Municipio ed al suo interno, del mondo al di fuori da questa stanza, ed è come se girassi ancora per i sotterranei e parlassi con i compagni che il destino ha deciso beffardamente di mettermi accanto.
Non ho più visto Kamui. Yuuto dice che si assenta dai sotterranei per periodi sempre più lunghi, senza distruggere barriere o spingere i nostri avversari all’azione, e nessuno sa dove vada o da chi; Kanoe è sempre più insofferente a questa inattività forzata, ma non può dire o costringerlo a fare nulla. L’unica volta che ha trovato il coraggio di sputare in faccia a Kamui tutta la sua frustrazione, ho sentito le sue urla fino a qui: pare che lui l’abbia lasciata sfogare per bene, per poi mandarla a sbattere contro la parete di fronte con un ceffone.
- E’ come se non gli importasse più niente della Terra o di quello che gli interessava finora, - mi dice Yuuto, sprofondato nella poltrona di fronte a me. Scuoto la testa e spengo la sigaretta nel posacenere, - la tengo accesa più per abitudine che per reale desiderio di fumare, credo che nelle mie condizioni non proverei nemmeno piacere a farlo.
- Non penso. Kamui non si trova nella condizione di dimenticare qual è il suo compito nei confronti del mondo. Certi fardelli sono troppo pesanti per poterli lasciare con noncuranza a prendere polvere.
Penso a quei brevi minuti di sconforto, o meglio, di pazzia momentanea, - davvero posso definirla così? - in cui Kamui è sprofondato l’ultima volta che è venuto qui. La confessione. La debolezza improvvisa. Il desiderio di vedere qualcosa di diverso dalla morte annientato. L’agitazione, le risate nervose, la rabbia.
Kamui… A volte mi chiedo come la sua mente abbia potuto non vacillare di fronte a tutto questo. Ha solo diciassette anni, è una cosa che mi dimentico spesso.
Yuuto annuisce, sgranchiendosi le dita intrecciate dietro la nuca.
- Temo che tu abbia ragione. Ma per quale motivo…
- Credo che abbia un nuovo desiderio da esaudire.
- Un nuovo desiderio?
- Più importante di tutto il resto.
So che Yuuto vorrebbe chiedermi spiegazioni, ma si limita a fissarmi in silenzio per un paio di secondi, prima di scrollare le spalle e sorridere.
- Pare che qui tutti sappiano qualcosa che io non so, - dice, prima di cambiare argomento.
Questo è uno dei motivi per cui rispetto Yuuto; non ha la presunzione di capirmi o cercare di raggirarmi, sa che non potrà ottenere nulla se non sono io a rivelarlo. Non è stupido, sa che io e Kamui siamo uguali, su questo piano. Assolutamente impenetrabili per gli altri, per buona parte anche a noi stessi.
Kamui. Anche se sono al corrente di ciò che fa, mi è impossibile negare che mi manchi. E’ un piccolo bastardo cocciuto e manipolatore, eppure desidero la sua compagnia. Non è un desiderio intenso come quello che mi lega a Subaru, ma è comunque forte. Me ne stupisco.
Tralasciando l’attrazione e le somiglianze fra noi, l’ho sempre ritenuto qualcosa di momentaneo, nella mia vita: Kamui non era Subaru, prima poi avrei perso interesse anche per uno come lui e sarei andato avanti per la mia strada, destino o non destino, Chi no Ryu o non Chi no Ryu.
Non ho mai lasciato che qualcuno si avvicinasse a me abbastanza da poter dire di conoscermi. Non ho mai lasciato che qualcuno mettesse in disordine la mia vita. Non ho mai lasciato che qualcuno sfuggisse alla mia presa. Kamui è riuscito a farlo, e per questo ha la mia ammirazione incondizionata. Non il mio amore – dopo tutto questo tempo, perché nei miei pensieri uso questa parola? –ma il mio rispetto.
Per un Sakurazukamori, questa è una concessione quasi da inconsciente.
Ma non mi importa. Adesso, sono davvero poche le cose di cui mi importano le conseguenze.

- Kamui dice che ti aspetta dal Sognatore.
Sento la voce di Yuuto dietro la porta. Sono ore che sono disteso sul letto, senza fare niente, senza pensare a niente, senza ascoltare nulla che non sia la debole pulsazione del mio cuore; eppure, alzo la testa e mi volto verso la porta chiusa.
- Cosa vuole?
- Dice che dovresti muoverti e che non ha tutto il giorno da dedicarti…
Un sospiro breve, da padre sconcertato.
- Lo sai com’è fatto…
Faccio un breve calcolo. Una settimana e mezzo: non lo vedo da allora, da quando si è chiuso dietro le spalle la porta di questa camera, proibendomi, - implicitamente, - di non tirare troppo la corda e di non sfidare oltre la sua pazienza tentando di uscire dal nostro rifugio sotterraneo. Non ho nemmeno provato a farlo. Non ho nemmeno provato ad uscire dalla stanza, forse per non dover sopportare l’umiliazione di questo corpo che non fatica a reggermi.
Esco in corridoio soltanto quando sento i passi di Yuuto svanire. Malgrado tutto, riesco a camminare in modo sciolto, come se non fosse successo niente ed il mio cuore non stesse pompando sangue che solo la magia può aiutarlo ad incanalarmi nelle vene: sono ancora io, Seishirou Sakurazuka, più fragile del previsto ma ancora in grado di bussare e sistamrsi meglio il colletto della camicia prima di entrare nella stanza di Kakyo, con i suoi macchinari ronzanti e gli schermi scuri con i tracciati verde brillante del suo battito cardiaco.
Oltre le cortine semitrasparenti, sento un mormorio. Riconosco la sagoma di Kamui, piegato sul corpo addormentato del Sognatore come se stesse parlando di qualcosa di così privato che nemmeno i muri possono sentire; rimango ad aspettare accanto alla porta, fissando i cavi che corrono da una parete all’altra, finchè Kamui non si raddrizza e viene verso di me.
La prima cosa che noto è la sua espressione: sembra, improvvisamene e senza motivo apparente, invecchiato. Ha ancora un volto bellissimo, quella strana mescolanza di durezza e morbidezza nei tratti somatici, ma non è più lo stesso ragazzo con cui ho mangiato il gelato sul cornicione di un grattacielo mentre, molti metri più in basso, si scatenava l’inferno.
Mi stringe appena il gomito, quasi con delicatezza, e fa un cenno verso la porta socchiusa.
- Usciamo da qui, Kakyo deve tornare a sognare. Se rimaniamo qua, lo disturberemo.
Mentre lo seguo docilmente fuori, in corridoio, penso che non mi sono mai chiesto quale sia il rapporto che lega Kamui al Sognatore. E’ un pensiero abbastanza veloce, che mi attraversa il cervello per un secondo o due, ma rimane comunque sospeso da qualche parte dentro di me; non lo dimentico, semplicemente lo spingo da parte, per un momento migliore.
- Il tuo corpo regge ancora, vedo, - commenta Kamui, una volta nel corriodio.
- La magia di Kaede è più potente del previsto.
- Bene.
Lo vedo strofinarsi gli occhi gonfi con entrambe le mani. Ancora una volta, riesco a trovarlo semplicemente e mortalmente stanco. L’altro Kamui si sbaglia se pensa che il destino del mondo sia solo sulle sue spalle; è un fardello equamente ripartito.
- Dovresti tornare a casa tua, adesso, Sakurazukamori – dice, piegando la testa verso la propria spalla, come se volesse studiare le mie reazioni da un’altra angolatura, - C’è qualcuno che ti aspetta lì. Ma non ti aspettare che ti riconosca, quando lo vedrai. Non riconosce più nessuno.
- Come nove anni fa.
- Ma non c’è più sua sorella a volerlo svegliare.
In silenzio, Kamui mi offre la sua simpatia. So che non era quello che desiderava per me e per Subaru, una mossa fatta da un giocatore esterno ha ribaltato la partita; adesso il cerchio si è ristretto e lui non può più intervenire. Ora sono rimasto solo io.
- Se fossi in me, - gli chiedo, - Che cosa faresti?
- Seishirou Sakurazuka pensa e decide soltanto per se stesso. Io lo farei anche questa volta.

Sono passati soltanto pochi mesi da quando sono tornato qui, dopo un’attesa durata molto tempo, eppure ho l’impressione che il sole e la pioggia e la polvere abbiano offuscato questa casa per eoni. Tutto questo fa parte di un mondo che non mi appartiene più, è legato stretto ad un uomo morto: io ne sono solo l’ombra sbiadita sulla parete.
Penso, e non è la prima volta, che sarebbe stato infinitamente meglio rimanere fra le viscere del fiume. Tutto, pur di non toccare il mio corpo con la punta delle dita e pensare che non è altro che un esoscheletro di carne e ossa tenute assieme da una magia sempre più flebile.
Ho lasciato le scarpe e la giacca nell’ingresso. Seguo le file di impronte più chiare, scolpite nella polvere, lungo il corridoio, anche se so già dove mi porteranno. Alla sala dove io e mia madre potevamo parlare, vicini l’uno all’altra, ed osservare la fioritura sempieterna delle camelie e del ciliegio, consapevoli che esisteva qualcuno a cui avremmo dovuto obbedire per il resto delle nostre vite.
Mi chiedo se a quel tempo mia madre sia stata davvero felice, come mi diceva quando glielo chiedevo, o se l’ombra del Sakura è arrivata ad appannare il suo mondo perfetto. Glielo domanderò, quando questa storia sarà finita. Sono sicuro che mi risponderà sinceramente.
Rimango immobile, in bilico, quando vedo Subaru seduto sulla stessa poltrona su cui mi sedevo io, ancora quindicenne, per aspettare che mia madre tornasse a casa. Non dà segno di avermi sentito entrare o di essere consapevole di avere un mondo che sta rovinando lentamente di fronte a lui; il suo è già crollato definitivamente. Quando sono di fronte a lui, mi piego sulle ginocchia per guardarlo in faccia.
- Subaru-kun.
Lui ricambia lo sguardo senza sbattere le palpebre, trapassandomi da parte a parte con occhi vuoti come quelli di una bambola. E’ fisso in una maniera orribile, così poco da Subaru che, per qualche istante, mi dimentico di chi ho di fronte, e mi ritorna in mente quella ragazza nel cimitero, che ha venduto a me la sua sanità mentale per poter avere ancora l’illusione di vivere.
Se forzassi la sua coscienza, la distruggerei: le difese di Subaru sono troppo labili, ed anche il minimo urto lo annienterebbe definitivamente; eppure c’è ancora qualcosa che lo tiene aggrappato a questa realtà, il filo rosso che lo lega al mio ricordo.
- Subaru-kun, - ripeto, sempre a voce bassa, soffiandogli le parole direttamente negli occhi. Non una lacrima o un battito di ciglia: un occhio color vetro ed uno verde, gemelli nella loro inespressività. Mi immagino Kamui, alla fine della propria ricerca, che si inginocchia davanti a lui, gli parla, schiocca le dita davanti ai suoi occhi.
Le mie dita toccano il marchio rosso sbiadito sul suo dorso, mentre lascio scorrere un debole flusso di energia da me a lui; lo vedo tremare, per un secondo, senza che nella sua espressione nasca una scintilla di consapevolezza, ed allora capisco che è tutto inutile.
Quasi nello stesso momento, sento la corrente d’aria fredda provenire dal giardino. Quando sollevo gli occhi verso lo shoji aperto, con l’intenzione di alzarmi e di chiuderlo, incrocio lo sguardo del Sakura. Il suo viso è una maschera cristallizzata nell’attimo di più totale felicità. La sua forza può essersi indebolita, ma per me rimarrà sempre impossibile da sconfiggere. Mi prenderà sempre in contropiede, come Subaru.
- Sei tornato, Seishirou – mi dice con dolcezza, - Come avevi promesso.
Si volta per guardare l’uomo di fronte a cui sono seduto, ed i suoi occhi sembrano scurirsi ancora di più. Conosco quello sguardo e so che cosa significa, per me e per lui. La osservo avvicinarsi a Subaru e non riesco a muovere un muscolo. La guardo premergli le dita sulle palpebre e chiudergliele e non riesco a parlare. Guardo l’orlo del vestito di lei e noto, per la prima volta, il fango sugli orli, il colore sbiadito della pelle e quello impolverato dei capelli.
- Povero, povero Subaru Sumeragi. In che mondo sei precipitato?
Quando torna a guardarmi, stavolta senza traccia di allegria; ha lasciato cadere lo scheletro affettuoso per vestire i panni del padrone implacabile e senza tempo a cui ogni Sakurazukamori ha dovuto piegare la testa, secoli dopo secoli.
- “Come l’ho plasmato, così voglio spezzarlo. Renderlo inutile e totalmente privo di interesse ai miei occhi” Le tue parole sono state queste, tempo fa, - mi dice, citandomi con una voce dalle sfumature di metallo, - Ma adesso è tempo, mio servo. Mantieni la tua ultima promessa.


N.A. Oh my, sono ancora viva! *si dà un pizzico sul braccio* Okay, anche il resto del corpo funziona. Vi avevo detto che avrei postato un nuovo capitolo non dopo un anno ma forse dopo qualche mese... Ed eccolo qui, infatti. Mi vergogno per la sua brevità, ma vista la lunghezza delle scene successive ho deciso di tagliarlo per poter descrivere meglio in seguito. Ma adesso posso dirlo in via ufficiale: questo è il penultimo capitolo! A seguire, l'ultimo, in via di preparazione, ed un epilogo staccato. E' strano dire che questa storia sta per finire dopo tutto questo tempo, vero? Malgrado i suoi enormi difetti, questa fic mi è davvero cara. Dovrò tagliarla e limarla per bene quando l'avrò finita, visto col senno di poi mi sono accorta che ci sono parecchie cose che non vanno, però... Ma l'avevo già detto, vero? Scusate, finisco con il ripetermi sempre ^^''
Comunque, non preoccupatevi, o lettori! (Non so come mai esistiate e leggiate queste... cose che scrivo, ma vi voglio bene solo per il fatto che non mi coprite di insulti anche se me lo meriterei :) E c'è pure gente che legge e commenta e segue e mette tra i preferiti! Non immaginate quanto questo mi faccia felice) I nodi finiscono sempre al pettine...
See ya!
  
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