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Autore: Kokato    25/03/2010    5 recensioni
SECONDA CLASSIFICATA AL RAINBOW CELEBRATION DI SETSUKA E REKICHAN!
"Tu… sei… Cartman?”. Ripeté poi Kyle, per evitare di non scordarsi che non avevano più nove anni, e che ora era un soggetto perseguibile per legge.
Ergo non poteva ucciderlo, ergo tutto quello che poteva fare era denunciarlo per tentata violazione di domicilio… e non era abbastanza.
L’altro aveva annuito, gioviale. “Da oggi vivrò qui”.
Annunciò, mostrando una fila di denti bianchi e scintillanti che lo facevano sembrare il testimonial di una pubblicità di dentifricio.
Forse non aveva sentito bene.
[Storia scritta per lo Yaoi Day e dedicata a Setsuka]
Genere: Romantico, Commedia, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Eric Cartman, Kenny McCormick, Kyle Broflovski
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Apriva le labbra in maniera lentissima, lasciandole luccicare, lasciando che lui le venerasse dal basso con un’espressione fissa e maniacale

Capitolo III- Miss Broflovski’s affaires

 

Tutte le cazzate sulla crisi dei quarant’anni sono,  per l’appunto, solo cazzate.

La crisi comincia molto prima, è che si cerca di negarlo a tutti i costi pur di non ammettere che, senza libertà di dire parolacce e di essere infantili, la vita non ha più uno straccio di senso. Crescere, trovare moglie, trovarsi una busta paga, trovarsi un posto nel mondo… erano tutte cose che non erano loro richieste quando erano a South Park. Erano solo Eric, Kyle, Kenny e Stan, e qualche volta una cacca parlante o degli animaletti psicopatici di Natale come optional.

Rimane da cercare una vagina, un pene, un ano, un illusione da cartellone pubblicitario che tenga lontana la mente dal passato.

Dal desiderio di avere adesso i problemi che avevi allora, perché ora sapresti risolverli in men che non si dica.

Ma il tempo ti da due di picche… e non torna mai indietro.

Dalla suddetta lista dei problemi è escluso il fare le pulizie con un grembiule rosa a carotine… quello è un problema insormontabile durante tutto l’arco vitale di un uomo. E a volte anche di una donna, nonché di qualunque essere vivente mai apparso sulla terra. Persino i dinosauri avrebbero guardato con diffidenza quell’oggetto dal malefico potere omosessuale. Se quelli erano i patti li avrebbe onorati fino in fondo, anche se forse quello era stato chiedergli un po’ troppo. È solo che l’ebreo non gliel’aveva esattamente chiesto, ma si poteva sorvolare… se la cosa fosse rimasta strettamente segreta. 

Si poneva innanzitutto un sostanziale problema: non aveva mai preso in mano una scopa in tutta la sua vita.

Ma, tra un doppio senso e l’altro, ci si poteva facilmente raccapezzare, con una mente superiore come la sua.  Prese la scopa, indicatagli dall’ebreo prima di chiudersi in camera a correggere una caterva di compiti in classe la sera prima, e pensò bene di dare una scopata –ahahah-. Poi pensò che forse sarebbe stato meglio raccogliere le cartacce e i panni sporchi a mano, prima. O forse era meglio spolverare prima le superfici dei mobili per farla cadere a terra e scoparla –ahahahah- successivamente.

Sarebbe stata una buona idea, se il verbo ‘scopare’ non gli avesse fatto venire in mente Kahl in posizioni disdicevoli ogni volta che lo pensava. Le menti superiori si perdono sulle piccolezze, questo è fin troppo risaputo, ma quella era un’idea sensata.

Avrebbe potuto metterla in pratica se avesse smesso di sbavare sull’immagine di Kahl a novanta su ogni superficie piana della stanza.

Responsabilità. Responsabilità. Responsabilità. Aveva anche la responsabilità di aggiornare il suo cassetto della biancheria intima? Nessuna clausola del loro stupido contratto gli imponeva da dove cominciare il suo lavoro. Ridacchiò, sfregandosi le mani, pensando che i boxer dell’altra sera erano veramente troppo larghi, e che si sarebbe dovuto rimediare. Si stava avviando verso la camera da letto quando il campanello suonò.

Dannazione. Pensò bloccandosi appena in tempo, prima di spiaccicarsi un hot dog scaduto sotto le scarpe. “ARRIVOOOO!”.

 Facendo la corsa ad ostacoli arrivò alla porta, come promesso gentilmente poco prima, e l’aprì sbattendola con ogni briciolo della sua forza virile.

“Che cazzo vuoi? Chi cazzo sei? Che cazzo ci fai qua?”.

“Non ne sono sicuro, in realtà…”. Quella voce gli era famigliare….

“Però lasciatelo dire: bel completino. Molto virile.”. Un indice indicava il dannato grembiule del disonore.

Oh cristo…

“Kenny?”.

“E chi altri sennò?”. Lo apostrofò lui, con aria di superiorità ed un anello di diamanti.

“Dimmi il nome di chi si porta appresso due gnocche ovunque vada e avrò trovato il mio fratello perduto…”. Aggiunto questo s’introdusse in casa, passando accanto ad un Cartman pietrificato, accompagnato dalle due su citate gnocche. “Che cavolo ci fai qui?!”.

In tutta risposta Kenny abbassò i Ray ban e aggiustò inutilmente lo scialle bianco che portava sulle spalle. Le due belle ragazze che lo accompagnavano guardavano atterrite i dintorni, nei loro abiti succinti da prostitute. Sembravano uscite da Baywatch… come al solito, del resto. Le loro tette facevano un surreale movimento ballonzolante, fisicamente impossibile per ogni altro paio di tette sulla faccia del globo, e da cui non riusciva mai, e dico MAI, a staccare gli occhi.

“Girerò in città il mio prossimo film”. Annunciò, senza mutare la posa rigida dei lineamenti, scompigliandosi i folti e biondissimi capelli.

“‘Porcelle in piscina II’? Oppure ‘Donne focose e poppute la danno indiscriminatamente a tutti- atto trentamillesimo’?”

“Ah ah. Davvero simpatico. Ma mi dispiace dirti che non stiamo parlando di tua madre”. Le prosperose vallette lo seguirono verso il divano, sedendosi ciascuna al lato di competenza come in una specie di coreografia disturbata dalle lattine vuote e dalle cartacce unte.

“Mh, certo che abbiamo ancora tutti un senso dell’umorismo del cazzo. Non è che c’era qualcosa di strano nell’acqua di South Park?”.

“Non collettivizzare,  il problema è solo tuo. Tutto ciò che volevo dirti è che potevi anche ringraziare per l’ospitalità…”. Posava le braccia sulle spalle delle poppute tizie e focose e disponibili, terrorizzate dall’idea di beccarsi qualche gravissima infezione solo per aver posato tacco da cento centimetri in quel posto. “… mi sono svegliato una mattina e non c’eri più. Scusa tanto se avrei voluto almeno un arrivederci”.

“Scusa tanto se mi sembravi occupato”. Tette ballonzolano. Tette ballonzolano. Tette ballonzolano.

Kenny alzò un sopracciglio –la seria, elegante e sarcastica alzata di sopracciglio degli esseri superiori-, accavallando lentamente le gambe fasciati da pantaloni neri, con il sorriso di chi capisce sempre tutto. “È stato difficile tenerselo nei pantaloni per dieci anni, eh?”.

Sua madre morta da anni. Padre sconosciuto. La casa andata. La sua vita scaricata nel cesso.

Kenny McCormick, l’affermato regista di film erotici, perennemente circondato di donne bellissime, l’aveva salvato dall’accattonaggio. Nel senso che, comunque,  gli era rimasta l’amicizia su cui fare conto.

Stan aveva messo su famiglia con Wendy, e ci avrebbe pensato dieci volte prima di mettersi uno sconosciuto in casa.

 Butters se l’era scopato qualche anno prima, ad una festa di capodanno dove l’aveva incontrato per caso, e neanche se lo ricordava… perciò ci voleva una gran faccia tosta per chiedergli la benché minima cosa. Ad altri non aveva nemmeno pensato.

Forse la mano dell’amicizia non era stata poi così pronta a tirarlo su dal baratro.

Oppure aveva lasciato la presa su di lui  per farlo cadere in mano migliore?

“È qui che volevi andare a parare, no?”. Chiese Kenny,  con un movimento circolare della mano ingioiellata.

“Sei un gran puttaniere, sai McCormick?”. Fece un sorriso obliquo, che presagiva ogni tipo di guai e di cattiva intenzione. Si trattenne dal sedersi anche lui, o avrebbe voluto affondare la testa nelle tette, azione sicuramente morbida e fluffosa , ma che non avrebbe risolto il suo problema in nessun modo. Rifiutò nonostante le ragazze accavallassero le gambe per invitarlo.

Avrebbe potuto parlare con Kenny della faccenda nel dettaglio, perfino giocarsi tutto l’orgoglio in una sola volta senza il timore di vederlo infranto. Ma sicuramente quelle ragazze erano laureate in fisica nucleare o in legge, ed impiegavano la stessa intelligenza nello spettegolare… quindi era meglio parlare per telepatia. A che serviva poi un avvocatessa o una scienziata per un porno era un mistero –aveva fatto il suo successo, e tanto bastava-.

“Allora… che cosa hai concluso? Hai bisogno d’illuminato consiglio? Che diavolo hai addosso?!”. Eric sospirò senza rispondere.

“Cos’è, sei diventata la Signora Broflowski per caso?”. Naturalmente non rise dicendolo… non si ride delle proprie battute.

Lui si pavoneggiò per un attimo, cercando di non pensare ad un’ipotetica Signora Cartman… che era un evenienza più realistica delle altre –non più di Eric Cartman casalinga disperata, sicuramente-. Ma forse quello era fare il passo più lungo della gamba, un passo lungo dieci anni.

“La mia mogliettina è una donna in carriera…”. Spiegò, rigirandosi un po’ la scopa ancora intatta ed intonsa tra le mani.

Perché diavolo adesso gli era venuto in mente Kyle in vestito da sposa che gli sorrideva in modo porco?!

 “… meno male che c’è il suo maritino a casa che pensa al resto”.

A meno di aver problemi di mogli fedifraghe…

 

“Siamo arrivati?”.

“No”.

“Siamo arrivati?”.

“No”.

“E adesso siamo arrivati?”.

“No”.

“E adesso?”.

“No”.

“Adesso?”.

“NO! NO NON SIAMO ARRIVATI!”.

“Ah, ok. Non si scaldi, per carità”. Si preoccupò Kyle, cercando di produrre puzze silenziose sfregando il sedere sui sedili di super lusso della sua mercedes. Aveva così fretta di fare i suoi porci comodi con lui da non poter nemmeno aspettare che tornasse a casa a cambiarsi. Meglio andarci cauti.

Doveva rendersi il meno appetibile possibile, o avrebbe rischiato di caderci con il peggior sfigato del pianeta –di termini di personalità, non di standard economici-. Che avesse capito anche quello, il bastardo?  “Dove stiamo andando?”. Chiese, per milionesima volta.

“Dove ci porta il cuore”. Rispose Taylor, rivolgendogli per un attimo gli occhi dai riflessi sfavillanti che parevano usciti da un film in 3d.

“E se mi portasse… diciamo… per esempio… a casa mia?”.

“Ma come siamo scontrosi…”. Considerò, con una risatina da donna di mezza età. “… come mai non cerca più di sembrare cortese? Cos’è cambiato?”.

“Niente”. Si affrettò a rispondere lui, nascondendo le mani in mezzo alle cosce ed arrossendo inconsapevolmente.

“A casa eh?”. Chiese, fingendo di pensarci.

“E se specificassimo ad esempio… mmmh… in camera da letto?”. Azzardò Taylor, prendendogli il mento tra le mani.

Moglie fedifraga. Moglie fedifraga. Moglie fedifraga. Perché era un qualcosa di questo genere che sentì improvvisamente di essere?

Si erano fermati al semaforo, e lui non se n’era accorto, impegnato com’era ad eclissarsi come se avesse avuto qualche grave crimine da nascondere.

“E chi è che non cerca di nascondersi, adesso?”.

“Touchè”.

“Non è cambiato niente, ad ogni modo”. ‘Continua a non esserci nessuno che mi aspetta a casa…’.

“Allora posso fare questo?”. Avvicinò le labbra, circondandogli la vita con le mani mentre il semaforo era diventato verde da un bel pezzo ed un camionista –un classico stereotipo di camionista che presumeresti abbia la facoltà di spaccarti a metà con un pugno-, sbraitava loro contro di muoversi. Lui deviò la testa, spaventato nonostante avesse intuito tutto molto prima del maldestro tentativo. “No. E non è una cosa che è cambiata”. Sorrise.

“Vedo menzogna, nei tuoi bei occhi”. Considerò quindi l’altro, senza accennare a sollevarsi dal collega, ormai disteso sotto di lui. Il camionista era ormai stufo –più stufo di prima, ad ogni modo. Stufo del tipo che avrebbe potuto schiacciarli lanciando loro addosso tutto il camion-, così come tutta l’infinita fila di automobilisti newyorkesi davvero poco pazienti. “Nei tuoi non vedo un cazzo, pensa un po’”. Rise Kyle, ricambiando fugacemente lo sguardo.

“Invidio l’uomo che potrà averti, Mister Broflovski”.

“Oh cristo… ma mi devi per forza dare del finocchio, dannato demente?!”.

‘DANNATO FINOCCHIO! VAI DA UN'ALTRA PARTE A METTERGLIELO IN CULOO!”. Gridava il grosso della folla inferocita. Appunto… quella cosa cominciava seriamente ad irritarlo. “Lasciami andare dannazione!”.

“Ne vogliamo parlare, magari?”. Ribatté, ignorando completamente la situazione di pericolo in cui si trovavano.

“Oh, certo. Mi piace conversare con qualcuno che mi sta in mezzo alle gambe. Non sospettavo che potessimo far altro!”.

“Non stiamo a guardare al cavillo...”. continuò,  sembrando davvero intenzionato a parlare di problemi di cuori come due dannati liceali sbarbati. “… non per vantarmi, ma so comprendere questo tipo di cambiamenti… per una questione puramente pratica”.

“Perché i tuoi occhi sono diventati più sottili e brillano? Perché sembra che tu voglia uccidere qualcuno? Perché la tua mano cerca di palparmi il sedere?”. S’informò Kyle, nella sua ingenuità. “Non me lo starai chiedendo per uccidere il presunto uomo con cui starei insieme? E non è che vuoi scoparmi?”. Chiese, credendo nella propria teoria senza esserne minimamente spaventato.

“Dio, io adoro le persone perspicaci”.

Oh cristo.

“Ecco, io magari parlerei di questo! Non vuoi cambiare idea?”. Poteva distrarlo con il suo fascino, tirargli un calcio nelle palle e scappare, ma probabilmente la portiera era bloccata. Il camionista là fuori sembrava abbastanza forte da potergli salvare la vita e togliergliela in maniera altrettanto efficace. La foga con cui batteva contro il finestrino era promettente, soprattutto se avesse voluto gentilmente salvarlo dall’abuso sessuale. “Non vuoi magari, che so, andare a letto con Mister miglior camion del 1989? Lo vedo resistente, ha grande virilità. Fareste una bella coppia, potrei fare da testimone al vostro matrimonio. Potrei consigliarti l’abito da sposa, il completo intimo per la notte di nozze. Potrei farvi da madre in affitto! Va bene, lo so che momentaneamente non ho l’utero ma è una cosa che si può risolvere con la tecnologia. CON LA TECNOLOGIA! Magari te lo do se diventi Robocop o Iron man –sono molto, molto esigente io- ma per adesso potresti lasciarmi andare prima che ti stacchi il pene e te lo faccia mangiare?”.

 “Mh, questo sì che è blaterare”. Perché invece di farlo allontanare la sua minaccia lo aveva spinto ad avvicinarsi? “Mi piaci, Broflovski”.

Perché aveva paura? Poteva starci… che male gli avrebbe fatto? Perché cazzo adesso gli veniva in mente Cartman?!

E per quale dannato ragione gli sorrideva in quella sua stupida parodia di una pubblicità di succo d’arancia per la colazione della classica famiglia americana media?  “L’avevo capito ma sai… Non me ne frega un cazzo!”.

Ok, va bene, lo aveva rifiutato, ma per quale ragione adesso sembrava terrorizzato? Come se la sua vita fosse sul punto di finire?

“Ehi, amico. Lo so che non se ne trovano come me tanto facilmente… ma guarda avanti! Sei ricco, ne troverai subito un altro disposto a darti il posteriore!”.

“Nick*”. Sussultò, fissando il finestrino.

“Chi?”. Si sollevò appena per guardare nella stessa direzione, e vide il viso di qualcuno pressato contro il vetro. Il viso di un ragazzo dalla pelle scura con un’espressione di puro istinto omicida –non verso di lui, sperò. Non aveva fatto proprio niente. Avrebbe dovuto farlo lui un omicidio… dannazione-.

Taylor si staccò da lui, stringendo però in compenso la presa sul suo sedere, anche se pareva non essere un gesto fatto per malizia quanto per sfogare una certa dose di tensione. “Chi è quello?”.

“Il mio ragazzo… credo”

“Come sarebbe a dire credi?!”. In tutta risposta l’altro si alzò e scese dalla macchina proprio mentre il camionista che li stava braccando veniva atterrato da un poderoso affondo del ragazzo con la pelle scura, e adesso giaceva a terra con la grossa pancia che ancora gli vibrava per l’impatto. Forse adesso poteva andarsene… anzi forse, dato che era una questione di vita o di morte, avrebbe dovuto decisamente farlo.

Sgattaiolò via proprio mentre una frase del tipo: “Ti posso spiegare tutto!”, corrispondeva al rumore di ossa che si frantumavano.

La fine di un marito fedifrago.

 

Era un ottimo capro espiatorio, Eric Cartman. Un toro scatenato che il potere si divertiva a contenere e a macellare, una fonte infinita di eccentricità celate e segreti mal riposti da usare contro di lui. Anche quando quel denaro era misteriosamente sparito dal fondo della società in cui lavorava era stato fin troppo semplice incolpare  il giovane, nuovo impiegato con una madre- padre transessuale e problemi di autocontrollo.

Era facile prevedere che sarebbe andato in escandescenze, forse non fino a spaccare la faccia di qualcuno com’era poi successo, ma era stato prevedibile per buona parte della questione.

Cristo, a momenti gli faceva volare via il naso a quel tizio della sezione amministrativa…  cose che rimangono nell’immaginario collettivo. Se n’era andato con le mani in tasca, sbattendo la porta dell’ufficio come in un saloon da film western. Che aveva ancora da tirarsela tanto quel figlio di nessuno?

Ci avevano riso su, come sempre, sulla sua madre transessuale e sulla sua scarsa pazienza, ma non più di tanto, perché i topi non ballano mai fino in fondo… nemmeno quando il gatto è lontano migliaia di chilometri da loro.

Preparargli la cena… che cavolo gli era passato per la mente?! Non aveva forse detto di non voler fare la casalinga a nessun costo?

Forse il ruolo da Signora Broflovski non gli andava poi così stretto –non come il grembiule con le carotine, perlomeno-. Ok, ammettiamo anche che gran parte delle vivande che ricoprivano il tavolo apparecchiato erano state accuratamente scongelate, e che ingenuamente sperava di poterle far passare per sue creazioni. Ma in fondo è il pensiero che conta, no?  Così come quel poco dei suoi ultimi risparmi che ci aveva impiegato.

Forse non era una cosa da lui. Non lo era decisamente, lo avrebbe spiazzato, lasciato sbalordito e le sue mutande sarebbero cascate in men che non si dica e dopo… Banzai. O almeno così ingenuamente sperava.

Il problema era solo uno: la combinazione di fantasie erotiche continue, lavori di casa, ed ospiti inattesi lo avevano sfiancato.

Erano quasi le undici, gli spaghetti si erano appiccicati, le patatine fritte languivano nell’olio freddo… il suo dolce pensiero un po’ sfatato. La casa era uno specchio, perlomeno, perché le due ragazze che stavano con Kenny lo avevano aiutato con saggezza femminile ad adempiere alla sua promessa -questo a Kyle questo non l’avrebbe mai detto, per non ingelosirlo in piccola parte… per prendersi tutto il merito dall’altra-.  

Collassò  con la testa sul tavolo, sospirando, con un senso di sconfitta dalla dubbia derivazione.

Come una forza invisibile che gli stringeva i testicoli… un’altra più consona gli stringeva il petto ed i sentimenti sciocchi che provava…

Sentimenti? Scosse la testa, mettendo una patatina ormai simile a cartone in bocca. Aveva spento la tv, perché anche quella lo aveva stancato e perché i canali erotici non offrivano mai niente di nuovo. Erano le undici passate e l’ebreo non tornava… Kahl non tornava.

Non sapendosi spiegare il perché di tanto inutile arrovellarsi si sentì stupido, alzando lo sguardo ad ogni tipo di rumore che potesse ricordargli il passo di qualcuno. Poi, all’ennesimo falso allarme aveva chiuso gli occhi.

Non sarà uscito con qualcuno?  Valutare quell’eventualità gli fece venire voglia di spaccare un muro a testate. Sarebbe stata una beffa così grossa da battere ogni altra beffa nella sua vita che era tutta una grossa beffa. Chissà perché gliene importava tanto.

Chissà perché adesso si sentiva chiamare dalla sua voce.

“Cartman”. Si sollevò, stropicciandosi gli occhi.

“Ebreo”. Era lì, davanti alla porta della cucina, con vestiti e capelli scompigliati e l’aria di aver attraversato chilometri su chilometri correndo.

“Sei tornato”. Constatò brillantemente, vedendolo riprendere fiato dalla gola, lasciata scoperta dal colletto slacciato della camicia.

“Sei corso da me, per caso?”.

“Che cosa hai fatto?”. Chiese, a bruciapelo con la sua voce sussultante.

“La cena”.

Avrebbe voluto realizzare com’è che si ritrovò atterrato dal corpo esile di Kyle Broflovski.

Davvero, giusto per cercare di capire se avrebbero potuto evitarla, una simile tragedia.

Improvvisamente gli era venuto addosso. Si auto- convinse del fatto che era stato un errore…  poi sentì una lingua infilarsi nella sua bocca e, insomma, va bene non illudersi, ma non era una cosa che si poteva fraintendere, quella. In realtà ogni attività del suo cervello era cessata –non era tecnicamente capace di fraintendere-, perciò non ascoltò che l’impulso silente che gli diceva di approfittarne.

Prendere fin quando ce n’è, ogni cosa, tutto ciò gli fosse stato permesso di afferrare. Aveva sbattuto le reni sullo sportello aperto della credenza, e gli faceva un male cane, ancora di più perché non gli era stato permesso di lamentarsi. Gli mise le mani sul sedere con l’intenzione di graffiarlo, o perché… cristo, aveva sempre voluto farlo. In tutta risposta l’altro mandò un ansito bollente fino in fondo alla sua gola, contorcendosi intorno alle sue gambe senza far rumore, come in un film muto dove gli attori fanno gesti esagerati per l’impossibilità di parlare.

Era in ginocchio sopra di lui, con le spalle ormai scoperte che ondeggiavano sotto i suoi occhi. Evitava di guardarlo, perciò non vide come sorrise… uno di quei sorrisi che, se fossero stati ancora bambini, sarebbe stato il preludio di un reato immondo ed assolutamente folle. Si guardarono, entrambi sperando di far parere la cosa casuale… lo ignorava, Kahl, come al solito.  Eric Cartman era un incidente, un diabolico incidente… anche ad avercelo in mezzo alle gambe le cose non cambiavano per un fottuto cazzo –proprio quello che avrebbe voluto che cambiasse-.

Perciò aprì le proprie di gambe, di modo che il suo corpo scivolando arrivasse a far toccare i loro inguini, facendogli puntare i piedi sulla parete dietro di lui e borbottare una bestemmia a denti stretti. Slacciò la chiusura dei suoi pantaloni con il poco spazio concesso alle dita, lo accarezzò.

Era collassato sopra di lui, completamente, non c’era un respiro a separarli, smosse l’immobilità rigida del suo cazzo nello spazio che sarebbe stato concesso a delle sardine in una scatoletta. Ma non accennavano ad allontanarsi… né Eric riusciva a smettere a stringere la presa sui fianchi vibranti né Kyle la piantava contorcersi in quella sua maniera parossistica. Cominciò a rimbalzare sopra di lui, ad intervalli regolari, mordendogli il lato del collo vicino al quale aveva appoggiato la testa. I capelli arruffati e rossissimi gli solleticavano la pelle e lo schiudersi intermittente dei suoi occhi verdi lo stava ipnotizzando.

La stoffa calava sul suo petto come se volesse sedurlo, come se avesse calcolato il lento scoprirsi della pelle bianca con la sua ragione inopportuna da noiosa checca isterica –forse non aveva molto senso-. Non disse nemmeno una delle migliaia di frasi da film porno che gli vennero alla mente.

Continuò a sorridere, con il lato sinistro della dentatura bianca che produceva un solo scintillio di diabolica soddisfazione e di vittoria.

Si godé la sensazione delle gambe bianche che si scoprivano al cadere dei pantaloni e delle mani che provavano a provocare lo stesso su di lui. Era simile ad un cavalcare, le cosce si strinsero ancora di più attorno a lui nel tentativo di lanciare via gli indumenti –volarono sulla credenza, e penzolarono sopra la loro testa come se volessero spiarli-. Urlò, scosse la testa fino quasi a farsi spappolare il cervello nel cranio.

Le tempie gli dolevano mentre Kahl lo baciava mordendogli la lingua con un espressione di rabbia sul volto. Gli prese il viso con le mani, con l’intenzione di soffocarlo, forse di ucciderlo. Lo fece rinunciando ad impedire il movimento della mano sul suo pene, che non lo faceva respirare.

‘Ti piace, eh?’

‘Facevi il frigido e adesso guardati! Ansimi come una puttana!’.

‘Oh sì, vuoi venire? Vuoi venire, brutto idiota? Vuoi venire non è vero?!’.

Continuava a sorridere, costantemente, senza dire nulla, senza saper dire nulla.

Tacque anche quando Kahl venne, come avrebbe voluto dirgli di fare con tono da protagonista di film porno.

‘Ti è piaciuto eh, puttanella del cazzo?’.

‘E adesso che farai? Mi caccerai di casa e avanti il prossimo?!’.

Kyle ansimò nelle sue braccia, sfiancato, senza dire niente ma senza aspettarsi che parlasse lui –come faceva ad averlo capito Eric non lo sapeva-.

Ora lo guardava, fisso, ossessivo, ansimando attraverso le labbra rosse e gonfie.

“Beh?”. Sbottò Eric… tra tante altre cose che poteva dire scegliendo la più… monosillabica.

Nell’ora buia della sua vita, una mano bianca –di cui avrebbe sinceramente preferito il culo- era venuta a tirarlo su da una fottuta valle di lacrime da checca.

Quanto aveva inciso il suo desiderio, alla fine, nello svolgimento dei fatti? Quanto il mondo delle persone adulte con il loro sesso e la loro morbosità avrebbe potuto fargli sperare in qualcosa di meglio?

“Culone?”

“Sì?”

Lui non sorrideva.

 “Vuoi vivere qui?”.

Sembrava contrariato di avergli salvato la vita.

 

 

*Nick Stokes: come per gli altri oc.  

 







   
 
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