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Autore: Espero    08/08/2005    0 recensioni
Un racconto ispirato alle mie vicende di Barcellona. I nomi sono quelli la storia mi è venuta in mente guardando alcuni film inerenti all'essere umani oggi, all'uscire delle difficoltà, al viaggio. Lo scenario sarà sempre quello. Barcellona. Non vi assicuro che prederà il volo però come sempre l'inizio mi è d'obbligo.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Rambla di ci presento dopo quasi due ore di letto camminare

La Rambla ci si presentò dopo quasi due ore di lento camminare.

Giunti in Placa de Catalunya imboccammo l’enorme viale alberato. Era un luogo strano alle otto di mattina. Uomini vestiti in maniera strana allestivano minuscoli teatrini su cui avrebbero recitato un giorno intero la parte dell’elfo, dell’imbianchino, di Cleopatra, di Elvis o del Che. Camminammo lenti guardandoci attorno spaesati. La gente andava a letto. Gli anziani turisti e le famiglie davano il cambio ai giovani nelle strade di Barcellona. Aprivano i fiorai, le edicole e le bancarelle di animali. Certi punti della Rambla sembravano la giungla. Sulla destra un alto vivaio pieno di piante esotiche e sulla sinistra le alte grida di pappagalli e uccelli tropicali imprigionati in gabbie.

Passammo davanti alla statua del Che lanciandogli dentro qualche centesimo e lui ci rispose con un grande e caloroso sorriso e un pugno sinistro alzato. “Gracias a ti companeros”. Sapevo che le nostre strade in un qualche modo si sarebbero incontrate di nuovo. Proseguendo la grande Rambla diviene Bazar orientale passando davanti al vecchio mercato della frutta. Torrioni di frutta esotica costeggiano fitte fiumane di persone. Forse sono i locali. Forse sono i rari abitanti di Barcellona che sopravvivono tra un cambio di turisti e l’altro. Si incrociano e silenziosi si scambiano un sorriso. Come partigiani in missione, come a non volersi far scoprire e a mostrare in quel sorriso o nelle loro rughe una fiera sopravvivenza al costante assalto del mondo. Ai bar, nelle rosticcerie, nei fast food servono e dirigono cinesi, inglesi, africani, pakistani, indiani. Che fine abbiamo fatto gli abitanti del luogo non si sa. Come se in primavera d’improvviso questi nomadi commercianti stranieri arrivassero in blocco ad occupare una città fantasma ancora intatta da come l’avevano lasciata il settembre dell’anno prima. Non mi stupirei se tra di loro ci fosse la leggenda dei vecchi abitanti di Barcellona E se la tramandassero con reverenza e col timore che potessero ritornare a reclamare la loro città.

A raggiera a sinistra di questa grande arteria si snodano i vicoli del quartiere gotico ripieno dei peggiori souvenir e dei pezzi dischi più introvabili, dei sombreri a otto euro e di preziosi negozi unici al mondo. Iniziavamo ad intravedere il paradosso di Barcellona, della sua commercialità e della sua inestimabilità. Ma è ancora presto per parlare così a fondo di Barcellona.

Il nostro problema ora era trovare un posto dove dormire. La giornata era ancora giovane e non era un problema impellente ma nel giro di una decina di ore lo sarebbe diventato. Per il momento ci accontentammo di percorrere fino alla fine l’immensa via e sostare ancora frastornati ai piedi della statua di Colombo nella, da noi ribattezzata, Placa de Leones per i mastodontici leoni che fanno da guardia al monumento.

  
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