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Autore: Niglia    06/04/2010    4 recensioni
Ottobre, 1878. Parigi.
Il Fantasma dell'Opera non è morto. Anzi, non è mai stato più deciso a vivere di adesso. Accompagnato da dei nuovi piani di vendetta, torna nella città dalla quale è stato costretto a fuggire due anni prima, un uomo vuoto, senz'anima, con solo un nome nella testa che lo spinge a tornare a Parigi, in quello stesso teatro che in fondo è sempre stato il suo regno, la sua casa, perchè non può essere altrimenti...
E così la storia sembra ripetersi, ma c'è sempre qualcosa con cui dimentichiamo di fare i calcoli; possibile che il Fantasma possa trovarsi di fronte ad una ragazza - incredibilmente somigliante alla sua antica musa - capace di risvegliare in lui quel qualcosa che credeva essere morto per sempre?
In uno strano miscuglio di passato e presente, la strana vicenda del Fantasma dell'Opera sembra continuare a stupire e terrorizzare anche attraverso il tempo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erik/The Phantom, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapitre 11

La lezione di canto
















Quello che sto per scrivere non uscirà mai dalle mie labbra – non ne avrò il coraggio.

Ma ho bisogno di sfogarmi, e l’unica cosa che posso fare è scrivere. Sento una strana affinità con la piuma che graffia il foglio e sulle parole che prendono vita su questa pagina bianca, come se non fosse la prima volta che ricorro ad una sorta di diario per aprire la mia anima… Anche l’odore pungente dell’inchiostro fresco mi è amico. Che siano residui del passato che ho scordato?

Quando ho chiesto a Meg se aveva dei fogli e qualcosa per scrivere, mi ha osservato stupita ed incuriosita insieme, ma grazie al Cielo non ha posto domande alle quali non avrei saputo cosa rispondere. Perché hai bisogno di un diario? Credo che mi avrebbe risposto così se glielo avessi detto. Puoi confidarti con me per ogni cosa, chèrie!

Ma il fatto è che non posso, Meg, non posso!

Ho paura che le lacrime possano colare sulla pagina e sciogliere l’inchiostro, perciò mi mordo il labbro e le ingoio silenziosamente, osservando di tanto in tanto la candela che si consuma lentamente. Ho tutto il tempo necessario per scrivere, e nessuno verrà a distubarmi – ormai dormono tutti.

Ah, la mia mano trema… Ho ancora paura che Lui possa venire da me, come ieri sera, e scoprire che affido le memorie della nostra prima lezione a queste pagine, che forse farei meglio a bruciare. Ma non mi importa: ho bisogno di scrivere ogni cosa.

Questa mattina mi sono svegliata molto prima del solito – in realtà non sono riuscita a chiudere occhio la notte scorsa, così non ho fatto altro che alzarmi dal letto non appena la luce del sole è penetrata nella mia stanza. Mi sono lavata con l’acqua gelida come se questo avesse potuto rinforzarmi, e appena ho sentito Agnese scendere le scale per andare in cucina mi sono precipitata dietro di lei per aiutarla con la colazione. Ho visto che sembrava sorpresa della mia mattiniera presenza in sala da pranzo, ma è una signora troppo discreta per porgere delle domande al riguardo.

Ciò che temevo davvero era madame Giry, ma quando è entrata in cucina, seguita dalla figlia, si è limitata a dedicarmi uno sgaurdo neutro che non ha preceduto nessun genere di interrogatorio: mi ha semplicemente augurato il buongiorno, senza aggiungere nient’altro. Meglio così.

Ho dovuto domandare a Meg di aiutarmi con l’abito, perché le mani mi tremavano troppo per riuscire ad agganciare i bottoni del corpetto senza fare un disastro, e credo che si sia dovuta mordere la lingua fino a farla sanguinare per evitare di indagare sulle mie condizioni. Io per prima mi sarei preoccupata se avessi visto Meg pallida in volto e con un tremore delle mani che sembrava non voler cessare, ma forse lei l’ha scambiato per una conseguenza della mia amnesia, e ha fatto finta di niente con delicatezza.

Fino all’ultimo – fino a quando non ebbi varcato la soglia di casa – fui incerta se andare o meno a teatro per affrontare il mio Diavolo, ma le minacce che egli aveva rivolto, sia pure indirettamente, alle persone che si stanno prendendo cura di me, mi fecero decidere subito di obbedirgli. Cos’altro c’era da fare, dopotutto?

La lezione con Lui, ad ogni modo, era di pomeriggio; di mattina mi spettava la consueta lezione con il coro e il maestro Reyer, gentile come sempre. Mi fece esercitare con un’aria da solista, non ricordo di preciso di quale opera, e mentre cantavo, al centro del palcoscenico, ebbi la chiara sensazione di venire osservata, o meglio, spiata, da qualcuno che non si trovava di certo nella platea. Fu alquanto sgradevole, poiché mi sentii nuda sotto quello sguardo, come se potessi sentirlo sulla pelle, e inoltre non potevo nemmeno sfuggirgli. Ovviamente credo di sapere a chi appartenesse quello sguardo, perché era lo stesso che ho sentito la notte scorsa quando Lui è venuto qui.

Di questo, comunque, non ne parlai con nessuno, e quando incontrai Meg e madame Giry, per pranzo, feci finta di niente. Caso strano, non vidi monsieur Bamdad da nessuna parte, e dire che in genere era sempre nei dintorni per controllare, in vece del suo principale, che tutto si svolgesse al meglio: era i suoi occhi e le sue orecchie, ma evidentemente quest’oggi doveva essere il suo giorno libero.

Non ricordo che genere di scusa inventai per allontanarmi da sola, dato che Meg avrebbe voluto accompagnarmi; madame Giry però le diede qualcosa da fare come se avesse voluto tenerla occupata, e l’unica cosa che la donna mi disse, prima di lasciarmi andare, fu: «Sii prudente, mia cara.»

Perché ho il presentimento che sia madame che sua figlia sospettino qualcosa? Non è forse assurdo che possano conoscere l’esistenza della creatura alla quale ho dato la mia anima in modo così sconsiderato? Ma allora, se davvero lo sanno, perché non alzano un dito per aiutarmi?

No, è del tutto impensabile che lo sappiano.

Ad ogni modo, riuscii a raggiungere la cappella dietro il terzo sottopalco con molta più facilità della prima volta; e neanche un momento la sensazione di essere fissata dal buio cessò.

Non appena scesi l’ultimo gradino, la prima cosa che notai fu che tutte le candele del piccolo altare in ferro battuto erano accese, diversamente dall’altra volta. Come se qualcuno ci fosse già stato.

E come se mi stesse aspettando.

Mi portai lentamente e con cautela al centro della stanza, osservandomi intorno e torturando i guanti che stringevo tra le mani. La mia mente era affollata da mille pensieri. Il corsetto è decisamente troppo stretto, non riuscirò a cantare bene. Mi manca il respiro, vorrei strapparmi questi sciocchi vestiti di dosso. Quaggiù fa davvero troppo freddo, è come se fossimo nel ventre della terra. Quaggiù non verrà nessuno a salvarmi. Quaggiù nessuno mi sentirà gridare…

Poi, come in risposta ai miei pensieri, sentii che era arrivato. O meglio, avvertii la sua presenza, come se l’aria nella piccola cappella fosse improvvisamente diventata più scura e opprimente, come se qualcuno avesse risucchiato via tutto l’ossigeno. Le fiamme delle candele tremolarono ma non si spensero: dovette ritenere di avermi già spaventato abbastanza in precedenza con quel trucco.

E, alla fine, la sua voce risuonò dalle pareti.

«Siete venuta, finalmente.»

Non sapevo da che parte voltarmi per rivolgermi a lui, dato che la sua voce sembrava provenire dappertutto, e alla fine decisi di fissare lo sguardo sulla vetrata dell’angelo, come se la vista di un essere così puro potesse consolarmi della presenza di una creatura dell’Inferno.

«So mantenere le mie promesse, monsieur.» Risposi, con voce piatta. Grazie al Cielo riuscii a non farla tremare troppo.

«Ammiro il vostro coraggio.» Replicò, abbassando la voce di un tono o due per renderla più dolce di quanto mi ricordassi. «Temevo di avervi spaventato troppo la notte scorsa.»

Ero sicura che mi stesse provocando per ottenere da me una risposta sgarbata, ma il ricordo di Meg mi fece mordere la lingua per evitare di rispondergli male; non volevo dargli nessun tipo di occasione di prendersi gioco di me, né tantomeno di minacciarmi.

«Sono venuta solo per la lezione di canto, monsieur.» Mi limitai a rispondere.

Passarono alcuni secondi di silenzio, dopodichè rispose anche lui. «In tal caso, sarà bene che mi chiamiate ‘Maestro’, come si conviene ad un’allieva.»

Inghiottii tutto il mio orgoglio quando risposi, con un filo di voce. «Si… Maestro.»

La lezione che seguì fu indubbiamente qualcosa di… Magnifico e terribile insieme. Fu lui a cantare per primo: voleva che memorizzassi tutti i vari passaggi di tono così come li eseguiva lui stesso, accompagnato dalla malinconica musica di un violino. Dopodichè, quando venne il mio momento di ripetere la sua esecuzione, fu nello stesso tempo rigido e gentile. Mi correggeva gli errori e pretendeva che non facessi due volte lo stesso – temetti per questo di farlo infuriare, perché per me era impossibile memorizzare quelle ardue sinfonie in pochi minuti, mentre lui sembrava non coglierne la complessità – e quando invece perseveravo nello sbaglio alzava la voce, irato. Compresi subito che non tollerava ripetere più volte la medesima correzione, e mi sforzai di evitare il minimo errore. Presto fui costretta a togliere la giacchina del vestito e a rimanere solo con una camicia leggera, tanto ero accaldata dallo sforzo.

Ma quello che non scorderò mai è di certo la sua voce. Oh, egli può essere il Demonio peggiore, uscito da chissà quale Averno… Ma la sua voce! Non può certo appartenere a questo mondo, è qualcosa di troppo sublime per poter essere udita da un semplice mortale, e solo ora mi rendo pienamente conto che a me è stato concesso il privilegio di ascoltarla, sia pure come modello e non come diletto personale…

Sento che potrei dimenticare la sua crudeltà solo per la bellezza della sua voce… Ma come può un essere così malvagio possedere una voce così calda e pura?

Giulia posò la penna a lato del foglio che aveva appena terminato di scrivere, spargendovi sopra un po’ di sabbia per asciugare l’inchiostro. Dopo averlo fatto assorbire un po’, lo sollevò per scrollare la sabbia in eccesso, e rilesse le due pagine fitte che aveva riempito incessantemente senza nemmeno rendersene conto. La candela stava per consumarsi, ma ne restava ancora abbastanza per decidere se conservare quei fogli in un cassetto o se bruciarli nella stufa.

Non aveva scritto neppure di come era finita la sua prima lezione, con il Maestro – ormai si sarebbe dovuta abituare a chiamarlo in quel modo – che le augurava una buonanotte e le ricordava di tornare il giorno dopo, alla stessa ora, con degli abiti più comodi. Ah, come se gli interessasse qualcosa di lei che non fosse la sua anima e la sua voce!

Scostò piano la sedia e si alzò, prendendo i fogli in una mano e la candela nell’altra per cercare un posto sicuro dove nasconderli; non poteva lasciarli in giro con il pericolo che Meg o qualcun altro li trovasse e li leggesse. Alla fine li mise nel cassetto del comodino, di fianco al letto, e lo richiuse a chiave.

Sganciò il laccio della vestaglia, che posò sulla poltroncina lì accanto, e poi si mise sotto le coperte, cercando un rifugio che ormai non esisteva più. Si sporse verso la candela, soffiando sulla fiamma e facendo cadere l’oscurità in tutta la stanza. Aveva davvero bisogno di riposare.

Erik non era tornato nella sua villa fuori città, quella sera. Dopotutto, non ci sarebbe stato neppure Bamdad a tenergli compagnia, e a quel punto tanto valeva restare nel suo teatro.

Quando Giulia era scomparsa nella tromba delle scale della cappella, solo qualche ora prima, si era sentito come svuotato di qualcosa, ma non sapeva di preciso cosa. Forse era dovuto semplicemente al fatto che non era più abituato a cantare o suonare – era da molto tempo che non prendeva in mano il suo antico violino – né tantomeno era più abituato a istruire una giovane allieva. Mademoiselle Sanders aveva l’età di Christine, ma non era certo che fosse quello ad avergli lasciato quella sorta di amaro in bocca.

Improvvisamente ebbe l’impressione che i suoi progetti di vendetta fossero del tutto inutili e trascurabili… Ma fu un pensiero troppo effimero per poterlo prendere in considerazione. Aveva già giurato che si sarebbe preso la sua rivincita, e non sarebbe stata una fanciulla senza casa né nome a fargli cambiare idea.

Tuttavia, mentre si aggirava senza meta nei corridoi segreti del teatro, provò un’irresistibile voglia di scendere nuovamente nei sotterranei, laddove un tempo vi era stata la sua unica dimora, il suo solo rifugio. Non vi era più sceso dalla notte dell’incendio, né aveva provato il desiderio di farlo. Ma più ci pensava e più si rammentava dei suoi piccoli averi che giacevano ancora in quella grotta, o forse in fondo al lago, dato che una folla immensa di curiosi e gendarmi aveva raggiunto la sua casa subito dopo il rapimento di Christine.

Mentre percorreva automaticamente le gallerie che conducevano al lago, completamente immerse nel buio, i ricordi presero il sopravvento della sua mente fredda e lucida, costringendolo ad accelerare il passo per arrivare al più presto alla fine di quei passaggi segreti. Ogni angolo sembrava celare una memoria del suo passato: quello era l’angolo dove aveva tenuto la bionda testa di Christine sulle gambe, in attesa che la giovane si riprendesse dallo svenimento, là l’aveva aiutata a salire in groppa al vecchio Caesar, qui è dove l’aveva trascinata con forza, la notte del Don Juan, senza curarsi dei suoi singhiozzi disperati…

Era così assorto nei suoi pensieri che quasi inciampò in un oggetto di cui non rammentava l’esistenza. Imprecò ad alta voce mentre si inginocchiava per afferrare un candelabro che chissà come era finito in quell’angusto passaggio… No, un momento. Sapeva perfettamente chi poteva averlo lasciato lì, per terra.

Ecco, questo era il punto dove aveva trovato mademoiselle Sanders, svenuta, ormai tre settimane prima.

Anche quella sera aveva provato a scendere nei sotterranei, ma l’aver trovato quella ragazza priva di sensi e febbricitante per terra gli avevano fatto accartocciare l’idea, spingendolo a portarla in superficie e a consegnarla alle cure di madame Giry. Sembrava trascorsi secoli…

E ora, invece, mademoiselle Sanders era alla sua completa mercè.

Stranamente però questo pensiero non lo fece sentire meglio.

Alla fine raggiunse la sponda del lago sotterraneo. Come aveva immaginato, non c’era nessuna barca ad attenderlo lì ormeggiata: probabilmente era affondata in tutto quel tempo. Ma egli conosceva altri modi per raggiungere la sua vecchia dimora – non lo chiamavano fantasma per niente, dopotutto.

Prese una galleria laterale che costeggiava tutto il lago, stupendosi del fatto che quel luogo sembrava essere rimasto congelato all’ultima volta che lui vi era stato. Ebbe però modo di notare i segni del passaggio degli uomini che avevano provato a dargli la caccia quella terribile notte, come fiaccole e pistole scariche abbandonate per terra e lì lasciate ad arruginire. Avevano forse sparato contro i topi e le ombre, nella speranza di colpire lui? Quel pensiero lo fece suo malgrado sorridere: il suo nome era dunque stato capace di terrorizzare ogni genere di essere umano. Non si curò di raccogliere nessuna di quelle armi, ormai inutilizzabili. E lui non aveva più paura del buio da tanto tempo.

Una volta sbucato fuori da quella lunga galleria, poi, potè dirsi arrivato.

L’arco del corridoio si affacciava esattamente sopra la Dimora sul Lago, permettendogli di abbracciare con lo sguardo il primo luogo che lui, Erik, il Figlio del Diavolo, aveva potuto chiamare casa.

La luce della luna che penetrava da alcune bocche di lupo ben celate da grate in ferro si posava su ogni cosa, immobilizzando il tempo. Ma tutto ciò che egli poteva vedere ora era degrado e disperazione. Gli enormi specchi da parete erano stati frantumati – in parte da lui stesso, i drappi con i quali era uso ricoprirli giacevano per terra, bruciati, e dovunque posasse gli occhi regnava il caos. Addirittura il suo organo, per il quale aveva sempre nutrito uno smisurato orgoglio, era stato distrutto da mani rabbiose e insensibili.

Scese lentamente le scale di pietra, calpestando i frammenti di vetro, in volto uno sguardo di furia cieca. Come avevano osato entrare in casa sua e distruggerla in quel modo barbaro? L’unico modo per punire il Fantasma era dunque accanirsi con i suoi pochi averi? Oh, se solo avesse potuto gliel’avrebbe fatta pagare…

Ma ogni cosa a tempo debito, Erik, si disse tra sè. Presto tutto sarà vendicato.

Sfiorò con tocco gentile i tasti sfondati del suo prezioso organo, per poi gettare uno sguardo distratto e indifferente ai vari ritratti di Christine che non erano stati risparmiati dal fuoco. Ah, ecco dov’era la gondola, realizzò, guardando con uno scatto della mascella la sua imbarcazione – costrutita con le sue stesse mani basandosi su un semplice disegno delle barche veneziane – che era stata bruciata e affondata senza rimorsi. Tutto era stato distrutto, ogni singola cosa.

Diede le spalle a quello sfacelo, dirigendosi verso quella che era stata la sua camera da letto.

La tenda di broccato che separava la stanza da letto dal resto della sua dimora era stata strappata e gettata per terra, così come i cuscini del suo giaciglio. Il pavimento era ricoperto da piume e candele spezzate, come se le persone che avevano violato la sua casa avessero voluto esorcizzarla per impedirgli di tornare. Che poveri stolti. Se solo avessero saputo che non bastava così poco per liberarsi di lui…

Almeno il materasso era ancora intatto. Come sarebbe stato dormire nuovamente in quel letto? Gli avrebbe dato la forza di continuare con i suoi piani, di portare avanti il suo progetto?

Con un sospiro stanco si sfilò la maschera dal viso, posandola sul tavolino da notte, e si tolse la giacca rimanendo in maniche di camicia. Era troppo tardi per tornare alla villa, e non aveva voglia di risalire in superficie per dormire nel divanetto del suo ufficio. Quel letto era molto più comodo… Chissà, forse avrebbe dovuto mettere a posto la sua antica dimora, in modo da avere un luogo nel quale rifugiarsi per riflettere e riposarsi in tutta tranquillità, senza che nessuno lo disturbasse. L’indomani mattina, non appena avesse visto Bamdad, lo avrebbe messo al corrente della situazione.

Inoltre, in questo modo era più semplice anche andare alla lezione di canto di mademoiselle Sanders.

Con questi pensieri per la mente chiuse gli occhi, scivolando piano in un sonno profondo.

E senza comprenderne il motivo, si ritrovò a sognare Giulia.




















_____________________________________________

AA -Angolo Autrice:
Ciao! Avete passato un bel fine settimana? Spero di si ^^
Di nuovo mille e uno grazie per i vostri complimenti, mi auguro di meritarli =P Non mi trattengo a lungo, ringrazio solo per le recensioni - che mi riempiono ogni volta di gioia *-* - e per aver aggiunto questa storia alle preferite e alle seguite! Grazie in tutte le lingue del mondo <3
Allora, che ve ne pare del nuovo capitolo? Spero che abbiate gradito le pagine di diario iniziali, ci saranno anche altre parti simili, servono per rendere meno monotona la narrazione e per entrare nella mente del personaggio... Comunque, qui non succede un granchè ma nei prossimi cercherò di riscattarmi... Promesso!
Ora vi saluto ^^ Un bacione, al prossimo chapter!
E mi raccomando...
Commentate, commentate, commentate! *O*
   
 
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