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Autore: Pluma    07/04/2010    1 recensioni
(Dal II° capitolo) “Molto piacere. Come ho già detto io sono Richard Heart. Questa bellissima donna è Sheril Water, il mio braccio destro. Il più vecchio tra noi è Asriel Stern. La ragazza che le ha recuperato la borsetta si chiama Savannah Runner; infine, lui è Jack Salvador, in realtà non si chiama così, ma il suo nome è per tutti noi impronunciabile perciò…Jack.” (...) “E ora che abbiamo fatto tutte le presentazioni, cosa volete dai Predators?” I Predators è un'agenzia tutto fare formata da cinque persone decisamente molto diverse tra loro... partendo dall'età, per continuare con la nazionalità, finendo con il loro carattere. Non disdegnano commissioni che li portano in giro per il mondo, sebbene siano lavori che hanno poco a che vedere con la legalità. Sinceramente non mi importa se li amerete o li odierete, dato che sono degli anti-eroi, la mia speranza è che non vi lascino indifferenti. Per questo spero tanto che recensirete, almeno un pochino...
Genere: Azione, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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XVII CAPITOLO

BLQ

 

Trova l’ombra di Hitchcock

 

 

 

BLQ era l’autobus che portò i Predators, dall’aeroporto, alla stazione dei treni di Bologna. Dentro le mura della città sono concentrate le sedi universitarie, era quindi normale che, in ogni angolo in cui lo sguardo del gruppo si posava, non vedessero altro che studenti, più o meno giovani, intenti nelle loro chiacchiere, accademiche e non; le stesse persone affollavano il treno diretto a Piacenza. Sheril, Jack e Savannah si accomodarono vicino ad una ragazza mora con il viso nascosto dietro ad un libro grigio con la foto di un’attrice in copertina.

“Ingrid Bergman” disse Sheril guardando la biografia della diva che l’universitaria stava leggendo.

Sentendo nominare l’oggetto dei propri studi, da un accento particolare, il volto della ragazza fece capolino da dietro le pagine, guardò la copertina e poi, rivolgendosi alla donna che aveva parlato, le regalò un sorriso. Era una di quelle persone che, si suole dire, sorridano anche con gli occhi, socchiudendo le palpebre e nascondendo il proprio sguardo marrone. Poi, come se non avesse mai sentito nulla, ritornò ad immergersi nei propri studi.

Da Bologna a Modena, il viaggio non è troppo lungo; una quarantina di minuti sarebbero più che sufficienti anche con la fermata a Castelfranco Emilia. Il problema è che, il treno regionale non è uno dei mezzi più confortevoli che vi siano a disposizione e, sicuramente, non è uno dei più puntuali. Quando, poi, si deve prendere una coincidenza, ogni secondo di ritardo sembra un’eternità. E pensare che c’è gente che passa ore intere della propria giornata sui treni: pendolari, categoria maltrattata.

Quando dal finestrino spuntò la Maserati, la ragazza chiuse il suo libro mettendolo dentro lo zaino e, alzandosi bofonchiò una qualche scusa e permesso per poter passare in mezzo ai tre sconosciuti, avviandosi poi verso la fine del vagone.

“Andiamo ragazzi. Siamo arrivati” disse Richard spuntando alle spalle di Jack.

I tre si alzarono e si diressero anche loro verso l’uscita scorrevole.

Gente ammassata come un gregge di pecore, ognuno con il proprio odore; una situazione da panico durante l’estate, quando il calore della temperatura aumenta la secrezione della pelle. Il treno entrò nella stazione di Modena, fermandosi sul binario uno; la porta cominciò ad aprirsi con una lentezza snervante, mentre le persone impazienti scalpitavano. In prima fila la ragazza del libro che lanciava occhiate preoccupate di là del finestrino nella direzione di un secondo convoglio a due vagoni. I Predators non avevano fretta, la loro fermata era Modena, per loro fortuna.

 

Ecco un ennesimo albergo, questa volta, però, lo avevano scelto un poco più modesto, rispetto ai precedenti. Oramai era chiaro che, da quel lavoro, non avrebbero guadagnato nulla, se non l’anticipo che le due ragazze avevano portato con loro.

“Domani mattina ci procureremo un macchina. La villa del nostro amico, il signor John Doe, si trova nella campagna dei dintorni. Ragazzi, voglio un lavoro pulito. Entriamo, uccidiamo lo stronzo ed eventualmente ogni figlio di puttana che si mette in mezzo. Se riuscite a prendere qualcosa di valore tanto meglio, ma non perdete tempo a cercare. Voglio tornare a casa.”

Queste furono le uniche direttive di Richard, prima che si isolasse nella sua stanza. Quanto male faceva vederlo in quello stato; triste e sconsolato in ogni cosa che diceva, in ogni espressione che il suo viso, altrimenti sempre allegro, assumeva. Cambiava solamente quando era costretto a rivolgersi a Sheril; in quel caso i suoi occhi si riempivano di astio e biasimo, persino la sua bocca assumeva una smorfia di disprezzo nei confronti della sottoposta.

 

Perché mai esistono le porte? Basta poco per sfondarle, soprattutto se sono vecchie. Jack si trovava proprio davanti a quella che celava l’ufficio dell’uomo che, sebbene ancora non lo sapesse, era morto. Ai lati c’erano Richard e Sheril armati e tesi come due corde di violino. Savannah, invece, si trovava dietro le spalle del compagno, pronta per ogni evenienza. Ad un cenno del capo, Jack caricò la gamba e con quella colpì la porta che si aprì docile e obbediente.

In pochi attimi tutti i Predators furono dentro l’ufficio, circondando la grossa scrivania di legno dipinto. L’uomo che vi era seduto era un piccoletto di mezza età, con i capelli perfettamente pettinati e un’espressione stupita e ridicola in volto.

“Voi!”

“Perspicace!” lo prese in giro Jack.

“Non te lo aspettavi, forse?” domandò Richard, in realtà poco interessato della risposta, con la propria pistola che premeva sulla tempia di John Doe.

Passi affrettati echeggiarono per le scale di marmo, catturando l’attenzione di Jack che fece cenno a Savannah di seguirlo. Giunti suk pianerottolo videro solo il gemello francese che aveva irretito e rapito Sheril. Stando alle parole della donna, anche Michel provava uno strano gusto per l’omicidio. Le pupille di Jack brillarono di sfida; la lingua uscì per leccarsi lebbra, pregustando il sapore del divertimento. Sempre che il sopravvissuto non deludesse le sue aspettative.

“Ritorna con gli altri due.”

Savannah fece per replicare, ma un’occhiata all’espressione del suo collega le fece capire che, se non avesse ubbidito, Jack l’avrebbe colpita senza esitare: nemmeno lei poteva intromettersi nei suoi giochi.

La bionda fece dietro-front, rientrando nello studio giusto in tempo per vedere Richard premere il grilletto, sporcando le pareti di sangue e materia celebrale.

“Maledetti!” ringhiò tra i denti Michel al suono della detonazione.

Con uno scatto rabbioso ricominciò a salire le scale, accorciando la distanza che lo separava dal sorridente ed estasiato Jack.

La mano destra dell’argentino afferrò saldamente la ringhiera, mentre la sinistra premette con forza contro il muro, all’altezza della sua spalla. Fece forza sugli addominali e, aspettando l’ultimo istante, colpì in faccia il francese con entrambi i piedi. Michel perse l’equilibrio; il suo corpo rotolò giù, ritornando al primo piano. Per sua fortuna fece in tempo a proteggersi la testa con le braccia, ma quando la gravità smise di esercitare la sua forza, l’avambraccio destro di Michel era fuori uso. Non aveva preso particolari pose scomposte, ma era inerme e inutile.

Alzò gli occhi su Jack che, sempre sorridente, scendeva le scale.

“Tutto qui, mangia rane?”

“Vaffanculo.”

Tenendosi l’arto ferito stretto al petto, Michel corse verso una porta trascinandosi lievemente la gamba destra.

“Dove vai topolino? Vieni qui, questo gatto vuole giocare.”

Jack seguì l’avversario nella nuova stanza, lanciando una breve e superficiale occhiata in giro. Si trattava di una cucina arredata in stile moderno: elegante ma priva di qualsiasi calore, senza carattere e completamente asettica. Michel si trovava a fianco di un tavolino di vetro con la pistola puntata davanti a sé.

“Vuoi un suggerimento? Quella pistola dovresti spostarla un po’ più a destra. Se mi spari, il massimo che puoi fare è graffiare il mio bellissimo viso.”

“Io non sto mirando a te” affermò Michel, affannato e dolorante.

“Jack” chiamò una voce femminile, proveniente dalle spalle.

Non si girò; se lo avesse fatto, sarebbe morto e anche Savannah avrebbe fatto la stessa fine. Brutta situazione: sapeva che, come lui, anche la ragazza non aveva portato un’arma da fuoco. Se si fosse ritrovato da solo contro Michel, avrebbe schivato un paio di volte e, una volta disorientato il pivello, avrebbe attaccato. Ma non era solo; se avesse deciso di optare per la prima soluzione, Savannah si sarebbe ritrovata con un foro in mezzo agli occhi. Il problema era che lei e lui avevano ancora una faccenda in sospeso come i fantasmi.

“Lascia stare, francese. Sei morto comunque.”

“Cosa vuoi che mi importi? Avete ucciso mia sorella. Pensavo di eliminare te, ma qualcosa mi dice che farei più danno se ammazzassi lei” disse muovendo la mano sinistra e perdendo la mira su Savannah per qualche attimo.

Jack non sputò in faccia alla buona sorte. Il suo fedele pugnale scivolò in mano, come aveva fatto qualche tempo prima a casa e, senza perdere troppo tempo per prendere la mira, lo lanciò verso Michel. L’arma bianca si piantò al centro dello sterno, trafiggendo la metà destra del cuore. Michel, ferito a morte, cadde in ginocchio senza lasciarsi sfuggire, però, la pistola di mano.

“Sei stupida?” chiese Jack arrabbiato, girandosi verso Savannah.

“Ti sono venuta a cercare. Sheril e Richard sono già in macchina.”

“Sei comunque stata una stupida” ripeté il ragazzo, un poco più blandamente.

“Speravo di riuscire a perdere più tempo per far uscire più gas, ma spero che basti.”

Sentendo la voce di Michel, Jack si voltò. Fece appena in tempo a vedere che il ragazzo, oramai morente, puntava la sua arma verso il piano cottura. Sparò.

Jack vide l’esplosione far saltare in aria il corpo dissanguato di Michel e pensò:

“Vediamo se sopravivi anche questa volta”

Vide i mobili resistere all’urto e pensò:

“Viva la resistente modernità.”

Sentì la propria coscienza scemare e pensò:

“Che palle, mi fischieranno le orecchie per giorni.”

 

“Jack, sei sveglio Jack?”

L’assassino era sdraiato suk sedile posteriore della macchina che avevano rimediato, con la testa appoggiata sulle cosce di Savannah che lo chiamava un po’ apprensiva.

“Ci siamo tutti?” chiese il ragazzo.

Si sentiva relativamente bene, l’unico fastidio era che non riusciva ad alzare le palpebre, nonostante, lo sforzo. Infine decise che, per ora, poteva anche tenere gli occhi chiusi.

“Siete stati fortunati” disse Richard con un tono di voce finalmente sereno. “La stanza non si era riempita a sufficienza. Inoltre c’era la porta aperta e il gas non era abbastanza concentrato per fare danni grossi.”

“Quindi state tutti bene?”

“Perché non vedi che stiamo bene?”

“Sheril, ho gli occhi chiusi, come posso guardarvi?”

Nella macchina scese un silenzio pesante che schiacciò il morale a tutti, mano a mano che la frase di Jack assumeva un suo senso.

“Perché vi siete zittiti tutti?”

“PARLATE, MALEDIZIONE!”

Savannah avvicinò la propria bocca all’orecchio di Jack, non poteva fare altro perché sapeva che non sarebbe riuscita a parlare ad alta voce. Aveva cominciato a piangere e, mentre le sue lacrime bagnavano fastidiose e la tempia del giovane uomo che ave in grembo, gli disse:

“Hai gli occhi aperti.”   

   
 
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