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Autore: yesterday    07/04/2010    13 recensioni
Non è mai una scelta vantaggiosa condividere una stanza di quattro metri per quattro con il tuo ex ragazzo. Soprattutto se l'ex ragazzo in questione è Akito Hayama, e siete più o meno in pessimi rapporti.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Fuka Matsui/Funny, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.21 Jewels: precious stones used to decorate valuable things. PART ONE

 

 

Aprii gli occhi, sconvolta. Si prospettava una fantastica giornata, dato lo splendido - nuovamente - risveglio.
Nonostante avessi voglia di ringhiare, a distanza di esattamente tre secondi e mezzo dall’accogliente mondo dei sogni, riuscii quasi a ridere.
Un sorriso colmo di sarcasmo, per inciso, ma pur sempre un sorriso. Doveva pur essere un passo in avanti anche quello, nonostante nessuno tra i Kami lo considerasse tale.. Dato che di giorno in giorno, da quando mi ero trasferita, la modalità di risveglio non era mai stata naturale. Prima o poi mi avrebbero dato tregua, sia i Kami che il mio aguzzino, era solo questione di tempo. Ma la mia pazienza - che non era mai stata tanta - si sarebbe esaurita prima senza dubbio alcuno.
Respirai profondamente. Questi giri di parole minacciavano seriamente di procurarmi una bella emicrania. Ed io non la volevo, oh no.
Cercai di calmarmi. In fondo erano tutte piccolezze, in fondo non era necessario prendersela così, in fondo potevo capire. In fondo potevo fare la mia parte ed evitare.
Certo.
La. Prossima. Volta.
« Ma che diamine hai dentro quella testa? » inveii, lanciando il cuscino davanti a me.
« Oh, mi scusi, sua maestà, se per trovare i miei vestiti un questo caos di spazzatura vostra ho bisogno della luce accesa »
Hayama di mattina era una spina nel fianco.
Non che durante le altre ore del giorno non lo fosse, ma il suo sarcasmo unito al mio sonno era un cocktail fatale.
Senza degnarlo di una risposta sollevai le coperte fino alla testata del letto, così da essere completamente al calduccio e al buio – di cui per una volta non avevo affatto timore.
Se qualche giorno prima avevo considerato un insulto al termine "vacanza" svegliarsi alle nove, l'unica considerazione che riuscii a fare in quel momento fu che svegliarsi alle sette per colpa di Akito e della sua maledettissima luce ne era il suicidio stesso.
Mi voltai sul fianco destro, alla ricerca di una posizione comoda; ricerca che fallì miseramente quando realizzai che, dopo averglielo lanciato (forse) addosso, ero rimasta senza cuscino. Sbuffai.
« Tra le altre cose, riordina questo schifo, ti ricordo che stasera la camera è mia »
« Ovviamente. Ridammi il cuscino adesso, e poi lasciami dormire. » mugugnai, alzando un braccio verso l'alto, in modo da afferrare il cuscino dopo un possibile – anzi, direi alquanto probabile – lancio da parte del mio coinquilino.
Lancio che tardò ad arrivare, ma tanto stordita dal sonno com'ero, non me ne resi conto in tempo.
Improvvisamente mi ritrovai senza coperte – di nuovo, come un paio di mattini prima – e, senza nemmeno il tempo di pensare ad un'offesa in particolare, il cuscino mi venne scagliato con forza in faccia.
Non che facesse male, in fondo era solo un cuscino, ma lì per lì mi ritrovai a considerare quante possibilità avessi di venire assolta con formula piena nel caso in cui Akito Hayama fosse stato rinvenuto morto – a pezzi, macinato, tritato, frullato! - in camera mia. Cioè, nostra.
Insomma, era difficile capire che fino a mezzogiorno Sana Kurata non esisteva per nessuno?
« Tante grazie » bofonchiai, aprendo gli occhi mio malgrado per recuperare le lenzuola.
« Ma ti pare »



***


Ore dieci e trenta, cucina dell'appartamento Hayama, Kurata, Sasaki, Sugita.
Ammettiamolo: già solo al dirlo così era tutto un programma.
Irritata più del dovuto, più del lecito anzi, afferrai con violenza una povera tazza arancione e l'appoggiai sul tavolo, riempiendola di latte fino al bordo; poco importava se cinque secondi dopo, all'aggiungerci i cereali, avrebbe inevitabilmente strabordato.
Così fu, e non ci badai, immergendo il cucchiaio con un'espressione praticamente omicida dipinta in volto.
« Buongiorno, Sana. Scappo di già, sono in ritardissimo » mi salutò Tsuyoshi, beato nei suoi cinque minuti dopo il risveglio, afferrando al volo un toast appositamente preparato da una fedele Aya prima che uscisse per andare a lezione.
Ecco, i cinque minuti di sacra tranquillità. Che per un motivo o per l'altro Hayama mi rovinava sempre.
« Ciao » mormorai affranta, nemmeno l’ombra di quella tanto agognata pace post-bella-dormita che lui emanava da ogni poro.
« Sana, che ti è successo? » mi squadrò da capo a piedi mentre sistemava la camicia abbottonata male.
Gli bastò l’occhiata che scoccai come risposta per uscirsene con un sospiro, un “Oh, Akito” e il toast a penzoloni in bocca.
Bene, piazza pulita.
« Che dire.. Casa dolce casa » guardai le quattro mura vuote della stanza.
Nemmeno stare in casa da sola mi piaceva; mi dava un leggero senso di claustrofobia, senza contare il nodo in gola, residuo di quel periodo in cui la solitudine del cuore mi aveva scavato un enorme buco nel petto. (*)
Mi accanii contro un malcapitato cereale di dimensioni più grandi rispetto ai suoi simili: il colore mi ricordava gli occhi di Hayama. E non era una bella cosa.
Terminata la colazione sparecchiai, sbadigliando sonoramente. Con una veloce occhiata al calendario mi resi conto che quello era il mio terzultimo giorno di vacanza, nonostante parte del mio cervello le considerasse già irrimediabilmente terminate in coincidenza con la data di acquisto dell’appartamento. Il che significava, in poche parole: lunedì università. Avvertivo una leggera ansia - l’ansia dell’ignoto - ma ero soprattutto curiosa di sapere come sarebbe stato. In fondo era una novità, niente a che vedere col liceo.
Rientrai in camera, decisa a trovare quel dannato vestito bianco senza spalline che avevo tutta l’intenzione di indossare per andare a trovare Fuka, e dovetti ammettere che era in uno stato pietoso.
Cercai di giustificare così il mancato ritrovamento del suddetto reperto numero uno - alias vestito bianco - ma riconobbi che, quasi sicuramente, dovevo averlo lanciato all’aria ancora dentro la busta del negozio, con le etichette appese e lo scontrino sul fondo della borsa. L’ordine, forse, non era il mio forte.
Provai sinceramente a sistemare quella baraonda, lo giuro. Ci provai davvero.
Ma come accadeva circa nove volte e mezza su dieci, mi stancai prima che il risultato fosse accettabile. Raccolsi distrattamente quanti più indumenti trovai a terra – ma accidenti, qualcuno per forza doveva essere anche suo! – aprii un paio di cassetti e riversai tutto al loro interno, senza guardare.
In fondo sembrava ordine, no? Era già un passo avanti.

 

***



« Kurata, quale parte del discorso di stamattina non hai compreso? » urlò Akito dalla nostra stanza.
Tentai di ignorarlo completamente: come i cinque minuti dopo il risveglio, anche i pasti erano sacri, per me, in particolar modo la cena.
A dirla tutta, non c'era momento della giornata in cui avrei permesso ad Hayama di disturbarmi ma ciò, comunque, sarebbe rimasto solo un pensiero.
Dopo una riflessione lunga un pomeriggio ero arrivata all'idea di tentare, in qualche modo, di stabilire una sorta di tregua, basata sulla teoria del vacuo e placido ignorarlo. Piuttosto semplice.
Addentai quel che restava della mia porzione di sushi: avevo già rimosso la conversazione mattiniera.
« Kurata, parla. » e suonò leggermente minaccioso.
Deglutii. « In realtà non ci ho capito niente, temo: non ti ho proprio ascoltato »
Sollevai entrambe le sopracciglia, soddisfatta della mia risposta.
Tregua saltata.
Aya, seduta a tavola di fronte a me, scosse impercettibilmente la testa.
« Siete peggio di due bambini » commentò invece Tsuyoshi, osservando il suo piatto ormai vuoto.
Hayama entrò di gran carriera in cucina, nascondendo qualcosa dietro la schiena.
« Ti avevo chiesto » iniziò « di sistemare la stanza »
« Oh, no » sorrisi sarcastica « tu non chiedi mai »
Rimase lì a fissarmi, con l'espressione tipica di chi vuole intendere "tanto aspetto qui fino a che non la finisci".
Cambiai tattica. « Ho riordinato, non te ne sei accorto? »
Strabuzzò gli occhi. « Certamente. In tal caso – cioè, credevo tu lo sapessi ma a quanto pare no – ti informo che io non sono solito indossare questi » mi lanciò in mano un indumento prettamente femminile, dall’aria nuova, che in un’altra epoca avrebbe certamente gradito addosso a me. Non che m’importasse, eh.
Osservai seria quello che sembrava a tutti gli effetti essere un abito. Dovevo concederglielo, a meno che non nascondesse una vita notturna in minigonna dietro il nome Reika, non era di certo il suo abbigliamento tipo.
Lo osservai meglio. Era il vestito bianco, quello senza spalline.. Esattamente quello che avevo cercato tutto il pomeriggio. “Tutto” si fa per dire.
Prima di riuscire a capire che forse - forse! - i cassetti in cui avevo riversato il disordine di camera Hayama Kurata erano…
Bloccai tutti i muscoli del corpo.
Oh, no no no no.
Come avevo anche solo potuto pensare le parole “camera Hayama Kurata”? Sembrava.. Sembrava..
Manca qualcosa: stanza che Sana Kurata era evidentemente costretta a dividere con un troglodita per un buffo - e odioso - scherzo del destino, sia chiaro!
« Non ho finito. » annunciò, l’ombra di un ghigno minaccioso sul viso, distraendomi così da quella pericolosa via che era “Sana e Akito, istruzioni per l’uso” (nessuna istruzione, nessun uso, nessun Sana e Akito!) « come se ciò non bastasse, io non porto una seconda » pose davanti a sé anche il braccio sinistro. Dalla sua mano penzolava una spallina. Attaccata ad un reggiseno color crema, stampato a formiche. Indubbiamente mio. « in realtà questi non li porto nella maniera più assoluta, ma probabilmente non hai fatto caso a questo piccolo particolare »
Aya scoppiò a ridere, non riuscendo a contenersi, mentre Tsuyoshi si appoggiò al frigorifero, coprendosi la bocca con entrambe le mani. Io invece ero basita.
Non c’era più spazio per i dubbi: i cassetti dovevano proprio essere stati i suoi. Merda.
« Quanto la fai lunga » mi strinsi nelle spalle, cercando di sviare « lasciami recuperare la borsa e me ne vado, almeno non ti avrò tra i piedi tutta la sera »
Detto ciò mi incamminai a grandi falcate verso la stanza.
E ritornai anche indietro, rossa di vergogna, sotto lo sguardo rassegnato dei miei tre co-affittuari.
Mi schiarii la voce: « Ehm. Non è che qualcuno ha visto la mia borsa? »
Okay, lo ammetto: ero un po' disordinata.
Senza dire una parola, Aya mi prese la mano e mi condusse nell'ala di appartamento che condividevo con Akito.
Aprì la porta del bagno, e in quel momento pensai che fosse stata una scelta del tutto casuale dettata da un improvviso bisogno di privacy. Magari doveva dirmi qualcosa di importante...
Accese le luci, e capii che non si trattava di un segreto: la mia borsa faceva bella mostra di sé accanto al beauty case.
Anche se era del tutto inutile, mi indicò l'oggetto incriminato con l'indice.
« E come accidenti è arrivata fino a lì? » sbottai.
L'unico idiota a cui sarebbe mai saltato in mente uno scherzo del genere non poteva essere che Hayama.
Prima che giungessi alla conclusione di ritornare in cucina per fargli una sfuriata – andiamo, non eravamo più alle elementari, inoltre dovevo ancora digerire l'obbligo di uscire quella sera perché era un venerdì  e i venerdì erano di sua proprietà, e le migliaia di altre cose per le quali , avevo tutto il diritto di fargli una bella sfuriata – me lo ritrovai davanti, appoggiato allo stipite della porta aperta.
Una parte del mio cervello realizzò che si appoggiava alle porte un po' troppo spesso, ma ci avrei rimuginato su poi.
« Felice di informarti, Kurata, che la borsa l'hai messa lì tu, ieri sera »
« Cambierai mai? » proseguì divertito, la situazione era imbarazzante e lui se ne stava approfittando fin troppo.
Per la seconda volta in una giornata, fui tentata di fargli del male.
E dire che non ero una tipa violenta.
Vidi il problema – Hayama, che bellamente se la stava ridendo – e un istante dopo, proprio accanto a lui, la soluzione: la doccia.
Scansai Aya con poca eleganza, afferrai un braccio di Hayama con la mano destra e lo spinsi dentro la cabina: non se l'aspettava, quindi non reagì subito. Ed era proprio sull'effetto sorpresa che io contavo.
Sorrisi, e un istante dopo aprii il getto dell'acqua. Bollente.
« Ma sei scema? » scattò, armeggiando con la manopola, senza rendersi conto che girando in senso orario il getto non avrebbe fatto altro che aumentare.
« Non scaldarti, Akito » ammiccai, ridendo del mio gioco di parole « è un ringraziamento per il bel risveglio di qualche giorno fa »
Aya mi diede di gomito, complice.
« Che cattiva, Sana » non tratteneva le risate, in mezzo al vapore e di fronte ad un Akito imprecante che, incredibile, doveva ancora chiudere la manopola - fortuna poi che quella ottusa ero io.
Mi strinsi nelle spalle, poi rincarai la dose: « Hayama, ancora sotto la doccia? La tua bella sarà qui a momenti, sbrigati! »
Presi la borsa, salutai con la mano il povero Akito che – finalmente – era riuscito ad uscire dalla doccia e si frizionava i capelli biondi con un asciugamano (tra l'altro, forse era il mio asciugamano, ma preferii soprassedere, onde evitare altre imprecazioni capaci di far cadere i Kami uno per uno) e insieme ad Aya uscii dal piccolo bagno, chiudendomi la porta alle spalle con forza.
Tsuyoshi si era già infilato il cappotto e teneva tra le mani quello della sua ragazza.
L'idea era di uscire tutti e tre insieme: mi avrebbero accompagnata fino alla fermata del tram – con il quale avrei raggiunto Fuka – e poi avrebbero proseguito per una passeggiata in centro. Sperai per loro che fosse una lunga passeggiata per il centro, io personalmente tutto avrei desiderato tranne trovarmi in casa con quello lì il venerdì sera. Rabbrividii.
« Posso ripeterlo per la milionesima volta? » chiese retorico Tsuyoshi, l'ombra di un sorriso dipinta in volto « Siete peggio di due bambini » e porse la giacca ad Aya.
Recuperai la mia sull'attaccapanni, mentre borbottavo un « Capita » molto poco maturo.
« Pronta! » esclamai un secondo dopo, infilando l'ultimo bottone scuro nell'asola.
Tsuyoshi aprì bocca, gli potevo già leggere sulle labbra la parola "andiamo", ma fu preceduto dal campanello.
Mi immobilizzai dov'ero, e altrettanto fecero i miei due amici.
Sentii improvvisamente che sarei potuta soffocare da un momento all'altro, immaginando chi ci poteva essere all‘ingresso, l‘indice premuto contro il pulsante sopra alla targhetta coi nostri quattro nomi.
Il campanello suonò nuovamente. Kami, qualcuno sul pianerottolo era proprio insistente.
« Vado io » asserii seria.
« Sana, forse è meglio se non.. »
Stavo già togliendo la sicura della porta d'ingresso.
Espirai ed aprii.
Probabilmente, in un altro contesto, non avrei trovato la ragazza che mi stava di fronte così spiacevole. Certo, forse era un po' troppo truccata e poco vestita, ma..
Oh, era orrenda!
La classica maggiorata, che oltretutto sapeva d'esserlo e tentava in tutti i modi possibili di mostrare al mondo i gioielli di famiglia. Aveva nascosto il viso sotto chili di fondotinta, e masticava una chewing-gum senza il minimo ritegno né la minima educazione.
Era una vecchia conoscenza scolastica: aveva palesato un certo interesse nei confronti di Akito già all'epoca in cui era il mio ragazzo, ma poi si era fidanzata con l'ex presidente del Comitato degli Studenti. Non che lui le avesse mai dato corda, comunque.
Doveva chiamarsi Keiko, o qualcosa di simile; un nome odioso, senza dubbio.
Probabilmente mi riconobbe anche lei, poiché piegò gli angoli della bocca verso il basso, in un gesto istintivo.
« Ciao » l'accolsi, sfruttando le mie doti di attrice « chi cerchi? »
Rimase impalata sul pianerottolo, in totale imbarazzo. Almeno quello.
« A-Akito » balbettò, in soggezione.
« Certo, te lo chiamo subito » mi voltai verso Aya e Tsu, completamente atterriti di fronte a quella visione « Chiamate Akito? E' arrivata una a ritirare il premio settimanale »
Mi voltai di nuovo verso Keiko, mentre ripescavo nella memoria il nome dell'ex presidente del Comitato Studentesco. Le sue guance avevano preso fuoco.
« Come sta Ryuke? » chiesi come se nulla fosse.
« N-non lo so. Ci siamo lasciati » fu la risposta secca di lei.

Per quanto Aya avesse colto dietro il tono di voce e lo sguardo abbassato tutto il dolore di quella separazione – me lo confermò appena uscimmo di casa, condito con un bel "poverina, mi è sembrato avesse il cuore spezzato" e simili – in quel momento non riuscii affatto a compatire quella ragazza.
Chissà perché.








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(*) La malattia della bambola, volumi 9 - 10 Kodomo no Omocha.

 

 

   
 
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