Solo i morti
non ritornano.
-Proverbio
inglese
Atto I
I.
Il bacio
durò finché
non ebbero più fiato, e poterono soltanto guardarsi con gli
occhi grandi e le
bocche mute, disperatamente affamati l'uno dell'altra.
Senza dire
una
parola, Anakin la guidò su per la scalinata che conduceva
alla loro camera da
letto, stringendo forte nella sua mano quella di Padmé.
Sentiva appena i lembi
di seta della vestaglia di lei sfiorare i suoi pantaloni. La sua
presenza
dietro di lui lo riscaldava molto più dei fuochi di
Mustafar; sulla sua anima,
Padmé era come il sole gentile che spunta nelle migliori
giornate di primavera:
carezzevole, mai bruciante.
Il santuario
scuro
della loro camera da letto s'aprì, familiare e sereno,
davanti ai suoi occhi.
Nel suo stato febbrile, la sensazione di sollievo e pace che lo aveva
guidato
come la sua buona stella fino a Coruscant non si
materializzò come avrebbe
dovuto; invece, un'agghiacciante senso di colpa lo penetrò
nel profondo. Per un
attimo, ebbe la vivace impressione che se Padmé non avesse
aspettato lì sulla
loro veranda, e invece avesse deciso di commettere una sciocchezza e
seguirlo
sul pianeta di fuoco dell'Orlo Esterno, allora qualcosa di
assolutamente
tremendo sarebbe successo. Qualcosa di assolutamente orrendo.
S'affrettò a
scacciar via quelle immagini strane, mentre altre s'affacciavano
indisturbate
alle porte della sua coscienza.
Erano
immagini di
voragini misteriose e oscure, come ferite profonde rese imperscrutabili
dal
sangue coagulato. Erano echi strani che affioravano dalle viscere di
quel
taglio profondo. E c'erano anche delle domande, assieme alle immagini:
la parte
assolutamente peggiore di quel martirio che minacciava di fargli
esplodere la
testa.
Cosa stai
facendo?
E ancora
più
terribile, cosa hai fatto?
Se sua moglie
non
fosse stata lì sarebbe potuto scoppiare a piangere in quel
momento, e
stramazzare a terra, piegato in due come farebbe una donna col cuore
stretto
dal dolore. Tuttavia, Padmé era lì, e lo
abbracciava da dietro, con le braccia
strette attorno alla sua vita e il corpo tutto premuto contro di lui;
gli
accarezzava i capelli, premeva la guancia contro la sua schiena.
Respirava.
Pur
sentendosi
sporco, e indegno di quella tenerezza, la sensazione di
Padmé contro di lui era
troppo piacevole per essere allontanata. Non era l'uomo per eccessive
sdolcinatezze, se non con Padmé: e in quel momento avrebbe
potuto giurare, su
qualsiasi cosa, che non voleva altro dalla vita, null'altro se non sua
moglie.
La donna che
lo
stringeva tra le braccia era il motivo di ogni cosa, la chiave di tutto
quello
che era successo. Se adesso Anakin si trovava sul precipizio
dell'oscurità
senza ritorno (menzogna! Stai già sprofondando, Anakin! Non
mentire anche a te
stesso, sciocco!) era soltanto per quella dea vulnerabile, e per quel
prezioso
carico che portava in grembo e che in quel momento era premuto, caldo,
e
sicuro, contro la sua schiena. Tutto per lei, niente per Anakin. E se
salvare
lei e il loro bambino significava mettere a ferro e fuoco una Galassia,
allora
Anakin lo avrebbe fatto senza esitazioni. Tale era lo stato dissennato
in cui
si trovava per quella donna.
Arrivati al
letto la
baciò nuovamente. Sentendosi accaldato, cercò
disperatamente la pelle fresca
della sua donna; era la pelle più bella del mondo, fresca,
morbida, profumata.
Non era una pelle che sembrava destinata ad esser toccata dal mondo
naturale:
nulla l'avrebbe mai intaccata, nemmeno il sulfureo fetore di Mustafar,
che, da
parte sua, sembrava capace di attaccarsi ad ogni cosa, anche il metallo
e la
carne viva.
Padmé
affondò le mani
nei suoi capelli, giocando con le sue ciocche come le piaceva fare, e
teneva
gli occhi chiusi e la bocca schiusa mentre Anakin le baciava il collo e
cercava
l'orlo della vestaglia per liberare quel corpo meraviglioso dai limiti
della
stoffa ed averlo tutto nelle sue mani, come era e sarebbe sempre stato.
Fu
preceduto da Padmé, che prese il sopravvento in quel
frenetico ritmo di
riconoscimento e gli sfilò la tunica prima che Anakin
potesse la vestaglia;
immediatamente gli baciò il petto nudo e sporco.
D'un tratto,
si
fermò. Con uno stacco netto dal trasporto dell'attimo prima,
passò i
polpastrelli della sua mano destra sopra la sua clavicola e glieli
portò agli
occhi. Erano coperti di una finissima polvere scura. La sporcizia di
Mustafar
gli si era attaccata addosso, gli si era attaccata anche dentro. Si
sentiva
soffocare. Voleva uscire dalla sua pelle e farsene una nuova; quella
che
portava era destinata a rimanere un sudiciume per sempre, e gli stava
afosamente stretta.
-Scusa...
Padmé
abbozzò un
sorriso. -Doccia... Lo prese per mano e lo condusse al loro bagno
Quando
provò ad
accendere la luce dall'interruttore, Anakin la bloccò con un
gesto gentile
della mano. Il buio era riposante e fresco, e nel buio lei non avrebbe
visto il
suo viso sfigurato dalla fatica e dal sangue. Padmé
sembrò capire, perché non
insistè per accendere la luce. Lasciata andare la sua mano,
aprì soltanto la
finestra, lasciando che la luce della luna e della città si
riversasse nella
stanza da bagno e si rifrangesse sul marmo candido di Alderaan e sulla
sua
pelle, che nulla aveva da invidiare al marmo.
Con movimenti
lenti
ed intorpiditi, Anakin si tolse quello che rimaneva dei suoi vestiti ed
entrò
nella vasca da bagno. L'acqua circondò le sue membra stanche
in un abbraccio
tranquillo, come se ogni singola molecola desiderasse spegnere il fuoco
che da
Mustafar ancora continuava a bruciargli la pelle. Quel pianeta di fuoco
non
voleva lasciarlo in pace: sembrava stampato a fuoco sul suo cervello.
Scuotendo
via quel pensiero, dovette riconoscere, immerso nell'acqua della vasca
del suo
bagno, che quella era davvero casa: il luogo in cui la stanchezza
veniva lavata
via, e lui diventava una persona nuova. Era sempre stato
così e lo sarebbe
sempre stato, ne era sicuro, come accadeva durante la guerra, quando
tornava a
casa da Padmé e di quello che un giorno prima era stato un
generale rimaneva un
folle innamorato.
Le mani di
Padmé
iniziarono a detergerlo. Con delicatezza prese ad insaponargli i
capelli. Non
aveva fretta. Era come se quella notte fosse destinata ad allungarsi
all'infinito, e fosse tutta loro per riconoscersi a vicenda. Insaponava
e
sciacquava ciocca per ciocca, avendo cura che nè l'acqua
nè il sapone finissero
negli occhi del marito; Anakin aveva tenuto i capelli lunghi
perché Padmé, un
giorno, gli aveva confessato di amarli a quella lunghezza ("Un po'
lunghi
e un po' no, giusti, insomma", gli aveva scritto in una delle rare
lettere).
Cercò
di concentrarsi
solamente sul tocco silenzioso delle mani di Padmé. Con
gentilezza la moglie
gli bagnava il viso e tracciava i suoi lineamenti con il pollice.
Tracciò le
sopracciglia, le palpebre e le ciglia, discese sul naso e sugli zigomi,
accarezzando e massaggiando insieme. Le guance poi, e per ultimo il
mento; poi
discese giù per il collo e infine sul petto, con entrambe le
mani. Anche Padmé sembrava
aver sentito la mancanza del suo sposo.
Le mani di
Padmé
lavavano la sua pelle, e se si concentrava abbastanza poteva credere
che
lavavano anche il suo animo. Forse era solo una speranza in mezzo al
tormento,
ma Anakin sentiva nettamente che con ogni crosta di fango che
Padmé gli
rimuoveva dalla pelle una crosta di sangue scivolava via dal suo cuore.
Non
sapeva se era una cosa buona o una cosa cattiva, se se la meritasse o
meno;
sapeva però che le croste lasciavano la ferita che avevano
nascosto ancora più
viva, vulnerabile, tenera ed arrossata, come le sbucciature sulle
ginocchia dei
bambini.
Le
sbucciature sulle
ginocchia dei suoi bambini le avrebbe curate tutte lui. Come gli
accadeva
spesso di quei tempi, si lasciò scivolare nel mondo delle
fantasticherie
riguardo il suo bambino: se fosse maschio o femmina, soprattutto.
Padmé si era
rifiutata di scoprire in anticipo il sesso del loro bimbo, adducendo
come
pretesto le usanze che valevano nel suo paese natale; per Anakin era
decisamente una bambina, per Padmé sicuramente un bambino: e
il giudizio
materno ovviamente valeva per due volte quello del padre.
E poi c'erano
dettagli minori, ma non meno promettenti. Si domandava se sarebbe stato
potente
nella Forza come lui, se avrebbe ereditato i suoi riflessi e la sua
destrezza
nel pilotare. Gli sovvenne un'immagine divertente, mutuata da un sogno
che
aveva fatto di recente: c'erano lui e suo figlio (un maschietto di non
più di
sei anni, coi capelli e gli occhi scuri come quelli di
Padmé, un'aria seria e intelligente)
seduto sulle sue ginocchia, e Anakin gli raccontava di esser stato
l'unico
umano della storia ad essere in grado di governare uno sguscio, e di
aver anche
vinto. E il bambino, guardandolo con gli occhi pieni fino all'orlo di
ammirazione per quel gigante che vedeva in suo padre, gli diceva di
voler
essere anche lui un pilota di sgusci.
Il silenzio
confortevole in cui erano calati sembrava destinato a durare per tutta
la
lunghezza di quella notte eterna, ma non fu così. La
realtà sfondò dentro il
bagno con la voce di Padmé che ruppe il silenzio .
-L'altroieri
è venuto
Obi-Wan.
Anakin si
ostinò a
tener chiusi gli occhi.
-Abbiamo
parlato.
Oh, Anakin
era sicuro
che avevano parlato. Una rabbia nera iniziò a sobbollire
quieta dentro di lui.
Chissà quali cose le aveva raccontato il Jedi,
chissà quale piano stava
escogitando in quel momento contro di lui, contro di lei e contro il
loro
bambino...E alla rabbia si unì una rabbia mai sopita. Le
parole di Palpatine,
che sembravano appartenere ad un'altra vita, remota generazioni, gli
ritornarono alla mente.
S'irrigidì.
La mano
di Padmé si fermò sul suo corpo, e poi lo
lasciò.
-Mi ha detto
cose
terribili. Davvero terribili.
Non parlo
più,
aspettando la replica di Anakin.
-Tu gli
credi? -
chiese con semplicità Anakin, cercando di mantenere sotto
controllo la sua
voce. Non intendeva darle nemmeno un appiglio: non un tremore
nell'inflessione,
non un tentennamento. Non era nella sua natura, dopotutto.
-Dimmelo tu
cosa devo
credere.- Le parole di Padmé arrivarono in un sussurro nel
buio del bagno.
Com'era penoso che la donna più sicura di sè di
Coruscant si stesse affidando
totalmente, ciecamente, alle parole di suo marito...
- Non ho
voglia di
parlare di questo argomento adesso, - disse Anakin. -Sono stanco. Non
sai
quanto sono stanco.-
-Io devo
sapere,
Anakin,- disse Padmé con voce più forte, eppure
non riuscendo a nascondere un
vago tremore nella sua intonazione. Plop. La saponetta le
sgusciò dalle mani e
finì in acqua.
-Non ho
voglia di
parlarne, Padmé,- scandì Anakin.
Perché non poteva accettarlo? Non erano stati
bene, in silenzio? A voler parlare non si risolveva mai niente: al
massimo si
creavano altre incomprensioni.
-E non conta
quello
che voglio io?- chiese Padmé. Doveva essere sul punto di
piangere, lo sentiva
dalla voce, ma
ancora Anakin si ostinò a
tenere chiusi gli occhi. Se li teneva chiusi, Padmé non
avrebbe visto il colore
che sapeva stava sostituendo il blu naturale. Il giallo di un Sith, se
ne fosse
stato capace, avrebbe dovuto nasconderlo da lei, non lasciare mai che
vedesse
il colore della sua furia. Non c'era bisogno che Padmé
venisse a conoscenza di
quel nuovo risvolto della vita di suo marito.
- Non ho
intenzione
di litigare anche con te, Padmé, - disse Anakin. - Se vuoi,
puoi andartene. Qui
finisco io. Sei stanca, lo sento. Sai che me ne accorgo sempre. -
- Anakin, per
favore...-
-Va' ti ho
detto! -
gridò Anakin. Involontariamente, la sua mano metallica
affiorò dall'acqua
stretta in un pugno minaccioso. La distese in fretta, sperando che lei
non
avesse visto.
Sentì
Padmé alzarsi e
lasciare la stanza come avrebbe fatto uno spirito notturno, con giusto
il suono
dei passi leggerissimi sul marmo del pavimento.
Non per la
prima
volta, e sicuramente non per l'ultima, Anakin si sentì solo.
Ma questo era un
nuovo tipo di solitudine: non era il beato riposo dei sensi prescritto
dai
Jedi, in cui
Uscì
dalla vasca in
fretta, si asciugò con una tovaglia, chiuse la porta, accese
la luce e si
guardò allo specchio. Di riflesso, due paia di occhi lo
scrutarono.
Erano vuoti,
senza
espressione, ma ancora blu. Non dicevano e non tradivano niente.
Curiosamente,
gli sembravano staccati da sé: come se appartenessero ad un
estraneo.
Se ci fosse
stata una
minima emozione, allora Anakin avrebbe potuto riconoscersi. Ma gli
occhi che lo
fissavano dallo specchio erano morti, non giudicano e non si facevano
giudicare.
Per un
istante ebbe
la pazza idea di guardare via e tenere la coda dell'occhio puntata sul
vetro,
per vedere se anche quel viso e quegli occhi si sarebbero mossi. Poi
una voce
fredda gli entrò nella testa, e gli disse impassibile, stai
diventando pazzo. E
forse era vero.
Si
guardò la mano di
carne. Nella folle fantasia di quei minuti si aspettò di
vederla deturpata dal
fuoco, macchiata di sangue, orribile, così orribile che
Padmé non avrebbe più
voluto sentirla sul suo corpo, nè guardarla, e avrebbe
dovuto coprirla con un
guanto, come quella meccanica.
Quando si
guardò di
nuovo allo specchio gli occhi erano diversi. Adesso nel blu c'era
un'emozione:
il sarcasmo. Quella persona allo specchio si stava prendendo gioco di
lui,
sapeva che stava diventando pazzo! E diventare pazzo sarebbe stata una
giusta
punizione, riflettè Anakin, la punizione migliore,
addirittura. Imprigionarlo
dentro una mente maniaca, che non distingueva più il vero
dal falso, che non
riconosceva più se stessa allo specchio e che
Padmé avrebbe rifiutato, che il
suo stesso bambino avrebbe rifiutato, con un trasporto misto di
compassione e
indifferenza.
Un giovane
pazzo!
Dentro di lui montò il disgusto, spumante, come le onde di
un mare, e come onde
gli lambivano la gola, finché non fu costretto a vomitarlo
tutto fuori. Una
massa liquida, disgustosa come quello che si sentiva dentro, acida nel
sapore,
sulfurea nell'odore: ecco tutto quello che Anakin Skywalker aveva
nell'animo.
Nella bocca
gli
rimaneva il sapore orrendo del vomito, negli occhi iniziarono ad
affollarsi le
sue vittime. E non solo quelle dell'ordine 66, ma tutte le sue vittime.
Tutti
gli occhi a cui aveva tolto la luce per sempre, che se lo meritassero o
meno,
tutte affollarono gli occhi blue vuoti allo specchio, guardandolo come
un
povero pazzo. Non aveva forse provato un perverso piacere
nell'ucciderle? In
guerra non aveva forse provato un'oscena soddisfazione nel vedere il
nemico
piegarsi davanti a lui sotto il colpo splendente della spada?
Ora con lo
stesso
piacere le sue vittime lo guardavano. Non provavano vendetta, erano
oltre il
bene e il male. Lo guardavano mute, ma i loro occhi splendevano di una
rivincita sottile e appagante.
Ogni persona
che
Anakin avesse mai ucciso era stata uccisa con un solo pensiero in
mente. Anche
durante la guerra, ogni nemico morto significava un nemico in meno per
Padmé.
Ogni Separatista eliminato significava un pericolo in meno per
Padmé. La sua
unica motivazione, l'unica luce in fondo all'oscurità che lo
circondava senza
sosta, era sempre stata lei. Che cadessero le città se
significava dare un
mondo sicuro a Padmé, se significava non perderla mai!
Era solo
giusto. Solo
i Jedi non lo avrebbero capito. I Jedi non sapevano cosa significava
amare. Il
loro amore era sospeso in aria, sopra le teste di tutti, e inutile per
tutti. I
Jedi sapevano solo cosa significava chiudersi in meditazione, osservare
il
mondo distaccati, e poi scendere in battaglia, distribuendo giustizia
come
angeli vendicatori. Gli uomini, e Anakin era un uomo, sapevano cosa
significava
sentire che tutto, la vita, futura, presente e passata, che ogni
speranza, ogni
gioia, ogni dolore, ogni sorriso e ogni lacrima, erano racchiuse nel
petto di
una sola persona, e che se quella persona veniva a mancare veniva a
mancare
qualcosa di ben più importante dell'ossigeno o dell'acqua.
Veniva a mancare la
realtà concreta, il sistema di certezze che tiene in piedi
il mondo di un uomo.
Senza la realtà, vivere diventava brancolare nel buio
dell'illusione. No,
Anakin non avrebbe permesso che succedesse qualcosa del genere.
Gli uomini
avrebbero
capito. I Jedi avrebbero storto il naso, come facevano per tutto quello
che non
fosse una vaga astrazione dal mondo degli uomini. I Jedi non avrebbero
mai
capito che Padmé era tutto. Padmé era
Qualunque
cosa lei
avesse voluto, lui gliela avrebbe posta ai suoi piedi. Adesso era in
grado di
darle tutto. Quando sarebbe stato imperatore, le avrebbe posto
Un Sith.
Quel viso
vuoto che
lo fissava allo specchio era un Sith?
Ma ora gli
occhi non
erano più vuoti, brillavano. I morti c'erano ancora.
Ondeggiavano nella nebbia
delle sue lacrime. Ondeggiavano, e sorridevano. Non capivano nemmeno
loro! Non
capivano! Cosa volevano da lui, allora? Gli aveva spiegato il motivo
della loro
morte, come meglio aveva potuto. Era tanto incomprensibile? Significava
che non
avevano mai amato.
I morti
c'erano
ancora, ondeggiavano e sorridevano. Scivolavano sulle sue guance
assieme alle
sue lacrime. Gli dicevano, sei solo un pazzo e cosa hai fatto
C'erano dei
bambini,
tra quei morti. Lo guardavano con gli occhi spalancati, come avevano
fatto un
minuto prima di lasciare il mondo. Si erano aspettati un protettore, e
avevano
trovato il boia. Lo guardavano con gli occhi spalancati e non
sorridevano.
Piangevano. Erano i suoi figli. Oh, era certo che erano i suoi figli.
Erano
tutti i suoi bambini, che piangevano perché lui li aveva
traditi.
Lui aveva
fatto tutto
questo per loro! Perché non lo capivano?
Perché
il suo
riflesso allo specchio non lo capiva?
Cosa hai
fatto?
Cosa hai
fatto?
Cosa hai fatto?
Basta!
urlò
mentalmente Anakin, affondando le mani nei suoi capelli, pronto a
strapparseli
per evitare quelle voci insistenti, quelle voci infantili che
chiedevano altre
giustificazioni, perché non capivano...Doveva uscire da quel
bagno, doveva
allontanarsi da quello specchio, e da quei morti e da quel morto che
era il suo
riflesso.
Col tempo,
avrebbe
smesso di fare incubi a occhi aperti. Era solo naturale che li avesse.
Era
tutto troppo fresco. Sentiva ancora le loro voci nitidissime nelle
orecchie...
Padmé
aspettò che
Anakin ritornasse stesa sul loro letto. Era lì lì
per piangere, ma comprendeva
che in quel momento non sarebbe servito ad altro che ad esasperare il
suo già
agitato marito. Quando aveva sentito dei suoni soffocati venire al
bagno aveva
scelto di non indagare. Quella notte, lo sentiva fin nelle ossa,
sarebbe stato
facile incorrere nell'ira facile di Anakin.
E Anakin
uscì dal
bagno, finalmente, coperto solo da un asciugamano. Si trascinava
lentamente
nell'ombra, come un fantasma, e i suoi passi risuonavano pesantemente
sul
pavimento. Per la prima volta nella sua vita, Padmé
trovò la figura di suo
marito inquietante.
Anakin si
tolse
l'asciugamano e salì sul letto nudo. Si stese sulla schiena
senza dire una
parola e chiuse gli occhi. La sua pelle era ancora umida, e profumava
di
sapone. Quando Padmé posò la mano sul suo braccio
sentì che l'acqua l'aveva
anche ammorbidita.
Quello che
successe
dopo fu un attimo: Anakin posò le sue mani su di lei senza
dire un parola, e
l'avvicinò a sè, non senza gentilezza. I suoi
occhi le chiesero il permesso, ed
erano aperti e tristi e illeggibili, così remoti che
Padmé fu sicura, per un
istante, che Anakin non sarebbe mai più tornato dai viaggi
in cui si stava
perdendo.
Non
potè evitare di
irrigidirsi quando Anakin la baciò, nè
potè evitare di sentire uno sconcertante
disagio quando le sue mani viaggiarono sul suo corpo e si fermarono
sulla sua
pancia gonfia e la pelle tesa, stirata sulla culla del loro bimbo.
Sentire le
smani di Anakin sul suo corpo d'un tratto pareva cosa nuova.
Il bacio si
fece più
urgente in un istante, e poi Padmé non pensò
più. Seppe, in un bagliore di
realizzazione, che quello era Anakin, Anakin certamente, e che lei lo
amava, oh
se lo amava. Lo amava come non aveva mai amato nient'altro e come non
avrebbe
mai amato null'altro. Per lui sarebbe morta, e per lui sarebbe rinata.
Per la prima
volta
nella sua vita, riconoscere di amare Anakin più di quanto
amasse la sua stessa
vita si tinse di cattivi presentimenti.
E.
– 09/05