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Autore: nuria    09/04/2010    2 recensioni
Padmé aspetta. Obi-Wan non arriva su Mustafar. Il destino della Galassia tanto, tanto lontana cambia per sempre. E anche Anakin, l'Eroe Senza Paura, è cambiato - forse per sempre: nella catastrofe della sua vita, Padmé cerca di capire cosa fare per riportare indietro suo marito.
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anakin Skywalker/Darth Vader, Padmè Amidala
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ceneri della Repubblica'
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Solo i morti non ritornano.

-Proverbio inglese

 

Atto I

I.

Il bacio durò finché non ebbero più fiato, e poterono soltanto guardarsi con gli occhi grandi e le bocche mute, disperatamente affamati l'uno dell'altra.

Senza dire una parola, Anakin la guidò su per la scalinata che conduceva alla loro camera da letto, stringendo forte nella sua mano quella di Padmé. Sentiva appena i lembi di seta della vestaglia di lei sfiorare i suoi pantaloni. La sua presenza dietro di lui lo riscaldava molto più dei fuochi di Mustafar; sulla sua anima, Padmé era come il sole gentile che spunta nelle migliori giornate di primavera: carezzevole, mai bruciante.

Il santuario scuro della loro camera da letto s'aprì, familiare e sereno, davanti ai suoi occhi. Nel suo stato febbrile, la sensazione di sollievo e pace che lo aveva guidato come la sua buona stella fino a Coruscant non si materializzò come avrebbe dovuto; invece, un'agghiacciante senso di colpa lo penetrò nel profondo. Per un attimo, ebbe la vivace impressione che se Padmé non avesse aspettato lì sulla loro veranda, e invece avesse deciso di commettere una sciocchezza e seguirlo sul pianeta di fuoco dell'Orlo Esterno, allora qualcosa di assolutamente tremendo sarebbe successo. Qualcosa di assolutamente orrendo. S'affrettò a scacciar via quelle immagini strane, mentre altre s'affacciavano indisturbate alle porte della sua coscienza.

Erano immagini di voragini misteriose e oscure, come ferite profonde rese imperscrutabili dal sangue coagulato. Erano echi strani che affioravano dalle viscere di quel taglio profondo. E c'erano anche delle domande, assieme alle immagini: la parte assolutamente peggiore di quel martirio che minacciava di fargli esplodere la testa.

Cosa stai facendo?

E ancora più terribile, cosa hai fatto? 

Se sua moglie non fosse stata lì sarebbe potuto scoppiare a piangere in quel momento, e stramazzare a terra, piegato in due come farebbe una donna col cuore stretto dal dolore. Tuttavia, Padmé era lì, e lo abbracciava da dietro, con le braccia strette attorno alla sua vita e il corpo tutto premuto contro di lui; gli accarezzava i capelli, premeva la guancia contro la sua schiena. Respirava.

Pur sentendosi sporco, e indegno di quella tenerezza, la sensazione di Padmé contro di lui era troppo piacevole per essere allontanata. Non era l'uomo per eccessive sdolcinatezze, se non con Padmé: e in quel momento avrebbe potuto giurare, su qualsiasi cosa, che non voleva altro dalla vita, null'altro se non sua moglie.

La donna che lo stringeva tra le braccia era il motivo di ogni cosa, la chiave di tutto quello che era successo. Se adesso Anakin si trovava sul precipizio dell'oscurità senza ritorno (menzogna! Stai già sprofondando, Anakin! Non mentire anche a te stesso, sciocco!) era soltanto per quella dea vulnerabile, e per quel prezioso carico che portava in grembo e che in quel momento era premuto, caldo, e sicuro, contro la sua schiena. Tutto per lei, niente per Anakin. E se salvare lei e il loro bambino significava mettere a ferro e fuoco una Galassia, allora Anakin lo avrebbe fatto senza esitazioni. Tale era lo stato dissennato in cui si trovava per quella donna.

Arrivati al letto la baciò nuovamente. Sentendosi accaldato, cercò disperatamente la pelle fresca della sua donna; era la pelle più bella del mondo, fresca, morbida, profumata. Non era una pelle che sembrava destinata ad esser toccata dal mondo naturale: nulla l'avrebbe mai intaccata, nemmeno il sulfureo fetore di Mustafar, che, da parte sua, sembrava capace di attaccarsi ad ogni cosa, anche il metallo e la carne viva.

Padmé affondò le mani nei suoi capelli, giocando con le sue ciocche come le piaceva fare, e teneva gli occhi chiusi e la bocca schiusa mentre Anakin le baciava il collo e cercava l'orlo della vestaglia per liberare quel corpo meraviglioso dai limiti della stoffa ed averlo tutto nelle sue mani, come era e sarebbe sempre stato. Fu preceduto da Padmé, che prese il sopravvento in quel frenetico ritmo di riconoscimento e gli sfilò la tunica prima che Anakin potesse la vestaglia; immediatamente gli baciò il petto nudo e sporco.
 

D'un tratto, si fermò. Con uno stacco netto dal trasporto dell'attimo prima, passò i polpastrelli della sua mano destra sopra la sua clavicola e glieli portò agli occhi. Erano coperti di una finissima polvere scura. La sporcizia di Mustafar gli si era attaccata addosso, gli si era attaccata anche dentro. Si sentiva soffocare. Voleva uscire dalla sua pelle e farsene una nuova; quella che portava era destinata a rimanere un sudiciume per sempre, e gli stava afosamente stretta.

-Scusa...

Padmé abbozzò un sorriso. -Doccia... Lo prese per mano e lo condusse al loro bagno

Quando provò ad accendere la luce dall'interruttore, Anakin la bloccò con un gesto gentile della mano. Il buio era riposante e fresco, e nel buio lei non avrebbe visto il suo viso sfigurato dalla fatica e dal sangue. Padmé sembrò capire, perché non insistè per accendere la luce. Lasciata andare la sua mano, aprì soltanto la finestra, lasciando che la luce della luna e della città si riversasse nella stanza da bagno e si rifrangesse sul marmo candido di Alderaan e sulla sua pelle, che nulla aveva da invidiare al marmo.

Con movimenti lenti ed intorpiditi, Anakin si tolse quello che rimaneva dei suoi vestiti ed entrò nella vasca da bagno. L'acqua circondò le sue membra stanche in un abbraccio tranquillo, come se ogni singola molecola desiderasse spegnere il fuoco che da Mustafar ancora continuava a bruciargli la pelle. Quel pianeta di fuoco non voleva lasciarlo in pace: sembrava stampato a fuoco sul suo cervello. Scuotendo via quel pensiero, dovette riconoscere, immerso nell'acqua della vasca del suo bagno, che quella era davvero casa: il luogo in cui la stanchezza veniva lavata via, e lui diventava una persona nuova. Era sempre stato così e lo sarebbe sempre stato, ne era sicuro, come accadeva durante la guerra, quando tornava a casa da Padmé e di quello che un giorno prima era stato un generale rimaneva un folle innamorato.

Le mani di Padmé iniziarono a detergerlo. Con delicatezza prese ad insaponargli i capelli. Non aveva fretta. Era come se quella notte fosse destinata ad allungarsi all'infinito, e fosse tutta loro per riconoscersi a vicenda. Insaponava e sciacquava ciocca per ciocca, avendo cura che nè l'acqua nè il sapone finissero negli occhi del marito; Anakin aveva tenuto i capelli lunghi perché Padmé, un giorno, gli aveva confessato di amarli a quella lunghezza ("Un po' lunghi e un po' no, giusti, insomma", gli aveva scritto in una delle rare lettere).

Cercò di concentrarsi solamente sul tocco silenzioso delle mani di Padmé. Con gentilezza la moglie gli bagnava il viso e tracciava i suoi lineamenti con il pollice. Tracciò le sopracciglia, le palpebre e le ciglia, discese sul naso e sugli zigomi, accarezzando e massaggiando insieme. Le guance poi, e per ultimo il mento; poi discese giù per il collo e infine sul petto, con entrambe le mani. Anche Padmé sembrava aver sentito la mancanza del suo sposo.

Le mani di Padmé lavavano la sua pelle, e se si concentrava abbastanza poteva credere che lavavano anche il suo animo. Forse era solo una speranza in mezzo al tormento, ma Anakin sentiva nettamente che con ogni crosta di fango che Padmé gli rimuoveva dalla pelle una crosta di sangue scivolava via dal suo cuore. Non sapeva se era una cosa buona o una cosa cattiva, se se la meritasse o meno; sapeva però che le croste lasciavano la ferita che avevano nascosto ancora più viva, vulnerabile, tenera ed arrossata, come le sbucciature sulle ginocchia dei bambini.

Le sbucciature sulle ginocchia dei suoi bambini le avrebbe curate tutte lui. Come gli accadeva spesso di quei tempi, si lasciò scivolare nel mondo delle fantasticherie riguardo il suo bambino: se fosse maschio o femmina, soprattutto. Padmé si era rifiutata di scoprire in anticipo il sesso del loro bimbo, adducendo come pretesto le usanze che valevano nel suo paese natale; per Anakin era decisamente una bambina, per Padmé sicuramente un bambino: e il giudizio materno ovviamente valeva per due volte quello del padre.

E poi c'erano dettagli minori, ma non meno promettenti. Si domandava se sarebbe stato potente nella Forza come lui, se avrebbe ereditato i suoi riflessi e la sua destrezza nel pilotare. Gli sovvenne un'immagine divertente, mutuata da un sogno che aveva fatto di recente: c'erano lui e suo figlio (un maschietto di non più di sei anni, coi capelli e gli occhi scuri come quelli di Padmé, un'aria seria e intelligente) seduto sulle sue ginocchia, e Anakin gli raccontava di esser stato l'unico umano della storia ad essere in grado di governare uno sguscio, e di aver anche vinto. E il bambino, guardandolo con gli occhi pieni fino all'orlo di ammirazione per quel gigante che vedeva in suo padre, gli diceva di voler essere anche lui un pilota di sgusci.

Il silenzio confortevole in cui erano calati sembrava destinato a durare per tutta la lunghezza di quella notte eterna, ma non fu così. La realtà sfondò dentro il bagno con la voce di Padmé che ruppe il silenzio .

-L'altroieri è venuto Obi-Wan.

Anakin si ostinò a tener chiusi gli occhi.

-Abbiamo parlato.

Oh, Anakin era sicuro che avevano parlato. Una rabbia nera iniziò a sobbollire quieta dentro di lui. Chissà quali cose le aveva raccontato il Jedi, chissà quale piano stava escogitando in quel momento contro di lui, contro di lei e contro il loro bambino...E alla rabbia si unì una rabbia mai sopita. Le parole di Palpatine, che sembravano appartenere ad un'altra vita, remota generazioni, gli ritornarono alla mente.

S'irrigidì. La mano di Padmé si fermò sul suo corpo, e poi lo lasciò.

-Mi ha detto cose terribili. Davvero terribili.

Non parlo più, aspettando la replica di Anakin.

-Tu gli credi? - chiese con semplicità Anakin, cercando di mantenere sotto controllo la sua voce. Non intendeva darle nemmeno un appiglio: non un tremore nell'inflessione, non un tentennamento. Non era nella sua natura, dopotutto.

-Dimmelo tu cosa devo credere.- Le parole di Padmé arrivarono in un sussurro nel buio del bagno. Com'era penoso che la donna più sicura di sè di Coruscant si stesse affidando totalmente, ciecamente, alle parole di suo marito...

- Non ho voglia di parlare di questo argomento adesso, - disse Anakin. -Sono stanco. Non sai quanto sono stanco.-

-Io devo sapere, Anakin,- disse Padmé con voce più forte, eppure non riuscendo a nascondere un vago tremore nella sua intonazione. Plop. La saponetta le sgusciò dalle mani e finì in acqua.

-Non ho voglia di parlarne, Padmé,- scandì Anakin. Perché non poteva accettarlo? Non erano stati bene, in silenzio? A voler parlare non si risolveva mai niente: al massimo si creavano altre incomprensioni.

-E non conta quello che voglio io?- chiese Padmé. Doveva essere sul punto di piangere, lo sentiva dalla voce,  ma ancora Anakin si ostinò a tenere chiusi gli occhi. Se li teneva chiusi, Padmé non avrebbe visto il colore che sapeva stava sostituendo il blu naturale. Il giallo di un Sith, se ne fosse stato capace, avrebbe dovuto nasconderlo da lei, non lasciare mai che vedesse il colore della sua furia. Non c'era bisogno che Padmé venisse a conoscenza di quel nuovo risvolto della vita di suo marito.

- Non ho intenzione di litigare anche con te, Padmé, - disse Anakin. - Se vuoi, puoi andartene. Qui finisco io. Sei stanca, lo sento. Sai che me ne accorgo sempre. -

- Anakin, per favore...-

-Va' ti ho detto! - gridò Anakin. Involontariamente, la sua mano metallica affiorò dall'acqua stretta in un pugno minaccioso. La distese in fretta, sperando che lei non avesse visto.

Sentì Padmé alzarsi e lasciare la stanza come avrebbe fatto uno spirito notturno, con giusto il suono dei passi leggerissimi sul marmo del pavimento.

Non per la prima volta, e sicuramente non per l'ultima, Anakin si sentì solo. Ma questo era un nuovo tipo di solitudine: non era il beato riposo dei sensi prescritto dai Jedi, in cui la Forza diventava padrona, e la meditazione raggiungeva nuove conquiste interiori. C'era spazio soltanto per un'ansia misteriosa, e un gelo fino alle ossa. L'acqua all'improvviso era fredda, e dalla finestra entravano soltanto folate gelide. Tutto il calore della stanza se n'era andato via con Padmé.

Uscì dalla vasca in fretta, si asciugò con una tovaglia, chiuse la porta, accese la luce e si guardò allo specchio. Di riflesso, due paia di occhi lo scrutarono.

Erano vuoti, senza espressione, ma ancora blu. Non dicevano e non tradivano niente. Curiosamente, gli sembravano staccati da sé: come se appartenessero ad un estraneo.

Se ci fosse stata una minima emozione, allora Anakin avrebbe potuto riconoscersi. Ma gli occhi che lo fissavano dallo specchio erano morti, non giudicano e non si facevano giudicare.

Per un istante ebbe la pazza idea di guardare via e tenere la coda dell'occhio puntata sul vetro, per vedere se anche quel viso e quegli occhi si sarebbero mossi. Poi una voce fredda gli entrò nella testa, e gli disse impassibile, stai diventando pazzo. E forse era vero.

Si guardò la mano di carne. Nella folle fantasia di quei minuti si aspettò di vederla deturpata dal fuoco, macchiata di sangue, orribile, così orribile che Padmé non avrebbe più voluto sentirla sul suo corpo, nè guardarla, e avrebbe dovuto coprirla con un guanto, come quella meccanica.

Quando si guardò di nuovo allo specchio gli occhi erano diversi. Adesso nel blu c'era un'emozione: il sarcasmo. Quella persona allo specchio si stava prendendo gioco di lui, sapeva che stava diventando pazzo! E diventare pazzo sarebbe stata una giusta punizione, riflettè Anakin, la punizione migliore, addirittura. Imprigionarlo dentro una mente maniaca, che non distingueva più il vero dal falso, che non riconosceva più se stessa allo specchio e che Padmé avrebbe rifiutato, che il suo stesso bambino avrebbe rifiutato, con un trasporto misto di compassione e indifferenza.

Un giovane pazzo! Dentro di lui montò il disgusto, spumante, come le onde di un mare, e come onde gli lambivano la gola, finché non fu costretto a vomitarlo tutto fuori. Una massa liquida, disgustosa come quello che si sentiva dentro, acida nel sapore, sulfurea nell'odore: ecco tutto quello che Anakin Skywalker aveva nell'animo.

Nella bocca gli rimaneva il sapore orrendo del vomito, negli occhi iniziarono ad affollarsi le sue vittime. E non solo quelle dell'ordine 66, ma tutte le sue vittime. Tutti gli occhi a cui aveva tolto la luce per sempre, che se lo meritassero o meno, tutte affollarono gli occhi blue vuoti allo specchio, guardandolo come un povero pazzo. Non aveva forse provato un perverso piacere nell'ucciderle? In guerra non aveva forse provato un'oscena soddisfazione nel vedere il nemico piegarsi davanti a lui sotto il colpo splendente della spada?

Ora con lo stesso piacere le sue vittime lo guardavano. Non provavano vendetta, erano oltre il bene e il male. Lo guardavano mute, ma i loro occhi splendevano di una rivincita sottile e appagante.

Ogni persona che Anakin avesse mai ucciso era stata uccisa con un solo pensiero in mente. Anche durante la guerra, ogni nemico morto significava un nemico in meno per Padmé. Ogni Separatista eliminato significava un pericolo in meno per Padmé. La sua unica motivazione, l'unica luce in fondo all'oscurità che lo circondava senza sosta, era sempre stata lei. Che cadessero le città se significava dare un mondo sicuro a Padmé, se significava non perderla mai!

Era solo giusto. Solo i Jedi non lo avrebbero capito. I Jedi non sapevano cosa significava amare. Il loro amore era sospeso in aria, sopra le teste di tutti, e inutile per tutti. I Jedi sapevano solo cosa significava chiudersi in meditazione, osservare il mondo distaccati, e poi scendere in battaglia, distribuendo giustizia come angeli vendicatori. Gli uomini, e Anakin era un uomo, sapevano cosa significava sentire che tutto, la vita, futura, presente e passata, che ogni speranza, ogni gioia, ogni dolore, ogni sorriso e ogni lacrima, erano racchiuse nel petto di una sola persona, e che se quella persona veniva a mancare veniva a mancare qualcosa di ben più importante dell'ossigeno o dell'acqua. Veniva a mancare la realtà concreta, il sistema di certezze che tiene in piedi il mondo di un uomo. Senza la realtà, vivere diventava brancolare nel buio dell'illusione. No, Anakin non avrebbe permesso che succedesse qualcosa del genere.

Gli uomini avrebbero capito. I Jedi avrebbero storto il naso, come facevano per tutto quello che non fosse una vaga astrazione dal mondo degli uomini. I Jedi non avrebbero mai capito che Padmé era tutto. Padmé era la Galassia, il cielo, le stelle, i soli, i pianeti, gli edifici, i prati, i laghi. Il loro bambino era ciò che di più puro e giusto ci fosse in seno a quell'Universo caotico e belligerante. Non era giusto allora difendere tutto questo? Non era un uomo, e Anakin era un uomo, assolutamente obbligato a difendere tutto questo, qualunque fosse il prezzo da pagare? 

Qualunque cosa lei avesse voluto, lui gliela avrebbe posta ai suoi piedi. Adesso era in grado di darle tutto. Quando sarebbe stato imperatore, le avrebbe posto la Galassia ai suoi piedi. Tutto per la sua regina, niente per il re. Padmé avrebbe imparato ad amare anche questo nuovo lato del suo carattere. Avrebbe scordato quelle frottole da Jedi, avrebbe apprezzato la millenaria storia dei Sith.

Un Sith.

Quel viso vuoto che lo fissava allo specchio era un Sith?

Ma ora gli occhi non erano più vuoti, brillavano. I morti c'erano ancora. Ondeggiavano nella nebbia delle sue lacrime. Ondeggiavano, e sorridevano. Non capivano nemmeno loro! Non capivano! Cosa volevano da lui, allora? Gli aveva spiegato il motivo della loro morte, come meglio aveva potuto. Era tanto incomprensibile? Significava che non avevano mai amato.

I morti c'erano ancora, ondeggiavano e sorridevano. Scivolavano sulle sue guance assieme alle sue lacrime. Gli dicevano, sei solo un pazzo e cosa hai fatto

C'erano dei bambini, tra quei morti. Lo guardavano con gli occhi spalancati, come avevano fatto un minuto prima di lasciare il mondo. Si erano aspettati un protettore, e avevano trovato il boia. Lo guardavano con gli occhi spalancati e non sorridevano. Piangevano. Erano i suoi figli. Oh, era certo che erano i suoi figli. Erano tutti i suoi bambini, che piangevano perché lui li aveva traditi.

Lui aveva fatto tutto questo per loro! Perché non lo capivano?

Perché il suo riflesso allo specchio non lo capiva?

Cosa hai fatto?

Cosa hai fatto?

Cosa hai fatto?

Basta! urlò mentalmente Anakin, affondando le mani nei suoi capelli, pronto a strapparseli per evitare quelle voci insistenti, quelle voci infantili che chiedevano altre giustificazioni, perché non capivano...Doveva uscire da quel bagno, doveva allontanarsi da quello specchio, e da quei morti e da quel morto che era il suo riflesso.

Col tempo, avrebbe smesso di fare incubi a occhi aperti. Era solo naturale che li avesse. Era tutto troppo fresco. Sentiva ancora le loro voci nitidissime nelle orecchie...

 

 

 

Padmé aspettò che Anakin ritornasse stesa sul loro letto. Era lì lì per piangere, ma comprendeva che in quel momento non sarebbe servito ad altro che ad esasperare il suo già agitato marito. Quando aveva sentito dei suoni soffocati venire al bagno aveva scelto di non indagare. Quella notte, lo sentiva fin nelle ossa, sarebbe stato facile incorrere nell'ira facile di Anakin.

E Anakin uscì dal bagno, finalmente, coperto solo da un asciugamano. Si trascinava lentamente nell'ombra, come un fantasma, e i suoi passi risuonavano pesantemente sul pavimento. Per la prima volta nella sua vita, Padmé trovò la figura di suo marito inquietante.

Anakin si tolse l'asciugamano e salì sul letto nudo. Si stese sulla schiena senza dire una parola e chiuse gli occhi. La sua pelle era ancora umida, e profumava di sapone. Quando Padmé posò la mano sul suo braccio sentì che l'acqua l'aveva anche ammorbidita.

Quello che successe dopo fu un attimo: Anakin posò le sue mani su di lei senza dire un parola, e l'avvicinò a sè, non senza gentilezza. I suoi occhi le chiesero il permesso, ed erano aperti e tristi e illeggibili, così remoti che Padmé fu sicura, per un istante, che Anakin non sarebbe mai più tornato dai viaggi in cui si stava perdendo.

Non potè evitare di irrigidirsi quando Anakin la baciò, nè potè evitare di sentire uno sconcertante disagio quando le sue mani viaggiarono sul suo corpo e si fermarono sulla sua pancia gonfia e la pelle tesa, stirata sulla culla del loro bimbo. Sentire le smani di Anakin sul suo corpo d'un tratto pareva cosa nuova. 

Il bacio si fece più urgente in un istante, e poi Padmé non pensò più. Seppe, in un bagliore di realizzazione, che quello era Anakin, Anakin certamente, e che lei lo amava, oh se lo amava. Lo amava come non aveva mai amato nient'altro e come non avrebbe mai amato null'altro. Per lui sarebbe morta, e per lui sarebbe rinata.

Per la prima volta nella sua vita, riconoscere di amare Anakin più di quanto amasse la sua stessa vita si tinse di cattivi presentimenti.

~*~

 

E. – 09/05

  
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