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Autore: Zebraviola    09/04/2010    2 recensioni
Un dono o una maledizione? Una semplice ragazza. Un dono particolare. Una vita che di banale non ha nulla.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3.La forza della vita

3. La forza della vita

Tre mesi. Può tutta una vita essere rinchiusa in soli tre mesi? 90 giorni, 2160 ore, 129600 minuti. Passai un'ora con la calcolatrice in mano continuando a moltiplicare e moltiplicare e moltiplicare... cercando i trovare una falla, un errore che mi dicesse che i conti erano sbagliati, che restava più tempo.
Ma il risultato implacabile rimaneva lo stesso.
Quella sera in cucina rimarrà marchiata a fuoco nella mia mente; ricordo tutt'ora ogni singolo istante, ogni singolo gesto, ogni singola rughetta sul volto appena quarantacinquenne di mio padre.
Il primo mese scorse tranquillo, niente sembrava cambiato.
Io ripresi la mia vita con il tran tran quotidiano tra scuola e amiche.
C'era però un sostanziale cambiamento; il mio “dono” se ne era andato, così com'era venuto, un giorno di mal di testa e di vociare continuo fino al silenzio totale.
Questa cosa mi parve strana, ma rappresentava una liberazione troppo agognata per non gioirne.
Il secondo mese iniziò male; durante la prima settimana papà stette male. Io non ero in casa, mi trovavo a casa di Joulse per festeggiare il suo compleanno. Diciassette anni.
Il mio cellulare squillò proprio mentre stavamo cantando “Tanti Auguri a Te”.
  • Mamma? -
  • Emily, puoi venire a casa?-
la voce suonava spenta, come se fosse svuotata. Questo mi fece drizzare le orecchie e orientarle verso la verità a cui almeno per un pomeriggio avevo deciso di non pensare.
  • E' successo qualcosa mamma?-
  • Papà... si è sentito male. È appena andato via il dottore. Vieni a casa ti prego.-
Non mi serviva altro. Salutai velocemente le mie amiche e diedi un abbraccio a Joulse, dicendole che l'avrei chiamata in serata per raccontarle tutto.
Non credo di aver corso mai così tanto e così in fretta.
Impiegai poco più di dieci minuti per arrivare davanti al cancelletto del mio giardino; mi fermai per riprendere fiato.
Forza Emi... ce la puoi fare! Adesso un respirone e poi entri.
Aprii il cancelletto bianco e mi diressi verso la porta di casa che fu prontamente spalancata da mia madre che mi abbracciò. Stava piangendo silenziosamente.
La abbracciai d'istinto, lasciando cadere la borsa per terra. Chiusi gli occhi mentre le accarezzavo la testa e le sussurravo che sarebbe andato tutto bene.
Lei mi guardò negli occhi cercando una spiegazione che non ero pronta a darle, chiedendomi tacitamente come mai io sapessi della situazione, come mai fossi così calma.
  • Vieni mamma, andiamo in sala.-
La presi per mano portandola sul divano color verde pisello. Mi venne un sorrisetto ripensando al momento in cui io, piccola bimba di cinque anni, mi ero imposta al negozio perchè volevo quel colore li. Mi ero messa anche a piangere perchè mia mamma preferiva un orrendo color albicocca. Mio padre alla fine mi aveva preso in braccio dicendomi che se piaceva a me allora avremmo preso quello verde.
Dopo dodici anni mia mamma ancora si lamentava di quanto stesse male quel colore nel nostro salotto... ma non penso che in quel momento la situazione sarebbe stata diversa se fosse stato color albicocca.
Abbracciai mia mamma, lasciandola sfogare... è tremenda una madre che piange, nessun figlio vorrebbe vederla.
  • Mamma ti prego... non fare così-
  • E dimmi cosa dovrei fare? Come dovrei fare?-
  • Papà non vorrebbe questo...-
  • Sta morendo... cosa farò senza di lui? Senza il mio George?-
  • Andrai avanti amore mio...-
Fu mio padre a parlare, sulle scale. Aveva sentito tutto ovviamente. Mia madre alzò gli occhi dal mio abbraccio posandoli su di lui.
  • Andrai avanti e non sarai mai sola... Mi rendo conto che sembrano le classiche frasi da film strappalacrime ma è vero. Forse non ci sarò io accanto a te ma abbiamo tre splendide figlie che non ti abbandoneranno mai.-
Disse queste parole avanzando, fino a sedersi sul divano, accanto a mia mamma.
  • Perchè non me lo hai detto prima?-
  • Non volevo fartelo pesare amore... anche per me non è facile dire addio a te, a voi...-
  • E credi sia stato meglio così? Venire a saperlo da un dottore? Da un estraneo?-
  • Sempre meglio di come l'ho scoperto io...-
Intervenni titubante, decisa a raccontarle dello strano episodio di cui ero stata protagonista.
Quando mia sorella Filly entrò in casa ci trovò abbracciati tutti e tre su quell'orrendo divano verde.
Quella sera, dopo cena, ci trovammo intorno al tavolo noi quattro, dopo aver messo a letto Jade.
Mio padre raccontò per filo e per segno ogni cosa, dal momento del primo sintomo fino a quel giorno. Mia sorella pianse. Molto. E mia madre con lei. Erano ormai le quattro quando finalmente tutti si erano calmati. La cioccolata calda stava scorrendo a fiumi accompagnata da montagne di panna.
  • sappiate che non voglio un funerale triste. Mi deprimerei ancora di più se vi vedessi tristi! Posso osare qualche richiesta?-
Mio malgrado scoppiai a ridere! Voleva pure dettare condizioni sul suo funerale? Sarà stata l'ora, sarà stata la cioccolata, sarà stata la panna... ma scoppiammo tutti a ridere.
  • E sentiamo, che richieste vorresti porre?-
  • Innanzitutto il nero mi fa schifo! Quindi vorrei che nessuno lo indossasse.-
  • E che colore invece ti aggrada?- feci io allora
  • Uhm direi che tutti gli altri vanno bene ma se ne devo scegliere uno dire l'azzurro.-
  • Azzurro eh? Si potrebbe fare.-
Mia madre emise un sospiro, ormai rassegnata al triste destino. Si alzò mettendo le tazze nel lavandino per poi aprire l'acqua calda e lasciarla scorrere.
  • Come vuoi tu, George... come vuoi tu.-
Poche parole che però bastarono a tutti per capire che lei avrebbe fatto qualsiasi cosa per far si che quel giorno fosse come lui lo voleva, esattamente come in vent'anni di matrimonio aveva fatto ogni cosa possibile per renderlo felice. Mio padre si alzò dalla sedia e la abbracciò da dietro, sussurrandole dolci parole all'orecchio. Riuscii a scorgere un leggero sorriso affacciarsi sul viso triste e stanco di mia madre.
  • Ah! Un'altra cosa..- disse di colpo girandosi verso il tavolo e indicandomi con il dito.
  • Dimmi papi-
  • Mi piacerebbe che tu cantassi, lo sai che io adoro la tua voce e vorrei che allietasse anche il mio funerale.-
Ogni volta che pronunciava la parola funerale mi veniva un groppo in gola ma non potevo piangere, gli avevo promesso che sarei stata forte, almeno io.
  • Va bene, te lo prometto.-
Mia madre finì di lavare le tazze e dopo averle messe nello scolapiatti decise che era ora di andare a riposare almeno un po'.
Era il 7 aprile. Dopo esattamente due settimane, in barba ai medici che gli davano ancora più di un mese abbondante di vita, mio padre morì.
Il funerale fu organizzato per domenica 22 aprile, alle tre del pomeriggio.
Quella mattina la casa si svegliò silenziosa, ormai nessuno di noi aveva più lacrime da versare e sapevamo che lui ci avrebbe castigato se avessimo osato piangere.
La prima ad alzarsi fu mia mamma che preparò i pancake per colazione. Quando arrivai in cucina la trovai ai fornelli, con il grembiule bianco con tanti dolci ricamati sopra, che faceva saltare i pancake nella padella, con un lieve sorriso che sapeva molto di malinconia.
Erano buoni i pancake della mamma, piacevano un sacco anche a papà, penso che fosse per quel motivo che li aveva preparati.
Subito dopo giunse Filly con in braccio Jade che dopo aver annusato l'aria disse esultante:
  • Pancake!-
Fu una colazione strana. Nonostante le circostanze “particolari”, fu la colazione più serena degli ultimi tempi.
Alle dieci doveva arrivare mia zia Clara da Londra insieme alla famiglia. Erano già le nove e quindi ci andammo subito a vestire.
Nella mail che mia mamma aveva inviato a tutti aveva espressamente detto di non vestirsi di nero, ma di preferire qualsiasi capo di vestiario che fosse molto colorato.
Jade entrò di corsa nella mia camera, stupenda nel suo vestitino di raso e tulle color turchese con tanti fiorellini bianchi ricamati sulla gonna.
  • Milly sei in ritardo! Sei ancora in mutande!-
  • Jade! Dai esci che adesso finisco di prepararmi.-
  • Posso stare qui?-
  • Va bene, ma fai la brava.-
La guardai arrampicarsi sul letto prima di girarmi nuovamente verso il vestito appeso alla stampella di fronte a me. Era un vestito azzurro pastello, di seta, con una stampa giapponese con un ciliegio in fiore. Me lo avevano regalato i miei genitori al mio compleanno, l'estate passata. Avrei sicuramente avuto freddo ma ci tenevo particolarmente ad indossare proprio quel vestito.
Lo indossai, fissandomi allo specchio.
  • Stai benissimo Milly!-
Disse Jade sorridendomi. Le sorrisi di rimando prima di indossare i sandali e la pashmina, entrambi bianchi.
Scesi in salotto giusto in tempo per vedere mia madre aprire la porta per far entrare mia zia Clara e mio zio Johnatan. Li abbracciai dolcemente mentre loro mi facevano le condoglianze.
  • Niente condoglianze zia, papà non le vorrebbe. Ma... dov'è David? Non è venuto?-
chiesi guardando la porta che si era appena chiusa dietro le loro spalle. David è mio cugino, anche se non siamo propriamente cresciuti insieme ci siamo sempre voluti molto bene, giocavamo sempre insieme quando andavo a trovarli a Londra o quando passavamo le estati insieme sul Derwentwater, uno dei laghi del Lake District. La mia famiglia ha una casa li da molto tempo, e le nostre due famiglie passano sempre le estati insieme su quel lago.
  • No tranquilla, è andato solo a comprare le sigarette per tuo zio, arrivano subito.-
  • Arrivano?-
  • Si, non te l'ha detto Audrey? È venuto anche un amico di David che sta da noi per questi giorni.-
  • Ah no, mia mamma si è dimenticata. Ok allora li aspetto.-
Mi defilai in cucina per bere qualcosa, afferrai la bottiglia di acqua menta e il mio bicchiere preferito viola di vetro soffiato. Mentre stavo mettendo il bicchiere nel lavabo vidi mio cugino e il suo amico avanzare nel vialetto.
Rimasi colpita dal nuovo arrivato. Era più alto di David, il che voleva dire che era alto almeno 1,85, aveva i capelli riccioli neri. Molto elegante con un completo color panna e la camicia azzurra.
Avanzavano ridendo tra di loro. Non riuscivo a levargli gli occhi di dosso. Poi ad un tratto il ragazzo alzò gli occhi verso la finestra e mi vide chinandosi poi verso David che guardò nella mia direzione agitando la mano.
Sorrisi correndo verso la porta spalancandola; mi trovai davanti mio cugino e lo abbracciai stretto. Era un bel po' che non lo vedevo.
  • Ehi scricciola, come stai? Mi dispiace molto per lo zio.-
  • Non ti preoccupare Dave, va tutto bene.-
Continuai ad abbracciarlo finchè non ricordai del suo amico e mi districai dall'abbraccio per presentarmi.
  • Piacere io sono Emily.-
  • Piacere mio, io mi chiamo Gabriel. Mi dispiace solo di averti conosciuta in queste circostanze.-
Gabriel, così si chiamava. Mentre gli stringevo la mano riuscii a vedere i suoi occhi, di un verde brillante.
  • Oh non ti preoccupare! Volete qualcosa da bere?-
Li portai in cucina e li feci accomodare servendogli poi del succo di frutta.
Parlammo per un bel po', scoprii così che i due andavano in classe insieme e che i genitori di Gabriel erano partiti per una crociera, una seconda luna di miele, lasciando lui dai miei zii per due settimane.
L'ora del pranzo arrivò fin troppo presto, seguita a ruota dall'ora X.
La chiesa era molto raccolta, non conteneva più di trenta persone. Tutti, notai con piacere, indossavano vestiti non neri, principalmente colori pastello, i più arditi erano vestiti di rosso.
Mi sedetti insieme a mia madre e alle mie sorelle nel primo banco aspettando il mio turno di parlare.
L'inizio fu abbastanza pesante, le parole del parroco parvero macigni, intristendo gli animi dei presenti. A mia madre scappò più di una volta qualche lacrima, nonostante si fosse promessa di non piangere.
Finalmente arrivò il mio turno di salire all'altare. Il mio passo non era molto fermo ma avanzai a testa alta verso l'ambone. Due passi, un passo. Un respiro.
  • Buon pomeriggio a tutti, vi ringrazio a nome della mia famiglia di aver preso parte a questa funzione... un po' inusuale. Ma del resto George Queen non è mai stata una persona banale; ha sempre cercato di distinguersi in ogni modo possibile. È stato un medico eccezionale, sempre pronto ad ascoltare i pazienti anche quando questi di malato non avevano nulla.
    Dopo aver conosciuto mia madre il resto del genere femminile ha smesso di esistere, ovviamente questo esclude me e le mie sorelle. Infatti se c'è una cosa che ha fatto meglio di essere un marito devoto è stato essere un padre unico nel suo genere, condannato a vivere in una famiglia di sole donne. Ricordo ancora quando mia madre era incinta di Jade... lui fino all'ultimo sperava fosse un maschio, diceva sempre che gli avrebbe insegnato a pescare, cosa che sia io che Felicity, purtroppo, ci siamo sempre rifiutate di imparare.
    Quando scoprì che era un'altra femmina ricordo che mi disse “pazienza, sarà per la prossima volta”. Purtroppo non ci sarà un'altra volta... ma papà non ti preoccupare, ti prometto che imparerò io a pescare e poi lo insegnerò a Jade.
    Dicevo, era un uomo inusuale. Anche il fatto che oggi non indossate il nero dipende da lui. Mi fece sorridere quando ce lo chiese, anzi ce lo impose. Pensai “ma che egoista, non solo ci vuole lasciare ma pretende pure di dettare condizioni”.-
La mia voce si incrinò, ma dovevo resistere. Volsi lo sguardo alle persone davanti a me incontrando quello di Joulse che mi sorrise incoraggiante. Le avevo promesso che non avrei pianto e non piansi.
  • E' stato egoista si... ma chi eravamo noi per dire di no? Dopo anni che lui non riusciva a dire di no a me questo è il minimo. Ricordo ancora una volta che ci trovavamo tutti insieme ad un Luna Park e io mi ero impuntata che volevo lo zucchero filato. Mia madre non voleva perchè avevo già mangiato un gelato e una granita, ma io non volevo sentir ragioni. Mi impuntai finchè mio papà, prendendosi una bella lavata di capo da mia madre, non mi comprò lo zucchero filato.
    Ovviamente poi stetti malissimo. Ricordo ancora le parole che mio papà mi disse: “bisogna accontentarsi.” Non so se ho imparato ad accontentarmi, l'unica cosa che è certa è che non ho più voluto mangiare lo zucchero filato.-
Sentii delle piccole risatine provenire da alcuni dei presenti, soprattutto mia madre che sorrise al ricordo di una piccola Emily di sette anni che faceva una scenata in mezzo al Luna Park.
  • Adesso però è arrivato il momento di soddisfare l'ultima delle richieste che mi ha mosso il mio inusuale padre. Come sapete era un grande amante di Mozart e da quando mi chiese di cantare qualcosa al suo funerale ho continuato a pensare a cosa avrei potuto cantare.
    Se mia madre mi accompagna all'organo adesso canterò l'Ave Verum di Mozart.-
mia madre si alzò dal suo posto e si diresse verso l'organetto.
Per te papà, solo per te. Pensai solo questo prima di chiudere gli occhi e cominciare a cantare. Ogni nota era intrisa di amore, dolore, dolcezza, amarezza, gioia, frustrazione... tutte le emozioni che si erano accumulate durante l'ultimo periodo confluirono nella mia voce, infondendo a delle semplici note delle sfumature che non sarei mai più riuscita a riprodurre.
Quando l'ultima nota dell'organo chiuse il pezzo dai banchi si levò un applauso. Vidi i volti sorridenti dei miei familiari, quelli commossi del resto dei presenti... perfino il volto di mio padre sulla gigantografia accanto alla bara bianca mi parve più sorridente di prima.
Alla fine della funzione il prete ci ha ringraziato, dicendoci che non aveva mai assistito a un funerale così ricco di positività e di speranza.
Ci trasferimmo tutti a casa mia dove mia madre aveva allestito un piccolo rinfresco. Dopo aver preso un bicchiere colmo di aranciata mi diressi verso il giardino, sedendomi sulla panchina di marmo bianco posta sotto il ciliegio.
  • Oh, un fiore tra i fiori!-
Alzai gli occhi verso mio cugino che stava arrivando verso di me insieme al suo affascinante amico. Si avevo deciso che era affascinante! Non avevo mai avuto grandi amori, nemmeno medi amori. A dir la verità nemmeno piccoli amori. Sempre amori non corrisposti, l'ultimo un mio compagno di classe che mi trattava malissimo e ancora non capivo come aveva fatto a piacermi uno stronzo così grande.
Decisi che Gabriel poteva essere l'ennesimo mio amore non corrisposto. Cominciavo seriamente a pensare che lo facessi apposta a tenermi la mente occupata con ragazzi impossibili, come se ci trovassi gusto a soffrire.
Comunque in quel momento la mia nuova pseudo cotta si sedette alla mia destra e mio cugino alla mia sinistra.
  • Proprio un fiore tra i fiori.-
  • Si può sapere cosa stai dicendo Dave?-
chiesi sorridendo.
  • C'è che hai un vestito con un albero di ciliegio in fiore e sei sotto un albero di ciliegio in fiore.-
  • Mmmm ok... cos'hai preso?-
Gabriel scoppiò a ridere davanti all'espressione di mio cugino che sembrava indispettito.
  • Dai Dave sto scherzando!-
  • Si Dave sta scherzando!-
Disse lui, rimarcando sul nomignolo che io gli avevo affibbiato quando eravamo piccoli.
  • Emi quante volte ti ho detto di non chiamarmi Dave?-
  • Solo un migliaio cuginetto caro, troppo poche!-
David si alzò con le mani verso l'alto, inveendo contro qualche divinità sconosciuta per poi comunicarci che andava a prendere qualcosa da bere in casa.
Rimanemmo soli, su quella panchina, io e il mio angelo Gabriel.
  • Sai che canti proprio bene?-
Esordì lui, rompendo il silenzio che si era creato.
  • Davvero? Mi è sempre piaciuto cantare ma è solo una cosa sporadica. Tu sei esperto?-
  • Più o meno. A Londra canto come tenore nel Westminster Choir.-
Disse con un leggero tono orgoglioso. E lo capivo. Cantare in quel coro è qualcosa di unico, la Abbazia stessa è una cosa unica. Per entrare a farne parte bisogna sostenere un esame, prima con il direttore e poi di fronte a tutto il coro.
  • Beato te, se abitassi a Londra mi piacerebbe tentare...-
  • Se abitassi a Londra entreresti di sicuro!-
Fu poco più di un complimento, ma arrossii come se mi avesse detto che ero bellissima.
Non riuscii a rispondere perchè David tornò con in mano due bicchieri di birra, porgendone uno a Gabriel. Dietro di lui apparve anche Joulse che si sedette accanto a me abbracciandomi.
  • Sei stata grandiosa oggi pomeriggio. Io non sono stata altrettanto coraggiosa...-
Le parole della mia migliore amica erano dolci, ricche di affetto e comprensione. L'anno prima era morto suo padre, investito da un pirata della strada; fu un giorno tristissimo e io le stetti accanto in ogni modo possibile. La strinsi a me dandole un bacio sui capelli sorridendo tristemente ai due ragazzi che ci guardavano senza parlare, rispettosi del momento che pareva quasi solenne.
Passammo un'ora buona a parlare del più e del meno quando fummo interrotti da mia madre che voleva fare un annuncio.
Ci trasferimmo nel salotto dove ci fece accomodare sul divano verde.
  • Allora... quello che devo comunicarvi non è una cosa facile. Come sapete io e George ci siamo trasferiti qui non appena sposati e per quanto questo paesino sia stato importante per me, per noi, credo sia giunto il momento di cambiare.- fece una pausa cercando di andare avanti.
  • Mamma? Cosa stai dicendo?-
  • Sto dicendo che Clara mi ha detto che gli affittuari dell'appartamento sopra il suo se ne sono andati e io ho pensato che la City fosse pronta per noi.
    Sto dicendo che ci trasferiamo a Londra.-
La guardai allibita per poi sedermi sul divano continuando a fissarla.

Zebrotta's Corner

Mi rendo conto che sono in ritardo, tremendamente in ritardo. per farmi perdonare questo capitolo è molto lungo, il doppio degli altri. Questo perchè ho messo insieme due parole creando un capitolo lungo e  ricco di eventi e di emozioni.

Le parole che ho unito sono Amore e Musica. 

Amore per un padre scomparso, ma anche per l'affacciarsi di questo sentimento verso Gabriel. il suo angelo salvatore. 

Musica per il canto di Emily e questa sua passione che si scopre adesso.

Spero che mi sia piaciuto, vi prego lasciate un commentino!

Alla prossima!

   
 
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