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Autore: Zebraviola    16/03/2010    1 recensioni
Un dono o una maledizione? Una semplice ragazza. Un dono particolare. Una vita che di banale non ha nulla.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2. cioccolata amara


Stavo correndo.

Altissime pareti di roccia delimitavano lo stretto sentiero che costituiva la gola del burrone. Alzai gli occhi verso il sole, ormai alto nel cielo, che picchiava furiosamente. Nessun albero o caverna per ripararmi,potevo solo procedere dritta con la speranza che i miei inseguitori si stancassero prima di me.

Sentivo alle mie spalle gli sciacalli che guadagnavano terreno, implacabili nella loro caccia.

Percepivo il loro fiato sul mio collo, i loro denti trasmutati in spaventosi ghigni all'odore della mia paura.

Correvo senza fermarmi, senza più fiato, solo con la consapevolezza che se mi fossi arresa, se solo mi fossi fermata a riposare, per me sarebbe stata la fine.

Poi all'orizzonte apparve un'alta figura. Man mano che mi avvicinavo riuscii a distinguerne maggiormente i tratti finché non prese le sembianze di mio padre.

Papà... con gli ultimi residui di fiato cominciai ad invocare il suo nome come una preghiera.

Lui mi avrebbe protetta, come sempre aveva fatto nella mia vita. Lui mi avrebbe salvato dagli sciacalli.

Meno di tre metri ci dividevano quando ad un tratto lo vidi svanire, lasciando solo una frase dietro di se. “Mi dispiace, non sapevo come dirtelo.” Mi aveva abbandonata.

Esanime crollai al suolo, senza la forza nemmeno di piangere, aspettando i miei aguzzini che pronti mi saltarono alla gola.

------


Mi svegliai. Senza lacrime. Senza urla. Semplicemente aprii gli occhi.

Quello era solo l'ultimo di una serie di incubi che affollavano le mie notti tormentate nell'ultima settimana.

Decisamente non era stata una settimana facile.

Il giorno seguente alla famosa cena mi alzai talmente spossata dal pianto notturno e triste da apparire febbricitante agli occhi ansiosi di una mamma medico. Mia madre mi spedì a letto etichettandomi come “influenzata”.

Quanto avrei voluto aver solo una semplice influenza.

Passai la giornata nel letto, chiusa in camera. Non volli nemmeno vedere Joulse quando venne a trovarmi quel pomeriggio.

Saltai il pranzo. E la cena.

La giornata seguente scorse identica alla precedente, mia madre non uscì nemmeno per andare a lavorare talmente era preoccupata.

-Emy non puoi continuare a restare a letto per tutto il giorno.- Esordì Felicity entrando in camera come un tornado.

-Almeno mangia qualcosa!- Aggiunse mia madre giunta subito dopo con Jade in braccio.

-Non ho fame mamma...- non alzai nemmeno lo sguardo mantenendolo fisso sul poster del musical Mamma Mia! appeso vicino al letto.

Emy ma cos'hai tesoro? Così i fai preoccupare seriamente.

Strinsi gli occhi per non far notare a mia madre il dolore che sapevo li aveva attraversati percependo quelle parole.

-Va bene tesoro. Torno tra un po' a vedere se hai bisogno di qualcosa.- sussurrò mia madre chinandosi per darmi un bacio sulla fronte per poi uscire on Filly.

Stavo per ricominciare a piangere quando sentii Jade che si arrampicava sul letto, pensavo fosse uscita.

-Milly non piangere, ci sono io qui con te.!- disse avvolgendo le sue piccole braccia intorno al mio collo e dandomi un bacino sulla guancia.

-Dopo facciamo un disegno insieme?- sorrisi debolmente a quelle parole.

Piccola dolce Jade. Sollevai il capo per guardarla meglio occhi verdissimi che al momento rilucevano di lacrime represse.

Mi sentii profondamente in colpa per aver fatto preoccupare quello scricciolo.

-Piccolina mi dispiace...- L'abbracciai forte, accarezzandole i riccioli castani per poi baciarle la testa.

-Non piango più va bene? Dopo facciamo un bel disegno!- Vidi i suoi occhi cambiare espressione e un dolce sorriso invaderle il tenero e paffuto faccino.

-Va bene Milly! Ci vediamo dopo!- disse sorridendo prima di scoccarmi un sonoro bacio e correre fuori dalla stanza.

Solo lei mi chiamava Milly, perché quando era piccola e stava imparando a parlare non riusciva a pronunciare “Emily”. Le usciva solo “Mily”. Milly! Milly!

Buttai l'occhio all'orologio. Che troneggiava sul mio comodino accanto agli occhiali e al pupazzetto di di Sailor Moon che mi aveva regalato mia mamma da piccola.

Le 19,40. Il rosso del led pareva sottolineare che dopo venti minuti la mia famiglia si sarebbe seduta a tavola e avrebbe voluto che ci fossi anche io..

sentii che non potevo scappare per sempre, che dovevo scendere prima o poi.

Mi alzai a fatica dal letto e stavo per scendere quando sentii bussare alla porta e la voce di mio padre che mi chiedeva il permesso di entrare.

Sperai che il mio “certo” non fosse risuonato carico dell'ansia che mi stava trafiggendo.


Mi sedetti sul bordo del letto stringendo il plaid rosa nel pugno destro.

Mio padre entrò in camera per poi sedersi accanto a me e fissarmi negli occhi.

-Tesoro cos'hai? Tua madre dice che sei influenzata ma ha capito, come me del resto, che c'è dell'altro che ti fa star male. Perfino Jade che ha 5 anni se ne è accorta!-

Il suo tono di voce era dolce e basso, gli occhi erano ansiosi mentre scrutavano i miei.

Tesoro... parlami... dimmi cosa ti fa star male...

Non papà non posso” Non potevo renderlo partecipe del mio dolore, avrei dovuto spiegare troppe cose.

-Niente papà, non ho nulla. Sarà il tempo... o il cambio di stagione. Sono solo un po' triste.- cercai di sembrare convincente, in primis per me stessa.

-Emy, siamo a maggio, la stagione è cambiata da un bel pezzo, e da quattro giorni c'è un sole che spacca le pietre.

Sorrisi debolmente, ma senza riuscire a guardarlo negli occhi per più di qualche secondo. Avevo paura che potesse leggere dentro di me, Ironico vero? Ero io quella capace di farlo.

Riuscii a convincerlo ad andare a cena, a me era passata nuovamente la fame. V

verso le undici però il mio corpo, nonostante tutte le preoccupazioni, decise di farmi pagare i due giorni di digiuno con un interminabile brontolio di pancia.

Decisi quindi di fare un incursione in cucina per prendere qualche cosa.

Scovai in frigo un vasetto di yogurt. Sgraffignai dalla dispensa un pacchetto di cracker e sgattaiolai in camera con la mia refurtiva.

I successivi quattro giorni procedettero così.

Di giorno passavo il tempo per lo più a letto, con l'unica compagnia di Jade e di Joulse. Quest'ultima mi raccontava dei compiti e dei pettegolezzi giornalieri meritandosi tutta la mia dis-attenzione.

La sera invece verso le undici scendevo in cucina per mangiare qualcosa, visto che il mio corpo esigeva cibo, per poi tornare a letto e iniziare l'ennesimo incubo di quella settimana.

Il tempo fluì così, tra gli alti e i bassi, più bassi che alti, fino a quella sera.

L'incubo mi era parso ancora più vivido del solito. Riuscivo ancora a vedere gli sciacalli che mi correvano incontro solo chiudendo gli occhi.

Respirai a fondo e mi diressi in bagno per lavarmi il viso. Quando alzai la testa dal lavandino e fissai lo specchio rimasi sconvolta.

Davanti a me c'era una ragazza diversa, gli occhi spenti, i capelli, solitamente ricci e luminosi, erano opachi e mosci, il viso, oddio il viso, era leggermente scavato.

E tutto questo solo in una settimana!

Fu in quel momento che decisi di reagire, di uscire da quel mio coma in cui ero caduta.

Scesi in cucina, decisa a prepararmi una cioccolata calda con tanta panna, il mio corpo reclamava zuccheri!

Grande fu la sorpresa quando al tavolo trovai seduto mio padre, intento a sorseggiare da una tazza. Dal profumo era cioccolata. Sorrisi complice verso di lui che mi rispose di rimando.

-Ehi ricciola vuoi un po' di cioccolata?-

-Si grazie!- mi sedetti porgendogli la tazza e afferrando la bomboletta di panna spray.

-Allora, perchè non mi racconti cosa sta succedendo?- chiese cauto versando la cioccolata.

Capii che dovevo dirglielo, che dovevo raccontargli tutto.

-E va bene papi... ma ti prego di credere ad ogni parola, anche se credo che non ti sarà difficile dopo quello che ti confesserò.- aspettai un suo cenno di assenso prima di continuare.

-Qualche mese fa mi è successa una cosa strana.- Gli raccontai di com'era cominciata, del litigio con Kate, dei voti a scuola... gli raccontai tutto, fino ad arrivare a quella sera.

-Quando ti ho sentito pronunciare quella frase... mi son sentita morire.- quelle parole furono appena sussurrate dalla mia bocca ma pesarono come macigni nell'aria tiepida della cucina.

I miei occhi erano fissi sulla tazza, improvvisamente la panna aveva attirato tutta la mia attenzione.

Mio padre voleva dirmi qualcosa, lo sapevo, ma non trovava le parole. Aprì la bocca parecchie volte prima di trovare il coraggio di parlare.

-Capisco... non è facile per me credere a quello che mi hai detto... ma non posso nemmeno ignorare il fatto che conosci il mio “segreto”. Ti racconterò tutto ma devi promettermi che affronterai la cosa con coraggio perchè dovrai sostenere le tue sorelle e soprattutto tua madre.- la voce suonava innaturalmente calma e controllata, tanto che mi vennero i brividi.

-Il mese scorso ho avuto un malore, ho avuto una violenta fitta allo stomaco e sono svenuto. Fortuna vuole che mi trovassi al pronto soccorso perchè ero andato a ritirare gli esami del sangue di Felicity.

Al mio risveglio Micheal, il dottor Morris, si è avvicinato e mi ha detto che hanno trovato un tumore nel mio stomaco..-

fece una pausa per vedere la mia reazione. Io ero paralizzata ma gli feci segno di andare avanti.

-Sfortunatamente non è operabile perchè in stadio troppo avanzato.-

-Quanto... quanto ti rimane?- mi costò non poco pronunciare quelle parole ma l'urgenza di saperlo aveva vinto il terrore della scoperta.

-Due, tre mesi al massimo.- Poi il silenzio cadde tra di noi.

Io fissavo lui. Lui fissava me.

Dopo parecchi minuti alzai la mano verso il suo viso e lui, in quel momento così intimo, così drammatico, fece l'unica cosa che non mi aspettavo.

Sorrise.

E sorrisi anche io.

Sorrisi a quel padre devoto che ormai aveva accettato il suo destino.

Sorrisi per le mie sorelle che sarebbero cresciute senza di lui, soprattutto per Jade che non ha ancora avuto la possibilità di conoscerlo davvero.

Ma sorrisi soprattutto per mia madre, per far capire a lui che non l'avrei mai lasciata sola, che le sarei stata accanto e che l'avrei aiutata ad andare avanti.

Tra la morte e la vita, sorrisi alla vita.


   
 
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