So che avrei dovuto aggiornare la Maschera, ma il capitolo è in revisione! A breve aggiornerò anche li, sarà questione di qualche giorno anche perchè lunedì ricominciano i corsi in Uni e la faccendo si fa alquando complicata!
Scusate se non risponde alle recensioni, ma sto per uscire! (E allore non dire che stai chiusa in casa il sabato pomeriggio!)(Dettagli ù_ù)
Vi ringrazio infinitamente per ogni singolo commento che avete lasciato! Li adoro tutti e sono felice che questa storiellina sia di vostro gradimento! In questo capitolo ci sarà una rivelazione! Forse anche due ù.ù So che avrei potuto allungare e descrivere, spiegare, ammorbarvi con descrizioni introspettive e cazzi e mazzi, ma... Questa storia è nata veloce e veloce procede senza intoppi! Spero di non deludervi con i prossimi capitoli! Un bacio a tutti voi che leggete!
Ps: Mi dimentico sempre di metere lo SPOILER ù.ù
Capitolo
3
Sono passati dieci giorni da quella
promessa e ancora non sono potuta entrare nella camera di
Edward.
Cencio alla mano tolgo la polvere che
si
è accumulata in questi giorni sui mobili del secondo piano.
Come sempre più spesso mi
accade negli
ultimi giorni l’occhio mi cade sulla seconda porta che non ho
ancora varcato.
Non ha niente di differente dalle
altre
porte del piano. Il legno è chiaro e riprende quello dei
mobili, la maniglia è
dorata come tutte le altre. L’unica cosa che la differenzia
è che è chiusa a
chiave.
Nonostante quest’ultima sia
nella toppa
non mi sono mai permessa di aprirla.
Ma, si sa, la curiosità
è donna.
Mi guardo intorno furtiva come se
stessi
per commettere un reato. Nessuno mi ha vietato di entrare in questa
stanza e
non mi è mai stato nemmeno proibito.
Titubante passo le dita sul metallo
freddo
della maniglia. Cosa dovrei aspettarmi? Forse una camera vuota? Una
camera da
letto? E se ci fosse della roba strana che Edward tiene nascosta?
Mi tolgo questi stupidi pensieri
dalla
mente. Edward è un uomo a posto.
Il rumore della serratura che scatta
risuona nel silenzio della casa facendomi correre un brivido per la
schiena.
Abbasso la maniglia e la porta cigola
sui
cardini quando la faccio ruotare.
La stanza è buia e, come
quella di
Edward, piena di polvere e di aria viziata.
<< La
curiosità uccise il gatto.
>> Spaventata lascio che l’urlo che mi
è nato in gola esca in tutta la
sua potenza.
Assorta nel cercar di non far rumore
non
ho sentito, come al solito, Edward avvicinarsi.
Con il cuore in gola e il respiro
ansante
mi giro incontrando gli occhi allegri del padrone di casa.
<< Prima o poi mi farai
morire!
>>
Non mi risponde, si limita a
spalancare
la porta camminando a piedi scalzi in mezzo alla polvere.
Arriva alla finestra spalancando le
tende
e aprendo le imposte.
La luce mi acceca abituata
com’ero al
buio della camera.
Sbatto un paio di volte le palpebre
cercando di abituarmi nuovamente alla luce mentre riprendo controllo
del
respiro.
Quando le fastidiose macchioline
bianche
non mi ostacolano più la vista posso finalmente vedere la
stanza.
I muri sono beige con una striscia di
orsetti su ogni parete. In disparte una sedia a dondolo coperta da un
lenzuolo
e nel mezzo una culla montata solo per metà.
La polvere prende a danzare guidata
da un
lieve venticello che entra nella camera sostituendo il cattivo odore di
chiuso.
<< Ecco io…
visto che mi manca solo
la tua camera e questa da sistemare, volevo approfittare del fatto che
avessi
finito col resto e… ehm… >> Finite
le parole faccio un passo entrando
nella stanza.
Edward, creando un sentiero scuro fra
il
tappeto di polvere, passeggia assorto accarezzando con cura sia la
sedia che la
culla.
<< Sarebbe dovuta
essere la stanza
di mio figlio. >> Quelle parole, come una coltellata nel
petto, mi fanno
stringere la gola e pizzicare gli occhi di lacrime troppo a lungo
versate.
<< Fino a un paio di
anni fa o poco
meno ero fidanzato. >>
Mentre parla torna verso la sedia
scoprendola.
Il legno chiaro, come quello della
culla,
è perfetto per il colore delle pareti.
Segue le linee dei fiori incisi sullo
schienale accennando un sorriso.
<< E’ stata
mia madre a regalarmi
questa. >> Accarezza i braccioli una volta che si
è seduto.
<< Non le è
mai piaciuta Hannabel,
ma non appena le dissi che sarei diventato padre, caricò la
sua sedia a dondolo
in macchina e me la portò. Mi ha raccontato che quando ero
piccolo e la notte
piangevo riusciva a calmarmi solo quando si sedeva qua sopra e mi
cullava.
>> Stende le gambe e si lascia scivolare quasi
sdraiandosi.
<< Siamo stati insieme
per anni. Pensavo
che fosse tempo di fare le cose per bene. E allora le chiesi di andare
a vivere
insieme. La mia compagna mi disse di essere incinta poco dopo che ci
trasferimmo qui. Ero talmente felice che non aspettai un momento di
più per
iniziare a sistemare questa stanza, ma lei non era dello stesso parere.
Una
settimana dopo abortì senza dirmi nulla e se ne
andò dicendo che questa non era
la vita che voleva e che un pianista non le avrebbe dato tutto quello
che si
meritava. >> Parla tranquillo, con la voce piatta come se
non fosse la
sua storia quella che sta raccontando.
Le lacrime ormai scendono senza sosta
sul
mio viso bagnandolo e le mie braccia sono strette intorno alla vita.
Per la prima volta sento i suoi passi
mentre mi si avvicina.
Sul pavimento polveroso le sue
impronte
arrivano fino a me.
<< Bella, non volevo
farti
piangere. Scusami. >> Mi appoggia le mani sulle spalle
accarezzandomi
confortante.
Non riesco a parlare a causa dei
singhiozzi che mi scuotono il corpo. Scuoto solo la testa e alzo una
mano per
dirgli di aspettare.
Non riuscirei a dire niente nemmeno
se
non stessi singhiozzando come una disperata.
Mi giro dandogli le spalle, con passo
tremante mi avvio per il corridoio chiudendomi in camera.
Con la schiena appoggiata alla porta
mi
lascio scivolare a terra portandomi le ginocchia al petto.
I singhiozzi non smettono di salirmi
dalla gola e le lacrime non accennano a smettere di bagnarmi il viso.
Non posso continuare a piangere. Non voglio continuare a piangere.
Cerco di rialzarmi in piedi e
barcollando
mi trascino in bagno. L’acqua fredda scorre nel lavandino
schizzandomi alcune
gocce sulle mani.
Mi bagno i polsi e unendo a coppa le
mani
le riempio d’acqua buttandomela sul viso arrossato.
I singhiozzi lentamente si calmano e
le
lacrime si
acquietano lasciandomi, come
ricordo, gli occhi rossi e gonfi.
Dopo qualche respiro profondo riesco
a
tornare padrona di me stessa nonostante il dolore nel petto non accenni
a
scomparire.
Mi asciugo le mani e il viso con la
morbida spugna profumata di fuori.
Due colpi alla porta mi fanno
sobbalzare
dallo spavento. Mai era successo che Edward mi venisse a chiamare di
sua
spontanea volontà.
Con una leggera corsa arrivo alla
porta
aprendola di un soffio, proprio come fa lui di solito.
<< Ti ho…
ehm… portato della
camomilla. >> Sorpresa apro la porta mentre lui entra in
camera con un
vassoio in mano, sopra una teiera fumante e una tazza.
Posa tutto sul comodino spostando la
sveglia.
Tiene una mano in tasca mentre con
l’altra si scompiglia i capelli, che sono cresciuti
incredibilmente in questi
giorni, come se non sapesse cosa fare.
Si guarda in giro imbarazzato con le
guance leggermente arrossate.
<< Siediti pure sul
letto. >>
Mi accomodo accanto al comodino versando la camomilla nella tazza.
<< E’
già zuccherata. >>
Grattandosi la nuca si siede sul letto accanto a me.
Prendo la tazza in mano beandomi del
suo
calore e soffiando faccio sparire il fumo caldo per un istante.
Me la porto alla bocca prendendone
una
piccola sorsata e risputandola subito.
<< Scotta?
>> Preoccupato
Edward mi da qualche colpo sulla schiena mentre tossisco a causa del
cattivo
sapore.
<< E’ salata!
>> Poso la
tazza sul piattino continuando a tossire finché non ne sento
più il bisogno.
Spero di non dover mai più
assaggiare una
schifezza del genere.
La faccia di Edward è
impagabile.
Dispiaciuta e sorpresa allo stesso tempo.
Non riesco a trattenermi e le risate
nascono spontanee lenendo un poco il dolore di prima.
Poco dopo anche Edward si unisce alle
risate e per la prima volta lo vedo ridere davvero.
Ride con gli occhi chiusi e la testa
piegata indietro. Le mani affondate sulla leggera coperta arancione gli
fanno
da appoggio altrimenti si sarebbe già
sdraiato.
Era da tanto che non ridevo
così e credo
che anche per lui sia lo stesso. Non avrebbe senso ridere
così tanto per
un’assurdità del genere, ma ne sento il bisogno.
Mi asciugo una lacrima
all’angolo
dell’occhio, per fortuna non ha niente a che fare con quelle
versate fin’ora.
<< Mi dispiace per
prima… e per la
camomilla! Ero convintissimo che fosse zucchero. >> Si
ricompone facendo
scomparire il sorriso dalla sua bocca che rimane comunque piegata nel
suo
sorriso strano.
<< Scriverò
sul barattolo
“Zucchero” e “Sale” appena
torno in cucina. >> Incrocio le mani in grembo
torturandomi le dita.
È strano ritrovarmi qui
con lui.
È una cosa che non avevo
mai nemmeno
osato immaginare.
Mi chiedo come una donna possa
scappare
da un uomo del genere. Si è dimostrato premuroso, quando
parlava del figlio che
non ha mai potuto conoscere i suoi occhi erano pieni d’amore.
È indubbiamente
bello, non so se sia un bravo pianista o meno dato che non ho mai avuto
l’occasione di ascoltarlo, ma se si può permettere
questa casa e tutto il resto
non credo proprio che abbia problemi di soldi.
Cosa avrebbe mai dovuto desiderare la
sua
ex per lasciarlo di punto in bianco e decidere di non voler costruire
una
famiglia con lui.
Certe persone hanno la fortuna di
avere
tutto, ma voltano le spalle a questa fortuna in cerca di qualcosa di
più.
<< Ho avuto una
reazione esagerata
prima. Mi spiace di essere scappata a quella maniera, ma avevo bisogno
di stare
un attimo da sola per riprendermi. >> Alzo lo sguardo
trovando i suoi
occhi fissi su di me.
<< Se avessi saputo che
la mia
storia ti avrebbe rattristato fino a questo punto non ti avrei
raccontato
nulla. Ma rivedere quella stanza… >> Lascio le
mie mani libere dalla
tortura che mi sono autoimposta e ne sposto una coprendone una delle
sue sulla
sua gamba.
In pochi sanno quello che sto per
dirgli
e non so bene perché sto per farlo, ma ne sento il bisogno.
<<
Purtroppo… condividiamo lo
stesso dolore. >> Tengo lo sguardo fisso sui ricami dello
scendiletto
troppo codarda per guardarlo negli occhi e leggere la tristezza, la
compassione, il dolore che ci accomuna.