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Autore: LadyMorgan    11/04/2010    6 recensioni
Sette spaccati distribuiti nei sette anni di scuola dei Malandrini con un tema centrale: la loro amicizia.
***Dedicato a Bebbe5, con quasi un'ora di ritardo, per il suo compleanno.***
1° anno - Gli amici ti conosceranno meglio nel primo minuto dell’incontro di quanto gli estranei possano conoscerti in mille anni. (Richard Bach)
2° anno - Niente è più amichevole di un amico in difficoltà. (Tito Maccio Plauto)
3° anno - Un amico è uno che sa tutto di te e nonostante questo gli piaci. (Elbert Hubbard)
4° anno - Chi ha un vero amico può dire di avere due anime. (Arturo Graf)
5° anno - All’infuori del cane il libro è il migliore amico dell’uomo. Dentro il cane è troppo scuro per leggere. (Groucho Marx)
6° anno - Dimostriamo compatimento per le sofferenze degli amici non con le lamentazioni, ma prendendoci cura di loro. (Epicuro)
7° anno - Se dovessi scegliere tra il tradire il mio paese e tradire il mio amico, spero di avere il fegato di tradire il mio paese. (Edward Morgan Forster)
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Deficienti si nasce'
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De Illustrium Malandrinorum Amicitia

A Bebbe, per i suoi meravigliosi 18 anni

 

Gli amici ti conosceranno meglio nel primo minuto dell’incontro di quanto gli estranei possano conoscerti in mille anni. (Richard Bach)

 

«Ehi, posso venire qui? Il treno è pieno zeppo…» Un ragazzino dai capelli neri sparati in tutte le direzioni e gli occhi color nocciola scintillanti di malizia si affacciò nello scompartimento con un sorriso.

La ragazzina nell’angolo non rispose, ma il ragazzo pallido all’altro sedile fece un cenno sarcastico con la mano verso i posti vuoti. «Ma prego» disse come se già non ne potesse più.

Senza farci caso, lui si sedette e mise subito i piedi nel sedile di fronte a lui. «James Potter» si presentò tendendo la mano verso l’altro ragazzo dopo aver velocemente levato i piedi dal sedile.

«Sirius Black» grugnì l’altro senza prendere la mano e continuando a guardare fuori.

«Ah, sì, mi pareva, infatti» rispose James con indifferenza portando la mano tesa ai capelli e scompigliandoseli. «Mia madre è una Black anche lei.» Lo guardò con aria critica. «Ma devo dire che non le assomigli» concluse meditabondo. «Un po’ troppo snob…»

L’altro scattò quasi per istinto verso di lui, gli occhi accesi, ma si controllò subito. «Non ho motivo di starti ad ascoltare» rispose altezzoso incrociando le braccia.

«Ceeerto» rispose lui allegramente guardandolo con un sorriso. «Il piccolo signorino Black non può stare ad ascoltare i suoi compagni, vero?»

L’altro lo guardò esterrefatto. Chi era quel ragazzino che appena entrato non solo si presentava come se fosse la cosa più normale del mondo, ma addirittura lo trattava come se fosse un suo pari e osava persino dargli dello snob? Cosa poteva volere da lui?

All’alba dei suoi undici anni Sirius Black sapeva benissimo che raramente le persone gli parlavano se non volevano ottenere qualcosa da lui o dalla sua famiglia, perché i Black erano potenti, perché i Black erano una famiglia di stirpe più che illustre, perché i Black erano ricchi, perché i Black erano purosangue e influenti e tutti volevano qualcosa da loro. O almeno, così diceva sua madre.

Ma lui lo stava guardando semplicemente sorridendo, con l’aria di starlo prendendo in giro senza nessuna intenzione di offendere.

Era quasi buffo, con quei capelli sparati da tutte le parti e gli occhiali rettangolari su due occhi svegli e divertiti, e senza l’ombra di calcolo nello sguardo.

Il ragazzo rimase perplesso.

«Cosa vuoi?» chiese mentre la curiosità aveva il sopravvento sulla volontà.

James si strinse nelle spalle. «Oh, non ho mai conosciuto un vero Black in carne ed ossa, a parte mia madre, che però mi pare non sia molto paradigmatica…»

L’altro gli fece una smorfia. «Curiosità scientifica, allora?»

Ridacchiò. «Già, curiosità scientifica.» Lo guardò attentamente. «Devo dire che non sei come mi aspettavo» dichiarò a sorpresa. «Ho sempre sentito dire che i Black sono stinfi e disprezzano tutti. Tu sembri sul punto di metterti a urlare.»

Suo malgrado, Sirius rise. Non ci aveva fatto particolarmente caso, nessuno lo aveva mai incoraggiato a pensare a come si sentiva, ma era esattamente così: aveva una tremenda voglia di urlare a tutto il mondo che lui non era soltanto un Black, era sé stesso. Anche se a sua madre ciò non piaceva.

«Ah, allora sei capace di ridere. Credevo che sarei dovuto passare al numero delle capriole per riuscire a farti muovere quella faccia odiosamente sostenuta» disse con un mezzo sogghigno James mentre una mano partiva automaticamente a spettinargli i capelli.

Quasi senza accorgersene, Sirius si ritrovò a sorridere senza avere nessuna ragione precisa per farlo. Sapeva perfettamente in che occasioni era richiesto che sorridesse, e sapeva che sorridere come stava facendo adesso era contro ogni natura: il suo sorriso era troppo aperto, un sorriso non doveva essere così… così sorridente, secondo sua madre, doveva mostrare solo consapevolezza, perché qualunque cosa i Black ricevano non li deve sorprendere mai, qualunque cosa sentano non li deve stupire. I Black sorridevano perché le convenienze imponevano così, non perché si stavano divertendo.

Stava ripensando agli insegnamenti di sua madre mentre controllava automaticamente i muscoli della faccia per evitare di distenderli. Doveva mantenere autocontrollo. Questo facevano i Black.

«Eh, no, non ricominciare con quella smorfia!» lo riprese tuttavia la voce di un ragazzino di undici anni alzando un dito ammonitore. «Levati subito dalla faccia quell’espressione o te la levo io a suon di solletico!»

«Solletico?» Non ricordava niente di simile, non c’era mai stato niente di simile nella sua vita.

La sua espressione confusa lasciò prima esterrefatto, poi estremamente sogghignante il suo compagno. «Black, non mi dirai che non sai cos’è il solletico…»

Non gli avrebbe mai detto niente del genere, ovviamente, un Black non avrebbe mai ammesso di non sapere qualcosa. Non avrebbe chiesto cos’era il solletico. Assolutamente no.

Il sorriso del ragazzo di fronte a lui si accentuò. «Dalla tua espressione deduco che non lo sai» sottolineò spostando i piedi. «Bene, Black, sarò tuo maestro anche in questo.»

E gli si avventò contro prima che potesse reagire.

E per la seconda volta in pochi minuti Sirius si trovò a ridere senza avere nessun motivo o nessuna scusa per farlo, solo perché era quello che voleva fare in quel momento.

 

 

Niente è più amichevole di un amico in difficoltà. (Tito Maccio Plauto)

 

«Ti rendi conto di cosa significa, vero?» stava chiedendo un ragazzo di circa dodici anni, scuro in volto, mentre guardava l’amico insolitamente serio di fronte a lui.

«Sì, ma che c’importa?» rispose lui con una scrollata di spalle. «È sempre Remus, no? Anzi, in base a quello che abbiamo scoperto credo che dovremmo stargli ancora più vicino, non credi?»

«Ma è p-pericoloso!» esclamò un piccoletto dagli occhi acquosi mangiandosi le unghie con un’espressione di genuino terrore negli occhi.

Il ragazzo dai capelli scompigliati scrollò la mano. «Sciocchezze, Peter, se non ci ha fatto niente fino ad ora…»

«E allora cosa intendi fare?» Il ragazzo più alto aveva incrociato le mani e si era appoggiato alla colonnina del baldacchino. «Non possiamo andare da lui e dirgli “Ciao, Remus, abbiamo scoperto che sei un lupo mannaro, ma a noi non fa nessuna differenza, restiamo amici come prima!”.»

James lo guardò con occhi assenti. «Sirius, sei assolutamente un genio!»

«È più di un anno che sto cercando di fartelo capire» ribatté l’altro con un sorrisetto. «In che modo l’ho dimostrato, questa volta?»

«Così, no? È esattamente quello che dobbiamo fare! Andiamo a farlo! Anzi, prima troviamo Remus e poi…»

«Fermo fermo fermo, frena gli ippogrifi, James Potter» lo bloccò Sirius mettendogli una mano sulla spalla. «Hai veramente intenzione di andare da Remus e dirgli…?»

«Sì, certo!» ribatté lui liberandosi con uno scrollone. «È l’unica cosa da fare, no? Prenderla di petto. E ho come la sensazione che sia esattamente quello di cui Remus ha bisogno…»

«M-ma non potrebbe arrabbiarsi e-e farci… farci…»

«Peter, elencami una sola occasione in cui Remus abbia perso il controllo e potrò ipotizzare di darti retta» ribatté impaziente James mentre afferrava lui per un braccio e Sirius per un altro guidandoli verso la porta del dormitorio.

Che si aprì per lasciare entrare l’oggetto di tutte le discussioni, con le guance incavate e due profonde occhiaie a testimoniare un’altra da poco scampata “malattia”.

«Ciao, ragazzi!» disse tuttavia con un sorriso entrando. «Falso allarme, è risultato che non fosse niente di grave, solo un po’ di febbre e…»

«Remus» disse James lasciando andare gli altri due e dirigendosi verso di lui. «Siediti perché dobbiamo parlare.»

Sirius andò alla porta e la chiuse, e per sicurezza lanciò anche un blando incantesimo di insonorizzazione che lui e James avevano trovato scartabellando qualche vecchio libro di famiglia trovato per caso.

Peter andò a sedersi sul suo letto, il più vicino alla porta, e rimase lì a mangiarsi le unghie mentre James conduceva Remus al davanzale e ce lo faceva accomodare.

«Bene Remus» disse in tono solenne mentre quello continuava a fissarlo interrogativo. «Il motivo di tutta questa messinscena è semplice.» Guardò un secondo verso Sirius, che gli si affiancò a braccia incrociate. James forse avrebbe preferito che non assumesse un atteggiamento tanto severo ma non c’era tempo per farglielo notare. «Volevamo dirti che ci è molto dispiaciuto che non ti fossi fidato di noi, che sappiamo cosa ti succede una volta al mese e che per noi non ha assolutamente importanza.»

Il povero ragazzo di fronte a loro li fissò un attimo inebetito, prima di balbettare: «C-cosa?»

«Andiamo, Rem!» esclamò Sirius impaziente. «Sparisci una volta al mese durante la luna piena, e torni sempre più pallido e smagrito e con l’aria di aver appena ricevuto una gran dose di legnate.» Lo continuò a fissare mentre impallidiva. «Seriamente, quanto pensavi sarebbe passato prima che ce ne accorgessimo?»

Il ragazzo deglutì. «Io… io non so di cosa…»

«Certo che lo sai!» James aveva l’abitudine di agitare un sacco le mani quando parlava, Remus l’aveva notato fin dal principio. «Diamine, se non lo sai tu! Ma vedi, Remus…»

Non poté continuare. Non appena aveva realizzato appieno cosa intendessero dire i due compagni, il ragazzo era scattato in piedi senza ascoltarli oltre e si era precipitato verso la porta, scontrandosi con entrambi. «Lasciatemi andare!»

«Oh, non che non te ne vai, signorino bello!» esclamò indignatissimo James. «Tu ora resti qui e ascolti quello che ti dobbiamo dire!»

«Credi che non lo sappia già?!» Era la prima volta che sentivano Remus urlare, o che lo vedevano così sconvolto: aveva il volto contratto nel tentativo di non piangere e il corpo scosso da violenti spasmi. «Credi che non abbia mai sentito nessuno chiamarmi mostro, o abominio, o essere malvagio, o…»

«Remus, se non ci lasci parlare…»

«Non ho bisogno di sentirvi parlare!» Si liberò dalla loro stretta con uno scossone. «Credete di essere stato tanto bravi, vero?» disse velenoso, con gli occhi lucidi. «Di essere riusciti a beccare il mostro infiltrato e di potervi comportare da coraggiosi così, così…»

«No, idiota!» esclamò Sirius guardandolo in cagnesco. «Stiamo solo cercando di dirti che non ce ne importa un dannatissimo fico secco

Il ragazzo, che aveva ripreso la sua lotta selvaggia per guadagnare l’uscita, si bloccò all’improvviso. «Cosa…?» cominciò a chiedere mentre riacquistava la padronanza della voce.

James lo respinse verso il davanzale facendolo nuovamente sedere. «Cosa credevi, lupo complessato?» chiese sorridendo. «Pensavi veramente che saremmo scappati come un branco di fate quando vedono un Avvincino? Che razza di Grifondoro pensi che saremmo se abbandonassimo un amico solo perché ha… ha… ha un piccolo problema peloso?»

Remus lo guardò mentre un principio di sorriso gli balenava sulle labbra. «Il mio cosa?»

«Piccolo Problema Peloso» ripeté James con aria estremamente soddisfatta di sé. «È quello che è, no? Tu hai un piccolo problema che non riesci a controllare bene, no?»

«Io…» cominciò Remus.

«Però, Rem, sappi che sono veramente offeso» disse Sirius mettendo su un elegantissimo broncio. «Davvero pensavi di non poterti fidare di noi? Cosa diavolo credevi che ti avessimo fatto?»

«Io credevo… credevo…»

«E poi come ti permetti di credere di essere così importante da farci paura?» proseguì Sirius con aria indignata, come se si fosse permesso di pronunciare una disgustosa blasfemia. «E che cavolo! Ma si può essere più idioti di così? Credevi di spaventarci solo perché una volta al mese ti vengono fuori le zanne? Non per dire, ma ti vengono anche quando non facciamo i compiti e dobbiamo chiederti di copiarli…»

«Sirius…» cominciò il ragazzo cominciando a ridere.

«E poi sono sicuro che da lupo hai un’aria molto più affascinante di così, vero Peter?» aggiunse portandosi una mano al mento con aria meditabonda e voltandosi verso il quarto di loro, rimasto in disparte fino ad allora. «Peter?»

«Io… io credo di sì…» esclamò lui esitante mentre si avvicinava con una certa cautela.

James rise vedendolo. «Tranquillo, Pete, non è che improvvisamente morde, sai… senza offesa, Rem» aggiunse con un sorrisetto.

«Ma figurati…» ribatté l’altro.

 

 

Un amico è uno che sa tutto di te e nonostante questo gli piaci. (Elbert Hubbard)

 

«Sirius, Sirius, Sirius…»

Due ragazzi di circa tredici anni erano spaparanzati sotto un albero al tramonto.

«Sono stufo di non ottenere uno straccio di risultato…» continuò l’altro tirando su il cappello da mago che aveva usato per coprirsi gli occhi.

«Già» confermò l’altro stiracchiandosi. «E in più sono esausto.»

«E vorrei tanto capire che stanno facendo gli altri due ancora dentro…»

«Come se non lo sapessi» ribatté disgustato il primo passandosi una mano fra i capelli. «Remus starà ripassando una cosa che sa meglio del professore, e Peter starà disperatamente tentando di mettersi in pari e seguire quello che sta dicendo…»

«Che manica di sfigati» concluse con profondo ribrezzo il secondo. «Ricordami perché sono nostri amici?»

«Allora…» cominciò James meditabondo. «Remus ci serve per farci fare i compiti, per ricordarci che non siamo immortali, per dare giustificazioni alla McGranitt su dove siamo stati e dove ci troveremo, per passarci gli appunti e perché è un ottimo ponte di collegamento con la Evans…»

«Ok, ok, mi può bastare» lo interruppe in fretta Sirius, conoscendo la capacità dell’amico di cadere in estasi ogni volta che una certa persona veniva nominata. «Peter?»

«Be’, Peter ci serve perché è il nostro palo, perché nessuno sospetterebbe mai di lui quando lo mandiamo a fare qualcosa, perché sa sempre trovare informazioni, perché riesce ad ascoltare qualunque cosa perché nessuno bada mai a lui e quindi scopre un sacco di cose, perché ci serve per ricordarci quanto siamo immortali e…»

«Voi due, invece» ribatté una voce divertita alle loro spalle, «ci servite per ricordarci che siamo ancora giovani, che a questa età si può ancora fare tutto, che la scuola non deve obbligatoriamente consumare tutta la nostra vita, per metterci nei guai, per farci affondare ancora di più negli stessi quando tento di limitare i danni…»

«Oh, Remus, qual buon vento?» lo salutò amichevolmente James facendogli spazio. «Peter?»

«Sono qui.» Un ragazzo piccolino e grassoccio parve comparire da dietro Remus e sedersi di fronte a loro.

«Oh, perfetto Peter! Vai appena un po’ più a destra… no, no, alla mia destra, alla tua sinistra, insomma… ecco, appena più su… sì, perfetto» concluse James sospirando felice. «Sei un ottimo parasole, Peter…»

Sirius ridacchiò. «Be’, pare che abbiamo appena trovato un altro punto a suo favore…»

«Oh, direi proprio di sì» convenne James a occhi chiusi. «Non sono mai stato meglio…»

«Ragazzi, siete due in…»

«Insensibili egocentrici malandrini» cantilenarono gli altri due annoiati. «Sì, Remus, lo sappiamo.»

«Ce lo hai detto una cosa come dodicimila volte.»

«E se proprio lo vuoi sapere, è esattamente perché siamo degli insensibili egocentrici malandrini che ci vuoi così tanto bene.»

«Prova a immaginare come ti sentiresti se fossimo dei brillantissimi e diligenti studenti che rispettano sempre le regole e inorridiscono di fronte a ogni infrazione…»

«Probabilmente ci abbandoneresti dopo due minuti o ti sentiresti in dovere di diventare malandrino tu per compenso.»

«Il che non si accorderebbe con il tuo bilanciatissimo carattere che noi ammiriamo tanto» concluse James con un sorrisetto scambiandosi un cinque con Sirius.

 

 

Chi ha un vero amico può dire di avere due anime. (Arturo Graf)

 

«Da te come va, quindi?»

«Non troppo male. Noioso, casomai…»

Se un estraneo si fosse avvicinato al cubicolo del bagno maschile del terzo piano probabilmente avrebbe pensato di aver a che fare con un pazzo, visto che seduto per terra con uno straccio accanto e senza la più remota intenzione di lavorare c’era un ragazzo che, apparentemente, parlava con la sua mano.

Ciò che l’occasionale estraneo non avrebbe potuto notare allontanandosi esasperato dalla stupidità della gioventù moderna, era un piccolo specchietto nascosto nel palmo della mano a cui il ragazzo si stava rivolgendo.

«Dai, credo di aver conosciuto poche persone che abbiano pulito più cessi di noi due» rispose lo specchio alzando gli occhi al cielo. «Anche se posso dire che ci ha portato dei vantaggi…»

«Fatico a vedere quali.»

«Be’» cominciò l’immagine del ragazzo nello specchio agitando lo straccio, «intanto ora sappiamo dove so trovano tutti i bagni della scuola, che per quello femminile a scomparsa del quarto piano si può raggiungere un passaggio segreto sconosciuto a quel vecchio avvoltoio di Gazza e che se ti nascondi bene dietro una scritta ‘Guasto’ puoi ascoltare le conversazioni altrui.»

«Più che giusto, senza contare che ormai abbiamo una conoscenza tale dei nostri ingiusti punitori che possiamo capire a che settore intendono assegnarci prima ancora che l’abbiano fatto. E inoltre, spiare le conversazioni delle ragazze è interessante…»

«Vero, si passa dai trucchi ai ragazzi ai libri alla scuola alle megere con una velocità impressionante… io dico che i ragazzi non ce la farebbero» commentò con un sogghigno la figura nello specchio.

«Già… e poi fa piacere sentirsi definire ‘un fico assurdo’ da qualcuno che non sia Peter…»

Il riflesso del ragazzo scoppiò in una lunga risata più che mai simile a un latrato. «Ti prego, Jamie, non dirmi che veramente l’ha fatto…»

«Oh, solo dopo che l’avevo un po’ ubriacato» sogghignò James poggiando lo straccio nel secchio e sedendosi più comodo.

«Non – ci – posso – credere» esalò l’altro cercando, con scarso successo, di ridere sottovoce. «Sai, credo che dovremmo cominciare a preoccuparci per il suo orientamento sessuale…»

«Sarei perfettamente d’accordo con te se… Merlino, Sirius!» esclamò James cominciando a ridere all’impazzata. «Dimenticavo che tu non c’eri! No, non è possibile, non sai che ti sei perso…»

«Cosa?» chiese Sirius curioso.

«Peter…» cominciò l’altro in preda agli spasmi, «Peter…» non riuscì a continuare e ci mancò poco che non si spalmasse sul pavimento dal gran ridere.

«James Potter» lo interruppe la voce soave del suo migliore amico dallo specchietto caduto per terra, «se non la smetti di ridere come una scimmia ubriaca e non mi racconti cos’è successo in tutti i più piccanti e scabrosi dettagli, posso assicurarti che la tua testa a cespuglio entrerà a far parte dei trofei della nostra scuola.»

«Ci… ci provo» disse quello cercando di controllarsi. «Ma tu non sai…» Inghiottì una risata e cercò di darsi un contegno. «Oggi pomeriggio, Peter… Peter… Merlino, Sirius, perché non c’eri?» chiese mentre il contegno andava democraticamente a farsi benedire. «Lui si è… si è… si è dichiarato a Rose Davenport!»

«Rose… Davenport?» Un lampo di comprensione passò negli occhi grigi del riflesso. «Quella ragazza di Tassorosso… non ci posso credere» disse ridacchiando. «Peter non è assolutamente il tipo da ragazza… come ha reagito lei?»

«Aspetta, scemo, non ho finito!» esclamò James riprendendo a ridere. «Questo è niente! Il fatto è che erano in Sala d’Ingresso, e lui… lui…» Un ennesimo scoppio di risa gli bloccò le parole per qualche secondo. «Lui va avanti verso di lei a chiedergli di diventare la sua ragazza e poi… poi… poi pra-aticamente in-ciampa in qua-qualcosa, cre-edo i suoi piedi, o-o forse la divisa, o… o non lo so» proseguì mentre anche dallo specchio si alzavano le prime risate. «E fa un volo di due metri e… e pre-ecipita addosso a Rose, senza che ne-essuno avesse capito cos’era successo e… aspetta, non ho finito!» aggiunse con un sorriso mentre vedeva l’amico spanciarsi dalle risate. «Le è atterrato veramente addosso, capisci? E gli era andato anche tutto il mantello in testa, non riusciva più-ù a tirarsi su, e-e c’era lei che ur-lava e cercava di alzarsi, ma sai com’è Peter, no?» Rise. «Lui continuava a pro-ovare ad al-alzarsi e continuava a ca-derle addosso, fino a-a quando non è-è riuscito a rotolare di la-to, con il mantello anco-ra in testa, e lei anche si al-za, tutta rossa, lui si li-bera e lei… lei gli stampa una cinquina che… che credo neanche quella di Lily di novembre!» concluse ridendo come un idiota.

«Perché, oh, perché non c’ero?» esalò Sirius tenendosi la pancia per il ridere.

«Be’, c’ero io, no?» rispose James con un sorriso. «È più o meno lo stesso…»

 

 

All’infuori del cane il libro è il migliore amico dell’uomo. Dentro il cane è troppo scuro per leggere. (Groucho Marx)

 

Il risveglio dopo una trasformazione era sempre un momento traumatico, perché non possedeva ricordi di quei momenti e tutto il suo corpo urlava per lo sforzo subito.

Remus quindi non capiva assolutamente perché i suoi muscoli fossero sì affaticati, ma non dilaniati, perché non sentisse nessun bruciore lancinante da nessuna parte a segnalare i morsi e graffi che si era dato, perché le sue ossa non sembrassero sul punto di spezzarsi.

Fu quando sentì un peso caldo sulla pancia e qualcosa di umido e bavoso leccargli la faccia che si decise ad aprire gli occhi.

Accomodato sul suo ventre con l’aria di trovarcisi perfettamente a suo agio, c’era un enorme cane nero che si stava divertendo a leccargli la faccia in tutta calma, senza nessun apparente motivo. Profondamente sorpreso, Remus, cercò di tirarsi su e si appoggiò sui gomiti, mentre il cane continuava il suo lavoro di lavaggio mattiniero del viso.

Un sbuffo strano, simile a quello di un cavallo ma meno forte, attirò l’attenzione di Remus. Voltandosi, vide un cervo alzarsi in piedi con un veloce movimento e trotterellare verso di loro, poggiandogli il muso vicino ad un orecchio.

Stupefatto, il ragazzo lo accarezzò per un secondo.

Udì un piccolo pop e il peso sul suo stomaco improvvisamente cambiò. «E no, così non vale, Moony! Mi hai appena fatto perdere una scommessa!»

Dalla sorpresa, Remus fece un balzo indietro che, se il cervo fosse stato ancora un cervo, lo avrebbe portato ad una prematura morte sulle corna ramificate del suddetto. Tuttavia, poiché il cervo si era trasformato in un altro essere che prese al volo il ragazzo mentre quello si slanciava all’indietro, non ci furono altri effetti collaterali oltre a quello di farli cadere entrambi.

«Insomma, Moony, un po’ di delicatezza!» si lamentò un ragazzo moro con gli occhiali in precario equilibrio sul naso, risistemandoseli. «Mi hai preso alla sprovvista…»

«Voi…» emise Remus passando lo sguardo da un ragazzo all’altro, entrambi sogghignanti. «Voi… ma se voi… siete qui…»

«Significa che i tuoi amici sono i più grandi geniacci di questo mondo e quell’altro» annuì Sirius alzandosi in piedi. «E devo dire che sei comodo, Moony…»

«Tu… tu… il cane…» balbettò Remus.

«Sì, il pulcioso non è riuscito a fare niente di meglio» confermò James con un caloroso sogghigno.

Sirius gli rivolse una smorfia. «Parla per te, cornuto» ribatté calcando pesantemente sull’ultima parola.

«Ma…» Remus era quasi fuori di sé dalla sorpresa. «E Peter…?»

«Sta ancora dormendo, credo» rispose James in tono amabile sollevandolo e lasciandolo una volta in piedi. «Ieri ha dovuto faticare non poco per starci appresso.»

«Perché, Peter è…?»

Sirius si avvicinò tenendo un grosso ratto per la coda spelacchiata. «Sì, è esattamente un topo.»

«Ma come…» Il ragazzo continuava a guardarli come se non li avesse mai visti prima. «Quando ci siete riusciti?» riuscì alla fine a dire.

«Be’, ti ricordi che ti avevamo detto che pensavamo di esserci quasi, no?» spiegò Sirius sedendosi comodamente sul letto presente nella baracca. «Be’, durante l’estate io e James abbiamo lavorato come autentici dannati (ho dovuto persino convincere i miei a lasciarmi uscire ogni tanto, visto che non potevamo fare tutto via gufo), e alla fine abbiamo capito come dovevamo fare. Credo che se non fossimo stati a Diagon Alley ci avrebbero arrestato almeno venti volte…» aggiunse meditabondo.

«E non hai idea della fatica per farci arrivare anche Peter» aggiunse James in tono melodrammatico, aggrappandosi ad una delle colonnine del baldacchino e sogghignando.

Ci fu una pausa di silenzio.

«Remus, sembri un pesce palla» gli comunicò amabilmente Sirius. «Puoi anche sbattere le palpebre, sai?»

«Voi siete davvero… davvero diventati animaghi?» domandò Moony con un filo di voce.

James agitò la mano impaziente. «Che vuol dire “davvero”, Remus? Dubitavi che l’avremmo fatto?»

«Pensavo che vi foste resi conto di quanto fosse stupido e…»

«Infantile e immaturo e pericoloso» conclusero gli altri due con una smorfia.

«Ma piantala, Remus!» esclamò James.

«Almeno ora non dovrai più stare solo» sorrise Sirius. «Pensa: ci saranno i tuoi amici qui a tenerti la manina… metaforicamente parlando, ovviamente.»

Remus si limitò semplicemente a fissarli.

«Ah, e a proposito» aggiunse Sirius con una subitanea espressione di indignazione, «lo sai che mi hai fatto perdere una sostanziosa scommessa, Remus? Come hai potuto? Eppure si dice sempre che sono i cani i migliori amici dell’uomo…»

«Devi rassegnarti, Sirius, e pagare» rispose James con un sogghigno che andava da un orecchio all’altro. «È evidente che io sono molto più amabile di te…»

«Non è assolutamente vero, è solo questo lupaccio che non capisce niente…»

«Di cosa state parlando, voi due?» chiese Remus mentre allo shock subentrava il divertimento.

Due teste si voltarono verso di lui, una indignata e l’altra sorridente.

«Avevo scommesso che avresti accarezzato prima me!» esclamò Sirius offeso. «Insomma, chi mai andrebbe a pensare di accarezzare un cervo? Davvero, quando tu pensi ad accarezzare un animale, un cervo è proprio l’ultimo che ti può venire in mente…»

«Si vede che sei un cane finto» rispose James sempre con il suo gigantesco sorriso. «Neanche sei capace a farti accarezzare…»

«Non. Provocarmi» ringhiò Sirius in tono così canino che sia James che Remus scoppiarono a ridere. «Bene, l’hai voluta tu, cornuto!»

E trasformandosi nello stesso cane che aveva svegliato Remus quella mattina, si slanciò verso il ragazzo, che reagì con altrettanta prontezza trasformandosi in cervo e ingaggiando un combattimento giocoso.

Remus si sedette sul letto ad osservarli, ancora frastornato, mentre accanto a lui il topo si muoveva e apriva gli occhi. Intercettando il suo sguardo, si concentrò intensamente qualche istante e si cambiò nel solito Peter. «Buongiorno, Remus!» disse con un sorriso. «Piaciuta la sorpresa?»

L’altro annuì senza riuscire a rispondere.

Il rumore di un mobile sfasciato li fece voltare entrambi verso i due animali che si stavano accapigliando in un angolo.

«Cosa stanno facendo James e Sirius?» chiese Peter curioso guardando con interesse il cane balzare sulla groppa del cervo con un agile salto, e il cervo rotolarsi per terra per scrollarselo di dosso.

Remus si strinse nelle spalle senza riuscire a smettere di sorridere. «Discutono di priorità» disse soltanto. «Bah, dovrebbero saperlo che ciò che più mi piace accarezzare sono le pagine dei libri…»

 

 

Dimostriamo compatimento per le sofferenze degli amici non con le lamentazioni, ma prendendoci cura di loro. (Epicuro)

 

Era passata la mezzanotte quando l’immagine di un autobus a tre piani si materializzò in quella pacifica cittadina del Galles del sud. Con una sgommata, frenò davanti al cancello di una villetta comodamente adagiata fra altre due uguali.

Dall’autobus uscì un ragazzo di circa sedici anni trascinandosi dietro un grosso baule.

«Allora ci vediamo, Thomas!» esclamò con un sorriso cordiale una donna ossuta con il naso a matita agitando la mano in direzione del ragazzo.

«Sì, certo Wanda» rispose lui distratto mentre trascinava il baule davanti al vialetto.

Aspettò che l’autobus ripartisse e guardò a lungo il cancello come per decidere se attraversarlo o no. Alla fine, con un movimento risoluto lo aprì e si avviò nel giardino dall’erba alta pieno zeppo di cespugli e vasi armoniosamente disposti fino a raggiungere la porta. Esitò nuovamente prima di bussare, cosa che fece dopo un’intensa opera di auto-convincimento.

Ci volle qualche minuto prima che un uomo in vestaglia dai capelli argentati e folti venisse ad aprire. Spalancò gli occhi quando riconobbe il visitatore. «Sirius? Ma cosa…?»

«Chi è, Charlus?» Dorea Black in Potter era appena apparsa alle spalle del marito, allacciandosi la veste da camera blu. Guardò per un secondo il ragazzo nel vano nella porta, stanco e smagrito, e spalancò gli occhi. «Sirius? Caro, cos’è successo?»

Si udì un rumore di passi affrettati e le scale parvero produrre un ragazzo magro e alto di circa sedici anni. «Padfoot!» esclamò vedendo il ragazzo. Non chiese spiegazioni, si avvicinò solamente all’amico con un sorriso. «Te ne sei andato alla fine, allora!» Gli prese il baule facendo da parte gli esterrefatti genitori. «Be’, era ora, direi! Mamma, non è che metteresti su un tè?» aggiunse dopo aver scortato Sirius nell’ingresso. «Sir è gelato…»

«Ma certo, caro!» esclamò la signora Potter avviandosi verso la cucina, sorda alle assicurazioni di Sirius di non aver bisogno di un tè e di non scomodarsi per questo.

«Pa’, credo che potremmo dargli la camera accanto alla mia, se non mi sbaglio il letto è ancora fatto, vero?»

«Tua madre ha portato via le lenzuola stamattina, Jim» rispose il padre seguendo su per le scale un ciarliero James e un taciturno Sirius. «Ma ci metterò meno di trenta secondi a rifarlo…»

«Davvero, non c’è bisogno…» borbottò Sirius.

«Ma certo che c’è, zuccone!» esclamò affettuosamente James spalancando la porta e continuando a trascinarci dentro il baule. «Credi che ti metteremmo mai in soffitta? Non sperare di cavartela così a buon mercato, ho appena acquistato un fratello a vita e non intendo tenermelo lontano!» Scaricò con poca grazia il baule ai piedi del letto e si stropicciò le mani, soddisfatto.

«Be’, avrai tempo per raccontarmi tutto bene dopo, ma ora voglio che scendiamo in cucina a prendere il tè di mamma e poi mi spieghi come stai» disse senza dare il tempo a Sirius di parlare e pilotandolo di nuovo giù lasciando al padre l’incombenza di preparare la camera.

Tutto quello che Sirius poté fare fu seguire il suo migliore amico fino al tinello, dove la signora Potter stava versando del tè bollente in grosse tazze decorate a motivi floreali.

Gli sorrise quando entrò, e James si affaccendò subito per aiutare la madre, dopo essersi assicurato che Sirius si fosse accomodato e avesse davanti una tazza di tè.

Poi si sedette di fronte a lui, dopo aver galantemente – e con molta ironia – scortato la madre al posto ed averle porto la sedia.

«Bene, e ora faremo del nostro meglio per levarti dal viso quella faccia da annegato.»

Sirius sospirò dalla contentezza sorseggiando il tè.

Era veramente difficile ricordare gli urli di sua madre, le fatture di suo padre e gli occhi di Regulus nella cucina piccola ma ben distribuita della signora Potter, circondato solo da simpatia e affetto. Era veramente difficile sentire l’oppressione al petto e la soffocante sensazione di perdita che gli gravava sullo sterno ascoltando James parlare a raffica di assolute sciocchezze con l’unico scopo di distrarlo.

 

 

Se dovessi scegliere tra il tradire il mio paese e tradire il mio amico, spero di avere il fegato di tradire il mio paese. (Edward Morgan Forster)

 

Era un assolato ed afoso pomeriggio di giugno. Ragazzi di tutte le età si affaccendavano sul binario unico di un treno dalla locomotiva rosso fiammante.

Cinque ragazzi erano rimasti un po’ indietro, guardando le merlature lontane di Hogwarts salutarli con una certa mestizia.

«Non posso credere che questa potrebbe essere l’ultima volta che la vediamo…» sospirò una ragazza dai bellissimi occhi verde chiaro guardando con rimpianto le torri svettare il lontananza.

Il ragazzo che le circondava le spalle con un braccio le baciò i capelli. «Non lo sarà» promise con un sorriso. «Non credo che Hogwarts resisterebbe molto con noi lontano…»

«Penso proprio di no, Prongs» commentò un ragazzo dai capelli scuri e lunghi e un sorriso beffardo. «La Mc come minimo avrà una crisi di identità prima della fine del prossimo anno, e Gazza si darà al whisky e finirà per entrare nel club degli alcolisti anonimi…»

«Senza contare che Lumacone si sentirà solo senza il suo piccolo genietto da lodare» aggiunse con un sogghigno James guardando Lily.

Lei gli fece una smorfia. «E Hogwarts probabilmente si accorgerà di essere sola soletta quando nessuno cercherà di farla saltare in aria per una intera settimana.»

«Questo è ingiusto, Evans!» esclamò Sirius con un’aria di falsa virtù che li fece ridere tutti. «Abbiamo passato intere settimane senza far saltare in aria niente…»

«A parte banchi, Serpeverde e voi stessi» concluse ironico un ragazzo dai capelli biondi e gli occhi chiari.

Sirius sbuffò. «Oh, non farla tanto lunga, Moony, anche a te mancheranno i nostri scherzi da malandrini…»

«Non ci credo che è già finita…» sospirò il più basso del gruppo guardandosi alle spalle con un luccichio rivelatore negli occhi.

Quasi loro malgrado, gli altri annuirono.

«Sembra solo ieri che eravamo su quello stesso treno per venire qui ed è già finita…» concordò James con un moto di tristezza.

«E rompevi già allora» commentò Sirius con una smorfia nel tentativo di alleggerire l’atmosfera. «Se penso a quel ragazzino petulante che “sarebbe stato mio maestro nell’insegnarmi il solletico” ci sto male…»

«Be’, se non altro ora non sei più il cocco di mammina, tutto smorfie e espressioni arroganti» lo canzonò malignamente James guadagnandosi una pacca dietro la nuca.

«Quello che io non posso credere» disse Remus dopo che le risate si furono calmate e il silenzio tornò a imperversare, «è che d’ora in avanti quando mi sveglio potrei non vedervi più per tutta la giornata… che potrebbero passare intere settimane senza che ci vediamo…»

«Oh, non ci sperare, Moony» ribatté James con un sogghigno. «Se pensi di esserti liberato di noi solo perché la scuola è finita puoi liberamente toglierti l’idea dalla testa. Ti verremo a rompere esattamente alle stesse ore in cui siamo sempre venuti.»

«Le tre di notte?» Remus se ne uscì con una smorfia. «Grazie dell’informazione, mi sa che dovrò ben blindare la mia casa… altro che attacchi da Mangiamorte, qui bisognerebbe preoccuparsi degli attacchi dei malandrini, specie se in massa…»

«Pensate che sarà molto pericoloso, là fuori?» chiese Peter con una piccola esitazione mentre tutti e cinque salivano sul treno.

Gli altri si strinsero nelle spalle.

«Siamo in guerra, ovviamente non sarà una passeggiata» cominciò Remus.

«Ma direi proprio che dopo aver passato anni interi a tenere al guinzaglio un ferocissimo Remus-Mannaro possiamo vedercela con qualunque scagnozzo il caro Voldie deciderà di mandarci contro» rispose Sirius.

«E poi, Peter, ci siamo sempre noi, no?» disse Lily rivolgendogli un sorriso. «Voglio proprio vedere chi riuscirà a batterci, se siamo tutti insieme…»

«Già» ridacchiò James mentre prendeva posto nel suo scompartimento. «Il caro vecchio zio Voldy può tranquillamente dire addio alle sue ore tranquille ora che abbiamo arruolato questa bomba ad orologeria nelle nostre file…» Rise stringendo a sé la sua ragazza. La sua ragazza. Che bel pensiero…

«E noi ci saremo sempre, lo sai, vero?» aggiunse Remus guardando l’amico sorridere con una punta di incertezza.

«Già, se ti senti in pericolo vieni dal caro vecchio zio Pad e ti mostrerà lui cos’è il vero pericolo…»

«Già, Peter, se sei sopravvissuto a sette anni con questi due direi che Voldemort e compagnia cantante ti fanno un baffo…» rise Lily.

«Noi siamo qui, Peter, per qualunque cosa. Diamine, credo che sarei capace di uccidere per salvare la vostra pellaccia…» esclamò James.

Sirius rise. «Ci saresti molto utile in versione assassino, in effetti… diciamo che saresti capace di tradire l’Inghilterra pur di salvarci e siamo molto più a cavallo…»

«Mhm» ponderò James. «Tradire è una cosa che non mi piace… diciamo che sarei capace di tradire per voi, ma preferirei di gran lunga non farlo.»

«Bene, così noi possiamo restare sicuri che sei ancora il vecchio James di sempre» concluse Remus con la sua solita saggezza.

  
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