Fianchi rotondi
Capitolo 9
Efestione giaceva nelle cure di Aristandro.
Alessandro tardava a tornare, la ferita perdeva molto sangue e il vecchio
dovette cambiare le bende. Nel frattempo, si chiedeva quale punizione avrebbe inflitto
il re a quei due poveri disgraziati. Un processo sarebbe stato inutile: chi
avrebbe raccontato all’esercito intero di quella storia balzana? E, anche se avessero capito, a chi sarebbe importato della
sorte di due servi, persiani, per giunta? D’altronde, se conosceva bene
Alessandro, la condanna a morte gli sarebbe sembrata solo
un modo rapido per finire per sempre le loro sofferenze. Li avrebbe davvero
lasciati morire dolorosamente nelle prigioni, che magari li avrebbero visti
mangiarsi a vicenda per vincere la fame? Li avrebbe torturati? O avrebbe pensato a qualcosa di più crudele?
Alessandro entrò nella stanza di Bagoas; puzzava di umido e di chiuso. Ultimamente era stata pressoché
lasciata a sé stessa. Si guardò in giro:
nessun’ampolla, nessun vasetto o qualche
fialetta con strani unguenti. Da sempre si era immaginato diversamente la
stanza di una strega.
Appena volse lo sguardo allo
scrittoio, si mise le mani tra i capelli: era in assoluto disordine. Fogli,
libri, pagine strappate e bozze di disegni si ammassavano qua e là quasi
come per impedirgli di trovare quello che stava freneticamente cercando. In
mezzo a quel ciarpame, grossi volumi all’apparenza molto antichi
attirarono la sua attenzione: la grammatica persiana, l’antica e la
nuova, e libri di erbe e infusi medicamentosi. Bagoas
aveva più segreti di quanto si potesse
sospettare. Immerse allora le mani in quel mare di cartacce strappate e
bruciate ma, sebbene non comprendesse ancora molte parole di persiano e quei
fogli fossero addirittura scritti in lingua antica,
non gli sembrò di scorgere nessun filtro d’amore.
“Dannazione,” pensò
“dovrò andare a liberarlo?”.
La storia stava prendendo una piega veramente
assurda, e ancora una volta pensò che avrebbe dato qualsiasi cosa pur di
potersi addormentare e, dopo un lungo sonno, potersi destare di nuovo tra le
braccia di Efestione, e magari sentir bussare alla
porta e veder entrare Bagoas con la sua colazione.
Chiuse gli occhi per un attimo e fece appello
a tutte le sue forze per mantenere la calma.
Il letto di Bagoas era un umile giaciglio
dalle lenzuola scomposte; quasi come per istinto Alessandro si mise a
squassarlo e a tastarlo qua e là, guardò sotto, sollevò i
cuscini e finalmente pensò d’aver trovato qualcosa simile ad una
ricetta per un filtro d’amore. La pagina era di papiro, visibilmente
strappata e ormai ingiallita. La scrittura era incomprensibile, e su alcuni
passaggi erano state annotate le traduzioni in persiano moderno. “Aveva
anche studiato, per fare tutto questo.” pensò, rigirandosi il foglio tra le mani
“Maledetta strega. E mi aveva sempre detto di
non saper leggere. La pagherà; la pagherà
molto cara”.
Non perse altro tempo a rimuginare e si diresse verso la sua stanza,
dove lo aspettavano Aristandro e, ahilui, Efestione privo di sensi.
-Mmm. Effettivamente, è un lavoro magistrale. Si tratta di
persiano molto antico, e il tuo servo deve aver studiato molto per riuscire a
tradurlo, da basi oltretutto… pressoché inesistenti, direi. Doveva
desiderarti con tutto sé stesso. Riesce persino
a muovermi compassione.
- Credi di riuscire a fare qualcosa, quindi?
- Lo porterò nella mia stanza e
cercherò di esaminarlo meglio. Nel frattempo, bada ad Efestione. La
ferita perde sangue, e lui non accenna a rianimarsi.
Prima di congedare Aristandro, Alessandro
gettò un’occhiata colma di lacrime al suo amico disteso sul letto
e alla benda rossa di sangue.
- Mi raccomando –
aggiunse l’indovino – cerca di controllarti. Andrà
tutto bene; parola di un veggente. – e richiuse
la porta alle sue spalle.
Alessandro si gettò sul letto accanto
ad Efestione e si denudò; poi, mentre si stringeva a lui più
forte che potesse, sentì come se un po’ della sua vita si
trasfondesse nelle membra inerti dell’altro. Con le mani percorse i contorni del suo petto ferito e, ancora una
volta, non riuscì a trattenere le lacrime. – Quando
ti risveglierai, potrai di nuovo stringermi la mano, Efestione. E sarà tutto come prima… mi amerai. Mi amerai
di nuovo, o morirò. – con un gemito sommesso nascose il viso
bagnato nell’incavo della spalla del suo amato. Quella pelle ruvida, era
da tempo che non la sentiva così vicina.
“Mille volte meglio morire,” pensò, mentre stringeva i denti e sfogava le
sue pene “piuttosto che soffrire d’amore”.
- Dovevo immaginare che sarebbe finita così; ahimé,
maledetto il giorno in cui accettai di darti ascolto! – sospirò
Narda.
- Tu non sai cosa significa soffrire mille
pene d’amore, sciocca ancella! Tu non sai che è molto peggio della
morte! Ora che non posso più avere l’amore del mio Iskander, a che serve vivere?
- Io
mi sono macchiata di sangue per questa tua folle infatuazione! Ma che importanza ha, ora? Morirò. Morirò tra
queste luride mura!
- Se tu fossi
scappata, le cose sarebbero andate diversamente. Sapevo che non avrei dovuto fare
affidamento su una donna, una schiava, tra l’altro.
- Sta’ zitto, senza testicoli! Tu,
ridotto in quel modo, non hai maggior virilità né condizione
sociale.
Bagoas sospirò, punto sul vivo,
ricordando quello che sarebbe potuto diventare. Lui, figlio di
Artembare, figlio di Araxi, nato per combattere e per perpetuare la sua
dignitosa dinastia, si ritrovava evirato, nelle sozze segrete di un castello, a
struggersi d’amore e a riecheggiare gloriosi tempi ormai andati perduti.
Soppresse lacrime amare. - Iskander è magnanimo, forse cambierà idea.
- Sì. Invece che lasciarci marcire qui,
ci ammazzerà sotto le macchine da tortura! Ah, magari decidesse
così! La morte sarebbe più rapida. Ma
non lo farà, e sai perché? Perché gli
hai tolto quanto di più prezioso aveva al mondo. E non ce lo perdonerà mai, nemmeno quando potrà
rimirare le nostre carni decomposte dietro queste sudice sbarre! – con le
mani si aggrappò disperatamente alle sbarre e le scosse violentemente,
ma quelle non si muovevano e allora gettò la testa all’indietro ed
emise un lungo, angoscioso lamento.
- Smettila, stupida che non sei altro! Mi dai
fastidio quando ti lamenti, hai una voce insopportabile. – Bagoas
continuava a non scomporsi troppo.
- Miserabile! – sbottò Narda,
voltandosi e incenerendolo con lo sguardo – Quando comincerò a
soffrire la fame, sarai tu stesso a saziarmi! –
un altro doloroso lamento.
Bagoas le diede le spalle e si sedette.
“Mille volte meglio morire, piuttosto che soffrire d’amore.”
L’attesa era interminabile. Quanto ci avrebbe impiegato,
Aristandro, per trovare una soluzione? E soprattutto,
l’avrebbe trovata? Ed Efestione, ce l’avrebbe
fatta? Quei tormenti gli facevano pulsare le tempie e
accartocciare lo stomaco; avrebbe voluto correre nella stanza
dell’indovino, avrebbe voluto vegliare il suo amato; quello che fece alla
fine fu alzarsi dal letto, coprirsi con un panno di lino e mettersi a camminare
avanti e indietro per la stanza.
Passarono minuti interminabili, forse mezzore,
forse ore, chi lo sa?, e sentì bussare alla
porta. – Sì…?
L’indovino entrò con
un’aria del tutto indecifrabile. Alessandro non sapeva se cantare gloria
o avvilirsi, così tirò le labbra in un’espressione strana
almeno quanto quella di Aristandro.
- La situazione… - cominciò il
sovrano.
- La situazione è alquanto strana, Alessandro. – concluse
il vecchio.
Alessandro con un soffio scostò una
ciocca di capelli che gli ricadeva sul viso. – Ah, non mi sorprende.
Dunque?
- Beh, la ricetta è molto semplice: un
infuso di essenze di alimenti fortemente afrodisiaci e
qualche ingrediente del tutto strampalato che non so nemmeno dove cominciare a
cercare. La cosa interessante è la nota scritta in sanscrito in fondo
alla pagina: probabilmente nemmeno Bagoas ha saputo tradurla.
- E allora, forza,
parla!
- La pozione fa effetto immediato sul sangue e
il tempo che impiega per stabilizzarsi è di all’incirca
cinquanta giorni, perciò è molto importante che la vittima non
perda ingenti quantità di sangue prima della scadenza di questo tempo.
Alessandro si abbandonò al suolo e
alzò le braccia al cielo – Che il Dio sia
ringraziato! Questa è la salvezza del Dio Creatore! Questa è la
provvidenza!
Aristandro leggeva e rileggeva la nota in
sanscrito, incredulo e felice allo stesso tempo; leggerla da solo nel suo
studio e leggerla davanti al suo re commosso dalla
gioia erano due cose del tutto diverse. Il re si sollevò da terra e
abbracciò il vecchio indovino, lo baciò su entrambe le gote e si
mise a piangere dalla contentezza. – Oh, Aristandro! Oh, amico mio, oh! Grazie, grazie di tutto! Oh, non posso crederci! –
e prese a baciare giubilante tutte le cose che gli capitavano in mano, dalla
porta al materasso, dallo sgabello accanto al letto all’arpa appoggiata
alla parete, e naturalmente il viso ancora immobile di Efestione.
- Di niente, mio sovrano. –
sussurrò Aristandro, chissà se in quel momento Alessandro potesse
udirlo.
Senza essere visto, decise di lasciarli soli e
si voltò per non mostrare al suo re una lacrima di gioia che solcava la
sua guancia rugosa.
Con quell’umore addosso, Alessandro
sarebbe anche stato capace di perdonare i prigionieri.
Non avrebbe più potuto aspettare. La sua euforia era qualcosa
d’incontenibile, doveva stringere la mano del suo Patroclo, doveva amarlo
ancora una volta. Tante sofferenze avrebbero dunque avuto una fine? Corse a
riempire una coppa d’acqua fresca e la accostò
alle labbra screpolate di Efestione, poi gli si sdraiò nuovamente
accanto, accarezzandogli i capelli crespi con le mani sottili e profumate e
tutto il corpo con occhi di fuoco.
La concupiscenza scatenò in lui
un’improvvisa vanità che da quando il suo
amato gli aveva negato l’amore gli era sembrata quasi appassita; si
preparò un bagno odoroso e si lavò accuratamente i capelli, li
cosparse di un olio d’Arabia e si rase, infine si contemplò allo
specchio e agitò con le mani la fulgida chioma per darle volume, si
avvolse in una morbida veste di lino ricamata d’oro e si sedette accanto
ad Efestione.
Quando si fosse svegliato,
l’avrebbe accolto così.
Nel frattempo, Aristandro gironzolava serenamente nei sotterranei del
castello, intento a dare un’occhiata a due
miseri condannati.
Riuscivano davvero a muovergli compassione,
addossati l’uno all’altra, mentre Narda si scioglieva in penosi
lamenti e Bagoas nascondeva il viso tra le mani, immobile, in un angolo della
cella.
- Ah, miseri! – esordì
l’indovino. I due si riscossero immediatamente,
come se nei loro occhi stesse ora vacillando un ultimo barlume di speranza.
- Saggio indovino! – gemette Narda
– Sei qui per annunciarci quale tremenda
punizione ha intenzione di infliggerci il sovrano?
- Il sovrano non ha ancora deciso.
- Credi che ci farà davvero morire di
fame in queste prigioni?
- Forse. Voi cosa fareste al suo posto? Vi
perdonereste?
Narda scosse la testa e si abbandonò
sul pavimento in lacrime. Bagoas alzò gli occhi e, quando vide la sagoma
scheletrica dell’indovino, non ebbe nemmeno la forza di odiarlo. Cosa sarebbe stata la sua vita, ora, senza l’amore del
suo Iskander?
- Il re… - riprese Narda dal suo cupo
nascondiglio di capelli – Il re è magnanimo… non è
vero?
- Certo, Alessandro è clemente ogni
volta che sia possibile. E’ clemente con chi si
arrende alla sua avanzata, ma non con chi osa sfidarlo.
Ma il re comprendeva sempre l’amore,
pensava Bagoas. L’avrebbe compreso anche questa volta? Avrebbe saputo
comprendere l’amore che gli era stato duramente vietato? Forse no. Forse,
quella volta, non avrebbe compreso.
E nascose ancora il
volto tra le mani.
Aristandro si avvicinò ulteriormente
alla cella e appoggiò le mani alle sbarre. – Siete stati
fortunati, in un certo senso.
- Come? – mormorò Narda incredula
- Alessandro ha trovato il modo per annullare
l’incantesimo. - Bagoas ebbe un sussulto e Narda sembrò risalire
nel mondo dei vivi. Aristandro continuò: - E’ di
ottimo umore, e non escludo che possiate beneficiarne anche voi.
Bagoas sapeva che Alessandro non avrebbe di
certo dimenticato, ma sapeva anche che molto spesso egli prendeva le decisioni
in base all’umore del momento. - Questo… questo vuol dire che c’è ancora qualche speranza, per me.
– mormorò con una voce così flebile che né Narda
né Aristandro riuscirono a udire.
Gli cambiò le bende e gli bagnò ancora le labbra con
qualche goccia d’acqua e si sedette accanto a lui.
Furono forse i suoi sguardi accorati, forse il
calore del suo tocco sul suo petto sfregiato o forse
la fragranza delicata che emanava dal suo corpo a fargli aprire di nuovo gli
occhi.