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Autore: fiammah_grace    12/04/2010    3 recensioni
Fanfic ambientata dopo le vicende di final fantasy VII.
Sephiroth era il figlio di Jenova. Il predestinato. Il re del pianeta.
Ora che non era più nessuno, cosa gli serviva vivere? Come avrebbe mai potuto sopportare di essere vivo grazie a Cloud e compagni, convinti poi di poterlo addomesticare? Loro non potevano nulla contro di lui.
Nessuno era in grado di domare il re.
Nessuno avrebbe impedito il destino di compiersi. Peccato non ci fosse Aerith nei piani.
Sarà lei l’improvvisa causa che capovolgerà l’universo dell’uomo dai capelli argentei fino a sconvolgere la sua vita.
[Sephiroth x Aerith]
Genere: Dark, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aeris Gainsborough, Cloud Strife, Sephiroth, Tifa Lockheart
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: FFVII
Capitoli:
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BREATH






CAPITOLO 3




Solo dopo essere stato bruscamente svegliato dai raggi del sole, Sephiroth si accorse che era giorno. Si trovava rannicchiato su un vecchio materasso, circondato di secchi e scope vecchie. Portò una mano vicino gli occhi. Era ancora terribilmente stordito ed assonnato.

“Hello!”

“Ma cosa..?”

Una voce femminile e così stridente da essere fastidiosa lo fece scattare. Aprì gli occhi e vide Aerith intenta a spalancare tutte le finestre del negozio di fiori. Lui si alzò non scostando gli occhi da quell’esile figura. Era pronto a cacciarla via, ma qualcosa lo trattene.

“Cosa vuoi?” le disse seccatamene.

In tutta risposta, la giovane ancient gli regalò un sorriso così gioioso da farlo inorridire.

“Stasera non riuscivo a prendere sonno così ho riflettuto. Ora so come posso aiutarti!” annuì soddisfatta. “Facendoti lavorare un po’! Che ne pensi?”

Sephiroth la guardò parecchio perplesso.

“Cosa ti serve?” disse, convinto che lei lo volesse sfruttare per qualche commissione. Aerith gli si avvicinò velocemente e scosse la testa.

“Non mi serve nulla! Solo che ho deciso che lavorerai con me qui al negozio di fiori!”

L’uomo si guardò attorno.

“Qui? Ho capito bene?”

Lei annuì.

“Io dovrei lavorare in un negozio di fiori?”

Aerith annuì nuovamente. “Sì, esatto.”

Nell’udire quelle parole, Sephiroth si lasciò andare ad una sentita risata. Aerith si risentì e portò le mani sui fianchi mostrandosi più determinata.

“Cosa c’è da ridere?” gli chiese.

Lui le rivolse i suoi occhi sprezzanti.

“Puoi scordartelo.”

La ragazza sgranò gli occhi. Si allontanò da lui e prese da terra un secchio che poi andò a posizionare ai piedi di Sephiroth.

“Non te lo sto chiedendo. Te lo sto dicendo: Tu lavorerai qui! So che per il momento non sei stato trattato al il meglio e…”

“Oh, sì.” Rispose, interrompendola. “Legato in casa mia e ogni volta un imbecille diverso a controllarmi…davvero un trattamento singolare. Cosa dovrei? Ringraziare?”

“Se fai il bravo le cose cambieranno! Ora vieni, aiutami a travasare queste piante…”

L’ancient si allontanò da lui per recuperare piccoli utensili da giardinaggio, ma in poco tempo si accorse che Sephiroth era ancora lì, immobile.

Sospirò pazientemente. Sapeva che era quasi del tutto impossibile riuscire a suscitare una reazione in lui. Era sempre stato solo ed aveva imparato a badare a sé stesso senza mai dar conto a nessuno.
Che speranze aveva lei di far breccia nel suo cuore?
Forse nessuna. E dunque cosa fare? Lasciare perdere?
No. Era improponibile.

Si avvicinò a lui sorridente e gli mise tra le mani degli oggetti.

“Ecco qua. Ora ti faccio vedere come si fa.”

Le mostrò un sorriso sprezzante.
Gettò a terra gli utensili, per poi abbandonarsi sul materasso distendendosi in piena tranquillità.
Guardò Aerith, aspettando la sua reazione che non tardò a venire.

“Dovrai pur far qualcosa, no? Allora aiutami!”

Sephiroth portò le mani dietro la nuca sospirando pazientemente.

“Dovrai pagarmi.”

“Farò del mio meglio.”

Quella risposta lo divertì, tant’è che cercò nuovamente gli occhi della ragazza. Era così fastidiosa e terribilmente insistente. Tuttavia vederla così determinata a non mollare gli portò un’emozione per lui difficile da descrivere. Una qualcosa simile alla curiosità, forse.

“Non sai proprio con chi hai a che fare, giusto?” le disse, pungente.

“Hai ragione, forse non so con chi ho a che fare.” Gli disse mentre gli si avvicinava e prendeva posto accanto a lui. Quel gesto lasciò Sephiroth senza parole, ma non lo diede a vedere. Si limitò ad osservarla mentre lei portava il viso di fronte al suo. Poggiò la piccola mano sul petto di lui e si sporse appena. La lunga treccia cadde vicino il viso dell’uomo, ma Aerith non pensò a scostarla.

“…e dunque? Sei sola, potrei anche ucciderti e scappare.”

Lei continuò ad avvicinarsi al suo viso e Sephiroth la lasciò fare non provando alcuna emozione, se non la curiosità di sapere fin dove si sarebbe spinta.

“Proviamo.” Gli sorrise. “Penso che non ci sia nulla di male.”

“Ti ucciderò se mi chiederai di nuovo di lavorare per te.”

Quelle parole non la spaventarono. Questo fece adirare Sephiroth che continuava a guardare Aerith con un sorriso beffardo.

“Sono sicura che il comandante Sephiroth saprà infilare un po’ di terra in un vaso.” Gli rispose un po’ provocante.

A quel punto Aerith si alzò e uscì dalla stanza. Cominciò a rassettare il posto e a sistemare i fiori.

Sephiroth si alzò e la guardò mentre si accasciava per sistemare.

Quella donna…che voleva?

Lei rappresentava un mondo completamente sconosciuto per lui. Tutto ciò che non riusciva ad immaginare.

Vedeva in lei un’insopportabile caparbietà e convinzione di poter fare tutto. Era convinta che lo avrebbe cambiato? Che lo avrebbe reso diverso? Che lo avrebbe compreso?

Lei continuava a poggiare i fiori sulle varie mensole e a travasare piante senza guardare nemmeno un attimo Sephiroth.
Lentamente la vide sporcarsi e graffiarsi quelle mani dall’apparenza così fragile e delicata.

Spesso si era anche punta, ma non si era fermata un istante.

Le si avvicinò e le sfilò da mano un vaso particolarmente pesante per lei.

“Me la pagherai per questo.” Le disse infastidito mentre poggiava il vaso a terra.

Aerith non poté che esserne felice nonostante l’occhiataccia di Sephiroth.


[…]


Osservò distrattamente l’orologio. Indicava le dieci di sera.

Facendo un veloce calcolo, Sephiroth constatò che si trovava lì, di fronte alla finestra, da un paio d’ore. Forse di più. Le aveva passate in silenzio, senza pensare o fare a nulla.
Alzando gli occhi verso il cielo stellato, si rammaricò di non provare nulla. Nessuna emozione.

Solo nella sua mente, all’improvviso, echeggiarono dei ricordi diversi dai soliti.

Non ricordava né a quanto risalissero e neppure se questi fossero ricordi veri e propri. Ma lei era li. La madre.

No…non era Jenova…
La donna che vide era diversa da lei.

Lei non era La Madre.

Eppure trovò così strano pensare a quella donna di cui non conosceva né nome né volto. Si chiese nuovamente se fosse un vero ricordo…
Era troppo nitido per essere un sogno, ma troppo perfetto per essere vero.

Cos’era, dunque?

Preferì non chiederselo ulteriormente e si lasciò cullare da quei ricordi a tratti persino piacevoli.

Vedeva quella figura femminile parlargli, dire delle parole, ma per Sephiroth era a dir poco impossibile sperare di intuirne il significato. Un’insolita nota di malinconia si disegnò sul volto e quasi gli parve di provare ansia, angoscia.

Gli sembrava molto stanca. Forse…di lì a poco sarebbe morta.
Questo non influì per niente sul ricordo che aveva. Le sembrava comunque bella. Più che bella, era bellissima. Stanca, sorridente, nervosa…ma sempre bella.

Era così esile, eppure stretto a lei quasi gli pareva di essere immune a qualsiasi cosa.

Ah…

Guardò le mani e vide che erano piene di sangue. Non ricordava nemmeno quando e perchè avesse cominciato a stringersi le mani fino a graffiarle.
In ogni caso non se ne curò, la ferita non era grave, e se non era mortale non era nulla di rilevante per lui.

Tornò alla finestra e trovò di fronte a lui di nuovo quella piccola, preziosa ancient.

Il negozio di fiori era di fronte casa di Aerith e da lì la poteva vedere perfettamente.
La vide salutare una donna anziana con un lungo abito verde, mangiare e poi correre per i piani seriori.
L’osservò infastidito, avvertendo in quella casa una sensazione di calore e sicurezza che lui non aveva mai avuto modo di sperimentare.

Una tranquillità quasi fastidiosa. Una sensazione sgradevole che non ci teneva a conoscere.
Erano come una droga, l’uomo non ne poteva fare a meno.
Sephiroth preferiva di gran lunga tenersi lontano da tutto ciò che regnava in quella dimora.

Aerith sciolse delicatamente i capelli e li lasciò ondeggiare lungo il suo corpo. Sospirò, poi con lentezza sfilò il lungo abito rosa fino a levarlo via completamente, lasciando il suo corpo nudo.
Era molto esile ed aveva delle gambe davvero sottili. Il suo seno era ben formato, e anch’esso aveva l’apparenza così soffice e delicata. Tutto di lei era così fragile da sembrare che potesse rompersi da un momento all’altro. Aprì la doccia e vide il suo corpo mentre si bagnava e i capelli divenire un’unica folta chioma.

Era molto elegante sotto quell’acqua che le impediva persino di aprire gli occhi. Gli sembrava quasi impegnata in una strana danza o qualcosa del genere. Eppure lei era impeccabile.

Si perse più volte lungo il suo corpo chiedendosi come un essere tanto fragile fosse riuscito ad avere un’influenza simile su di lui.

Forse perché era un ancient?

No…gli sembrava un po’ inverosimile.

Era il suo carattere ad essere così terribilmente irresistibile. Terribile, pungente, irriverente…ma irresistibile.

Socchiuse per pochi attimi gli occhi e quando li riaprì vide che lei era già uscita dalla doccia e pronta a coprirsi con una leggera vestaglia.
Ancora completamente bagnata, prese a tamponare i lunghi capelli fino a lasciarli appena inumiditi.
A poco a poco, con il phon li asciugò completamente.

Non aveva mai immaginato che Aerith avesse i capelli così lunghi, folti e mossi. Credeva fosse diversa, non sapeva nemmeno come, ma vederla più al naturale lo lasciò stranito.
Forse era solo più abituato a figurarsela con quella lunga e stretta treccia. Oppure, semplicemente, non ci aveva mai pensato.

Quell’immagine di lei in vestaglia lo ammaliò.

Aerith era molto attenta per quanto riguardava la cura estetica, e si perse nei suoi gesti, mentre la vedeva aggiustarsi pazientemente ogni singola ciocca di capelli.

A quel punto, Sephiroth si sentì leggermente a disagio.
Solo allora si accorse che non era molto abituato alle donne. Uno come lui non ne aveva conosciute molte. Forse, in generale, non aveva mai conosciuto nessuno.

Rimase immobile e, a differenza di quanto si potesse credere, non gli venne per niente in mente l’idea di allontanarsi e distogliere lo sguardo.
Al contrario.

Dentro di lui si ritrovò a pensare che, probabilmente, non avrebbe dovuto stare lì a guardarla, eppure non scostò gli occhi nemmeno per un istante.

Invece, per tutto il tempo in cui lei si vestiva e si preparava per andare a letto, non aveva sbattuto ciglio.

Era…semplicemente rapito quando vedeva Aeris.
Quando la vedeva ridere, mentre si arrabbiava, mentre si vestiva…

Era convinto che sarebbe stato capace di guardarla per ore…

Non seppe dare un nome a ciò che provava.
Provava un terribile fastidio quando la guardava, ma ne era attratto.

In realtà Sephiroth non era mai stato in grado di provare sentimenti per una persona.
Per lui era sempre esistito solo l’odio e il lavoro. Ora cosa accadeva?
Sentiva odio e repulsione per ciò che stava provando in quel momento.

Il suo cuore cominciò a battere inspiegabilmente più forte, ma non si scostò dalla finestra finché lei non si mise a letto e chiuse tutte le luci.

Perché proprio lei, un essere così fragile, dov’esse confondergli a tal punto la mente?
Odiava, odiava quella piccola e preziosa principessa.

Avrebbe preferito di gran lunga che lo avessero lasciato morire.


[…]


Il mattino seguente era decisamente più fresco e ventoso degli ultimi giorni dove invece aveva regnato l’afa e l’umidità.
Ancora una volta Aerith si svegliò di buon ora per dirigersi al negozio. Una volta pronta, scese velocemente sperando di essere più fortunata con Sephiroth.

Non pretendeva di avere risultati immediati da lui, ma sapeva che la costanza e la perseveranza l’avrebbero aiutata.
Lentamente sarebbe riuscita a smuovere qualcosa in lui. Non mise in dubbio nemmeno per un secondo le sue chance di riuscita.
Aerith era cocciuta ed era terribilmente sicura di sé.

Si fermò un attimo davanti al locale. Qualcosa la fece tentennare. Cos’era?
Non le ci volle molto a trovare la risposta negli occhi di Sephiroth.
Quegli occhi così gelidi e pungenti la intimorivano. Si chiedeva come facesse ad avere quegli occhi sempre pronti a trafiggere.
Lui era un tipo di poche parole, eppure con uno sguardo era capace di dire tutto.
Cosa ci leggeva in quello sguardo? Preferiva non pensarci.

Sospirò cercando di trovare dentro di sé la forza e la determinazione di andare avanti. Non voleva mollare con lui per uno sguardo o Cloud avrebbe avuto ragione. Il suo non era un capriccio o una presunzione. Lei aveva il dovere di far qualcosa per lui.

Aprì appena la porta e chiamò il nome di Sephiroth.

Prevedibilmente non rispose nessuno al che Aerith si inoltrò dentro.

“Dove sei?”

Cercò con gli occhi più volte quando lo vide sbucare dalla penombra come un grosso predatore.
Lui la fissò ancora una volta con quello sguardo aggressivo e non disse nulla.
Aerith gli si avvicinò e gli portò davanti agli occhi una scatola bianca.

“Ecco a te!”

Sephiroth guardò la scatola perplesso, poi si rivolse sgarbatamente alla giovane.

“Che roba è?”

“Ieri eri pieno di ferite! Ti dovrò curare!” rise per pochi attimi. “Tu hai bisogno di una donna che ti faccia questo.”  Aggiunse, sorridendo.

A quelle parole lui abbozzò un ghigno.

“Donna? Poco m’importa di una donna cosa senta il bisogno di fare.”

Aerith lo guardò con disapprovo, ma si sforzò di essere ironica.

“Anche tu un maschilista? Tanto puoi dire quello che vuoi, lo sai che è vero ciò che dico!”

L’uomo dai lunghi capelli argentei si allontanò da lei e guardò distrattamente l’ambiente circostante.

“Non penso tu voglia davvero sapere la mia opinione sulle donne…”

A differenza di quanto immaginasse, Aerith rise nel sentirlo parlare così. Quando vide Sephiroth curioso della sua reazione, cercò di calmarsi.

“Eh, eh..! Mi sembra la tipica risposta di chi nasconde qualcosa!”

Sephiroth non mostrò il minimo interesse nel voler interloquire con Aerith, che si sentì un po’ sciocca.
Cercare un dialogo umano con Sephiroth era decisamente difficile.
La ragazza pensò che forse non era ancora il momento giusto. Era importante fare un passo alla volta, con uno come lui.

Scosse la testa e prese in mano gli attrezzi da giardinaggio.

“Oggi ti va di collaborare?” gli disse cercando di smuoverlo.

Ancora una volta fu capace di sorprenderlo con quello sguardo. Le sorrise malignamente e le si rivolse sprezzante.

“No. Non ho intenzione di farmi trattare come un cagnolino da te.”

“Cane? No…che dici?” non fece nemmeno in tempo a parlare che vide Sephiroth avvicinarsi alla porta d’ingresso del locale.
Lo guardò sorpresa, ma quando si accorse che aveva intenzione di aprirla sobbalzò e gli corse dietro. “Ehi! Dove vai?”

Lui non si degnò di girarsi ed aprì. Aerith lo bloccò per un braccio, ma lui tempestivamente si divincolò da quella presa sferrando un colpo alla giovane ancient che cadde a terra. Inavvertitamente andò a sbattere con la testa e perse i sensi.

Sephiroth inarcò le sopracciglia nel vederla lì, stesa atterra, battuta da un colpo tanto banale.
Si chiese se avesse usato troppa forza, ma non se ne curò.
Tanto meglio così.

“Sciocca. Non hai ancora capito con chi hai a che fare.”

La luce che era entrata violentemente nel locale si dissolse tempestivamente quando Sephiroth chiuse la porta per inoltrarsi per le strade di Edge.


[…]


Acqua…


C’è molta acqua qui…


Acqua…


Decisamente terribile!


Bastava essere appena nelle vicinanze di Forgotten city per rendersi conto che quel luogo fosse completamente diverso da qualunque altro presente sulla terra.

Osservò a lungo le macerie illuminate da un sole così caldo che pareva potesse incenerirle.
Erano strutture secolari, ma ancora perfettamente bianche. Così bianche che parevano sbiancare sempre più. Il tempo non aveva potere su quella città.

Ad essere sovrano assoluto, lì, era il silenzio. L’unico a regnare incontrastato in quella distesa infinita.

A rompere quella magia erano solo i passi delle poche persone che avevano attraversato quel piccolo mondo. Quasi sembrava che Forgotten city li ricordasse tutti, tanti pochi che erano.

Un’atmosfera decisamente inquietante. Così terribile da far venire voglia di tornare indietro.

Il bianco non aveva mai fatto così paura.

Cos’era accaduto li?

Forgotten city era la terra dei Cetra. L’antico popolo in grado di ascoltare la voce del pianeta: il flusso vitale, conosciuto anche come Lifestream.

Non aveva l’aria di essere stato un luogo un tempo abitato.
A dimostrare che un tempo vi era la civiltà erano solo una manciata di case dalla struttura architettonica decisamente inusuale. Piccole cupole bianche ora ridotte a mucchi di macerie poco vivibili.

Quale disgrazia aveva colpito i Cetra?

Si erano estinti.

Non era rimasto nemmeno uno di loro.

Tranne Aerith.

Lei abbassò lo sguardo inquieta, mai come allora sentiva il flusso vitale parlarle a tal voce. Era così alta che più volte ebbe la tentazione di tapparsi le orecchie.
A cosa sarebbe servito?
Non poteva fermare il lifestream. Non sarebbe mai sparito con le sue preghiere.

Non l’avrebbe mai lasciata in pace. Mai. Perché lei era una Cetra. L’unica Cetra alla quale potesse rivolgersi.

Qualcuno le avrebbe potuto chiedere: il Lifestream parla? Se sì, cosa dice?

No, il lifestream non concepiva il linguaggio come gli esseri umani. Era un linguaggio diverso e assolutamente impossibile da spiegare.
Erano molteplici emozioni che inondavano la mente della giovane e grazie ai quali riusciva a comprendere il suo volere.

Volere? Quale volere…?

Aerith alzò gli occhi senza badare troppo a quel sole accecante.
Proseguì per quella strada pallida e polverosa per ore…fino all’arrivo nel tempio degli antichi. Le era stato sufficiente ascoltare il pianeta per riuscire a entrarvi.

Era decisamente spettacolare.

Una struttura mai vista prima e in grado di incantare gli occhi di chiunque l’avesse vista.

Dentro il tempio fluttuavano cime di castelli dalla forma astratta ma perfettamente simmetrica. Come potevano mai riuscire a fluttuare? Il potere dei Cetra era persistito in quel posto? Era ancora vivo?

Le fece quasi paura e le mancò l’aria. Quasi si chiese se fosse possibile proseguire senza respirare. Non ce la faceva più ad avvertire una tale sensazione.

Continuò a scendere la lunga scalinata di cristallo non scostando gli occhi dall’ambiente circostante. I suoi occhi vennero attratti dal piccolo altare lì presente.


Il lifestream…


Continuò a scendere i gradini finché non arrivò a toccare a terra.


Il tempo…le persone che amo…


Ancora acqua. Molta. Terribilmente fastidiosa. Era davvero acqua? E perché le dava una sensazione tanto fastidiosa? Forse perché era l’ultima Cetra sopravvissuta?

Non esistevano altre persone come lei. Era sola e mai nessuno l’avrebbe capita. Mai nessuno avrebbe saputo cosa provava. Nessuno sapeva cosa significasse essere un antico. Essere sopravvissuta.

Perchè non dire addio ora, dunque? Abbandonarsi e trovare riposo?
Riposo per cosa…stanca perchè?

Il lifestream continuò a chiamarla a gran voce.

Aerith scosse la testa cercando di cacciar via tutti quei pensieri. Ma non si poteva scacciare via con tanta semplicità la voce del lifestream.

Non mi va…

“Non mi va! Io non voglio!”

Io sono felice, così…

Alzò gli occhi con rabbia e li rivolse ad un ipotetico interlocutore.

“Dimmi che andrà tutto bene!”

Il Lifestream non fermò il suo lungo e tormentato canto. Nemmeno un attimo. Anzi, quasi le parve che stesse aumentando di secondo in secondo.

“Sei egoista…”



Io so che sei già qui…potrei scappare via, lontano da te.
Sai che lo potrei fare. E allora tu avresti il mondo in pugno.


Ma io non lo farò!


Perché non mi hanno mai insegnato ad essere egoista come te e come il pianeta.
Non lo so fare…non ne sono proprio capace.


Chissà, forse non mi interessa nemmeno ciò che sta accadendo e ciò che forse accadrà.
Ma ora cosa importa chiederselo?


…E tu, invece? Cosa mi chiedi di fare così insistentemente?
Tanto sai bene che sarebbe sufficiente solo una misera richiesta e subito sarei ai tuoi piedi.
Non sono capace di pensare a me stessa. Pochi mi conoscono per come sono davvero.


E’ inutile che continui ad assillarmi. Non urlare, non ce n’è bisogno!
Non abbandonerei una singola richiesta di aiuto.


Fosse il lifestream, un essere umano…come potrei abbandonarlo? Io che posso aiutarlo.


Io che posso come potrei?
Io che posso volare più in altro degli altri.



“Sei qui…vero?”



Lo so che sei qui.

Ma non scapperò.

Non lo farò.

Sai che lo potrei fare e allora avresti il mondo in pugno.

Sai anche che non lo farò mai.

Sarebbe un peccato imperdonabile.



“Sai quanto mi costerà tutto questo?”



Tu lo sai…ma non potrai mai immaginarlo. Ebbene, te lo dirò io…



“Mi costerà davvero molto…”


Però io ti perdono. Hai commesso un terribile peccato. Io ti perdono. Anche se nessuno potrà farlo.

Chiederò scusa per te…


[…]


La testa le sembrò così leggera e allo stesso tempo pesante. Un lieve dolore le pervase il corpo tant’è che non riuscì ad alzarsi immediatamente.
Rimase stesa sul pavimento, immobile, per una manciata di secondi poi fece un altro tentativo per rialzarsi.
Una spinta veloce e si trovò a scrutare il negozio seduta a terra.

Che mal di testa..!

Portò una mano sulla fronte e socchiuse gli occhi.

“…sono svenuta?” si chiese, sorpresa.

Si sistemò meglio e solo dopo aver notato la porta aperta ed un insolito silenzio ricordò di lui.

“Sephiroth!?” Urlò, sperando di vederlo da qualche parte.

Oddio…cos’ho combinato?

Subito si avventò sulla porta d’ingresso sperando di riuscire a trovarlo il prima possibile.

Un sudore freddo cominciò a pervadere tutto il suo corpo.

Aerith cominciò a correre per le vie di Edge con una velocità a cui non era per niente abituata.
Cercò nella grande piazza, scrutò i vicoli, percorse anche quelle strade che era consona evitare durante la giornata, ma non lo trovò.

Pensava sarebbe stato semplice trovarlo dato che Sephiroth era un soggetto facilmente identificabile, ma fu costretta a disilludersi.

Aveva paura.

No.

Non perché non trovasse Sephiroth.
Non perché lui avrebbe potuto combinare chissà cosa.
Aveva paura se ripensava a Cloud.

Quella sera era stato capace di smuovere in lei il desiderio di saper farsi valere e di saper ottenere ciò che desiderava.
In tal caso, di aiutare Sephiroth e non dargli un motivo per suicidarsi.

Cloud non aveva compreso il suo volere.
Parte di lei voleva credere che sapesse benissimo cosa lei provava, ma che voleva solo proteggerla.
D’altro canto non poteva fare a meno di sentirsi terribilmente inutile e sottovalutata da tutti.

Voleva dimostrare il contrario. Voleva dimostrare di avere forza. Una forza non necessariamente valutabile con la forza fisica e i muscoli.

Però ora Sephiroth era scappato.
Era riuscito a sbarazzarsi di lei con una semplice spinta.

Provò rabbia quando cominciò a valutare dentro di lei la possibilità di non ritrovarlo.
Anche se lo avesse ritrovato, cosa avrebbe mai potuto fare per spingerlo di nuovo a tornare al negozio di fiori?

Comunque sarebbero andate le cose, dunque, avrebbe dovuto chiedere aiuto a Cloud.

Cloud l’avrebbe senz’altro guardata con rimprovero e si sarebbe divertito nel vederla mortificata.

Avrebbe pensato dentro di lui di avere ragione e che Aerith aveva avuto solo un capriccio.

Continuò a correre per le strade importandosi poco del tempo che passava o della stanchezza che cominciava, inesorabilmente, a farsi sentire.

Finché aveva forza in corpo, voleva cercare Sephiroth.

Passò una buona mezz’ora prima che lei si fermasse e desse al suo corpo poco allenato un po’ di riposo.

Delusa, alzò gli occhi al cielo.
Era tramonto.

“Di già..?” disse fra sé con l’affanno.

Per essere già così tardi, pensò che doveva aver dormito molto quando era sbattuta a terra.

Abbassò il capo e sospirò. Capì che la corsa era finita.

Come avrebbe mai potuto cercare Sephiroth? Come poteva sperare di trovarlo?

Non si sarebbe fatto trovare tanto facilmente e comunque aveva avuto molto tempo per fuggire chissà dove.

Aspettò che il suo respiro tornasse regolare così come il suo cuore, che ora batteva più forte per l’ansia di ciò che le sarebbe capitato poi.

Si era lasciata sfuggire Sephiroth e la cosa peggiore era che, probabilmente, gli altri già lo sapessero.

Ricordò Vincent che aveva atteso con attenzione che lei tornasse a casa.

Sapeva che tutti si prendevano cura di lei.

Probabile anche che la spiassero. Tutti quei pensieri e supposizioni le portarono gran rabbia.
Decise di non pensarci e a passo svelto imboccò la strada di casa.

A sua grande sorpresa le ci volle molto tempo per tornare nel suo quartiere. Doveva essersi allontanata davvero molto.
Vide i lampioni pian piano illuminarsi e la notte arrivare violentemente sostituendosi ai forti raggi di sole.

Appena arrivò in una via più buia ed isolata dalle altre, si rese conto di essere finalmente a casa.
Riconobbe tra le varie abitazioni quella dove era situato il suo negozio.
Si avvicinò ad esso e solo dopo averlo guardato più volte distinse la figura di un uomo dal lungo cappotto nero.

Prima non vi fece troppo caso, ma più lo guardava più si rese conto, incredula, di non sbagliarsi.

Lui era poggiato sul muro e l’osservava impassibile. I suoi occhi erano freddi e trasmettevano odio e frustrazione. Erano così luminosi da sembrare irreali. Un colore vitreo, decisamente pallido e spettrale.

Aerith si fermò di fronte a lui, sbalordita di trovarlo lì.

“Sephiroth..?”

Lui le sorrise malignamente e la guardò penetrante, poi si inoltrò nel locale lasciando la giovane Cetra senza parole.


[…]


Era pomeriggio e come promesso Tifa aveva portato la piccola Marlene a fare un giro per la città.
La sera faceva troppo freddo e non era possibile ammirare Edge in pieno. Per di più era pericoloso.

“Guarda cos’ho portato!” La bruna gli mostrò un pallone.

“No, non mi va di giocare!” protestò la ragazzina. “Facciamo qualche altra mossa!”

Tifa le sorrise.

”Dai, cara. Un gioco un po’ più distensivo si addice di più ad una signorina. Almeno papà starà più tranquillo!”

“Tranquillo? Papà vuole che io faccia esperienza…e comunque non voglio giocare a pallone! Voglio allenarmi con te!”

Tifa in tutta risposta le allungò il pallone, che Marlene prese, sbuffando. Continuò a fare i capricci ancora per un po’ prima di lanciarlo a Tifa.
Il tempo che la bruna lo afferrasse e subito si accorse che la ragazzina era sparita.

“Eh? Marlene..?”

Avvertì un colpo dietro la caviglia e poco ci mancò che perdesse l’equilibrio. Guardò dietro di sé e vide la bruna ragazzina ridere soddisfatta.

“Sono stata brava?” chiese contenta.

“Oh, certo…forse troppo, non me l’aspettavo! Ma vediamo se riesci a evitare anche l’attacco delle pizzicate!”

Marlene cominciò a scappare ridendo e col cuore a mille. Tifa la prese e cominciò a riempirla di pizzichi e baci.
Rimasero molto tempo, a divertirsi con battibecchi senza senso e ad inventarsi giochi con il pallone.

Erano circa le otto di sera quando la portò ad un chiosco e le offrì un gelato.

“Ecco a te il gelato! Menta e cocco per te…” le allungò il cono e prese posto accanto a lei in una panchina lì vicino. “…cioccolato e panna per me.”

“Mi diverto a stare con te.” le disse Marlene onestamente.

Tifa la guardò intenerita. Le accarezzò i capelli e vide che era completamente bagnata.

“Caspita! Sei tutta sudata. Dopo corriamo a casa a fare una doccia.”

“Mi scoccio!” sbottò.

Tifa annuì contrariata. “E poi che fai se puzzi..? A casa ho tanti saponi colorati, dai!”

Finirono molto velocemente di consumare il loro pasto.

La bruna guardò la piccola mentre beveva da una fontana. Era davvero bella.
E non solo perchè stava crescendo, era splendida di suo.
Quando ci pensava, le sembrava ancora così assurdo che quella bambina stesse diventando così grande sotto i suoi occhi.

Per di più aveva preso a modello sia lei, Tifa, che Aerith.
La cosa che le sembrava più assurda ed incredibile era che in Marlene riusciva a vedere sia sé stessa che l’amica.

Aveva la finezza di Aerith.

Era molto femminile anche se aveva solo sei anni. Era evidente che avesse molto in considerazione la bionda fioraia.
Infatti indossava sempre abiti colorati ed i capelli erano perfettamente curati e luminosi. Il tutto coordinato con scarpe e accessori.
Sì, sotto questo punto di vista, le somigliava molto.

Di lei, invece, aveva il carattere.
La sua determinazione e voglia di farsi valere sul mondo.

Sorrise della cosa, poi si allontanò per dirigesi al Seventh Heaven con lei.

Arrivarono all’incirca dopo un quarto d’ora e subito prepararono il bagno.

“Tifa? Cloud ci raggiungerà al bar?”  chiese Marlene mentre Tifa sistemava meglio l’asciugamano attorno a sé.  Le sorrise dolcemente mentre prendeva il phon per asciugare i lunghi capelli scuri.

Marlene l’osservò a lungo. La vedeva palesemente come una sorella maggiore e questo portò molta tenerezza nel cuore di Tifa.

“Cloud dovrebbe venire a minuti, Marlene.”

“Ma tu non sei ancora pronta…”

“Non ti preoccupare. Non ci vorrà molto.”

Lo sguardo di Marlene si fece improvvisamente cupo. Non appena la bruna se ne accorse, spense l’asciugacapelli per sedersi accanto a lei. Poggiò una mano sulla sua spalla e la strinse a sé.

“Cos’hai?”

Marlene ricambiò quel gesto e l’abbracciò con forza.

“Cloud non c’è spesso al bar…va tutto bene?”

Tifa le sorrise di nuovo, sperando di rincuorarla.

“Ma certo che va tutto bene. Cloud…ha solo bisogno di qualche altra strigliata.”

“…e come farai?”

“Non ne ho idea, ma vedrai che un giorno sarà lui a dire che non può fare più a meno di noi!”

Quelle parole rassicurarono Marlene che si scostò da Tifa per mostrarle un ampio sorriso. La bambina si allontanò e, prima di solcare la porta, le si rivolse.

“Io vado in camera mia! Quando viene Cloud chiamami!”

Tifa la guardò a lungo e solo dopo riprese in mano il phon per continuare a prepararsi.

Voleva davvero molto bene a Marlene. Per la bambina era lo stesso.

Tante volte avrebbe preferito fuggire da quel mondo che le portava tante responsabilità.

Semplicemente, avrebbe voluto regalarsi una vacanza. Lontana da Edge, lontana dal suo lavoro, lontana dallo smog, lontana da tutto quello ciò che non le permettesse di riposarsi e pensare un po’ a sé stessa.

Era da tanto, almeno tre anni, che non si muoveva dalla sua città. Eppure quando vedeva gli occhi ridenti di Marlene e Denzel era convinta di farcela. Sapeva che prima o poi anche Cloud avrebbe fatto parte della sua vita. Aveva bisogno di tempo e lei gli avrebbe concesso la sua intera esistenza. Per lui si sarebbe annullata e gli avrebbe regalato ancora tanti anni di inerzia se lui glielo avesse chiesto. Per lei Cloud era davvero tutto.

Marlene e Denzel invece la ricaricavano.

Quando li vedeva si illuminava. Aveva un’adorazione per quei due bambini. Quando poteva cercava sempre di farli divertire al bar e di stare con loro. Se solo anche Cloud si accorgesse di quanto erano speciali…

Passò circa un’ora e Cloud non si era ancora fatto vivo.

Tifa era seduta per terra vicino al balcone di camera sua. Guardava il cielo interrottamente, quasi spaventata, ma a tratti anche sedotta da quella luce opaca ed intensa.

Tifa che ti prende? Forza, va a dormire. Tanto è unitile che ciondoli per la casa.

Chiuse gli occhi e sperò di riaprirli l'indomani mattina.

Dovrà pur passare, no?

...e invece il tempo non passava. Non passava per nulla. Sentiva le lancette dell'orologio ticchettare così forte da farle venire la tentazione di levar via le pile.

Il cuore cominciò a battere insistentemente forte .
Si chiese ancora una volta perchè. Non riusciva a spiegarselo.
Perchè gli umani di colpo avvertono un istinto tanto difficile da placare?

Si alzò e cominciò a camminare per la stanza.

Non farti venire stronzate in testa!

Ripensò a Cloud ed ebbe più volte la tentazione di chiamarlo, ma riuscì a desistere.

D’improvviso una voce virile e profonda attrasse l’attenzione di Tifa.
Cloud era appena arrivato.
Lì, sulla sua bella moto nera.
Spense il motore e le raggiunse sul ciglio del bar.
Tifa si alzò e lo guardò sorpresa.
Corse per le scale e spalancò la porta di casa ritrovandoselo così di fronte.

“Sei arrivato..?” gli chiese, incredula.

Cloud l’osservò contrariato. La vide coperta appena da un asciugamano leggero.

“Rientra. Non mi va che ti fai vedere mezza nuda da tutto il quartiere.”

“…non sono mezza nuda! Non è colpa mia se per aspettarti mi sono dimenticata di prepararmi!”

Cloud l’osservò di nuovo. Il seno prosperoso e le lunghe gambe toniche erano coperti a stento e l’asciugamano sembrava così stretto addosso da sembrare che le potesse cadere di dosso da un momento all’altro.
Tifa sorrise notando nei suoi occhi la gelosia. Se mai qualcuno l’avesse vista, avrebbe fatto il pazzo.

Tifa sistemò meglio il panno attorno a sé e lo guardò sorridendo.

“Tra poco ceniamo. Rimani, vero?”

Cloud annuì e lei non poté che esserne felice. Salì le scale e proprio prima di sparire dalla visuale di Cloud gli si rivolse.

“Vai dai ragazzi. Ti hanno aspettato tanto…”

Cloud…quanto vorrei che fossimo una vera famiglia.

Era felice con Cloud, eppure qualcosa sconvolgeva quell’equilibrio che oramai Tifa cercava di mantenere a fatica.


[…]


Un saluto veloce a tutti quelli che mi stanno seguendo! Grazie mille! Purtroppo non ho tempo ora, ma vi prometto che al prossimo aggiornamento mi dedicherò completamente a voi che mi recensite e chi mi segue!
Chiedo scusa per l’aggiornamento così lento…ma come avrete capito, sono un po’ incasinata ultimamente!
A presto…spero di non deludervi con questo nuovo capitolo. Io amo questo pairing e ce la sto mettendo davvero tutta nel scrivere questa fanfiction SephAe.
Fiammah_Grace
  
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