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Autore: CowgirlSara    14/04/2010    7 recensioni
"Sapeva che a lei ci pensava, ogni tanto, si domandava come stesse e se pensasse a lui." Sono passati più di sei mesi, da quel caldo autunno, ma c'è ancora qualcosa di irrisolto... Seguito di "Autumn Song"
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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thunder road
I mesi sembrano passare più veloci che mai, non mi ero accorta che fosse già passato tanto tempo, dall’ultimo capitolo… Inutile dire che mi dispiace tanto avervi fatto penare così con questa storia. Spero mi perdonerete… -_-
Questo è l’ultimo capitolo ufficiale, lo seguirà solo un piccolo epilogo che sto cercando di ultimare al più presto possibile. Mi auguro che qualcuno lo aspetti ancora…
A questo punto che dire… vi lascio alla lettura e aspetto i vostri commenti, nella speranza che siate così buoni da scrivere qualcosina.

A presto
Sara

Capitolo 8 ~ Hello again

Hello again, it's you and me
Kinda always like it used to be
Sippin' wine, killing time
Trying to solve life's mysteries
((You Want To) Make A Memory – Bon Jovi)

Sembrava davvero strano che fossero passati quasi sei anni, pensare a come lo studio, poi il lavoro, la lontananza, le nuove abitudini e amicizie, infine, ti allontanino da persone che hai tanto amato nella vita. Ma succede.
Ora, a Times Square, davanti a quell’enorme insegna che annunciava il ritorno dei Tokio Hotel in America, Claudia pensava che non potesse essere davvero passato tanto tempo.
In verità era sporadicamente tornata in Germania, durante i primi due, tre anni, quando ancora studiava e aveva incontrato anche Annika, però i ragazzi per un motivo o per l’altro non erano mai stati ad Amburgo. Claudia, poi, aveva iniziato a lavorare in una rivista di moda, la sua capa l’adorava e il lavoro le piaceva davvero tanto, così le visite in patria si erano diradate. In più, a New York, si era unita ad una compagnia di ragazzi dell’ufficio, veramente simpatici, che l’avevano coinvolta nella vita notturna di Manhattan. Non era nemmeno potuta andare al matrimonio di Bill e Annika, perché in quel periodo c’era la settimana della moda e non le avrebbero dato un permesso neanche se le avessero sterminato la famiglia.
Quanto ai Tokio Hotel, dopo un album non proprio all’altezza dei precedenti ed un tour non entusiasmante, era seguito un periodo se non di crisi, almeno di stanchezza. I ragazzi avevano deciso di prendersi un periodo di pausa, di separarsi, seguire progetti solisti, dedicarsi alla produzione, farsi una famiglia; così c’erano stati praticamente due anni di silenzio quasi totale, come gruppo.
L’inverno precedente, poi, quando si erano ormai perse le speranze, Bill Kaulitz in persona, in un’intervista esclusiva, rivelava: “Siamo ancora una band e stiamo lavorando al nuovo disco.”
Sei mesi dopo era uscito il loro album, a detta di Claudia il loro lavoro migliore, completo e maturo anche per i critici, che li aveva riportati in vetta alle classifiche e, quindi, in giro per il mondo.
Ed ora eccoli lì, su uno dei cartelloni luminosi di Times Square, belli come sempre, nonostante il tempo passato; più in forma che mai, secondo chi aveva già assistito allo show.
Ma adesso era meglio se distoglieva gli occhi da quelle belle facce e si sbrigava, o avrebbe fatto tardi al lavoro.

Claudia finì di controllare bene la pagina sul pc, poi alzò gli occhi sulla sua amica e collega Tracy. Era una ragazza dai capelli rossicci, carina, simpatica e aperta, che amava bere e ridere.
“Tracy, hai impegni venerdì sera?” Le chiese.
“Beh, sai Jason…” Fece per rispondere l’amica.
“Oh, lascia stare Jason!” Sbottò Claudia interrompendola. “Quante volte te lo devo dire che quella storia non ha futuro?”
“Sì, però a letto…” I soliti argomenti.
“Disdici, dove ti porto io è sicuramente meglio che uscire con quell’idiota.” Le ordinò brusca l’altra.
“Andiamo, di che si tratta?” Chiese allora Tracy, rassegnata.
“Un concerto.” Rispose Claudia sorridente.
“Spero non una di quelle cose barbose che piacciono a Kevin…” Soggiunse Tracy, che non aveva mai digerito la passione per la musica da camera del loro gayssimo amico.
“No, si tratta di rock.” La rassicurò l’altra. “È un gruppo delle mie parti, i Tokio Hotel, non so se li conosci…”
“Ho visto il loro cartellone in centro, la cantante è proprio una gran figa…”
“E’ un uomo e anche sposato.” La stupì Claudia.
“Dai! Mi prendi per il culo?!” Esclamò stupita l’amica, lei negò col capo. “Allora, se sai queste cose, vuol dire che li segui da tanto.”
Claudia annuì. “Da quando ero ragazzina.” Affermò poi, quindi tornò a spulciare sul pc. “Anzi, ero una loro groupie.” Aggiunse distrattamente.
“Tu eri una che cosa?!” Saltò su Tracy incredula, spalancando gli occhi e fissandoli sulla collega all’altra scrivania.
“Ero una groupie.” Confermò tranquilla Claudia.
“Cioè una di quelle ragazze in abiti succinti che seguono le band in tour, partecipano ai festini e si scopano le rockstar?” Insisté Tracy, Claudia annuì. “E sei stata con tutti loro?” Chiese allora l’altra, non senza una certa morbosa curiosità.
Il suo sorriso malizioso, però, si spense, quando vide lo sguardo di Claudia farsi più malinconico e vago, poi spostarsi in un punto indefinito oltre la vetrata che affacciava sull’Hudson.
“No, soltanto con uno.” Rispose infine la ragazza, mentre con gli occhi cercava chissà cosa nel cielo grigio di New York.

Tracy non si pentì di aver seguito Claudia al concerto: bastarono un paio di canzoni perché si ritrovasse pienamente coinvolta nell’atmosfera dello show.
La sua accompagnatrice, d’altra parte, non aveva bisogno nemmeno di quello. Era bastata una nota, per ritirare fuori la fan girl assopita in lei. Pochi attimi e già gridava a squarciagola, saltando e cantando. E non solo per la musica, ma anche per ignorare il colpo al cuore quando i ragazzi erano usciti sul palco.
Bill non era cambiato molto, sempre asciutto, altissimo e bellissimo; ora portava i capelli più corti, ma non più a spazzola, ma spioventi e sfilati, a coprirgli il viso con una lunga zazzera. In mezzo alla sua usuale tinta nera, spiccava un solo ciuffo bianco. Vestito di nero, catene d’argento.
Georg non era ringrassato, aveva sempre un gran bel corpo. I capelli li portava leggermente più corti e spesso legati. Quella sera aveva la camicia, gli stava proprio bene.
Gustav si era fatto crescere la barba, era dimagrito, aveva un’aria saggia, ma portava sempre i suoi affezionati bermuda. Era sempre l’anima rock della band.
Lui, non avrebbe voluto guardarlo, ma quando mai era riuscita a resistere nonostante questo stesso ordine dato ai propri occhi? Si erano spostati da soli. Prima su quella chitarra bianca, poi sulle mani sempre stupende e forti, quindi sulla semplicissima maglietta nera, senza scritte, più stretta di quanto mai fossero state le sue, che faceva risaltare il petto e le spalle, infine sui capelli. Ora, erano corti al collo, mossi, biondi… Pochi attimi ed era ad osservargli proprio il collo e la mascella perfetta e il naso e le labbra e gli occhi socchiusi… Tutto lo splendido, virile, dolcissimo, viso di Tom…
Ogni canzone, poi, aumentò la sua emozione e non poté impedire ai suoi occhi di diventare lucidi, quando arrivarono alcune delle loro più classiche ballate, come la sua adorata “Heilig” o la bellissima “Phantomrider”. Claudia aveva un vuoto allo stomaco: ognuna di quelle canzoni le riportava un ricordo degli anni più eccitanti e spensierati della sua vita. Ogni accordo di Tom era un suo sorriso che tornava dai labirinti della memoria.
Oh, quanto le era mancato tutto quello! La musica dei Tokio Hotel. La Germania. Le follie dell’adolescenza. Tom. Soprattutto Tom. E stavolta, chissà perché, non le faceva così male ammetterlo.
Sorrise, tra di se, stupendosi di essere cresciuta e di vivere in modo migliore quel sentimento che aveva combattuto per tanto tempo.

Il concerto terminò dopo due ore di batticuori continui. Claudia e Tracy uscirono insieme alla calca del pubblico e presero un taxi.
Tracy non fece che parlare per tutto il tempo dello spettacolo appena visto, che l’aveva entusiasmata, domandando notizie del gruppo e del loro passato, curiosa di scoprire tutti i legami dell’amica con quei musicisti che aveva così apprezzato.
Claudia rispose, ma si scoprì molto reticente. Sentiva che quel passato era una cosa solo sua e non voleva dividere quegli anni pazzi con qualcuno che non li aveva vissuti. In realtà, mentre il taxi correva per le strade di Manhattan, lei sentiva il bisogno di parlare con Annika.
Quando Tracy scese a casa propria, ringraziando ancora Claudia per averla portata al concerto, lei la salutò e, poi, fece per dire all’autista l’indirizzo di casa sua, ma le arrivò un messaggio sul cellulare.
«Ti aspetto all’after party, niente scuse! Siamo al Waldorf, chiedi di me! Annika»
Claudia sbuffò una risata. Avrebbe potuto dire di no, ma la verità era che aveva aspettato quel messaggio. Annika le mancava e aveva troppa voglia di rivederla per non accettare.
“Mi porti all’hotel Waldorf, per favore.” Ordinò all’autista.

Arrivata all’hotel non le fu difficile avere le notizie che cercava, dopo aver fatto il nome di Annika.
Il party si svolgeva in uno dei saloni dell’albergo, non uno dei più grandi, visto che gli invitati erano limitati.
Claudia entrò timidamente, ma attirò l’attenzione di alcuni presenti, forse per il suo abbigliamento semplice, probabilmente ritenuto poco adatto ad un evento come quello. Ma bastò poco per farla sentire di nuovo a suo agio.
“Claudia!” La chiamò una voce allegra dalla sua destra; girandosi si vide venire incontro una ragazza bionda, alta, con un vestito nero.
“Annika!” Rispose felice.
Le due ragazze si abbracciarono forte, ridendo. Si volevano bene ed era tanto tempo che non si vedevano. Entrambe non avrebbero mai potuto dimenticare quanto erano state importati l’una per l’altra in tanti momenti difficili.
“Allora? Cosa mi racconti?” Fece Annika, quando si lasciarono. “Fatti vedere!”
“Oh, dai! Non sono neanche andata a cambiarmi…” Si schernì Claudia, spostando lo sguardo.
“Ma se sei bellissima!” Esclamò l’amica, prendendola per le spalle e guidandola verso le vetrate del salone.
“Smettila!” Sbottò l’altra, vagamente imbarazzata. “Tu, piuttosto! Sei sempre più alta e bionda, dove vuoi arrivare?” Aggiunse con tono scherzoso.
“Eh, beh… devo essere all’altezza di mio marito!” Rispose Annika, facendo uno sguardo ammiccante, prontamente imitato da Claudia, prima che entrambe si rimettessero a ridere.
“Sai…” Riprese la ragazza più bassa. “…mi è dispiaciuto non poter venire alle nozze.” Annika le sorrise dolcemente, mentre si fermavano al tavolo delle bibite.
“È dispiaciuto anche a me.” Confermò poi. “Bill è ancora arrabbiato con te, stai attenta quando lo vedi!” Aggiunse ridendo.
“Quello scemo!” Commentò Claudia. “Senti un po’… Quando me lo fate un nipotino?”
Annika si girò verso di lei con un’espressione furbetta. “Potrebbe essere prima di quello che credi…” Mormorò cospirativa.
“Annika, ma… sei incinta?!” Domandò speranzosa l’amica, spalancando gli occhi.
“No! Non ancora, ma… ci stiamo provando, ecco.” Rispose con uno sguardo dolce.
“Ahhh…” Commentò maliziosa Claudia. “Vi date da fare, eh?”
“Sempre.” Ammiccò Annika. “Lo sai…” E scoppiarono a ridere di nuovo, ormai con i drink in mano. “Dai, andiamo dai ragazzi, vorranno salutarti.”
“Ok!” Accettò entusiasta Claudia, anche lei era impaziente di rivederli.
Seguì Annika spostarsi, ma la vide fermasi quasi subito, così alzò gli occhi. C’era qualcuno, davanti a loro. Qualcuno che guardava Claudia negli occhi.
Alto, capelli chiari tenuti indietro da una bandana bianca, una camicia blu che gli evidenziava le spalle e il petto, due grandi e vellutati occhi scuri. E un sorriso rilassato, ironico e malizioso che poteva appartenere solo ad una persona…
“Ciao, Tom.” Salutò tranquilla la ragazza.
“Ciao, Claudia.” Rispose lui.

If you don't know if you should stay
If you don't say what's on your mind
Baby just breathe
There's nowhere else tonight we should be…
 
Un’alba brumosa stava rischiarando la baia oltre le vetrate scure dell’elegante suite, regalando alla stanza, coi suoi colori tenui e freddi, un’atmosfera quasi nebulosa.
Lui era steso bocconi sul letto, la schiena scoperta, le belle spalle muscolose in evidenza. Un braccio era alzato sopra la testa, le dita tra i capelli biondi, l’altro era sotto il cuscino. La sua pelle abbronzata era ancora morbida e calda come lei se l’era sempre ricordata e anche il suo profumo era sempre lo stesso.
Lo stava osservando da qualche minuto, indecisa su cosa fare. Era stato fin troppo facile ritrovarsi tra quelle lenzuola, ma, come sempre, si prospettava difficile uscirne.
La sera prima, dopo i saluti, dopo gli abbracci di Bill e le battute, i brindisi al successo del concerto e al loro ritrovarsi, la festa era diventata più rilassata e lei si era ritrovata seduta con lui al bancone, a parlare e bere con tranquillità, sereni e divertiti. Non era passato molto tempo, però, perché i loro sguardi si facessero più languidi ed espliciti e, quando lei aveva deciso di andarsene, era bastata la mano calda di lui sul proprio polso e un’occhiata tiepida ed invitante, per convincerla che non era l’ora di lasciare quell’albergo.
E adesso era mattina. E Tom era lì, nudo e bellissimo. Sempre speciale, sempre unico.
Claudia vide i suoi occhi stringersi, le lunghe ciglia scure tremare e le palpebre aprirsi piano, svelando le iridi ancora opache per il sonno, ma che si fecero limpide vedendola. Un sorriso pigro stiracchiò le sue labbra morbide.
“Buongiorno.” Biascicò il ragazzo.
“Buongiorno.” Rispose lei sorridendo.
“È tanto che sei sveglia?” Le chiese, stiracchiandosi appena, prima di girarsi sul fianco.
“Un po’, sì, ma volevo salutarti prima di andare via.” Affermò la ragazza, mentre gli accarezzava i capelli, sistemandoli. Le piacevano così naturali, non glieli aveva mai visti.
“Te ne vai di già?” L’interrogò lui.
“Sì, devo andare al lavoro.” Spiegò Claudia, mentre si sporgeva dal letto per recuperare la propria biancheria.
“Capisco.” Commentò Tom, mettendosi supino contro i cuscini. Lei si stava già rivestendo.
La osservò, mentre s’infilava i jeans. I capelli erano di nuovo lunghi, le arrivavano alla vita, scalati e più chiari, le stavano bene. Era più magra di come la ricordava, ma sempre con quelle curve morbide che amava. Gli era mancata, nonostante il tempo passato, le storie più o meno serie che aveva avuto. Claudia era Claudia. Questo non sarebbe cambiato mai.
“Noi ripartiamo, stasera.” Le disse il chitarrista. Lei respirò più forte, poi abbassò le braccia su cui stava il maglioncino di cotone giallo che stava per infilarsi.
“Lo so.” Mormorò soltanto.
“Mi chiedevo se, per caso, non ti andrebbe di raggiungerci anche a Philadelphia…” Ipotizzò cautamente lui, scrutandola per intuire la sua reazione. Claudia continuava a dargli le spalle.
“No, Tom.” Rispose secca.
“No, non puoi, oppure… non vuoi?” Le chiese il ragazzo. La ragazza si girò verso di lui con un’espressione piatta.
“Entrambe le cose.” Spiegò quindi.
“Perché?” Fece Tom.
“Perché?!” Replicò lei stupita.
“Esatto: perché?” Insisté lui.
“Beh…” Tentò Claudia, un po’ titubante, ma poi si riprese. “Perché devo lavorare, ho i miei impegni, le mie cose e poi non avrebbe senso!”
“Quindi non hai voglia di passare un po’ di tempo con me, ora che potresti farlo.” Ribatté lui, con i gomiti sulle ginocchia coperte dal lenzuolo grigio. Lei gli rivolse uno sguardo freddo.
“Cos’è? Hai voglia di giocare un po’ ai fidanzatini felici?” Gli chiese provocatoria.
“È davvero tanto tempo che ho smesso di giocare con te, Claudia Hohenbaum.” Rispose Tom serio.
Claudia lo fissò sorpresa, non si aspettava quella reazione pacata, non era da lui. Si guardarono negli occhi per un lungo momento e lei capì che era cambiato, c’era qualcosa di nuovo nel suo sguardo, qualcosa che non conosceva.
Tom, poi, si alzò lentamente dal letto, s’infilò i boxer, quindi si avvicinò ad una cassettiera e prese il pacchetto delle sigarette, per riposarlo subito. Restò lì, però, dandole le spalle, le mani appoggiate sul piano, le spalle in tensione.
“Ti sei mai chiesta qual è il vero motivo per cui non siamo mai riusciti a stare davvero insieme?” Le chiese dopo qualche secondo, la voce tranquilla.
“Io… io…” Esordì Claudia incerta, colta impreparata. “Presumo che sia perché eravamo troppo giovani, immaturi…” Tentò di spiegare poi.
“No, non è per quello.” Replicò lui interrompendola. Si girò, restando appoggiato al mobile. “O meglio, in parte può darsi, ma ho avuto modo di pensarci a lungo, in questi anni.” Le rivelò quindi, continuando a guardarla con aria serafica.
“E a quale conclusione sei giunto?” S’informò la ragazza, cercando di fingere indifferenza, ma era curiosa delle sue riflessioni.
“Una molto semplice, alla fine.” Rispose Tom, stringendosi appena nelle spalle. “Noi non siamo mai riusciti a stare insieme, perché non lo abbiamo voluto.”
Claudia spalancò gli occhi, colpita dalla lucida consapevolezza con cui Tom aveva pronunciato quelle parole. Non voleva crederci, perché lei, allora, aveva investito tutta se stessa nella loro relazione. Era assurdo che lui pensasse che in realtà non si era impegnata! Provò a reagire, ma il ragazzo ricominciò a parlare, spostando lo sguardo oltre le vetrate dietro il letto.
“Io non so quali siano stati i tuoi motivi, conosco i miei, ma la verità è che nessuno dei due ha mai creduto davvero alla nostra storia.” Affermò amaro il chitarrista, sempre guardando lontano. “Siamo stati noi due i primi a non crederci davvero, a pensare che tanto non sarebbe durata…” Rialzò gli occhi su di lei. “Puoi anche negare, ma non ci crederei, Claudia.”
Ma lei, il coraggio di negare non lo ebbe. Perché, per quanto facesse male, fosse difficile da credere, era dolorosamente vero. Non ci aveva mai creduto, come e quanto lui. Anche se lo aveva amato. Anche se lo amava ancora.
“La cosa assurda, sai qual è?” Le fece poi, con un sorrisetto tristemente sarcastico. “È che invece avremmo dovuto farlo, avremmo dovuto almeno provarci. Perché è passato il tempo, ma io…” Si guardarono e lei lo supplicò con lo sguardo di non dirlo. “I miei sentimenti non sono cambiati, Claudia e so che non lo sono nemmeno i tuoi.”
No, che non lo erano, ma cosa cambiava, adesso? La ragazza strinse i denti e prese un lungo respiro profondo, distogliendo gli occhi da quelli sempre così intensi di Tom.
“Non ti ho mai sentito parlare così tanto.” Affermò con ritrovata calma, prima di sedersi sul letto e infilarsi gli stivali.
“Ho ventotto anni, ormai. Anche io, per quanto sembri strano, sono un po’ cresciuto.” Ribatté lui, con un cenno del capo. “Non ho più paura di dire quello che penso davvero.”
“Mi fa piacere questo positivo cambiamento.” Commentò Claudia, mentre si alzava e cercava la sua giacca.
“Non hai nient’altro da dirmi?” Le domandò Tom, aggrottando la fronte.
“Cosa vuoi che dica? Hai detto tutto tu.” Replicò lei, stringendosi nelle spalle.
“Ok!” Esclamò lui, alzando le mani in segno di resa. “Non è la reazione che mi aspettavo, ma sei libera di fare come ti pare.” Aggiunse.
Claudia, che nel frattempo aveva recuperato la borsa su una poltrona, la sbatté di nuovo sui cuscini con forza e si voltò verso di lui.
“Cosa vuoi che faccia, Tom?! Vuoi che t’implori di tornare insieme, che molli il mio lavoro per seguirti in tour, che mandi in malora la vita che mi sono creata?! Per te?” Gridò, sperando di non avere le lacrime agli occhi. Lui la guardava serio.
“Vorrei solo che riflettessi su quello che ti ho detto e ti domandassi se vale la pena di viverla così, la tua vita, o se, piuttosto, non manchi qualcosa.”

Claudia, sul taxi che la riportava a casa, abbracciata alla propria borsa, mentre lungo le strade, la solita New York, riprendeva le attività diurne, pensò davvero alle parole di Tom, ma non trovò molte risposte alle troppe domande che affollavano la sua mente.

Erano passati un paio di giorni dall’ennesimo addio con Tom. Claudia aveva vissuto facendo finta che non fosse successo nulla, come se non lo avesse rivisto. Come se non avesse riscoperto di amarlo. Ma quella primavera, a New York, era diventata improvvisamente più fredda.
La ragazza guardava fuori dalla finestra della sua cucina, appollaiata su uno sgabello, mangiando distrattamente i cereali. Si sentiva apatica, come se Tom, andando via, avesse portato con se la sua gioia di vivere.
Finito di mangiare posò la tazza nel lavandino e guardò l’orologio appeso alla parete. “Cazzo!” Imprecò, accorgendosi dell’ora, quindi non si sprecò a lavare le stoviglie e corse a vestirsi: stava facendo tardi al lavoro!
Claudia arrivò in ufficio trafelata. Uscire di casa qualche minuto più tardi le aveva fatto perdere la metro e il treno successivo, strapieno, le aveva sballato tutti gli orari, costringendola a districarsi tra la folla per riuscire ad arrivare solo con un minimo ritardo.
Buttò la sua roba sulla sedia e si riavviò i capelli, pronta a mettersi al lavoro prima ancora di aver bevuto un caffè, dopo aver appena salutato le colleghe.
“Dio, che casino stamattina!” Si lamentò, mentre radunava una pila di fogli. “E devo anche fare un milione di fotocopie per la riunione delle dieci!”
In quel mentre entrò Tracy, si guardò intorno apprensiva, cercando chiaramente qualcuno e, quando vide Claudia, le si avvicinò in fretta.
“Ciao, Tracy!” La salutò lei allegramente, appena la vide. “Finisco qui e andiamo a prenderci un caffè, che ne dici?” Le disse poi, continuando a preparare i documenti.
“Ma Claudia, non hai saputo?” Esordì però l’amica.
La ragazza si voltò sorpresa, sbattendo le ciglia. “Cosa è successo?” Chiese stranita.
“Non hai sentito il notiziario stamattina?” S’informò preoccupata.
“Oddio, no! Mi stai facendo preoccupare!” Esclamò Claudia. “Parla!” L’incitò.
“I Tokio Hotel.” Soffiò Tracy. “Hanno avuto un incidente, il loro pullman si è ribaltato poco fuori da Philadelphia.”
Claudia sbiancò e si sentì mancare la terra sotto i piedi. Allungò una mano e si tenne alla fotocopiatrice che aveva accanto.
Il tourbus dei Tokio Hotel si era ribaltato.
Un incidente.
Alcune delle persone che più amava erano rimaste coinvolte in un grave incidente.

Oddio, Tom!

“Claudia, ti senti bene?” Le domandò la voce allarmata di Tracy, arrivando da distanze siderali.
“Ho bisogno di una sedia…” Rantolò lei. Il suo cervello sintonizzato su altre frequenze.

Annika, Bill…

Lo stomaco le si contrasse in modo violento, rimandandole un singhiozzo fin nella gola, mentre si ritrovava seduta.

Tom, Tom… Tom!

Scattò via dalla sedia che le avevano porto come se l’avessero sparata. Acchiappò la propria borsa, ci frugò dentro con violenza, ne estrasse il cellulare, cercando freneticamente un numero, sotto gli occhi delle colleghe preoccupate.
“Rispondi, rispondi…” Supplicava attaccata alla cornetta. “Per l’amor di Dio, Annika, rispondi!”
“Pronto.” Le rispose una voce flebile e lontana. Ma sufficiente a rassicurare Claudia.
“Annika!” Esclamò rianimata. “Dimmi che state bene, ti prego!”
“Claudia stai tranquilla…” Cercò di rassicurarla l’amica, però con un tono incrinato.
“Ma cosa è successo?” L’interrogò con urgenza.
“Lì per lì non abbiamo capito bene, eravamo shockati, poi ci hanno detto che un camion davanti a noi ha perso un pneumatico e… Il tourbus è uscito di strada…”
“Ma state bene, vero?” Insisté Claudia, che parlando era uscita dall’ufficio, per fermarsi nel corridoio.
“Io mi sono rotta un polso, Bill ha delle contusioni e un taglio sulla fronte…”
“E Tom?” La interruppe Claudia.
Le rispose un sospiro sconfortato di Annika, che fece precipitare il cuore di Claudia in una voragine.

Oddio… Dio, Dio, ti prego, no…

“Annika?” Supplicò senza voce.
“Le cose non vanno bene, Claudia…” La voragine si allargò. “Lo stanno operando alla schiena, ma è abbastanza grave…” Claudia sentì il calore uscire dal suo corpo. “Era sulle scale, quando è successo…”
“Vengo lì.” Proclamò Claudia, ritrovando improvvisamente la voce.
“Claudia…” La supplicò Annika con voce stanca, ma l’amica l’interruppe.
“Non esiste che non vi raggiungo, dimmi in che ospedale siete.” E il suo tono non ammetteva repliche.

Il corridoio era bianco e verde, odorava di disinfettante. Claudia era partita il prima possibile, appena era riuscita a parlare con Marla, il suo capo e chiederle un permesso, che, vista la faccia che aveva, le era stato concesso senza tentennamenti. Quella sera stessa era a Philadelphia.
Ora camminava veloce, guardandosi intorno per trovare qualcuno che conosceva. Girò un angolo, seguendo le indicazioni avute in portineria e vide una figuretta vestita di nero che spiccava nel chiarore del corridoio. Rallentò e si avvicinò piano.
“Annika.” Chiamò a bassa voce.
La ragazza sussultò e si voltò. Era estremamente pallida, senza trucco, il braccio sinistro ingessato.
“Claudia.” Mormorò sorpresa. L’amica l’abbracciò.
“Come va?” Chiese Claudia, quando si scostarono. Il suo sguardo era ansioso.
“Bill è da Tom, ci hanno detto di tornare in albergo, ma lui non ne vuole sapere…” Rispose Annika, gli occhi lucidi.
“Ma vi hanno detto qualcosa?”
Annika annuì. “L’intervento è riuscito, non dovrebbe avere danni permanenti, ma per evitare complicazioni lo tengono in coma farmaceutico.” Le spiegò poi.
“Capisco…” Commentò Claudia con voce tremante. “Gli altri?” Chiese poi, mentre lei ed Annika si sedevano sulle poltroncine verdi lungo il muro.
“Il pullman di Georg e Gustav non è stato coinvolto nell’incidente, ma i ragazzi sono piuttosto sconvolti…” Raccontò l’amica; le due ragazze si tenevano per mano.
“Immagino” Fece l’altra. “Pensi che potrei vedere Tom?” Domandò quindi, con un’urgenza che aveva cercato di mascherare, ma l’ansia la stava divorando: doveva verificare con i suoi occhi le condizioni del chitarrista.
“Ho paura che Bill non accetterà di buon grado di cederti il posto.” Rispose Annika con un sorriso triste. “In terapia intensiva, ad ogni modo, fanno entrare solo i parenti stretti.” Claudia, allora, poté solo fare una smorfia amara.
Una porta in fondo al corridoio si aprì in quel momento, attirando l’attenzione delle ragazze. Annika e Claudia si alzarono, vedendo uscire Bill a testa bassa.
Sua moglie si staccò dall’amica e lo raggiunse. Si guardarono per un attimo negli occhi, quelli di Bill si riempirono di lacrime e Claudia si sentì morire, mentre loro si abbracciavano e il cantante nascondeva il pianto tra i capelli di Annika.

Bill guardò i macchinari pulsanti di lucette colorate, i tubi, le flebo. Il braccio disteso sul lenzuolo bianco, inerte. Sentì il suo cuore restringersi e dolere come se stesse per rompersi, ma Bill Kaulitz non era una persona abituata ad arrendersi. Era tutta la vita che lottava e questo non era certo il momento di smettere.
Prese un lungo respiro, cercando la spinta nell’ossigeno che gli entrava nei polmoni, poi, con una smorfia contrariata posò le mani sui fianchi.
“Guardami.” Disse, fissando gli occhi chiusi e le labbra coperte dai tubi del fratello. “Lo vedi cosa mi hanno costretto a mettere per colpa tua?” Continuò, indicando il camice verde che indossava. “È terribile, totalmente out e questo colore non mi dona per niente!”
Non giunse, ovviamente, risposta dal corpo dormiente che aveva davanti, ma nemmeno se la aspettava, in fondo.
Bill sospirò, quindi si avvicinò al letto, allungò lentamente una mano e gli accarezzò il capo. La sua pelle era tiepida, i capelli morbidi.
“Mi manchi, Tomi.” Mormorò Bill, facendosi triste, mentre s’imponeva di non piangere davanti a lui. “Ti rendi conto che non sento la tua voce da giorni? C’è troppo silenzio… Ho voglia di litigare con te, ne ho bisogno. Voglio che mi freddi con una battuta, voglio il tuo sarcasmo e il tuo broncio quando ti offendi…”

Non ho mai pregato in vita mia, ma fai che quando si sveglia sia come prima… per favore…

“Ho bisogno del tuo sorriso.” Affermò Bill, quasi supplicando, mentre stringeva la mano di Tom con dita tremanti. “Quindi adesso ti svegli, perché hai già dormito abbastanza e io mi sto scocciando.” Continuò con tono autoritario, serrando la stretta. “Abbiamo un sacco di cose da fare, c’è il tour a metà, io e Annika dobbiamo avere un bambino e tu dovrai fare lo zio… E poi c’è Claudia.” Parlando, Bill gesticolava con una mano e teneva quella del fratello con l’altra, come se interrompere il contatto fisico volesse dire lasciarlo andare nell’oblio. “Si è precipitata qui, sai? È molto preoccupata per te, anzi… credo proprio che sia ancora innamorata di te. E tu di lei. Penso che dovresti svegliarti e parlarci seriamente, è ora che mettiate la testa a posto, voi due.”

Tom svegliati. Svegliati, parlami, insultami… Cazzo, fai qualcosa, ti prego!

“Seriamente, Tomi.” Riprese, dopo un lungo respiro. “Sto per incazzarmi di brutto con te. Sono due giorni che sto dentro questo puzzolente ospedale, mangiando pessimi sandwich e indossando questi stracci orrendi! I miei capelli fanno schifo, la manicure è rovinata e mia moglie è uno straccio!” Si lamentò con tono piagnucoloso. “Svegliati, dai…”

Apri gli occhi, togliti quel tubo di bocca, protesta per il letto fatto male, chiedi una birra… Chiama il mio nome, io sono qui con te… Sentimi!

“Sentimi, Tom…” Supplicò, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime. “Lo so che mi senti, che sai che sono qui.” Aggiunse, prima di chiudere gli occhi e poggiare la testa sulla spalla del fratello. Una lacrima scivolò dai suoi occhi e bagnò la pelle di Tom.

Passò solo qualche secondo, prima che un allarme sibilante partisse dai macchinari a cui era attaccato Tom.
Bill alzò la testa di scatto, il viso bagnato di lacrime. Guardò la macchina che suonava, poi guardò Tom. Il panico s’impossessò di lui.
Poi Tom sussultò, tossì, strinse convulsamente la mano di Bill.
“Oddio, Tomi!” Esclamò lui, stringendolo a sua volta. “Che succede?!”
Arrivarono di corsa due infermiere, una si avvicinò ai macchinari, spegnendo l’allarme e l’altra si piegò su Tom.
“La prego, si allontani.” Chiese la donna a Bill.
“Dovrete tagliarmi il braccio, per farmelo lasciare!” Replicò deciso lui.
“Basta che si scosti solo un po’, per farci lavorare al meglio, sia gentile.” Ribatté l’infermiera, cercando di essere delicata ma ferma.
“Dobbiamo estubarlo.” Gli spiegò l’altra.
“Che vuol dire?” Chiese Bill, perplesso e allarmato.
“Adesso arriverà il dottore e gli toglieremo il tubo, perché ha ricominciato a respirare da solo.”
“Ed è una cosa buona, vero?” L’interruppe lui speranzoso. Le infermiere annuirono e Bill lasciò la mano di Tom, allontanandosi di qualche passo dal letto, per lasciarle agire.
Il cuore di Bill, ora, poteva ricominciare a battere. Se Tom tornava alla vita, poteva farlo anche lui.

Claudia entrò nella stanza quasi con timore. Non era grande, bene illuminata, accogliente. Superò il bagno, muovendosi con cautela, non voleva disturbarlo.
Lui era steso sul letto, voltato verso la finestra, per fortuna non dormiva. Indossava un camice bianco con pallini neri, a maniche corte, le braccia dorate lungo il corpo coperto, una flebo attaccata. Era strano vedere i suoi capelli sul cuscino, più biondi di come li ricordava.
“Hey.” Chiamò piano la ragazza.
Tom si voltò, l’espressione prima sorpresa, poi contenta di vederla. Fece un piccolo sorriso dolce, gli occhi che brillavano sotto le ciglia folte. Le venne quasi da piangere, da quanto era felice di vederlo così.
“Ciao.” La salutò piano, con voce roca.
Claudia si avvicinò al letto, sorridendo in modo da sembrare rassicurante, almeno per lui. Rassicurare se stessa era un’altra cosa, le tremavano le gambe.
“Come ti senti?” Chiese al ragazzo, dopo averlo esplorato con un’occhiata ed essere tornata a fissarlo in viso.
“Vivo.” Rispose semplicemente Tom.
Si guardarono un attimo negli occhi. Tom si accorse del turbamento di Claudia, riconobbe il dolore e la paura che lei aveva provato nel suo sguardo, come già li aveva visti in quelli di Bill e Annika. Alzò, allora, il braccio con la flebo e le prese la mano, sempre guardandola negli occhi.
La mano di Tom era calda e asciutta, il suo tocco delicato e piacevole. Era rassicurante essere di nuovo toccata da lui. Era come tornare a casa.
Claudia si lasciò andare ad un respiro sollevato, sedendosi sul bordo del letto, con la mano ancora stretta nella sua.
“Che mi tocca fare per averti accanto a me, eh?” Fece lui, ripescando il suo sarcasmo.
“Oh, ti odio!” Sbottò Claudia, ricacciando indietro le lacrime. “Non scherzare su questa cosa!”
“Io scherzo su tutto.” Replicò tranquillo Tom.
“Lo so…” Commentò lei più calma. “E mi mancava questo, di te.”
La presa delle dita si strinse, da parte di entrambi e si scambiarono un’occhiata solidale.
“Claudia…” Mormorò lui.
“Mi dispiace.” Lo interruppe la ragazza. Tom la guardò sorpreso, sbattendo le ciglia.
“E di che cosa?” Le chiese quindi.
“Per come ci siamo lasciati, a New York.” Rispose Claudia, dopo aver abbassato gli occhi. “Se penso che avrei potuto non parlarti mai più, che sarei rimasta con il senso di colpa per averti trattato così male…”
“Smettila.” La bloccò Tom, stringendo la mano che ancora le teneva. “Non c’è motivo per cui tu debba sentirti in questo modo, hai reagito per come ti sentivi in quel momento, io non ti porto rancore.” Aggiunse con tono dolce.
“Lo capisco, ma… tu potevi…”
“Non lo dire.” Le impedì, posandole le dita sulle labbra. “Io sono qui.”
“Tom…” Soffiò Claudia con gli occhi lucidi.
“Shh, sono qui.” Ripeté dolcemente il chitarrista, accarezzandole il viso.
“Non è giusto, questo.” Replicò colpevole la ragazza. “Dovrei essere io a confortare te.” Aggiunse, strappandogli un sorriso storto e tenero.
“E dovrei essere io a chiederti scusa.” Le disse quindi. Claudia gli rivolse un’occhiata interrogativa.
“Perché?” Domandò poi.
“Ero arrabbiato con te, sono stato freddo, il tuo atteggiamento mi ha deluso.” Spiegò tranquillo Tom. “Volevo che restassi con me e, quando hai detto di no, dopo tanto che non stavamo insieme, ci sono rimasto male.”
Claudia abbassò gli occhi, spostandoli sul pavimento. Sentiva il pollice di Tom carezzare il dorso della sua mano. Quanto grande era il vuoto che lui poteva lasciare? Solo la minaccia di poterlo perdere l’aveva atterrita tanto da lasciarla senza forze. Non voleva provarla mai più. Sospirò, provando a trovare le parole.
“Non sarei dovuta partire.” Affermò infine, sempre senza guardarlo.
“Per venire qui?” Chiese Tom senza capire.
“No, sei anni fa.” Spiegò Claudia, alzando gli occhi. “Non avrei dovuto lasciarti.”
Lui alzò le sopracciglia e fece un piccolo sorriso consapevole, poi le riprese la mano che aveva lasciato poco prima.
“Non dire sciocchezze.” Sentenziò poi, calmo. “Te ne saresti pentita, saresti rimasta col dubbio di non aver realizzato un sogno, finendo per odiare me e la vita che avresti avuto.” Lei lo guardava seria, ancora  una volta stupita dalla sua strana saggezza. “Ho sofferto quando sei partita, ma potevo solo lasciarti andare, o ti avrei persa davvero.”
Si guardarono ancora una volta negli occhi, intensamente, poi Claudia sorrise, con serenità stavolta.
“E invece sono ancora qui.” Mormorò poi.
“Già.” Annuì lui.
“Ti amo, Tom.”
“Lo so.”
“Non voglio arrendermi.”
“Nemmeno io.”
“Che cosa possiamo fare, ora?”
“Aspetta che mi rimetta in piedi e vedrai…” Soggiunse lui con un sorrisetto furbo.
Claudia, però, spostò gli occhi sull’imbracatura che teneva fermo il busto di Tom, dal bacino in su. Era come se lo vedesse per la prima volta, da quando era entrata nella stanza.
“Sarà dura, lo sai, vero?” Gli disse seria.
“Sì, ho voluto sapere tutto, niente bugie e omissioni, è il mio corpo, non quello di un altro.”  Claudia annuì, tenendogli ancora la mano. “Ci vorrà tempo e non sarà uno scherzo, ma se siete con me, ce la farò.” Aggiunse con sguardo deciso. “Tu ci sarai?” Le chiese poi.
“Ci sarò.” I suoi occhi erano sicuri. Non c’era bisogno di sapere molto altro.
 
CONTINUA… con l’epilogo ^_^

Grazie a tutti coloro che hanno avuto la pazienza di seguirmi e di commentare il capitolo precedente. Probabilmente con molte di voi ho diviso l’emozione dei concerti, senza saperlo. Io ero a Padova e Roma ed è stata entrambe le volte un’emozione grandissima. I MIEI PICCOLI SONO MERAVIGLIOSI!
Insomma, se ci siete ancora, vi mando un bacio e vi aspetto sui commenti!
Ringraziamenti più approfonditi li lascio per l’epilogo, a presto! Ve lo garantisco!








   
 
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