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Autore: pizia    15/04/2010    1 recensioni
Sauron ha di nuovo l'Anello, ma qualcosa gli impedisce ancora di sferrare il suo attacco definitivo alla Terra di Mezzo
Genere: Drammatico, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Capitolo 6 -

Superare i pregiudizi

 

“Sam, per favore, ti ho detto che ormai mi sento bene: non ne posso più di stare a letto, voglio alzarmi, sgranchirmi le gambe e respirare un po’ di aria fresca!” si lamentò Frodo, quasi soffocato da tutte le premure dell’amico.

“Io credo che abbia ragione...” lo soccorse Gandalf prima che il giardiniere potesse protestare. “Effettivamente ti sei ripreso piuttosto in fretta. Non puoi nemmeno immaginare quanto io sia felice di questo: credevamo di averti perso per sempre”.

“E’ quello che sarebbe successo se...”Frodo si interruppe: non comprendeva fino in fondo il motivo di quella scelta, ma Aragorn gli aveva chiesto di non parlare di ciò che era successo nel mondo degli spiriti, e lui non avrebbe parlato. “Ma adesso sono qui e voglio uscire da questa stanza!” concluse, guardando Sam dritto dritto negli occhi, quasi a volerlo sfidare.

Sam, Frodo e Pipino lasciarono la stanza dirigendosi verso i giardini ormai vuoti e silenziosi.

Gandalf e Galadriel si guardarono per un lungo istante.

“Perché né Aragorn né Frodo vogliono parlare di quanto è accaduto? Cos’è che li ha tanto sconvolti?” chiese infine lo Stregone.

“Il cuore di Aragorn è pesante e quello di Frodo colmo di pena. Non so cosa sia successo, e non intendo scoprirlo violando i loro pensieri, a meno che non sia di vitale importanza, ma credo che in quel caso sarebbero loro stessi a parlare...” disse Galadriel, intuendo quello che per un istante il mago le aveva, forse involontariamente, suggerito di fare.

Gandalf sospirò: “Hai ragione. Però dobbiamo sapere perché oscuri presagi mi tormentano, e finché non capirò non saprò se si tratta di reali pericolo o solo delle paure di un vecchio che vede ormai paurosamente vicina la fine non della sua semplice vita, ma del suo mondo intero...”.

“Credi di poter sopportare fino a domani i tuoi tormenti Mithrandir?” chiese dolcemente la signora degli Elfi.

“Sì. Domani guarderemo nel Palanthir, con l’aiuto di Pipino. Francamente preferirei non dovermi affidare a quel combinaguai, ma non posso certo chiedere a Frodo di tornare là da dove è appena fuggito” disse Gandalf rassegnato.

“Non essere troppo severo con il giovane gobbi: è solo esuberante e qualche volta un po’ maldestro, ma è forte e coraggioso. Non dimenticare che la caduta di Isengard si deve a lui e a Merry probabilmente più ancora che agli Ent” lo rimproverò bonariamente Galadriel.

Gandalf sorrise: “Lo so signora della luce... Se veramente non sapessi di riporre bene la mia fiducia non farei mai una cosa del genere. E’ solo che sembra prendere sempre tutto come un gioco: c’è in ballo il destino della Terra di Mezzo e la sua massima preoccupazione sembra essere quando, quanto e cosa potrà mangiare”.

“E’ un hobbit...” lo interruppe l’elfa.

“Anche Frodo lo è, e se proprio vogliamo escludere Frodo, Sam: anche Sam è un hobbit!”.

“Sei troppo duro con lui: se non affrontasse tutto questo con il suo solito spirito probabilmente resterebbe schiacciato dalla realtà. La sua è una forma di autodifesa, e, anche se ha combinato qualche pasticcio, la sua allegria e il suo buonumore sono serviti anche a tutto il resto della Compagnia. E poi se non fosse stato per lui e la sua curiosità ora non avremmo il Palanthir che forse ci permetterà di scoprire qualcosa sulle intenzioni del nostro nemico”.

Gandalf rinunciò a controbattere: era vero, quel piccoletto era riuscito più volte a fargli perdere la pazienza, e più di una volta lui lo aveva trattato un po’ troppo bruscamente, ma gli voleva un gran bene e sapeva anche che ogni singola parola della signora di Lorien corrispondeva a verità. Nonostante tutto non poté reprimere un sorriso quando l’immagine d Pipino, con il naso per aria a scrutare con allegria e curiosità il mondo intorno a sé, si presentò nella sua mente.

Galadriel seguì per pochi attimi i pensieri dello Stregone e non poté fare a meno nemmeno lei di non sorridere.

“Lo vedi Mithrandir che anche noi abbiamo bisogno di Peregrino Tuc per sorridere...”concluse Galadriel.

“E va bene, hai vinto! Questa sera però gli parlerò di quello che faremo domani e della parte che lui dovrà avere in tutto questo. Non voglio sorprese”.

Galadriel si limitò ad annuire: era giusto che l’hobbit sapesse esattamente quello che lo aspettava.

Spero solo che questa esperienza non lo cambi troppo...” pensò Gandalf, ma non diede a quel pensiero forma di parola pronunciata.

 

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“Il principe Legolas, il Primo Comandante degli eserciti di Bosco Atro e... mastro Gimli, figlio di Gloin, discendente di Durin il SenzaMorte” li annunciò un araldo poco prima che entrassero nella sala del trono di Thranduil, re del Reame Boscoso. L’uomo ebbe una piccola esitazione nell’annunciare il nome di Gimli, ma il nano non se ne accorse, o, se lo fece, fece finta di nulla.

I tre avanzarono verso il trono dove il re li attendeva.

“Bentornati a Bosco Atro miei carissimi...” disse rivolgendosi a Mariel e al figlio, “... e benvenuto anche a te Gimli, figlio di Gloin” continuò rivolgendosi al nano. “E’ la prima volta che un Nano siede alla mia mensa: spero che essa sarà di vostro gradimento”.

Le parole del re erano ospitali, ma Legolas conosceva il padre abbastanza bene per comprendere che non era esattamente entusiasta di quella visita.

“Purtroppo non è per saggiare la vostra squisita ospitalità che sono qui, re Thranduil, anche se per una sera potremo certo mettere da parte i reali motivi della mia visita” rispose Gimli, cortese ma serio.

“Parli con saggezza discendente di Durin” dovette convenire il padre di Legolas, “ma io non posso certo dimenticare le regole dell’ospitalità: vi farò condurre nelle stanze preparate per voi, in modo che possiate rinfrescarvi e riposarvi un po’ prima di cena”.

“Mastro Gimli ha espresso il desiderio di soggiornare con me in caserma, in modo da poterci conoscere meglio e farci conoscere meglio il suo popolo” intervenne Mariel.

“E per quale motivo dovrebbe voler conoscere meglio l’esercito elfico?” chiese Thranduil un po’ preoccupato.

Legolas dovette riconoscere che quella richiesta doveva apparire insolita, se non addirittura pericolosa, a chi non sapesse cosa li attendeva. E suo padre non era ancora al corrente di quanto era stato deciso a Gran Burrone.

“E’ necessario che Elfi e Nani imparino di nuovo a conoscersi e a collaborare dato che dovremo fare fronte comune contro Sauron: questo è quanto è stato deciso al Consiglio di Elrond...” rispose dunque Legolas, senza fare troppi giri di parole.

Nonostante la sua natura elfica, Thranduil non riuscì a mascherare la sorpresa che quella rivelazione gli provocò, e Legolas sapeva fin troppo bene che quando suo padre non riusciva a celare quello che provava non era un gran buon segno.

Dopo qualche attimo, tuttavia, il re riassunse il consueto e pacato contegno: “Così sia allora... Ora andate a ristorarvi ci rivedremo tutti qui a cena. Ora scusatemi ma ho i miei compiti da svolgere”, e così dicendo abbandonò la grande sala del trono.

Mariel e Legolas si guardarono per un istante negli occhi.

Poteva andare peggio” pensò la donna, comunicando col principe solo per mezzo del pensiero.

Sì, anche se temo che il peggio debba ancora arrivare. L’idea di combattere a fianco dei Nani non gli piace nemmeno un po’...” gli rispose Legolas.

“Vi dispiacerebbe dare forma orale ai vostri pensieri in modo che anche io possa seguirli...” disse risentito Gimli che, dai loro sguardi aveva intuito che i due non si stavano semplicemente osservando.

I due Elfi arrossirono violentemente per l’imbarazzo.

“Mi dispiace Gimli” tentò di scusarsi Legolas, “ma...”.

“Ascoltami bene elfo” lo interruppe il nano. “Non mi aspettavo certo che tuo padre mi accogliesse con squilli di tromba e pompa magna. Io stesso avrei dato del folle a qualcuno che, prima che tutta questa brutta storia cominciasse, mi avesse detto che un giorno avrei combattuto a fianco degli Elfi, o che anche semplicemente un giorno avrei considerato uno di loro come il mio migliore amico! Comprendo benissimo la sua reazione e posso dirti fin da ora che non è molto diversa da quella che avrà il re del mio popolo... Comunque non è assolutamente stato meno che corretto e di questo lo ringrazio. Per diventare amici, eventualmente, ci sarà tempo...”.

Legolas sorrise sinceramente alle franche parole del nano: “Mio padre non è uno stupido, Gimli: gli basterà poco tempo in tua compagnia per comprendere il motivo per cui sei tanto caro al mio cuore”.

Questa volta fu Gimli ad essere piacevolmente imbarazzato.

“Ti chiedo scusa anche io, mastro Gimli, e ora ti invito a seguirmi alla caserma dove avremo modo di riposare un po’ dopo le fatiche del viaggio” disse Mariel, avviandosi verso l’uscita del palazzo. “Ci vediamo qui più tardi Legolas”.

Gimli la seguì, ma un attimo prima di uscire si voltò e richiamò l’attenzione di Legolas che si stava a sua volta avviando verso le sue stanze: “Senti un po’ orecchie a punta: quando dicevo che avrei considerato uno di voi come il mio migliore amico mi riferivo ovviamente a lei...” disse indicando con un cenno della testa Mariel, “... non a te...” concluse facendo l’occhiolino.

“E io che pensavo che ti riferissi a Dama Galadriel...” ribatté Legolas sorridendo.

“Beh... sì... ovvio...” borbottò il nano, un po’ contrariato per come l’amico era riuscito a rigirare lo scherzo a suo vantaggio.

 

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Beleg stentava ancora a credere a quello che era successo.

Denethor era veramente completamente impazzito, tanto da credere ancora che Boromir fosse di nuovo in viaggio alla ricerca dell’Anello del Potere: gli si era stretto il cuore quando lo aveva sentito parlare in quel modo.

Non erano mai stati amici dato che, per quanto nobile e stimata la sua famiglia potesse essere, non poteva certo ambire a simili rapporti con quella dei governanti di Minas Tirith, ma avevano combattuto insieme da giovani e poi lui lo aveva sempre servito e rispettato, come soldato prima e come consigliere poi, ritenendolo un buon Sovrintendente.

O almeno tale era stato fino alla morte della moglie, Finduilas, figlia di Adrahil di Dol Amroth: dopo quel tragico evento il suo signore era cambiato. Continuava a saper fare molto bene quello che faceva, ma da quel momento si era incupito e chiuso in sé stesso, permettendo al governo della città di diventare il suo unico scopo nella vita e la sua unica ossessione.

L’unica cosa che sembrava dargli gioia oltre al comando era il suo primogenito, Boromir, nel quale aveva riposto tutte le sue speranze e le sue ambizioni. E Boromir non lo aveva mai deluso, anche se più di una volta si era scontrato con lui in difesa del fratello minore, che lui amava molto, ma che il padre sembrava reputare poco più che una nullità.

Quando l’Anduin aveva restituito a Gondor il corpo privo del calore vitale del suo erede, per Denethor era stata la fine: non aveva mai versato una sola lacrima per quella morte, né in pubblico né in privato, e tutto il dolore che si portava dentro aveva finito per divorarlo.

Lasciando Minas Tirith per Gran Burrone, Beleg si era augurato che quando il lutto fosse passato, il suo signore riuscisse a riprendere in mano le redini della sua vita, oltre che tenersi disperatamente attaccato a quelle del suo regno, ma ora doveva purtroppo constatare che ogni sua speranza era stata vana: Denethor aveva completamente perso il nume della ragione, e ora Beleg non era sicuro di voler scoprire quali potessero essere state le altre nefande conseguenze di tale pazzia, oltre a quelle che già aveva potuto constatare di persona.

Ma il Sovrintendente di Gondor non era l’unico ad essere cambiato in quei pochi mesi in cui era stato assente: mentre si avviava per le vie di Minas Tirith, la città in cui era nato e cresciuto e che per tanti anni aveva servito con il più strenuo convincimento e la più assoluta fedeltà, quasi non riusciva a riconoscerla.

Le guardie erano ovunque, ad ogni angolo della strada, in ogni parco, fuori da ogni locanda, ma erano veramente pochi, quasi nessuno, i volti che riusciva a riconoscere. Da tempo aveva cessato il servizio attivo nell’esercito, ma poteva dire di conoscere uno per uno quasi tutti i soldati che lo componevano... per lo meno quelli di stanza in città... e nessuna di quelle facce gli era nota.

La gente poi sembrava rassegnata ed intimorita, oltre che stanca: mancava ancora più di un’ora al calar del sole, ma per le strade non c’era già quasi più nessuno, e quelli che ancora passavano si affrettavano verso casa senza badare ad altro che a sé stessi.

Nelle locande gli avventori erano pochi, e tutti sparivano quando arrivava l’ora del cambio della guardia, dato che dopo tale orario sarebbero giunti a bere i soldati che avevano terminato il turno, e nessuno aveva voglia di brindare in loro compagnia.

Le porte delle case erano sbarrate e le finestre erano già chiuse da pesanti persiane che isolavano gli abitanti, dando alla città un’atmosfera spettrale: se non fosse stato per i soldati di ronda, un ipotetico forestiero che giungesse in città dopo quell’ora avrebbe potuto pensare che Minas Tirith, capitale del regno di Gondor, fosse ormai una città disabitata.

Pur in quella solitudine, tuttavia, Beleg sapeva fin troppo bene di essere osservato in ogni suo movimento da diverse paia di occhi.

Doveva fare qualcosa per aiutare Faramir: primo perché in pochi erano stati rinchiusi nelle segrete di Gondor e di quei pochi nessuno aveva mai più rivisto la luce, e secondo perché il compito che era stato loro affidato non poteva essere rimandato. Se non si fossero uniti all’esercito di Rohan l’attacco occidentale a Mordor sarebbe fallito e se questo fosse successo anche gli sforzi di Nani ed Elfi da nord sarebbero stati vani.

Sapeva di non poter nemmeno pensare di avvicinarsi alle segrete: un solo passo in quella direzione e lo avrebbero ucciso, non aveva dubbi a riguardo... e da morto non avrebbe mai potuto aiutare Faramir.

Doveva assolutamente scoprire se a Gondor esisteva ancora qualcuno che non avesse perso completamente la testa, qualcuno che potesse spiegargli cosa era accaduto nei tre mesi in cui si era assentato e che non credesse alle infamanti accuse che erano state rivolte a Faramir. Doveva trovare qualcuno che fosse ancora veramente fedele al Bianco Albero di Gondor.

Non fu tuttavia Beleg a trovare questo qualcuno, quanto piuttosto questo qualcuno a trovare lui...

 

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Quella sera Gimli non poté certo lamentarsi dell’ospitalità di re Thranduil.

I piatti da portata circolavano ininterrottamente da più di due ore ormai, continuamente colmi di ogni meraviglia, e più il nano si serviva, più roba sembrava arrivare.

Non c’era la birra scura che tanto amava, ma ancora una volta dovette ricredersi sulla bontà dell’idromele elfico... e sulla sua gradazione alcolica. La bevanda al sapore di mela che tanto amavano gli Elfi andava giù facilmente, dando l’impressione di bere poco più che un succo di frutta, ma a lungo andare persino un nano abituato a bere come Gimli cominciava a sentirne gli effetti nelle gambe informicolate e nella testa che tutto d’un tratto pareva leggera e spensierata.

L’atmosfera era tranquilla, anche se un po’ forzata, sia perché tutti i presenti sembravano imbarazzati dalla presenza del nano, sia perché le ombre che li minacciavano erano talmente ingenti che nemmeno l’idromele permetteva loro di dimenticarle.

Da parte sua Gimli era occupatissimo a passare in continuazione lo sguardo da Legolas a suo padre: nonostante la differenza di età, i due si assomigliavano in maniera impressionante. Solo lo sguardo li distingueva nettamente: gli occhi di Thranduil erano più scuri di quelli del figlio, quasi violacei, e incutevano nei suoi interlocutori una sensazione di rispetto e regalità (e di sicuro in determinate occasioni anche timore) che lo sguardo di Legolas non aveva ancora acquisito. Anche i lineamenti del suo volto, seppur delicati come quelli di Legolas, erano meno armonici, più accentuati, dandogli un’espressione forse meno perfetta di quella del figlio, ma in un certo senso più vera e reale.

Più di una volta, durante il loro viaggio, Gimli aveva pensato che Legolas sarebbe potuto svanire da un momento all’altro, essere etereo e non del tutto reale: non provava la stessa impressione guardando Thranduil. Pur mantenendo la grazia e la bellezza tipica della sua razza, il re sembrava estremamente concreto, solido, per nulla evanescente. Thranduil non sembrava affatto fatto di porcellana…

La prima volta che l’aveva incontrata, Mariel aveva definito il re “vecchio”, e Gimli non voleva nemmeno immaginare quanti anni potesse avere il re di Bosco Atro, ma di certo, vedendolo, non avrebbe usato per definirlo lo stesso aggettivo che aveva usato il comandante dell’esercito elfico.

“Allora figlio mio, dimmi quali decisioni sono state prese a Gran Burrone” disse verso metà della serata Thranduil.

“Io credo che sia stato versato già troppo idromele per parlare di una cosa tanto seria adesso, padre” rispose Legolas con deferenza.

“Forse hai ragione” convenne il re, “ma accennami almeno qualcosa, magari cominciando col dirmi come sta il mio amico Elrond: non so più da quanto tempo non lo vedo...”.

“Sire Elrond sta bene, padre, anche se temo che ormai la solitudine cominci a pesare sul suo animo”.

“La solitudine?” chiese Thranduil incuriosito.

“Gli Elfi di Gran Burrone sono partiti per Valinor più o meno tre lune fa. Solo Elrond è rimasto per combattere di novo Sauron” gli spiegò Legolas.

“Valinor...” sussurrò tra sé e sé il re, chiudendo gli occhi per un istante e immaginando la meravigliosa terra dei Valar. “Forse dovremmo partire anche noi...”.

“Ormai è tardi, sire” intervenne Mariel. “Il viaggio per i Porti Grigi non è più sicuro a causa dell’oscurità dell’Anello. Ormai non ci resta che combattere. Ci sarà tempo, poi, per partire per Valinor”.

“Certe volte mi chiedo perché dobbiamo lottare e rischiare le nostre vite per salvare una terra che comunque abbandoneremo” rifletté ad alta voce Thranduil.

“Perché questo è quello che ho giurato che faremo davanti al Consiglio, a Gran Burrone” rispose Legolas, come se stesse dando la risposta più ovvia di questo mondo.

“E cos’altro hai giurato a nome di Bosco Atro?” gli chiese suo padre, con una scintilla di malizia negli occhi.

“Ho giurato che ci saremmo uniti all’esercito dei figli di Durin per attaccare il confine settentrionale di Mordor, mentre gli uomini di Rohan, di Gondor e l’erede di Isildur combatteranno lungo il fronte occidentale”.

Thranduil non riuscì a nascondere una smorfia di fronte alla palese rivelazione che il figlio gli aveva appena fatto: aveva immaginato un qualcosa del genere, ma aveva sperato che Legolas non fosse stato davvero così pazzo da giurare veramente una cosa simile.

E invece lo aveva fatto, ed ora appariva assolutamente certo di aver fatto la scelta giusta.

Decise comunque di lasciar cadere l’argomento, per il momento: ne avrebbe riparlato più in là direttamente con suo figlio.

“Dunque Aragorn è uscito allo scoperto finalmente!” si limitò a dire.

“Lo ha fatto, ed ora è in viaggio verso i Sentieri Morti per costringere quegli spiriti a rispettare il patto che fecero al suo antenato in persona... che i Valar lo proteggano...” affermò Legolas, e dalle sue parole traspariva tutta la sua ammirazione per il ramingo e l’orgoglio di essere suo amico.

Le conversazioni che seguirono furono di genere nettamente più leggero, e andavano dagli elogi a cuochi all’esaltazione dei musici che riempivano l’aria con note che sembravano aver il potere di chiudere ogni paura fuori dalle mura della sala.

Al culmine della serata, Legolas prese per mano Mariel e la condusse al centro della sala, dove diedero vita ad una danza così leggera ed armoniosa che persino Gimli, che di solito non apprezzava quel genere di cose (roba da Elfi, l’aveva sempre definita), non riuscì a staccare gli occhi di dosso ai due corpi che si muovevano all’unisono, in perfetta sintonia con le note di sottofondo, tanto da disegnare nell’aria forme ed arabeschi quasi visibili e tangibili.

Presto altri commensali si unirono alla danza, e ogni volta che qualcuno si univa a quella coreografia, a Gimli sembrava che un pezzetto di universo trovasse la sua perfetta collocazione nell’ordine divino delle cose.

Quella paura che la musica da sola non era riuscita a fugare del tutto dal cuore del nano, venne infine dissolta da quella danza magica: mai aveva visto uno spettacolo del genere ed era consapevole che probabilmente non l’avrebbe visto mai più. Un simile pensiero avrebbe potuto gettare un’ombra di sconforto sul suo spirito, ma la serenità che quella danza aveva diffuso nel suo cuore, nella sua mente e nella sua anima impedirono che ciò accadesse.

Quella sera Gimli si rese conto di essere una persona diversa da quella che si era presentata al Primo Consiglio di Elrond.

Allora ero solo un Nano che, senza aver mai conosciuto il mondo, giudicava tutto e tutti in base solo alle credenze della propria razza. Disprezzavo sinceramente gli Elfi e mi sono aggregato alla Compagnia solo perché non sopportavo che in quel gruppo ci fosse un loro rappresentante e non uno nostro. Poi ho imparato a conoscere Legolas e, anche se lo negherò per sempre, in lui ho trovato l’amico più caro: non esiste un nano in tutta Arda a cui io tenga più che a quell’elfo. Ho pensato che Legolas fosse un’eccezione: ho continuato a diffidare degli Elfi pur amandone uno più di un fratello. E’ solo questa sera che comprendo veramente che la mia amicizia con Legolas non ha nulla di eccezionale. Potrei essere amico di ognuno di questi singoli esseri, se solo me lo permettessero. Non so nemmeno più perché le nostre razze si disprezzino così tanto: un tempo non era così... Un tempo c’era stretta collaborazione tra noi, tanto che addirittura i Cancelli di Moria erano sigillati da incantesimi elfici. Quello che ora so è che sono creature straordinarie, e spero veramente che la mia gente lo capisca anche senza poter assistere a questo celestiale spettacolo. Così come spero che anche loro comprendano che la maggior parte di quello che pensano di noi è completamente sbagliato: lo spero per la sorte della Terra di Mezzo, ma soprattutto lo spero per i Nani e per gli Elfi...”.

Thranduil seguì, prima involontariamente, poi sempre più attentamente il filo dei pensieri del Nano, e ne restò sinceramente stupito: c’era una grande nobiltà d’animo in quei pensieri, una nobiltà d’animo che non si sarebbe mai aspettato di trovare in un essere rozzo come un Nano.

E’ solo ubriaco...” si disse, senza voler recedere dalle proprie convinzioni. Ma il primo a non sembrare molto convinto era proprio lui.

 

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Il piccolo fuoco da campo illuminava con la sua luce calda il volto del ramingo, che fumava la poca erba pipa che ancora gli rimaneva, assorto nei suoi pensieri.

Poco più in là, appena fuori dal cerchio luminoso proiettato dal fuoco, Merry, sfinito, era già placidamente addormentato.

Guardandolo Aragorn si chiedeva se fosse stato giusto separarlo dagli altri tre hobbit che erano rimasti a Gran Burrone, ma il signore della terra di Brandibuck aveva fatto un giuramento al re di Rohan, e nulla gli avrebbe impedito di mantenerlo.

Eowyn era invece andata al ruscello poco distante dal piccolo accampamento per rinfrescarsi un po’ e scrollarsi di dosso la polvere, il sudore e la fatica dell’ennesima giornata passata a cavallo.

Era passata più di un’ora da quando si era allontanata, e il ramingo cominciava a chiedersi se dovesse preoccuparsi; gli mancava tuttavia il coraggio di andare a controllare che tutto fosse a posto.

Non se la sentiva di affrontare quella che avrebbe potuto essere la sua reazione, fisica ed emotiva, se avesse sorpreso la donna ancora nuda nell’acqua del ruscello...

Non poteva infatti più negare nemmeno a se stesso di sentirsi incredibilmente attratto da lei, e sapeva benissimo che Eowyn ricambiava i suoi sentimenti, ma non riusciva ancora a non sentirsi in colpa per questo.

Ogni volta che posava lo sguardo su di lei, desiderandola, gli sembrava ancora di “tradire” Arwen: sapeva benissimo quanto la cosa fosse assurda, che mai più avrebbe rivisto la sua Stella del Vespro e che, se non fosse morto prima, avrebbe comunque dovuto “tradirla” prima o poi, se non altro per dare un erede al trono di Gondor, ma quella consapevolezza non era ancora sufficiente per dargli la possibilità di costruirsi una nuova vita. Inoltre non voleva stringere legami proprio in quel momento, senza nemmeno sapere se sarebbe riuscito a vedere la prossima alba.

Era attratto da Eowyn, e certo sapeva che, se se lo fosse concesso, avrebbe facilmente potuto innamorarsi di lei, ma non si sentiva ancora pronto per questo. La paura, il ricordo e l’amore per Arwen erano ancora troppo vivi nella sua mente e nel suo cuore.

 

“Comincia a far caldo anche la notte...” disse Eowyn, arrivando silenziosamente alle sue spalle e distogliendolo dai suoi pensieri.

L’uomo si voltò, irritandosi con se stesso per essersi lasciato cogliere un’altra volta di sorpresa. L’irritazione e qualsiasi altro sentimento lasciarono tuttavia la mente di Aragorn non appena il suo sguardo incontrò la figura di Eowyn: indossava una tunica leggera e aveva ancora i capelli raccolti come li aveva legati per evitare di bagnarli durante il bagno. Era bellissima nella sua semplicità, e il ramingo rimase per un attimo senza parole.

“Stiamo andando verso sud...” fu tutto quello che riuscì a rispondere l’uomo.

“Ci dev’essere una sorgente calda da queste parti perché l’acqua del ruscello è piacevolmente tiepida, e anche il terreno. Vai anche tu a farti un bagno e a rilassarti un po’, e quando torni troverai ad aspettarti una tisana di erbe aromatiche e me che ti aspetto per berla insieme” disse sorridendo la ragazza.

Aragorn la osservò rapito per ancora qualche istante, poi decise di spezzare la tensione che sentiva crescere dentro di sé mettendola sul ridere: “Il tuo è un modo gentile per dirmi che avrei bisogno di un bagno?” chiese.

Eowyn stette allo scherzo: “Devo ricordarmi che sei stato allevato dagli Elfi, erede di Isildur... Evidentemente da loro hai anche imparato a leggere nel pensiero di chi ti circonda...” rispose sorridendo.

Aragorn sorrise, mentre Eowyn si tolse la forcina che le imprigionava i capelli; una cascata di riccioli dorati si riversò su tutta la sua figura, catturando i riflessi del fuoco.

A quella vista il ramingo si alzò di scatto, quasi senza fiato: doveva riconoscere che l’idea di un bagno non gli dispiaceva, soprattutto visto che gli dava l’occasione di allontanarsi dalla donna, tirandolo fuori da una situazione che, lo sapeva, avrebbe potuto degenerare.

“Allora farò il più presto possibile” disse, slegando la cintura che gli teneva Anduril legata in vita. “Te la affido...” disse accennando alla spada, “... tanto ormai siete amici...”.

Quindi si allontanò verso il ruscello, mentre la ragazza lo seguiva con lo sguardo.

 

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La cena era ormai finita e tutti i commensali avevano ormai lasciato la sala: rimanevano solo Thranduil, Legolas, Gimli e Mariel.

“Bene mastro Gimli, per me è ora di tornare tra i miei elfi giù alla caserma” disse Mariel, che non sembrava tuttavia molto entusiasta di quella prospettiva. “Tu vieni con me o ci raggiungi più tardi?” chiese al nano.

“Vengo anch’io, anche perché diversamente rischierei di perdermi per Bosco Atro prima di ritrovare da solo la strada... Il senso d’orientamento di noi Nani è molto accentuato, ma solo quando si tratta di ritrovarci in cunicoli e caverne. Tutti questi alberi mi disorientano: checché ne diciate voi Elfi, a me sembrano tutti uguali...” ammise Gimli, suscitando i sorrisi dei tre elfi che erano con lui.

“Bene, allora andiamo” disse Mariel in un sospiro, lanciando un’occhiata malinconica a Legolas. Quindi si avviò verso l’uscita insieme a Gimli.

Anche Legolas sospirò leggermente seguendo con lo sguardo, finché gli fu possibile, la sagoma dell’elfa.

“Buona notte padre” disse quando ormai nella sala rimanevano solo lui e il re.

“Aspetta Legolas: dobbiamo parlare” lo fermò Thranduil

“Padre, sono stanco: non potremmo parlarne domani?” tentò di replicare, ben sapendo quale sarebbe stato l’argomento della discussione.

“No, non possiamo rimandare a domani!” rispose suo padre con tono autoritario.

Legolas si rassegnò, anche perché si rese conto che l’indomani non sarebbe stato più piacevole affrontare quel discorso, e quindi tanto valeva farlo subito. Si augurò solo di riuscire a convincere suo padre a ricredersi e a collaborare. Tornò quindi a sedersi accanto al re.

“Faccio fatica a capirlo, ma con uno sforzo posso anche comprendere che tu abbia stretto amicizia con un nano...” esordì Thranduil, e da quelle prime, poche parole, Legolas comprese che non sarebbe stata una discussione semplice. “Quello che non riesco invece a capire è se tu ti renda veramente conto di quello che hai fatto...” terminò il re.

“E cosa avrei fatto di tanto terribile, padre?” chiese l’elfo senza riuscire a nascondere la sua incomprensione.

“Come puoi anche solo pensare che potremo combattere insieme ai Nani!?!” rispose Thranduil senza fare troppi giri di parole.

“Per prima cosa, anche se questo riscontra tutto il mio incondizionato appoggio, non sono io che ho progettato il piano che ti ho esposto poco fa, ma re Elrond. Io mi sono limitato ad assicurare il nostro appoggio a qualsiasi decisione il Consiglio avrebbe preso, e dato che questa è stata la decisione del Consiglio...”.

“Ma allora perché non ci viene Elrond a combattere insieme ai Nani!” esclamò seccato suo padre.

“Come ti ho già detto” ribatté Legolas tentando di mantenere la calma, “gli elfi di Gran Burrone sono già partiti per Valinor, il solo Elrond è rimasto nella Terra di Mezzo. E comunque si unirà presto a Celeborn e l’esercito di Lorien, dopodichè ci raggiungeranno. Quindi come vedi Elrond stesso, e anche sire Celeborn, combatteranno al fianco dei Nani!”.

Thranduil, inspirando profondamente, cercò di riassumere un contegno più decoroso: “Non potrà mai funzionare” sentenziò dopo un attimo di riflessione.

“Certo che no se questo è lo spirito con cui cominciamo!” ribatté Legolas con una punta di sarcasmo nella voce che non sfuggì al padre. “Ma se non funzionerà sarà solo perché noi, o i Nani, non vorremo farlo funzionare. Rifletti padre, per favore: le nostre razze non sono mai state apertamente ostili e addirittura per secoli e secoli hanno vissuto a stretto contatto, in pace e collaborazione. Non esiste alcuna legge divina che affermi che Nani ed Elfi debbano odiarsi!”.

“Sono tempi remoti e quasi dimenticati quelli di cui parli, figlio mio” rispose il re.

“Lo so padre, e so anche che dimenticare le usanze e le tradizioni degli ultimi secoli, quelle che ci dipingono i Nani come gli esseri più stupidi, oltre che più brutti, della Terra di Mezzo, non sarà cosa semplice, ma se non lo faremo non esisterà più alcuna tradizione da tramandare, non esisteranno più né i nostri adorati boschi né le caverne tanto amate dai Nani. Se la nostra alleanza non funzionerà, non ci sarà nient’altro che Sauron ovunque! E, credimi, le sue creature sono molto più brutte, rozze e maleodoranti dei Nani. Te lo posso assicurare!” rispose con fervore Legolas.

Thranduil ora non parlava più: si limitava ad ascoltare Legolas e a riflettere su quanto egli diceva.

Incoraggiato da quell’atteggiamento del padre, che ora sembrava disposto ad aprire un po’ di più la sua mente, l’elfo continuò: “Quando sono arrivato al Consiglio di Elrond per la prima volta non la pensavo molto diversamente da come la pensi tu oggi; ma poi sono stato costretto a conoscere Gimli, un Nano, e a collaborare con lui, e quello che ho scoperto mi ha arricchito in maniera che nemmeno puoi immaginarti. Credimi padre, escluso Estel, non esiste altra creatura su questa terra a cui affiderei la mia vita e quella dei miei cari con più fiducia che a Gimli! E Gimli non è un’eccezione! Sono stato a Moria, e per quanto lì dentro mi sembrasse di soffocare, non ho potuto non ammirare quello che i Nani avevano costruito nel cuore di quella montagna. Quella che ha creato lo splendore che ho visto lì dentro non può essere una razza rozza ed ignorante: sono ingegneri eccezionali e non dimenticare che i gioielli più belli che tanto apprezziamo vengono prodotti da loro. La stessa corona che porti in testa probabilmente è stata realizzata da mani nane in tempi ormai persi nella memoria. No padre, i Nani non possono essere nemmeno stupidi. Certo, ci sarà qualche nano stupido, così come esistono Elfi poco gradevoli persino per noi loro simili, ma questo non può bastare per odiare un’intera razza”.

Legolas si interruppe per riprendere fiato.

Mai prima di allora si era fermato a riflettere sulla sua considerazione dei Nani: sapeva di aver trovato in Gimli un grande amico, ma non si era ancora reso conto che questo aveva radicalmente sconvolto tutte le sue convinzioni di Elfo. Si rese conto anche che, se pure era quella la prima volta che dava un forma concreta a quei pensieri, questi in realtà avevano preso ad albergare nel suo animo fin da quando era partito con la Compagnia, solo che non se ne era mai reso conto.

Mentre ascoltava Legolas parlare, un sorriso increspò le labbra di Thranduil: “E’ buffo sai: meno di un’ora fa il tuo amico Gimli stava pensando più o meno le stesse cose...”.

Legolas per un attimo rimase sorpreso, ma non poté far altro che sorridere a sua volta: “Come vedi in fondo Elfi e Nani non ragionano in modo tanto differente...” disse scherzando.

“Oppure tu hai cominciato a pensare come un Nano!” lo prese in giro bonariamente il padre.

“Può anche darsi, padre, ma, in tutta sincerità, quelle che ti ho appena detto ti sembrano le parole di un folle?” chiese Legolas, che ormai sentiva la vittoria vicina.

Thranduil fissò gli occhi in quelli del figlio per dei lunghi attimi, e Legolas sostenne lo sguardo.

“Sarai un buon re, figlio mio” disse infine.

“Sì padre, ma per il momento il re sei ancora tu, e sta a te quindi decidere se venir meno alla parola che io ho dato a tuo nome a Gran Burrone oppure no”.

Il re tacque e rifletté ancora qualche istante, quindi affermò: “E sia... Se hai promesso io non posso oppormi... per il bene della Terra di Mezzo”.

Legolas sentì la tensione abbandonargli i muscoli delle spalle, mentre anche le mani, inconsapevolmente serrate a pugno fino a quel momento, si rilassarono.

“Grazie padre” si limitò a dire, mentre un sorriso radioso gli si dipingeva sul volto.

“Grazie a te, Legolas, e grazie al tuo... al nostro amico Gimli. Ed ora va’ a riposare anche tu: domani dovremo organizzare tutto quanto” concluse il re, congedando suo figlio.

“Padre” lo fermò Legolas. “Se davvero un giorno sarò veramente un buon re sarà solo perché ho avuto un ottimo esempio da seguire” disse, mentre una lacrima di felicità e riconoscenza gli sfuggiva dagli occhi.

Anche Thranduil sorrise, orgoglioso di quel figlio che mostrava molta più saggezza e lungimiranza di lui.

 

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Già... ma se devo preparare l’infuso ho bisogno dell’acqua!” pensò Eowyn, arrossendo violentemente al solo pensiero di quello che andare al fiume per riempire il piccolo bricco avrebbe comportato.

Tuttavia non c’erano altre soluzioni: se voleva preparare la bevanda che aveva promesso ad Aragorn doveva andare al fiume e prendere l’acqua.

Si avviò verso il corso d’acqua, spostandosi più a valle rispetto alla direzione in cui si era diretto Aragorn.

Camminando tentava di convincersi che non stesse facendo niente di sconveniente, ma, dentro al suo petto, sentiva il cuore batterle talmente forte che temette potesse balzare fuori dal suo corpo.

Arrivò al ruscello e meccanicamente riempì il bricco che stringeva nervosamente tra le mani come se fosse il tesoro più prezioso del mondo.

Visto Eowyn che non c’era bisogno di farne tante tragedie! Adesso hai la tua acqua e te ne torni tranquilla al fuoco. Non è successo nien...”.

Non fece in tempo a formulare quel pensiero dato che, rialzandosi, lo vide attraverso i rami degli arbusti che crescevano sulle rive del fiume: era lì, a mollo nell’acqua, con i capelli scuri e fradici che gli incorniciavano il viso. Continuava a roteare lentamente la testa prima in una direzione poi nell’altra, nel tentativo di sciogliere e rilassare la muscolatura possente di collo e spalle. Solo la parte superiore del tronco emergeva dall’acqua, e la luce della luna piena di quelle notti conferiva alla sua pelle solitamente abbronzata un colorito argentato che gli dava un che di magico.

Eowyn sapeva che doveva andarsene e che spiarlo in quel modo non era assolutamente corretto. Eppure il suo corpo sembrava non risponderle e, consapevole del fatto che l’uomo non potesse scorgerla tra le piante, non aveva nessuna intenzione di spostarsi da dove stava.

Se prima il suo cuore stava battendo all’impazzata, ora Eowyn temeva che sarebbe esploso.

Poi all’improvviso Aragorn si immerse completamente nell’acqua, e ad Eowyn sembrò che il buio calasse intorno; fu solo l’istinto che la portò a voltarsi, rossa di imbarazzo dalla punta dei piedi a quella dei capelli, proprio nel momento in cui l’uomo riemergeva definitivamente dall’acqua per andare ad asciugarsi con un telo che lo attendeva sulla riva.

Pur non riuscendo a spiegarsi come, dato il tremore che le aveva preso le gambe, la ragazza tornò all’accampamento, dove Merry continuava a dormire tranquillamente. Aveva caldo, ma doveva cercare di calmarsi prima del ritorno di Aragorn, altrimenti l’uomo avrebbe probabilmente sospettato qualcosa, e lei non voleva fare di nuovo la figura della sciocca donna folle d’amore che non si rassegna nemmeno di fronte ad un esplicito rifiuto. E poi doveva preparare la tisana...

Passò ancora qualche minuto prima che sentisse i passi di Aragorn alle sue spalle.

“Avevi proprio ragione: adesso mi sento quasi un uomo nuovo” disse sorridendo il ramingo, e quando le fu abbastanza vicino cominciò a scuotere la testa in modo da scrollarsi l’acqua dai capelli.

Eowyn subì senza dire una sola parola lo scherzo dell’uomo, e quando Aragorn finì di scrollarsi si girò verso di lui e, con tranquillità disse: “Ecco, il cagnolino che avevo ad Edoras quand’ero una bambina faceva esattamente la stessa cosa...”.

I due si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere, ricordandosi solo in un secondo momento di abbassare la voce per non svegliare l’hobbit che dormiva a pochi metri da loro. Quindi Eowyn porse ad Aragorn l’infuso che aveva preparato.

Rimasero in silenzio per diversi minuti, sorseggiando la bevanda e scrutando il buio attorno a loro.

Fu Eowyn che ruppe il silenzio con poco più che un sussurro: “Lo sai che non ti lascerò andare da solo, vero?” affermò, continuando a guardare nell’oscurità.

Aragorn le rispose tranquillamente, senza a sua volta voltarsi a guardarla: “E tu lo sai che non ti permetterò mai di accompagnarmi, vero?”.

“Non sei mio padre, non sei mio fratello, non sei ancora re di Gondor e non sei neppure...” e il suo sguardo passò dal vuoto alla punta dei suoi piedi, nudi sull’era morbida, “... il mio sposo! Non vedo proprio come potresti impedirmi di fare ciò che voglio” rispose la ragazza.

“E tu vorresti farmi credere che tuo padre, tuo fratello, il re di Gondor o il tuo sposo potrebbero farlo?” chiese Aragorn con una punta di ironia nella voce.

“A maggior ragione non puoi farlo tu...” e questa volta fissò finalmente il suo sguardo in quello di Aragorn. “Non ti stavo chiedendo il permesso: ti stavo semplicemente informando di quello che farò”.

“Per favore Eowyn...” la supplicò l’uomo, tornando a fissare il fuoco.

“Dammi solo un motivo per cui tu dovresti rischiare la vita per salvare la mia e quella di tanta altra gente, mentre io me ne resto tranquilla a casa a tessere e ricamare” disse la donna con veemenza, ricatturando immediatamente l’attenzione del ramingo.

Ad Aragorn  vennero in mente almeno un migliaio di motivi, ma sapeva che era uno solo quello vero.

“Non so se ti basti come motivo, ma non voglio che tu rischi la tua vita”.

“La mia vita non è poi così preziosa erede di Isildur: se proprio la vuoi mettere su questo piano la tua vita è molto più importante della mia! Non sarà per la mia morte che mezza Terra di Mezzo ripiomberà nel caos, senza nessuno che la guidi” lo interruppe Eowyn, alla quale evidentemente la risposta di Aragorn non era bastata. “Se dovessi morire mi piangerebbero mio fratello e i miei cari, ma non succederebbe nulla. Con questo non voglio dire che io non tenga alla mia vita, ma questo non la rende preziosa quanto invece lo è la tua...”.

“La tua vita mi è molto più cara e preziosa della mia!!!” esclamò senza riflettere Aragorn, intimorito dalle parole della donna.

Solo dopo aver pronunciato quelle parole il ramingo si rese conto di ciò che aveva detto, e di quanto esse corrispondessero alla verità.

Eowyn, dal canto suo era stata colta completamente di sorpresa da quell’affermazione ed ora lo stava guardando con occhi spalancati.

Aragorn si rendeva conto che avrebbe dovuto dire qualcos’altro, se non altro per spiegarsi, ma tutto d’un tratto la sua mente non riusciva più a formulare un pensiero concreto che non fosse completamente privo di senso.

Ancora una volta sentiva lo sguardo di Eowyn bruciargli addosso e questa volta si sentiva completamente indifeso. Non voleva nemmeno provare a difendersi.

“C’è solo un unico motivo per cui non voglio che tu venga con me attraverso i Sentieri Morti” sussurrò, mentre avvicinava il suo volto a quello di Eowyn.

Quando le loro labbra quasi si sfiorarono, Aragorn si fermò, si allontanò di nuovo dello spazio necessario per ristabilire un contatto visivo e chiese con gli occhi alla ragazza il permesso di baciarla.

A Eowyn pareva di vivere in un sogno, ed aveva una folle paura di svegliarsi. Quando Aragorn si era allontanato aveva temuto che ormai il momento magico fosse passato, ma quando i suoi occhi avevano incontrato di nuovo il suo sguardo, comprendendo cosa il ramingo le stesse chiedendo, fu lei stessa ad avvicinarsi al suo volto, in una tacita, ma esplicita, concessione del permesso richiesto.

Quando sentì il suo respiro caldo mescolarsi con quello dell’uomo e accarezzarle dolcemente il viso, Eowyn chiuse gli occhi, e quando le morbide labbra di Aragorn tornarono a sfiorare le sue credette di impazzire.

“Ragazzi, ma siete ancora svegli?” chiese Merry con voce impastata, stropicciandosi gli occhi per il sonno interrotto. “Fareste meglio ad addormentarvi anche voi se non vorrete arrivare ad Edoras domani con l’aspetto di due creature di Saruman...”.

La voce dell’hobbit fu una doccia gelida sia per Aragorn che per Eowyn, che si allontanarono all’istante l’uno dall’altra, prima che le loro labbra potessero fare qualcosa di più che sfiorarsi.

“Sì… hai ragione Merry... veniamo subito... devo solo spegnere il fuoco...” disse il ramingo con voce ancora arrochita. Quindi prese a gettare terra sulle braci del piccolo falò.

“Ok, buona notte allora” disse l’hobbit ridistendendosi, completamente ignaro di ciò che aveva interrotto.

Eowyn dal canto suo si alzò in fretta e si diresse verso il suo giaciglio senza dire una sola parola ad Aragorn e senza nemmeno guardarlo: sapeva che il momento magico era passato, che qualcuno l’aveva svegliata interrompendo il suo sogno, proprio come aveva temuto, e che sarebbe stato inutile cercare di riaddormentarsi perché quel sogno continuasse.

Giunta là dove avrebbe dormito, sempre senza guardarlo per impedire al ramingo di vedere la delusione dipinta sul suo volto, si limitò a dire: “Buona notte, Aragorn”.

Quindi si distese, ma molte lacrime silenziose le rigarono il viso prima che il sonno avesse la meglio su di lei.

 

NOTE: Ringrazio innanzi tutto Elfa per il suo commento e per le sue osservazioni a cui proverò a rispondere.

Riguardo alla madre di Faramir, so che lei non è morta dandolo alla luce, ma diciamo che in questo modo ho cercato di dare un senso ad un rapporto, quello tra Faramir e Denethor, che non ho mai compreso fino in fondo. Ho cercato di dare una spiegazione al disprezzo (apparente?) di Denethor, una spiegazione che fosse, se non condivisibile, almeno comprensibile. Mi sono inventata, per i capitoli a venire, qualcosina anche sulla madre di Legolas, ad esempio, di cui Tolkine, almeno ne Il Signore degli Anelli, non dice assolutamente nulla, mi pare.
Riguardo invece ai barbari, mi scuso. Io ho senza dubbio preso spunto dagli eserciti che Frodo e Sam vedono poco prima di essere catturati dagli uomini di Faramir ne Le Due Torri (quando vedono gli "olifanti" tanto per capirci). Lì c'erano senza dubbio degli uomini, ed è a quelli che ho pensato quando ho scritto del "nobile Cimrith". Probabilmente ho fatto una gran confusione: la mia conoscenza di Tolkien si limita a TLOTR e le appendici finali confesso di non averle lette proprio tutte tutte tutte. Chiedo scusa.

Grazie mille,
Patrizia

PS: Credo che cominci ad essere abbastanza evidente su chi sia caduta la mia scelta in questa storia riguardo al "triangolo" che sì... io lo avevo considerato XD
      Spero di non aver deluso troppi lettori...

  
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