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Autore: Milli Milk    18/04/2010    1 recensioni
Ricordo fin troppo bene il passato, ogni singolo momento del mio passato.
Genere: Introspettivo, Mistero, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oro


Questa one shot l'ho scritta molto tempo fa, quando ho iniziato a viaggiare un po' troppo con la mente creando pensieri scoclusionati. Questa storia non riprende alcun fatto reale, non ho mai vissuto un'esperienza del genere in prima persona e non conosco nessuno da cui avrei potuto prendere spunto, questo per dire che ogni riferimento a fatti e/o persone, è puramente casuale.
Ho cercato di revisionare la storia migliorandola per quanto concesso dalla trama, che è quella che è. Essendo una "Non sense" appunto non ha un vero e proprio senso, più che altro ho voluto lasciare libero arbitrio alla mente del lettore. Non mi soddisfa molto e non è uscita fuori come volevo, ma essendo un argomento troppo più grande di me (ripeto che poi ognuno può vedere ciò che è alla base della storia in modo diverso, quindi può risultare semplice o meno), non sono riuscita ad arrivare ad essere pienamente convinta di ciò che ho scritto. Ritengo di non essere riuscita a creare quel tipo di introspezione che volevo creare.
Ora, dopo questo sproloquio, vi lascio alla storia. I commenti sono sempre graditi e con i commenti anche gli eventualio punti di vista su ciò che avete letto e su ciò che vi ha o non vi ha trasmesso.




1. ORO

Il passato.
Ricordo fin troppo bene il passato, ogni singolo momento del mio passato.
Non è molto difficile dimenticare un passato come il mio, nella mia vita ho sempre visto il vuoto, non ho mai amato nulla, non ho mai odiato nulla, non ho sentito felicità né tristezza.
Le mie giornate passavano così, come se nulla fosse, rinchiusa nella mia camera, quella camera troppo grande, troppo lussuosa, troppo luminosa.
Le mie giornate, ancora, passavano così, sul letto seduta a guardare fuori dalla grande finestra alla mia destra, il grande giardino, la fontana, le rose e l'orizzonte verde. La sera leggevo libri e assimilavo.
Non rimpiango il mio passato, perché non sento di averlo mai avuto. Non sono infelice, mi ritengo una persona come le altre, solo un po' più vuota.
Nessuno mi ha insegnato la felicità, nessuno mi ha insegnato la tristezza, di conseguenza non sono capace di provare questi sentimenti come tanti altri, forse tutti gli altri.
Provo indifferenza forse quella sì, ma l'indifferenza vuota.
Non ho mai avuto amici, non ho mai avuto dei genitori, non ho mai avuto una famiglia, una sorella o un fratello da amare, un migliore amico con cui parlare, ridere e scherzare.
Non ho avuto nient'altro nella mia vita se non la mia stanza, la finestra, la vista sul giardino e i libri. Mi devo ritenere un'autodidatta, non ho avuto un maestro che mi insegnasse qualcosa, i miei insegnati sono stati i libri.
Gli unici rumori che abbia mai sentito erano i passi al di fuori della mia stanza, gli uccellini che cantavano, il vento e la tempesta.
Nessuno mi ha mai fatto visita, non ho mai dialogato con una persona. L'unica persona che abbia mai visto in vita mia è un uomo, colui che mi porta il cibo, un manichino: bussa, entra, posa il vassoio e se ne va. Ormai nemmeno lo guardo più, ma ricordo bene i suoi tratti, l'unica persona che abbia mai visto. Un uomo, non saprei dirne l'età, alto, magro, potatura regale, diritta, il passo silenzioso, il volto bianco e i capelli bianchi. Gli occhi, li ho visti poche volte di sfuggita perché lui non mi ha mai guardata nemmeno per sbaglio, i suoi occhi erano chiari, freddi, forse grigi, forse azzurri, vitrei a mio parere perché evidentemente il suo lavoro era quello di dover essere un'ombra, anzi doveva essere aria, come veniva poi andava via, questo per tre volte al giorno: colazione, pranzo e cena.
Mangiavo quel che potevo, lo stretto necessario. I sapori, quelli sono l'unica cosa che forse stento a ricordare, così tanti sapori diversi, uno solo però era il mio preferito: il sapore del salmone.
Anche gli odori, sì, gli odori, anche quelli tanti e diversi, ma il mio odore preferito era l'odore della rosa bianca che ogni volta era posata sul vassoio d'argento dei pasti.
Vicino alla rosa c'era sempre un bigliettino con su scritto, con inchiostro nero e calligrafia elegante: Milady.
Non sapevo chi lo scrivesse, non sapevo perché lo scrivesse.
Per qualche periodo ho creduto che fosse l'uomo che mi portava sempre il pasto, ma non c'era una spiegazione logica del perché lo facesse e così ogni mio dubbio si dissolse nell'aria.
Un giorno, lo ricordo nitido più degli altri, un giorno particolare, un giorno in cui feci qualcosa di diverso, durante l'inverno dei miei diciannove anni.
Nevicava, il colore candido e puro della neve ricopriva l'intero giardino, tutto fuori dalla finestra era bianco, tutto era avvolto in un'aura di candore immacolato. Non ho mai toccato la neve con le mie mani, anche se ho letto che la neve è fredda, io non so cosa sia il freddo.
Quel giorno, presi il bigliettino accanto alla rosa sul vassoio della colazione, lo lessi, contemplai quella parola scritta sulla carta, mi alzai dal mio letto dirigendomi verso la scrivania su cui ogni tanto annotavo delle parole, presi la stilo con l'inchiostro nero e scrissi dietro al bigliettino: Milord.
Non sapevo se avessi sbagliato, se quel qualcuno che mi scriveva ogni volta quel biglietto fosse un uomo o una donna, andai a tentativo, scrissi solo ciò che sentivo.
Il giorno seguente sentii bussare alla porta, come al solito entrò qualcuno, io guardavo sempre fuori dalla finestra. Silenzioso si avvicinò al mio letto, posò il vassoio e poi invece di andare via, si sedette sul mio letto.
Non mi voltai subito, lo feci solo dopo qualche secondo e quando lo vidi sentii qualcosa di diverso, il mio cuore sentì qualcosa, iniziò a battere più forte.
Sguardo d'oro: subito mi imbattei nei suoi occhi che erano dello stesso colore dell'oro fuso, la sua pelle poi, quella era chiara, sembrava fatta di porcellana, i suoi capelli, fili d'oro che ricadevano delicati ai lati del volto, erano legati dietro in una coda bassa.
Un volto nuovo, un volto maschile, candido, evidentemente giovane, sembrava finto per quei tratti delicati e fini.
Le sue labbra rosee erano leggermente ricurvate verso l'alto.
Osai alzare una mano e andare a sfiorare il suo volto, la sua guancia, e il mio cuore fece un balzo. Sentii il cuore battere forte nel mio petto, era strano, era una sensazione mai provata, anomala ed indefinibile.
-Milady-
Il suono della sua voce, leggero come il volo di una farfalla, penetrante e profonda, mi fece sentire, per la prima volta in diciannove anni di vita, qualcosa di diverso.
Se ne andò, non disse più nulla, non venne più nella mia stanza, mi lasciò con il solo ricordo di quel momento in cui, per la prima volta, toccai il volto di qualcuno. Quell'attimo in cui sentii qualcosa, non la solita indifferenza, non so spiegarla, non so cosa sia, perché nessuno mi ha mai insegnato cosa sia quell'emozione e nemmeno i libri sono stati capaci di darmi una risposta.
Ho cercato a lungo quel significato, quella sensazione, il forte battito che nei libri di medicina erano chiamati "tachicardia", ma non era la stessa cosa che avevo sentito, quella tachicardia era un malanno, un dolore al cuore, io invece in quel breve attimo sentii solo un grande sollievo.
Lessi qualche romanzo rosa e diverse volte vi era scritto di quello strano battito, della bella sensazione e della gioia: dell'amore. Ma non seppi mai cosa fosse in realtà, non seppi mai nulla perché non provai più quella sensazione.
E di nuovo tornarono i giorni monotoni mentre nella mia mente lasciavo stampata l'immagine di quel giovane uomo: il mio milord.
Non gli scrissi, lui non mi scrisse più e l'uomo che mi portava i pasti era sempre lo stesso, con lo stesso atteggiamento, con la stessa assenza.
Il vassoio d'argento era stato sostituito da un vassoio d'oro, con piatti di finissima e pregiata porcellana. Sopra il vassoio non c'era più una rosa bianca, ma solo un petalo bianco, candido, liscio e fresco di quella rosa e uno ad uno li conservavo nel cassetto della scrivania accorgendomii di come con il tempo diventavano marroni e secchi.
Non ci volle troppo tempo prima che il mondo attorno a me cadesse come le foglie degli alberi in autunno e in quel letto grande lascio esalare il mio ultimo respiro.
L'immagine del mio milord si scioglie in una cascata di brillante oro e scivola via dalla mia mente come la vita che scivola via dal mio corpo.
Ho solo un ricordo del passato: l'oro.



Aggiungo una piccola cosa, che magari può essere gradita oppure può non fregare nulla a nessuno (opterei più per quest'ultima), questa storia è stata creata con l'intento di iniziare una raccolta. Questa raccolta mi toglierebbe un sacco di tempo e forze e ci metterei tutta la mia anima, quindi, se vi piace la storia, sono graditi insieme ai commenti, oltre a critiche e opinioni sulla storia, anche idee che potrebbero venirvi in mente in base a questa storia. Questo non perché non abbia fantasia o perché voglio rubare idee a qualcuno, ma perché mi pare più che giusto che di tanto in tanto siano i lettori a scegliere.





  
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