- Finito! – esclamò Zia Petunia qualche tempo
dopo, non appena l’unico baule fu chiuso con un sonoro click.
Quel suono
riecheggiò sulle pareti vuote della stanza da letto dei padroni di casa: le
quattro mura che avevano ospitato la famiglia Dursley e Harry Potter per gli
scorsi sette anni erano ora completamente vuote.
I vari dipinti di buffe creature che
fino a poco tempo prima avevano
drappeggiato il soggiorno erano scomparsi, lasciando spazio alle loro sagome
chiare sul muro verdastro.
Tutti i
mobili erano stati riposti con cura in una scatola da imballaggi, che a sua
volta era stata incastrata meticolosamente nella borsa da viaggio della
matrona, e oscillava a tracolla della donna
sfidando ogni legge di Gravità conosciuta.
La famiglia si strinse nell’ingresso per un ultimo sguardo a
quella che fino a qualche tempo prima era casa.
Se
possibile, disabitata sembrava ancora più spettrale, sebbene non fosse ancora
stata lasciata. I ricordi di una vita si
accavallarono l’uno sull’altro, e mentre la signora Dursley sospirava guardando
la finestra da cui si sarebbe dovuta intravedere la cucina, il marito fissava
con insistenza quella corrispondente al suo studio.
Fu però con un gesto deciso che la famiglia Dursley girò i
tacchi e si diresse, baule alla mano, verso la piazza di Flattenburg, pronta ad
affrontare un’intensa giornata al Centro di Regolazione dell’International
Confederations of Wizards.
***
- NON E’ ASSOLUTAMENTE
CONCEPIBILE! –
Ruggì Vernon Dursley all’ennesimo suono metallico d’Attesa.
Erano rimasti
accampati nel formale Salotto dell’ICW da più di tre ore. Nel locale vi erano
una serie infinita di poltrone e poltroncine di legno tipiche dei luoghi
adibiti all’attesa, affiancati a tavolini bassi e rigidi, sopra i quali erano
stati posti vasi di piante ornamentali poco impegnative e varie riviste.
Su uno di
quelli il giornale del giorno, l’Het oog van Fox, recitava a grandi caratteri i
risultati del Quidditch del giorno prima, sotto i quali l’immagine delle due
squadre che si stringevano la mano spiccava tra l’inchiostro infittito.
Era ormai mezzogiorno, e l’unica risposta che avevano
ottenuto, attraverso lo Speaker posto sulla parete dell’ufficio, era stata una
fredda risposta registrata e circostanziale, che pregava gentilmente di
‘Attendere’.
- C’era da aspettarselo – sospirò
Petunia, seduta su uno dei sedili di quella sala dai colori neutri – Flattenburg è un paesino piuttosto piccolo;
è ovvio che la precedenza per il viaggio vada a città più grandi. Non possiamo
pretendere che il Ministero della Magia e Stregoneria faccia eccezioni per noi
–
Questo non
parve placare il marito, che prese a camminare avanti e indietro lanciando
occhiate di rimprovero alla superficie riflettente.
Al ritmo sfiancante dell’orologio posato alla parete della
Sala, arrivarono lentamente le due del pomeriggio,.
Harry, che nelle ore di attesa si era appisolato ed era
sceso dolcemente sulla nuvoletta celeste dei suoi sogni, si ritrovò a riscuotersi dal suo stato di
dormiveglia quando una gomitata si fece strada verso le sue costole. Perplesso,
sbatté due volte le palpebre, realizzando che non indossava gli occhiali. Li
rimise sulla punta del naso giusto in tempo per accorgersi che era stato il
cugino, e che stava per ripetere il gesto.
- Dudley che cos..? –
ma Dudley non lo stava guardando. Stava ridacchiando e fissando di
sottecchi la porta a vetri dell’ICW, dove una ragazza bionda stava sventolando
la manina e facendo segno di seguirla fuori.
Harry la
fissò sbigottito per qualche secondo.
- Vai – gli disse
quindi la zia dal suo posto a sedere. – Sospetto
che qui ci tratterranno ancora un bel po’, e ti prego non farla venire qui
dentro. Merlino sa se quello che mi manca per completare la giornata è un’altra
conversazione sul Quidditch… - Scosse la testa storcendo il naso.
Per quanto
zia Petunia amasse il suo mondo, lo sport non era mai stato nelle sue grazie.
Non ne capiva il fascino e poi, a dirla tutta,
il Quidditch tra tutti era uno sport
pericoloso, decisamente poco signorile.
Harry non se lo fece ripetere due volte: in fondo non era quello
il suo compleanno ideale, speso ad aspettare
- Happy Birthday! Guess
Who? – disse la ragazza, sfoderando un sorriso e una smorfia sul terribile
accento con cui suonavano le parole.
- Ciao, Vee. Non pensavo di vederti, in realtà. Avevo idea che saresti
rimasta a casa con la famiglia – disse Harry, sorpreso
- Infatti ho lasciato
a casa Vinx – spiegò l’amica gesticolando con la mano – Non potevo certo farti partire senza darti il mio regalo di compleanno di persona. Non avrei mai mandato un Gufo
Postale fino in Gran Bretagna, quindi se speravi di riceverlo tra qualche
settimana… fat chance. –
Aveva tra
le mani un pacchetto incartato velocemente, da cui sporgeva un lembo di stoffa
rossa. Harry lo prese e dopo una leggera soppesata si fece un’idea piuttosto
chiara del contenuto.
– Oh, no. Non ti
azzardare ad aprirlo ora! – gli disse lei precipitosamente – Lo
aprirai stasera, quando sarai dall’altra parte del continente –
Harry
sorrise e senza fare domande mise in tasca il pacchetto.
- Allora, - fece
Harry – Vinx si sta già preparando a un
anno senza concorrenza? –
Vee ridacchiò – No,
non penso. Magari quest’anno Craig avrà una visione e diventerà imbattibile;
non è possibile, non ci credo neanche io - aggiunse allo sguardo ironico del compagno – Ma la speranza è sempre l’ultima a morire.
E poi un po’ di sana competizione non farebbe male a quella serpe di mia
sorella. –
Harry rise del tono acido che aveva assunto la ragazza verso
le ultime parole, che risultavano assolutamente ridicole se pronunciate con
quell’orribile suono duro che tamburellava a ogni consonante. Nonostante Vee
volesse molto bene alla gemella, era molto competitiva e non sopportava di
essere semplicemente ‘brava’ in qualcosa in cui Vinx risultava ‘meravigliosa’. Ovviamente,
il sentimento era ben ricambiato e molto
spesso i compagni d’Accademia si erano trovati a pacificare le due ragazze.
Il fatto
che gli standard Accademici fossero alti e rigidi non aiutava la questione.
Harry per un attimo si chiese cosa sarebbe successo a separarne i piani di
studio. Magari l’una lontana dalla rivalità dell’altra.
- … Harry mi stai
ascoltando? – disse Vee perplessa.
- Oh, scusa Vee, ero
sovrappensiero. – si scusò lui.
La ragazza sospirò, indulgente – dicevo,
che sono rimasta sorpresa dall’annuncio dell’altro giorno. Insomma, Maria che
se ne va? La nostra Maria? Qualcosa
decisamente non va. A insegnare Divinazione poi!
Ma lo sai cosa ho sentito? Che in
quella scuola la precedente Insegnante di Divinazione sia stata trovata morta! – scosse la testa
- La cosa fa venire i
brividi. –
- Magari è proprio
per questo che è stata assunta? – rifletté Harry. - In fondo Maria è piuttosto
difficile da .. uhm.. abbattere –
Vee rise del doppio senso implicito – In effetti…-
La
conversazione da lì sfociò nel più e nel meno. Intanto nella piazza assolata
***
Alle cinque del pomeriggio la famiglia Dursley era ancora
seduta là, in quel salottino dai toni neutri,
a fissare quell’ormai terribilmente famigliare specchio che insisteva nel suo
mutismo.
Fu con
sollievo che videro finalmente un mago dall’aspetto consumato, piccolo e
rotondeggiante, trotterellare dall’altra parte del vetro e procedere verso di
loro.
Aveva una tunica blu vivace contornata di quelli che
sembravano orribili tulipani rossi, il cui riverbero faceva quasi male agli
occhi. L’uomo si asciugò il viso pallido con un fazzoletto giallo, prese un
registro e senza proferire parola si apprestò
a registrare le generalità dei viaggiatori.
Senza
porgere alcuna scusa, cercare di accampare un discorso o
qualsiasi altra cosa,
l’ometto li accompagnò di fretta nella saletta interna e con i soliti modi poco
cortesi cominciò a scribacchiare.
La sola presenza di una persona tanto maleducata fece
stringere le labbra a zia Petunia in una linea molto, molto sottile, mentre zio
Vernon lo fissava con nuove sfumature di disgusto che fino ad allora avevano
graziato soltanto lo specchio della hall.
Qualche minuto dopo, per fortuna prima che la tempra del
signor Dursley potesse essere messa alla prova, il nucleo famigliare atterrò
traballante nella grande Sala Circolare dell’Ufficio Metropolvere del Ministero
della Magia inglese, dove una signorina dai modi garbati, nonostante fossero affettati e palesemente imparati a memoria,
prese le loro generalità e indicò loro il camino più vicino.
Fu una famiglia molto stanca, provata e sporca di fuliggine
che arrivò al numero 10 di Greenpool Road, Peaslake, Surrey.