Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Ricorda la storia  |      
Autore: A_Dark_Fenner    21/04/2010    3 recensioni
[America prese tra le mani il pallone. “Una piccola anticipazione, la storia contiene un orrendo fish and chips e una partita di pallone.”] Fanfiction partecipante al 2010: a year together, indetta dal Fanfiction Contest ~ { Collection of Starlight }
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nickname sul forum:A_DaRk_FeNnEr
Nickname su Efp: A_DaRk_FeNnEr
Titolo della fanfiction: Old Patchy Football
Titolo del contest:A year together
Pairing:UsUk (appena leggermente accennato)
Personaggi:America, Inghilterra, OC
Generi:introspettivo, slice of life
Warnings: nessuno
Credits:APH non mi appartiene e non guadagno nulla nello scrivere questa fic.
Note personali:nessuna

Old Patchy Football


“Questo fish and chips è davvero ottimo!”
“Parli sul serio?”
“No, è orrendo.”
“Lo sapevo. Bloody twat.
America ridacchiò, prendendo in mano una patatina e inghiottendola quasi intera; Inghilterra storse il naso.
Camminavano per uno degli stretti sentieri laterali di Hide Park, durante la pausa pranzo del meeting internazionale che, quel mese, si teneva a Londra.
Aveva piovuto per gran parte della mattinata ma, proprio un attimo prima che uscissero dal piccolo pub dove avevano acquistato il loro pranzo, un timido Sole primaverile aveva fatto capolino tra le nuvole scure. L’aria era ancora umida e fresca ma alcuni bambini avevano già iniziato a riunirsi sotto le fronde degli alberi del grande parco per giocare.
Era domenica, dopotutto, considerò America tra sé e sé. Giorno in cui, nella sua opinione, avrebbero dovuto dormire, non passare ore ed ore in una noiosissima sala conferenze a litigare assieme alle altre Nazioni. A volte invidiava Grecia, che apparentemente riusciva tranquillamente a compiere entrambe le attività, addormentandosi anche in mezzo al caos più totale.
“Vorrei tanto essere a dormire in questo momento.” America espresse i suoi pensieri ad alta voce.
“Odio doverlo fare, ma sono incline a darti ragione. Altri cinque minuti di quel putiferio e giuro che avrei bloody murdered someone!” Commentò Inghilterra sospirando. “Ci sediamo?” chiese poi, indicando una panchina che aveva un aspetto abbastanza asciutto.
America annuì, e si sedette accanto all’altro sul metallo freddo.
Delle risate echeggiarono da poco distante e, dopo un attimo, un gruppo di bambini fece la sua comparsa da dietro un cespuglio particolarmente alto, che li aveva nascosti fino ad un attimo prima.
Avevano in mano delle pistole giocattolo, e si sparavano addosso proiettili immaginari, che provocavano immaginarie morti e reali risate. Solo un bambino restava isolato, leggermente distaccato dal gruppetto di coetanei. Aveva il viso decorato da un broncio leggero, e tra le mani stringeva un pallone rattoppato. Aveva i tratti mediorientali, gli occhi grandi e scuri e la pelle bruna.
Poco lontano, il gruppetto di “soldati”, lo incitò a venire a giocare con loro.

“Dai, Hassan! Senza di te siamo dispari!”
“Chi vince la battaglia si porta a casa queste caramelle!”
“Tu sei velocissimo, con te vinciamo di sicuro!”

Il bambino scosse vigorosamente la testa, gli occhi fissi sul suo pallone.
“Testardo, il piccoletto.” Osservò America, accennando con il mento al ragazzino.
“Tu eri molto peggio da piccolo, credimi.” Commentò Inghilterra, mentre prendeva tra le mani un piccolo pezzo di pesce.
America mise il broncio, voltandosi verso l’altra Nazione.
“That’s not true!”
“It bloody is.” Rispose Inghilterra senza batter ciglio. “Chiedi a Matthew, lui si ricorderà di sicuro, viste tutte le volte in cui l’hai trascinato in qualche tuo gioco fisicamente devastante.”
America aveva aperto la bocca per ribattere che sicuramente si sbagliava, e che la sua memoria da old man iniziava a dare i numeri, quando la sua attenzione fu riportata sul gruppo di ragazzini

“Hassan!”
“Non dirmi che hai paura!”
“Da quando non vuoi più giocare con noi?!”

Allora, il bambino, rosso in viso, alzò gli occhi e, d’improvviso, urlò:

“NON VOGLIO GIOCARE A FARE LA GUERRA!”

America si irrigidì, mentre gli occhi di Inghilterra si dilatarono considerevolmente.
Dal gruppo di bambini, sui quali era caduto il più assoluto silenzio, uscì un ragazzino con i capelli rossi e le lentiggini, che si avvicinò ad Hassan.
“C’è qualcosa che non va?” chiese, poggiando la mano sulla spalla dell’amico.
L’altro non rispose, continuando a tenere lo sguardo fissato sul suo pallone.
“Hassan…”
“È…È il nonno…Il nonno è ancora lì, in mezzo alla guerra. È lì e non posso fare niente per fermare le bombe che gli cadono addosso. La nonna è già morta, per colpa di una mina…Non voglio che al nonno succeda la stessa cosa. Non voglio giocare a fare male, non voglio giocare allo stesso gioco che ha ucciso la nonna e che forse ucciderà anche il nonno. Non voglio.”
L’altro ragazzino annuì comprensivo. Alzò il mento di Hassan, così che potesse guardarlo negli occhi. Sorrise, e gli tolse delicatamente dalle mani il pallone, facendoselo rimbalzare tra le mani.
“I see. Football, then?”
Hassan lo guardò confuso, poi sorrise, annuendo mentre si asciugava le lacrime.
Anche gli altri ragazzini sorrisero incoraggianti, circondando allegri il bambino.
Così si allontanarono, rincorrendo il vecchio pallone rattoppato.
Inghilterra aveva ancora gli occhi fissi sul prato dove poco prima si trovava il gruppo di bambini.
“È colpa mia, vero?”
La domanda colse la Nazione alla sprovvista. Si voltò; America aveva il viso rivolto verso l’alto, il Sole che rifletteva i suoi raggi sulle lenti dei suoi occhiali.
“America, cosa…?”
“Questo. Quel bambino, le sue lacrime. Sono colpa mia vero?”
Inghilterra boccheggiò, non essendo del tutto certo di sapere quali fossero le giuste parole da usare.  
Era davvero difficile stabilire chi avesse cominciato, chi avesse acceso la miccia che aveva fatto esplodere tutto; probabilmente la colpa era un po’ di ognuno di loro.
Inghilterra, però, sapeva bene a cosa America si riferisse.
Alla guerra preventiva, quella che il suo vecchio boss aveva iniziato, dopo l’attacco dell’11 settembre, contro Iraq, quella nazione dai tratti così simili a quel bambino.
Un piccolo singhiozzo lo distrasse dal filo dei suoi pensieri.
“Un eroe non dovrebbe far piangere nessuno, vero?.” America, allora, abbassò gli occhi verso Inghilterra, rivelandone il leggero luccichio.
Inghilterra allora sospirò, catturando con un dito una lacrima che scendeva lenta sulla guancia di America.
Per poi pizzicarlo. Forte.
“Ouch, Iggy, what was that for?!”
Inghilterra lo fissò gravemente.
“Un eroe non dovrebbe nemmeno starsene qui piangere lui stesso sui proprio errori, se è per questo.”
America lo guardò, incapace di rispondere.
“Questa guerra, come ogni guerra, è colpa di tutti. Ammetto io stesso le mie colpe, e di sicuro anche Iraq ha le sue. Però sai di cosa avremmo davvero bisogno?”
America scosse debolmente la testa, ricacciando in fondo alla gola un’altra ondata di lacrime.
“Dovremmo scegliere tutti il vecchio pallone rattoppato. We should bloody do that.” Sospirò Inghilterra, alzando gli occhi verso le fronde verdi delle betulle.
America annuì, tirando su col naso.
Inghilterra estrasse dalle sue tasche un fazzoletto, con il quale asciugò meticolosamente le guance bagnate di America e gliene porse poi un altro.
“Soffiati il naso, you git. I swear, a volte mi sembra davvero che tu sia ancora un bambino.” Commentò Inghilterra.
America tentò un sorriso, e accettò il fazzoletto che gli era stato porto. Inghilterra diede un occhiata al suo orologio.
Shit, arriveremo in ritardo e Ludwig ci ucciderà!”
“Nu-uh, Iggy! L’eroe è qui per proteggerti!” dichiarò America, portando un braccio attorno alle spalle dell’altra Nazione.
Inghilterra sospirò, ma non allontanò l’abbraccio. Sapeva che il più giovane ne aveva bisogno.
E poi, alla fine, ne aveva bisogno anche lui. Non che lo avrebbe mai ammesso, è chiaro.
“Ora sì che mi sento al sicuro. Avanti, alza il tuo bloody arse da quella panchina.”
America rise, alzandosi e trascinandosi dietro anche Inghilterra.
Mentre camminavano verso il palazzo dove si teneva la conferenza, un pallone dall’aria familiare rotolò ai loro piedi, seguito da un ragazzino sudato e spettinato, ma ancora perfettamente riconoscibile.
Era Hassan.
Il bambino sorrise nella loro direzione, prese il pallone tra le mani e fece per andarsene, quando America lo trattenne.
“Ehy, hold on, kid! Mi potresti fare un favore…?”
Hassan lo guardò confuso, per poi rispondere titubante:
“Ye-Yeah, sure!”
Inghilterra gli lanciò un’occhiata interrogativa, alla quale America rispose con uno dei suoi sorrisi a trecento denti.
Inghilterra allora sospirò rassegnato, conoscendo bene il significato di quel sorriso.
“I’m the hero. Just leave it to me.”
E forse, per questa volta, lo avrebbe lasciato fare.

***
Nella sala conferenze, regnava il più completo silenzio.
“Sapete cos’è questo?”
Un mormorio si diffuse tra le Nazioni.
Ve~ Un pallone da calcio?”
America sorrise.
Yep! Giusto Italia, questo è un pallone! Non è un pallone qualunque, però.”
“No?”
“No. E’ un pallone vecchio e rattoppato.”
“Ah.”
Italia sembrava deluso, mentre Giappone, accanto a lui, sembrava molto confuso.
“Alfred-kun… Posso chiedere cosa ti abbia spinto a portare questo pallone nella sala conferenze?”
Un mormorio di approvazione per la domanda posta si diffuse tra le Nazioni.
America sogghignò, mentre Inghilterra, accanto a lui, prese la parola.
“Questa è davvero un’ottima domanda, Kiku. In effetti, io ed America abbiamo una piccola storia da raccontare, riguardo questo pallone.”
America prese tra le mani il pallone.
“Una piccola anticipazione, la storia contiene un orrendo fish and chips e una partita di pallone.”
Italia a questa informazione sembrò illuminarsi, mentre Inghilterra lanciò uno sguardo omicida all’indirizzo della sua ex-colonia.
America ignorò entrambi e continuò il suo discorso.
“ Iniziamola così, questa storia. Io, America, Alfred F. Jones, eroe degli eroi, la Nazione più potente e cool di tutto il mondo, terra dei liberi e-“
“Cut it out, you git.”
“Alright, alright… Dicevo, io, America, non voglio giocare a fare la guerra.”
La Nazione si godette un secondo le facce confuse dei suoi colleghi, per poi farsi rimbalzare il pallone tra le mani.
Un vecchio pallone rattoppato.

End


Note dell’autrice:
Fanfiction partecipante all'iniziativa a year togheter, indetta dal Fanfiction Contest ~ { Collection of Starlight since 01.06.08 }.
Che posso dire? Sono ancora qui a scrivere su Hetalia, e nello specifico su America ed Inghilterra. In mia difesa, posso dire che il prompt n. 133 "non voglio giocare a fare la guerra." mi ha obbligata a scrivere su di loro.
Non sono sicura del perché, semplicemente mi sembrava che quelle parole parlassero di loro, della guerra in corso e di quanto fa male. Non sono così ben informata da saper dire con esattezza il come ed il quando, ma ho tentato di esporre entrambi i punti di vista. Pare infatti che Obama stia portando avanti una politica anti-guerra in Iraq, e che l'Inghilterra stia contribuendo.
Comunque, mi sembra chiaro quale sia il nocciolo del mio discorso, e di ciò che quel pallone rappresenta.
Volevo essere seria, ma non troppo, in tono con lo stile dell'opera di Himaruya. Spero di avergli reso giustizia!
Io America lo vedo così, eroico e sicuro all'esterno, ma ancora piccolo dentro. Inghilterra saggio, perchè lo è, sarcastico e preoccupato per la sua ex-colonia. E' tutto nella mia idea di IC, non fateci caso. =P
E sì, nel caso non si fosse notato, sono una hater di Bush.
Forse sta sera aggiornerò anche l'altra storia che ho in corso nel fandom, ma non prometto nulla!^^
Kissu, ed alla prossima.

A_ Dark_Fenner



   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: A_Dark_Fenner