Ad personam:
Cara Scrlettheart, ti ringrazio moltissimo per la tua bella recensione; sono rimasto quasi con le lacrime agli occhi pensando che hai fatto le due di notte leggendo in pochi giorni questa storia già così lunga. Se desideri chiedere qualcosa sulla tecnica di colorazione dei disegni, o inviarmi qualcuno dei tuoi, sei più che benvenuta. A proposito dello stile dei disegni, all'inizio avevo tentato di riprendere le proporzioni e le schematizzazioni del viso tipiche del fumetto, ma temo di non essere stato abile, e non sono più soddisfatto dei miei primi lavori; perciò ho preferito tentare un'interpretazione realistica, anche se a volte è un po' problematica. Per esempio, come fare a rendere una somiglianza tra Will e Wanda? Will è caratterizzata dagli occhi grandissimi e dai capelli rossi (un aspetto che condivide con alcuni tipici personaggi da shoujo manga che talvolta mi ammiccano dalle scansie della fumetteria); se si rinuncia ai capelli rossi, si cambia lo stile di disegno, l'espressione del viso e si fa anche crescere la corporatura... beh, vederci una somiglianza diventa un atto di fede nel testo, lo ammetto. Due parole di presentazione su questo capitolo. Al dilà della
lettura che spero gradevole, le tre parti in cui è diviso definiscono
aspetti che avranno importanza in seguito: uno è l'opportunità
di Pao di realizzare il sogno di diventare architetto; un altro, il più
importante, è che un certo tipo di energia magica è una risorsa
razionata, tema ben presente soprattutto in La Luce al tramonto; infine
il fatto che gocce e Nemesis perdono i loro poteri se isolate da Vera.
Buona lettura
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PROFEZIE
Riassunto delle puntate precedenti
Dopo un incontro misterioso con la Luce di Meridian, Vera ha convinto le Gocce a sostituirsi ad Elyon a Meridian, impersonando la regina e le guardiane. Carol si è opposta, ed è stata costretta con l'ipnosi. A Meridian, la controfigura di Elyon e le finte guardiane esiliano Miriadel e Alborn, mentre Caleb sfugge alla cattura; pur avendo assunto il potere, si rendono conto di non essere convincenti, e inventano la storia che le guardiane sono a palazzo per proteggere la Luce di Meridian da un complotto. A Heatherfield, rifugiatasi con i genitori nella sua vecchia casa, Elyon spiega che quella che si sta realizzando è una sua profezia, la cui interpretazione fino a quel punto era ambigua. La profezia prevede che la tirannia duri un anno, che a Meridian dura diciotto mesi. Elyon è decisa a non tentare niente prima di questa scadenza. Sul palazzo scende un clima sempre più oppressivo in cui le congiurate utilizzano sia i poteri mentali che l'intimidazione per mantenere il controllo. Settimane dopo, vengono a sapere per caso la profezia infallibile che prevede che la tirannia durerà un anno. Il nuovo piano di Vera prende rapidamente forma, basandosi sull'ambiguità del termine di un anno: prima simuleranno che Elyon diventi sempre più tirannica e impopolare, screditandola, poi Vera, che ha comunque il rango di una principessa Escanor, la spodesterà dopo un anno terrestre di dodici mesi, facendo finire apparentemente la tirannia e realizzare la profezia; poi, dopo aver guadagnato il consenso della gente, si prepareranno per affrontare Elyon e eventualmente le Guardiane al loro ritorno dopo diciotto mesi. Vera crea venti copie di Wanda, dette Nemesis, che avranno l'incarico di impersonare le guardiane, sollevando le gocce dal compito, e di sorvegliare la città restando invisibili o sotto falsa identità. Dopodichè, una controfigura di Elyon presenta pubblicamente Vera come principessa al popolo e al Consiglio dei Veglianti, delegandole tutti gli impegni pubblici; la nuova vice-regina incontra subito un'accoglienza favorevole, anche avendo ammesso di essere una creatura della Luce di Meridian. |
Cap.51
Le sorgenti della magia
Un’ora dopo l’alba, la luce dorata del sole non ha ancora
raggiunto il selciato di molte vie di Meridian, ma anche nei vicoli in
ombra arriva il riverbero del cielo terso.
A quest’ora la città sta riprendendo vita: le
imposte delle finestre si aprono con pigri cigolii, il profumo del pane
si sparge nell’aria attorno ai forni, e la gente benedice il nuovo giorno
sereno, o almeno così piace pensare.
Ad un tratto, i cinguettii mattutini degli uccellini
si abbassano fino a tacere.
Uno spazzino interrompe il suo ramazzare sollevando lo
sguardo curioso oltre i tetti.
Alte nel cielo, quattro grandi aquile di una specie mai
vista volteggiano lente, come scrutando nelle vie.
Un ticchettio di passi in distanza attira la sua
attenzione. Due giovani donne stanno scendendo la via principale dalla
città alta, sfidando il fresco della mattina. Sono vestite con eleganza,
da vere nobili. Quella con un gran rotolo di pergamena in mano ha un colorito
azzurrino abbastanza comune, ma la pelle rosata dell’altra…
Lo spazzino trasale per la sorpresa, riconoscendo la
Principessa che è stata presentata dalla Luce di Meridian solo il
giorno prima, meravigliando tutta la città. Accenna loro un inchino
rispettoso, ricambiato dalle due con sorrisini di cortese condiscendenza.
Poi le segue con lo sguardo mentre si allontanano discendendo la via principale,
salutate con deferenza da due soldati di pattuglia.
“Meraviglioso!”. Per Paochaion, che cammina con una pergamena
srotolata tra le mani e gli occhi persi di meraviglia, lo scorcio inedito
rivelato da ogni svolta è occasione per rinnovare i suoi gridolini
di entusiasmo.
“Fai attenzione alla mappa”, le ricorda Vera camminandole
a fianco. “Per il quartiere Trasclovkir, tra poco dovremo voltare sulla
sinistra”.
“Già”. Pao interrompe la sua lotta per tenere
disteso il foglio ribelle, che torna ad arrotolarsi prendendole dentro
un pollice. Si volta crucciata verso l’altra: “Vera, ci sarai anche tu
questo pomeriggio, alla riunione del consiglio?”.
“Ti preoccupa? Ti accompagnerò per presentarti,
ma poi speravo di lasciarti lì da sola a sorb… a sentire la discussione”.
“Ti prego!”, la invoca piantandole supplichevolmente
le unghie nell’avambraccio, “O non riuscirò a spiccicare parola
davanti a loro!”.
“Non devi spiccicare parola, cara. Basta che ascolti
con cognizione di causa e cominci …”. D’improvviso, Vera la tira a sé
in tempo per non farle mettere sotto le suole qualcosa di non proprio gradevole.
“Attenta a non pestare!”.
“Oh, grazie”, fa Pao, appena resasi conto dello scampato
pericolo. “A proposito di spiaccicare…”.
“Di niente”, fa Vera, massaggiandosi l’avambraccio artigliato
dall’altra. “Si dice che porti fortuna. E se continui a dedicare la tua
attenzione alle facciate delle case, in queste vie ne troverai parecchia,
di … fortuna”.
“Meglio i quadrifogli, grazie!”. Paochaion tenta di nuovo
di distendere la mappa, poi riguarda il selciato, già con meno entusiasmo.
“Sbaglio, o qui le strade sono più sporche che vicino al palazzo?”.
Vera ne conviene. “Più sporche e più brutte”.
“Ma no!”, fa Pao giocherellando con la mappa che, nel
frattempo, ha nuovamente vinto la sua battaglia per arrotolarsi. “Sono
pittoresche! Sembrano appena uscite da una fiaba…”.
In quel momento, sentono un rumore da sopra di loro,
ed un attimo dopo piove ai loro piedi qualcosa che non viene raccontato
in nessuna fiaba.
Restano un attimo agghiacciate.
“Ma… ha vuotato il vasino in strada!”. “Che schifo!”.
“Eh, sì, bisogna fare attenzione”, commenta un
arzillo vecchietto dalle orecchie lunghe e pelose che risale
la via nel senso opposto, trasportando sulle spalle un sacco di iuta pieno
di chisacosa. “E’ sempre meglio tenere il cappuccio alzato, di mattina
presto”. Passa accanto a loro senza degnare la principessa di alcuna riverenza,
ma solo di un’occhiata curiosa al colorito insolito ed al vestito elegante
così fuori luogo.
Le due alzano gli occhi verso la finestra aperta e poi,
oltre i tetti, alle quattro aquile volteggianti. Chissà se le Nemesis
immaginavano questo rischio, quando hanno deciso di scortarle dall’alto?
“Andiamo”, si decide Vera prendendo l’amica a braccetto,
“Pao, tu ammira pure le facciate. Io guardo dove mettiamo i piedi!”.
Meridian non è enorme. Pochi minuti dopo, appena passato un ponte di pietra su un rivolo stretto dal fondo irregolare, Paochaion dà un’ultima occhiata alla mappa ed annuncia: “Siamo a Trasclovkir”.
Si guardano attorno. La via, larga ma sconnessa, è fiancheggiata da case modeste di due o tre piani, con ripide scale e ballatoi irregolari. Il legno degli infissi e delle terrazze reca ancora le tracce di pittura dai colori vivaci, sbiadita dal sole e scrostata da lunghi anni di incuria. Oltre i tetti, si intravedono altri edifici arrampicati disordinatamente sulle pendici della scarpata. Sui muri vi sono evidenti segni di umidità fin ad altezza d’uomo. Il legno svergolato e marcito, il fango stratificato sulle strade, le tracce di muffa che si intravedono attraverso le finestre aperte, gli odori dolciastri… tutto suggerisce un ambiente povero, umido e malsano. |
Anche la gente che incrociano per strada dà un’idea
di rassegnato: nessuno tributa loro più che sfuggenti sguardi di
depressa curiosità.
Da un vicolo sbucano due soldati dalla pelle marrone,
che trascinano qualcuno per le ascelle: una specie di uomo che ciondola
la testa, come se avesse passato la notte disteso per la via, riscaldato
solo dai fumi dell’alcool o chissà cos’altro.
Appena riconoscono la principessa, i due mollano l’ubriaco, che rovina al suolo con un cozzo, e si mettono sull’attenti percuotendosi il petto. Vera ricambia il saluto marziale con un imbarazzato cenno della mano. Dopo un attimo di esitazione, i due decidono di continuare nella loro opera di polizia, e trascinano l’ubriaco verso un edificio di pietra che domina uno slargo poco avanti: piccolo, tetro, con sbarre incrociate alle finestre e bocche di lupo che danno un filo di luce a qualche segreta desolata, in cui si indovinano ossa dimenticate che attendono la fine dei tempi. |
Mezz’ora dopo, le due tornano meste verso il ponte, costeggiando
il fiumiciattolo Clovkir nella sua discesa dalle pendici dell’altopiano
sovrastante la città.
“Dev’essere in questo punto che comincia ad esondare”,
dice Pao indicando alcuni macigni giacenti nell’alveo, poi si volta verso
le stradine ai piedi della scarpata. “Ma c’è umidità anche
più in alto. Forse esiste una vena d’acqua subito sotto la superficie”.
Vera butta un’ultima occhiata verso lo squallore alle
loro spalle, poi guarda in cielo, dove le rassicuranti aquile volteggiano
sopra di loro. “Per bonificare questo posto, ci vorrebbe il napalm”. Per
un attimo, sorride immaginandosi una Elyon che suona l’arpa sul balcone,
con sullo sfondo il quartiere in fiamme. Quasi quasi…
Attraversato il ponte, le due riprendono la strada verso
Meridian alta. Via dopo via, l’aspetto delle case e degli abitanti migliora,
e gli onnipresenti soldati di pattuglia sembrano meno truci. Riprende il
rassicurante rituale dei passanti che riconoscono Vera, accennano un inchino,
e ne sono ricambiati con un sorriso condiscendente.
Dalla via principale, Paochaion non può fare a
meno di gettare occhiate fotografiche a tutti i vialetti e i passaggi che
si dipartono sui lati.
Vera accelera il passo. “Sbrigati, Pao, ho un impegno
con Terry a metà mattina”.
L’attenzione della cinesina dalla pelle azzurra, però,
è già stata attirata da un gruppo di cittadini in fondo ad
una laterale; fanno la coda a un robusto portone a ogiva ornato di arcani
simboli di bronzo, che chiude una costruzione di pietra addossata ad un
grande spuntone di roccia. “Vera, quelli fanno la fila per… per che cosa?”.
Brontolando tra sé, la bionda torna indietro di
qualche passo e guarda. “Quali ‘quelli’… ah, quelli?”.
“Si, quegli ‘quelli’”, conferma Pao completando il bisticcio
di parole.
Vera si incammina verso il fondo della laterale. “Stanno
distribuendo l’acqua magica”. Addita una fialetta dalla vaga luminescenza
verdolina tra le mani di un signore che se ne viene via soddisfatto.
“Acqua magica?”, chiede Paochaion perplessa, richiamando
vaghi ricordi ereditati da Hay Lin. “Ah, quella che Phobos aveva fatto
deviare in quello stanzone…”.
“Il Baratro delle ombre, così lo chiamava lui”,
risponde Vera con vago disprezzo. “Un nome troppo altisonante, per lo scantinato
della torre Est”.
Una donna con un pancione di otto mesi visibile sotto
un pastrano le richiama, aspra: “Ehi, rispettate la fila, prego!”, poi
esita, notando i vestiti eleganti e lo strano colorito rosato della bionda,
che ricorda tanto quello della regina.
“Non dobbiamo prendere acqua, stiamo solo guardando”,
si schermisce Paochaion nel suo terrificante meridiano.
Vera si acciglia. ‘Novantamila abitanti, meno quindicimila
che hanno assistito alla presentazione, fanno settantacinquemila che non
mi hanno mai vista’, pensa tra sé. ‘A questa donna verrà
un mezzo colpo, quando si renderà conto di chi ha apostrofato così’.
Si avvicinano al portone aperto e sbirciano nella penombra.
In fondo al piccolo locale, un debole riverbero verdino
mostra una fontanella da cui sgorga un filo di acqua luminosa, che si raccoglie
in una vaschetta simile ad un’acquasantiera.
Quando un anziano dai capelli radi esce, un funzionario
annoiato, seduto ad un tavolino vicino all’ingresso, spunta un nome da
un registro e scandisce: “Avanti il prossimo!”.
Il primo della fila pronuncia un nome pieno di consonanti
e si accosta alla fonte, immergendovi una fiala di vetro che si riempie
in un gorgoglio di bollicine.
“Quest’acqua magica viene distribuita a tutti gli abitanti di Meridian ogni mese”, spiega Vera. “Chi ha qualche potere la usa per rafforzarlo. Altri la accumulano per il futuro, o vendono la loro dose, o la consegnano a qualche guaritore perché la usi a loro beneficio”.
Da dentro, la voce di un soldato tuona: “Sbrigati! Non
vedi che c’è la fila che aspetta?”.
L’uomo alla fonte si alza, intimidito, e tappa il suo
recipiente; quindi si allontana un po’ vergognoso, seguito dalle occhiate
ostili delle persone in fila.
“C’è sempre qualcuno che approfitta per immergere
le mani fino ai polsi e tenerle dentro finché può”, brontola
il funzionario chino sul tavolo.
Quando alza gli occhi per guardare la fila, nota le due
che stanno guardando curiose dentro il locale. “Ma… quella è la
principessa Vira!”, trasale. “Guardie, at-tenti!”.
I due soldati si impettiscono, percuotendosi marzialmente
il torace. Anche la gente in fila si irrigidisce, e qualcuno scimmiotta
il saluto militare come meglio riesce.
“Vera, prego. V-E-R-A!”, corregge lei. “Riposo, prego.
Continuate pure il lavoro”.
Sarebbe bello fare un’uscita ad effetto, pensa guardando
in alto, oltre i tetti. Un richiamo telepatico…
Pochi secondi dopo una delle aquile si abbassa nella
via, e Vera le porge il braccio sinistro. L’uccello maestoso vi si appoggia
docilmente.
Che soddisfazione, pensa lei, ma il suo sorriso si muta
in una fulminea smorfia di dolore quando il rapace, sbilanciato, le serra
gli artigli sul braccio.
In quel momento, capisce senza equivoci perché
i falconieri indossano un lungo guanto di cuoio.
“Vieni, Paochaion!”. Sorride a denti stretti, e si allontana
dalla fila riscuotendo sguardi di ammirazione e inchini.
Appena arrivati davanti ad un vicolo deserto, alza il
braccio con un gesto elegante, facendo librare in volo l’aquila, che riguadagna
quota con possenti colpi d’ala.
Poi la principessa svolta nel vicoletto con nonchalance,
seguita da una Paochaion perplessa.
Appena lontano da sguardi indiscreti, Vera si stringe
l’avambraccio, quasi con le lacrime agli occhi. “Che male, che male! Quell’uccello
del tubo… sapessi come mi ha artigliata!”.
L’altra annuisce. “Certe volte, si fa fatica a credere
che Wanda sia un’aquila”.
La Principessa la studia, un po’ in dubbio. “Non starai
prendendo l’ironia da Irene?”.
Paochaion cade dalle nuvole. “Ironia? No…Cosa ho detto
di ironico?”.
Vera sospira rassegnata e si riguarda l’avambraccio.
Non c’è più traccia di sangue, né di lacerazioni sulla
manica. “Andiamo!”.
Appena tornate sulla via principale, Pao la trascina
con entusiasmo per la mano: “Qui vicino c’è una locanda bellissima.
E’ là, proprio in piazza Due Lune”.
Meridian, Locanda Due Lune
Dietro il banco, Toklor sta preparando tre bicchieroni
del suo nuovo cocktail, quando il suono del campanello dorato sopra la
porta preannuncia l’ingresso di altri clienti.
Alzando lo sguardo, l’oste trasale: la bella ed elegante
lady Paochaion ha deciso di onorare di nuovo il suo modesto (si fa per
dire) locale, ed ha portato con sé un’altra dama dall’aspetto insolito,
ma evidentemente di rango.
“Lady Paochaion… signora… siete le benvenute”, dice,
chinandosi tanto da sfiorare pericolosamente con la testa uno dei boccali
appoggiati sul banco.
La ragazza azzurra si avvicina, sorridendo nella sua
adorabile timidezza. “Signor Toklor… vorrei presentarle la principessa
Vera Escanor”.
L’oste spalanca occhi e bocca, e la pancetta che cercava
di tenere in dentro torna in prima fila. “Que… que... quella …”. E’ un
attimo. Si inchina ancora più profondamente. “Principessa Vira,
è un onore al di là di ogni mia immaginazione”.
“Vera, prego. V-E-R-A!”. Me lo dovrò scrivere
sul vestito, pensa tra sé.
“Scusate…”.
“Questo è il miglior locale della città!”,
afferma enfaticamente Paochaion per rompere il momento d’imbarazzo.
“Troppo buona…”, si inchina ancora l’oste, sperando che
tutti gli avventori abbiano sentito bene quest’affermazione, e che ne parlino
a lungo in giro. Forse dovrebbe riportarla sull’insegna, firmata da questa
dama raffinata che ha certo conosciuto il meglio di tutto il metamondo.
In quel momento, un nuovo cliente entra nel locale, voltandosi
stupito indietro; mentre esita a chiudere la porta, una magnifica aquila
lo segue dentro e zampetta fin ai piedi della principessa.
“E’ con noi”, chiarisce Vera, vedendo le bocche degli
astanti un tantino aperte.
“Giù… non ti ci provare ancora!”, intima la nobilissima
signorina, rivolta all’uccello che sta guardando con desiderio il suo avambraccio.
“Volete accomodarvi nella saletta?”, chiede l’oste, appena
riavutosi dalla sorpresa.
“Sìì! Vedrai che quadri!”, rincalza Paochaion.
Pochi minuti dopo, le due sono faccia a faccia attorno
ad un bel tavolo circolare ricavato dalla sezione di un tronco, lucidato
con favi e favi di cera e interi giacimenti di olio di gomito. Quanto
all’aquila, ha eletto a suo trespolo la spalliera della terza sedia.
Vera sta spiegando: “Quell’acqua è un concentrato
dell’energia magica di cui tutto questo mondo è pervaso. La città
è stata costruita in questo vallone perché è qui che
sbocca la sorgente”.
“Quel rivoletto che abbiamo visto oggi?”, chiede incredula
la ragazza azzurrina. “E’ tutta qui?”.
“Non tutta. La sorgente originale è stata incanalata
verso quattro posti di distribuzione pubblici, e verso il palazzo”.
Paochaion ci riflette un attimo. “Ma qual’è l’origine?”.
Vera si stringe nelle spalle. “Posso solo tirare ad indovinare.
Una vena d’acqua, scendendo dalle montagne a nord, attraversa un qualcosa
sottoterra. Ma non ho idea se sia un deposito di minerale, una entità
biologica o magari un manufatto magico, creato in epoche remotissime e
nascosto sottoterra per motivi che non riesco neppure ad immaginare”.
Gli occhi di Paochaion brillano d’interesse, mentre un’impossibile
caccia al tesoro prende forma nella sua immaginazione. “Un manufatto magico!
Sarebbe bellissimo trovarlo, e ricostruire gli andamenti segreti dei corsi
d’acqua sotterranei”.
Vera scuota il viso. “Quella fonte esiste da prima di
Meridian. Andare a toccare qualcosa di così essenziale per la città
è rischioso. E se la guastiamo in qualche modo?”.
L’altra ribatte, quasi offesa: “Ti sembro una che va
a guastare i reperti archeologici?”.
D’improvviso, la voce di Theresion risuona nella testa
di entrambe: ‘Dove siete? Non dovevamo andare a vedere gli archi di crescita?
La carrozza è già alla porta’.
Vera balza in piedi, cercando con gli occhi un orologio.
“Lune sincrone! Me ne ero completamente dimenticata!”; poi, rivolta all’altra:
“Perché mi fai scordare le cose?”.
L’oste, con un vassoio di bevande e stuzzichini, bussa
alla porta della saletta.
Nessuna risposta, nessuna voce dall’interno.
Apre discretamente. “Si può?”.
La stanza è deserta, a parte l’aquila che, con
un colpo d’ali, si porta sul davanzale della finestra e lo guarda supplichevole.
“Va beh”, esala lui deluso, “Dovrei esserci abituato,
ormai!”.
Altopiano sopra Meridian
Dieci minuti dopo, la carrozza color panna e oro percorre
lentamente la campagna sull’altopiano, costeggiando un villaggio di contadini
a poche centinaia di metri dal palazzo. La sua destinazione è un
capannone che si profila poco prima delle colline boscose a ovest.
A bordo ci sono cinque passeggere.
Vera, affacciata al finestrino, dà un’occhiata
preoccupata verso il palazzo. “Spero che Lorna se la cavi decentemente
nel ruolo di Elyon”, dice tra sé e sé.
“Chi è Lorna?”, chiede Pao.
“E’ Nemesis Undici”, risponde la guardiana Irma,
seduta vicino al finestrino. “Sarà ora che ti impari i nostri nomi!”.
Poi, rivolta a Vera: “Non preoccuparti, Lorna farà la brava goccia”.
Vera annuisce poco convinta. Come guardie le Nemesis
sono eccezionali, ma le loro capacità di imitatrici sono limitate
al solo aspetto esteriore.
Guarda in alto, nel cielo, le due aquile che volteggiano
a vegliare sulla loro sicurezza. Invero le sarebbe piaciuto andare a vedere
gli archi di crescita con la sola Terry, di cui ammira l’intelligenza silenziosa,
e una qualsiasi delle Nemesis, che condividono con Wanda le conoscenze
di ingegneria trasferitele prima della partenza. Però Pao voleva
ad ogni costo vedere da vicino quel curiosissimo edificio, e le scuse portate
da Irenior per venire a farsi un giro in carrozza erano così numerose
che Vera ha preferito cedere pur di non doverle ascoltare fino in fondo.
Per fortuna, almeno Carol è rimasta in camera
sua.
Guarda Irenior e Irma, sedute fronte a fronte.
La somiglianza fisica è evidente, ma l’atteggiamento solare e spensierato
della prima la distingue dalla guardiana, cupa e guardinga, molto
più di quanto possano fare i colori del corpo o il costume. Non
sembra per niente a disagio neanche stando vicino ad una copia della sua
migliore amica che interpreta la sua stessa originale.
Pochi minuti dopo, la carrozza si ferma accanto ad un
cancello di legno che si apre in un alto steccato. Due soldati sotto una
guardiola sorvegliano il perimetro dall’esterno, e scattano sull’attenti
mentre il valletto apre la porta del mezzo.
Vera scende per prima. “Riposo”, dice, condiscendente,
mentre si avvicina al cancello che, innanzi a lei, si apre da solo.
Da lì, il capannone appare in tutta la sua insolita
grandezza. La forma lunga e prismatica, con colonne di mattoni spaziate
regolarmente, fa pensare a un’ispirazione terrestre, ma altre cose sembrano
aliene per entrambi i mondi.
La copertura diafana, a cellette verdi e azzurre a forma
di gocce, è attraversata da eleganti nervature nere che richiamano
le alette delle Guardiane di Kandrakar.
“Oooh… E’ bellissimo!”, se ne esce Pao, meravigliata.
“Quel tetto…”.
Irenior giunge le mani, ammirata. “Splendido! Chissà
a quante fatine avranno tagliato le ali, per rivestirlo!”.
Vera rotea gli occhi. “Entriamo!”. Prima che a Irene
esca di bocca qualcosa di inopportuno davanti alle guardie…
Il cancello si richiude alle loro spalle.
Paochaion continua a parlare, entusiasta. “Guarda quei
battenti rivestiti in bronzo lucente! Chiudono tutti gli spazi tra le colonne!”.
“Ma perchè non arrivano fin in alto?”, chiede
Theresion, notando che resta uno spazio aperto di due metri tra i battenti
e la copertura.
“Forse hanno finito il bronzo”, azzarda Irenior.
Si fermano a qualche metro dall’edificio, per osservarlo.
Tutte notano un movimento d’aria verso il capannone, che scompiglia i capelli
e fa vibrare le alette di Irma.
“A me non piace”, afferma diffidente la guardiana.
“Sento qualcosa di freddo, come se fosse circondato d’ombra”. Detto da
una Nemesis, suona ancora più inquietante.
Vera risponde senza girare gli occhi. “Quella copertura
è stata materializzata da Elyon stessa, ad imitazione delle ali
delle guardiane. Serve ad assorbire l’energia magica che permea l’aria,
per far funzionare gli archi di crescita”.
Theresion chiede, indicando qualcosa sotto il tetto:
“Sono quelli che si intravedono là?”.
“Ora li vedrete”. Vera si avvicina ad un portone di bronzo.
Al tocco di un dito, i pannelli cominciano ad aprirsi a soffietto, e la
corrente d’aria che le investe da dietro si fa ancora più forte.
“Questo vento…”, geme Paochaion, inquieta. Per lei, ogni
brezza sembra come un rimprovero della mai dimenticata Hay Lin.
Vera le ricorda: “Pao, tutte noi siamo fatte d’aria.
Questo vento è tipico delle materializzazioni permanenti”.
Dentro al capannone, l’illuminazione è surreale.
I raggi del sole, attraversando le cellette verdi e azzurre della copertura,
proiettano un caleidoscopio di ombre e luci che confondono le forme di
ogni cosa.
“E’ bellissimo!”, ribadisce Paochaion, scordandosi per
un attimo il vento alle spalle.
Quando si abituano a quella illuminazione, le ragazze
distinguono decine di archi incrociati di pietra e bronzo che arrivano
fin quasi alla copertura, sotto i quali si notano sagome non sempre riconoscibili.
Piccole scintille scoccano tra queste strutture e gli oggetti, avvolti
in aloni luminescenti punteggiati da minuscoli bagliori.
“Ragazze, ecco gli archi di crescita”, dice Vera, quasi
smarrita nella vista surreale.
Theresion fa qualche passo avanti, tentando di scostarsi
i capelli che le si parano davanti agli occhi, ma non osa arrivare a contatto
con le aure inquietanti. “Questi sono gli oggetti che hai copiato a Midgale!”.
Indica un aggeggio della grandezza di una cassapanca, “Guarda, il tornio!
La tua prima preda!”.
“Ma è ancora molto più piccolo dell’originale”,
fa presente Irma, che ha ereditato da Wanda un ricordo molto chiaro
della loro prima missione.
Theresion si sposta vicino ad un altro arco. “Anche qui:
l’autogru! L’escavatore!”.
Le altre si fanno coraggio, e avanzano meravigliate tra
le strutture e le sagome luminescenti.
“E là, l’elicottero! I generatori elettrici”.
“Quella è l’antenna del trasmettitore!”. “L’autocarro!”. “E… quello
cos’è?”. “Il frigorifero di casa”.
“Ma è ancora tutto molto piccolo!”, conclude delusa
Vera. “Abbiamo messo troppa carne al fuoco: la copertura non capta abbastanza
energia per far crescere tutte queste cose”.
Theresion annuisce. “Bisognerà fare delle scelte.
Gli oggetti più pesanti, come l’autogru… ci è davvero indispensabile?”.
A Pao salta la mosca al naso: “Ma certo! Ci sarà
utilissima per costruire nuovi edifici”.
“Ma…”.
“La voglio! Facciamo a meno dell’elicottero, piuttosto!”.
“Ehi, giù le mani dal mio elicottero privato”,
protesta Irenior, che ha appena deciso che cosa può essere meglio
di una gita in carrozza.
Vera si accosta a Terry. “Saresti capace di costruire
o adattare un videogioco che simuli un’autogru?”.
L’altra la guarda, stranita. “Sì… ma vogliamo
costruire edifici veri, o videogiocare a costruirli?”.
“Ti spiegherò”, dice Vera, misteriosa, mentre
si porta davanti ad una piastra di bronzo alla base dell’arco e ruota quello
che sembra essere un fiore argentato. Immediatamente, le scintille sull’autogru
si estinguono. “Intanto, possiamo fare a meno di questa”.
“Ma nooo!”, protesta Paochaion, quasi con le lacrime
agli occhi. “Non possiamo, piuttosto, far deviare verso il capannone quell’acqua
magica?”.
Le altre si guardano perplesse. “Quale acqua…”. “Quella
di Phobos?”.
Vera ci pensa. “Come Phobos… perché no? Per creare
scontento, potremo ridurre la distribuzione di acqua magica alla gente”.
“Ma se è così preziosa”, obietta Theresion,
“non sprechiamola per materializzare tanta ferraglia!”.
“Ma che dici!”, si inalbera Pao.
“Non la sprecheremo”, promette Vera, “Torneremo a distribuirla
dopo che io sarò incoronata”.
Lancia una nuova occhiata verso la copertura diafana
ed i suoi intricati disegni, ed una nuova idea geniale si forma nella sua
immaginazione. Se…
In quel momento, due aquile cercano di appoggiarsi sopra
i portoni chiusi che contornano il capannone, ma la corrente d’aria le
sbilancia. I grossi uccelli allargano le ali per volare giù, ma
la corrente li spinge brutalmente contro una colonna.
Strillando, le due zampettano verso di loro lungo gli
spigoli meno ventosi, tenendo ben chiuse le ali.
“Guardate!”, indica la guardiana Irma. “Le mie
compagne!”. Va loro incontro a grandi passi e si inginocchia, guardandole
negli occhi. “Cosa vi succede?”.
Poi si volta, allarmata. “Vera! Sono rimaste senza poteri!
Non riescono a trasformarsi! E neppure a comunicare a distanza!”.
Guarda verso il portone ancora aperto alle loro spalle. “Se è successo
lo stesso a tutte le altre, a palazzo…”.
Vera trasale all’idea. “Oh, no! Queste coperture…”.
Si precipita fuori dal capannone, seguita dalle altre.
A qualche decina di passi dal portone, cerca di trasmettere
un pensiero. ‘Mi sentite? Rispondete!’.
Il portone della recinzione si apre, ed i soldati guardano
dentro: “Altezza? State chiamando noi?”.
Vera scuote il capo, sorpresa. “Veramente no”.
In quel momento, quasi venti pensieri rispondono, sovrapponendosi:
‘Dove
sei?’. ‘Cosa è successo?’. ‘Stai bene?’. ‘Perché non rispondevi?’.
‘Tutto bene’, le tranquillizza. ‘Torniamo subito’.
Uscendo dal recinto, guarda verso il palazzo; le pare che quattro puntini
variopinti siano già a metà strada verso il capannone.
Che fiato che hanno queste Nemesis, deve ammettere.
Si volta verso le altre, poco indietro. “Avevamo perso
i contatti. Colpa della copertura”.
Irma le scocca un’occhiata eloquente. ‘Se succedesse
nel momento sbagliato, potrebbe essere una catastrofe! Non sono stati solo
i contatti, ad essere persi. Tutte noi eravamo rimaste senza un’ombra dei
poteri che ci hai dato’.
Vera annuisce pensierosa. Questo significa che non dovrà
mai più entrare in quel capannone, né allontanarsi dalla
città.
Inoltre si è resa conto che le loro comunicazioni
telepatiche possono essere percepite da altri telepati di basso livello,
come il soldato.
“Ragazze, torniamo al palazzo! Abbiamo ancora grossi
problemi da risolvere”.