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Autore: MaxT    23/04/2010    5 recensioni
Una Elyon esuberante e sorprendente torna a cercare le sue vecchie amiche, che si troveranno presto coinvolte in avvenimenti più grandi di loro. Che spaventosa profezia ha pronunciato la Luce di Meridian? Vera è…vera? Dove sono andate le gocce astrali delle W.I.T.C.H.? E’ una storia dove i personaggi assumono diversi ruoli contrastanti, si muovono nel segreto e nell’invisibilità, e le loro motivazioni autentiche si delineano a mano a mano che la storia si avvicina alla conclusione. Note: qualcuno potrebbe considerare OOC Elyon e le gocce astrali. Da parte mia, penso che siano una evoluzione plausibile dei personaggi visti nel fumetto. Aggiornamento: I primi sei capitoli sono stati riscritti nell'ottobre 2008.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le profezie di Meridian' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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51- Le sorgenti della magia  
Ad personam:
Cara Scrlettheart, ti ringrazio moltissimo per la tua bella recensione; sono rimasto quasi con le lacrime agli occhi pensando che hai fatto le due di notte leggendo in pochi giorni questa storia già così lunga. Se desideri chiedere qualcosa sulla tecnica di colorazione dei disegni, o inviarmi qualcuno dei tuoi, sei più che benvenuta.
A proposito dello stile dei disegni, all'inizio avevo tentato di riprendere le proporzioni e le schematizzazioni del viso tipiche del fumetto, ma temo di non essere stato abile, e non sono più soddisfatto dei miei primi lavori; perciò ho preferito tentare un'interpretazione realistica, anche se a volte è un po' problematica. Per esempio, come fare a rendere una somiglianza tra Will e Wanda? Will è caratterizzata dagli occhi grandissimi e dai capelli rossi (un aspetto che condivide con alcuni tipici personaggi da shoujo manga che talvolta mi ammiccano dalle scansie della fumetteria); se si rinuncia ai capelli rossi, si cambia lo stile di disegno, l'espressione del viso e si fa anche crescere la corporatura... beh, vederci una somiglianza diventa un atto di fede nel testo, lo ammetto.

Due parole di presentazione su questo capitolo. Al dilà della lettura che spero gradevole, le tre parti in cui è diviso definiscono aspetti che avranno importanza in seguito: uno è l'opportunità di Pao di realizzare il sogno di diventare architetto; un altro, il più importante, è che un certo tipo di energia magica è una risorsa razionata, tema ben presente soprattutto in La Luce al tramonto; infine il fatto che gocce e Nemesis perdono i loro poteri se isolate da Vera.
Per il disegno, tra le tante possibilità ho optato per una vista del quartiere Trasclovkir; forse la scena della fonte magica sarebbe stata più importante, ma ero più ispirato a disegnare edifici sbilenchi e fatiscenti. Stavolta non ho proposto altri ritratti delle nostre anti-eroine, dopo la valanga dei capitoli precedenti.

Buona lettura
MaxT

PROFEZIE


Riassunto delle puntate precedenti 
Dopo un incontro misterioso con la Luce di Meridian, Vera ha convinto le Gocce a sostituirsi ad Elyon a Meridian, impersonando la regina e le guardiane. Carol si è opposta, ed è stata costretta con l'ipnosi. 
A Meridian, la controfigura di Elyon e le finte guardiane esiliano Miriadel e Alborn, mentre Caleb sfugge alla cattura;  pur avendo assunto il potere, si 
rendono conto di non essere convincenti, e inventano la storia che le guardiane sono a palazzo per proteggere la Luce di Meridian da un complotto. 
A Heatherfield, rifugiatasi con i genitori nella sua vecchia casa, Elyon spiega che quella che si sta realizzando è una sua profezia,  la cui interpretazione fino a quel punto era ambigua. La profezia prevede che la tirannia duri un anno, che a Meridian dura diciotto mesi. Elyon è decisa a non tentare niente prima di questa scadenza.
Sul palazzo scende un clima sempre più oppressivo in cui le congiurate utilizzano sia i poteri mentali che l'intimidazione per mantenere il controllo.
Settimane dopo, vengono a sapere per caso la profezia infallibile che prevede che la tirannia durerà un anno.
Il nuovo piano di Vera prende rapidamente forma, basandosi sull'ambiguità del termine di un anno: prima simuleranno che Elyon diventi sempre più tirannica e impopolare, screditandola, poi Vera, che ha comunque il rango di una principessa Escanor, la spodesterà dopo un anno terrestre di dodici mesi, facendo finire apparentemente la tirannia e realizzare la profezia; poi, dopo aver guadagnato il consenso della gente, si prepareranno per affrontare Elyon e eventualmente le Guardiane al loro ritorno dopo diciotto mesi. Vera crea venti copie di Wanda, dette Nemesis, che avranno l'incarico di impersonare le guardiane, sollevando le gocce dal compito, e di sorvegliare la città restando invisibili o sotto falsa identità. 
Dopodichè, una controfigura di Elyon presenta pubblicamente Vera come principessa al popolo e al Consiglio dei Veglianti, delegandole tutti gli impegni pubblici; la nuova vice-regina incontra subito un'accoglienza favorevole, anche avendo ammesso di essere una creatura della Luce di Meridian.

Cap.51

Le sorgenti della magia




Un’ora dopo l’alba, la luce dorata del sole non ha ancora raggiunto il selciato di molte vie di Meridian, ma anche nei vicoli in ombra arriva il riverbero del cielo terso.
A quest’ora la città sta riprendendo vita: le imposte delle finestre si aprono con pigri cigolii, il profumo del pane si sparge nell’aria attorno ai forni, e la gente benedice il nuovo giorno sereno, o almeno così piace pensare.
Ad un tratto, i cinguettii mattutini degli uccellini si abbassano fino a tacere.
Uno spazzino interrompe il suo ramazzare sollevando lo sguardo curioso oltre i tetti.
Alte nel cielo, quattro grandi aquile di una specie mai vista volteggiano lente, come scrutando nelle vie.
Un ticchettio di passi in  distanza attira la sua attenzione. Due giovani donne stanno scendendo la via principale dalla città alta, sfidando il fresco della mattina. Sono vestite con eleganza, da vere nobili. Quella con un gran rotolo di pergamena in mano ha un colorito azzurrino abbastanza comune, ma la pelle rosata dell’altra…
Lo spazzino trasale per la sorpresa, riconoscendo la Principessa che è stata presentata dalla Luce di Meridian solo il giorno prima, meravigliando tutta la città. Accenna loro un inchino rispettoso, ricambiato dalle due con sorrisini di cortese condiscendenza. Poi le segue con lo sguardo mentre si allontanano discendendo la via principale, salutate con deferenza da due soldati di pattuglia.

“Meraviglioso!”. Per Paochaion, che cammina con una pergamena srotolata tra le mani e gli occhi persi di meraviglia, lo scorcio inedito rivelato da ogni svolta è occasione per rinnovare i suoi gridolini di entusiasmo.
“Fai attenzione alla mappa”, le ricorda Vera camminandole a fianco. “Per il quartiere Trasclovkir, tra poco dovremo voltare sulla sinistra”.
“Già”. Pao interrompe la sua lotta per tenere disteso il foglio ribelle, che torna ad arrotolarsi prendendole dentro un pollice. Si volta crucciata verso l’altra: “Vera, ci sarai anche tu questo pomeriggio, alla riunione del consiglio?”.
“Ti preoccupa? Ti accompagnerò per presentarti, ma poi speravo di lasciarti lì da sola a sorb… a sentire la discussione”.
“Ti prego!”, la invoca piantandole supplichevolmente le unghie nell’avambraccio, “O non riuscirò a spiccicare parola davanti a loro!”.
“Non devi spiccicare parola, cara. Basta che ascolti con cognizione di causa e cominci …”. D’improvviso, Vera la tira a sé in tempo per non farle mettere sotto le suole qualcosa di non proprio gradevole. “Attenta a non pestare!”.
“Oh, grazie”, fa Pao, appena resasi conto dello scampato pericolo. “A proposito di spiaccicare…”.
“Di niente”, fa Vera, massaggiandosi l’avambraccio artigliato dall’altra. “Si dice che porti fortuna. E se continui a dedicare la tua attenzione alle facciate delle case, in queste vie ne troverai parecchia, di … fortuna”.
“Meglio i quadrifogli, grazie!”. Paochaion tenta di nuovo di distendere la mappa, poi riguarda il selciato, già con meno entusiasmo. “Sbaglio, o qui le strade sono più sporche che vicino al palazzo?”.
Vera ne conviene. “Più sporche e più brutte”.
“Ma no!”, fa Pao giocherellando con la mappa che, nel frattempo, ha nuovamente vinto la sua battaglia per arrotolarsi. “Sono pittoresche! Sembrano appena uscite da una fiaba…”.
In quel momento, sentono un rumore da sopra di loro, ed un attimo dopo piove ai loro piedi qualcosa che non viene raccontato in nessuna fiaba.
Restano un attimo agghiacciate.
“Ma… ha vuotato il vasino in strada!”. “Che schifo!”.
“Eh, sì, bisogna fare attenzione”, commenta un arzillo vecchietto dalle orecchie lunghe e pelose   che risale la via nel senso opposto, trasportando sulle spalle un sacco di iuta pieno di chisacosa. “E’ sempre meglio tenere il cappuccio alzato, di mattina presto”. Passa accanto a loro senza degnare la principessa di alcuna riverenza, ma solo di un’occhiata curiosa al colorito insolito ed al vestito elegante così fuori luogo.
Le due alzano gli occhi verso la finestra aperta e poi, oltre i tetti, alle quattro aquile volteggianti. Chissà se le Nemesis immaginavano questo rischio, quando hanno deciso di scortarle dall’alto?
“Andiamo”, si decide Vera prendendo l’amica a braccetto, “Pao, tu ammira pure le facciate. Io guardo dove mettiamo i piedi!”.

Meridian non è enorme. Pochi minuti dopo, appena passato un ponte di pietra su un rivolo stretto dal fondo irregolare, Paochaion dà un’ultima occhiata alla mappa ed annuncia: “Siamo a Trasclovkir”.

Si guardano attorno. La via, larga ma sconnessa, è fiancheggiata da case modeste di due o tre piani, con ripide scale e ballatoi irregolari. Il legno degli infissi e delle terrazze reca ancora le tracce di pittura dai colori vivaci, sbiadita dal sole e scrostata da lunghi anni di incuria. Oltre i tetti, si intravedono altri edifici arrampicati disordinatamente sulle pendici della scarpata. Sui muri vi sono evidenti segni di umidità fin ad altezza d’uomo. Il legno svergolato e marcito, il fango stratificato sulle strade, le tracce di muffa che si intravedono attraverso le finestre aperte, gli odori dolciastri… tutto suggerisce un ambiente povero, umido e malsano.

Anche la gente che incrociano per strada dà un’idea di rassegnato: nessuno tributa loro più che sfuggenti sguardi di depressa curiosità.
 

Da un vicolo sbucano due soldati dalla pelle marrone, che trascinano qualcuno per le ascelle: una specie di uomo che ciondola la testa, come se avesse passato la notte disteso per la via, riscaldato solo dai fumi dell’alcool o chissà cos’altro.
Appena riconoscono la principessa, i due mollano l’ubriaco, che rovina al suolo con un cozzo, e si mettono sull’attenti percuotendosi il petto.
Vera ricambia il saluto marziale con un imbarazzato cenno della mano.
Dopo un attimo di esitazione, i due decidono di continuare nella loro opera di polizia, e trascinano l’ubriaco verso un edificio di pietra che domina uno slargo poco avanti: piccolo, tetro, con sbarre incrociate alle finestre e bocche di lupo che danno un filo di luce a qualche segreta desolata, in cui si indovinano ossa dimenticate che attendono la fine dei tempi.
Questa volta neanche Paochaion osa dire qualcosa di positivo. Scruta la mappa, crucciata, poi si guarda attorno. “Facciamoci un giro…”.

Mezz’ora dopo, le due tornano meste verso il ponte, costeggiando il fiumiciattolo Clovkir nella sua discesa dalle pendici dell’altopiano sovrastante la città.
“Dev’essere in questo punto che comincia ad esondare”, dice Pao indicando alcuni macigni giacenti nell’alveo, poi si volta verso le stradine ai piedi della scarpata. “Ma c’è umidità anche più in alto. Forse esiste una vena d’acqua subito sotto la superficie”.
Vera butta un’ultima occhiata verso lo squallore alle loro spalle, poi guarda in cielo, dove le rassicuranti aquile volteggiano sopra di loro. “Per bonificare questo posto, ci vorrebbe il napalm”. Per un attimo, sorride immaginandosi una Elyon che suona l’arpa sul balcone, con sullo sfondo il quartiere in fiamme. Quasi quasi…

Attraversato il ponte, le due riprendono la strada verso Meridian alta. Via dopo via, l’aspetto delle case e degli abitanti migliora, e gli onnipresenti soldati di pattuglia sembrano meno truci. Riprende il rassicurante rituale dei passanti che riconoscono Vera, accennano un inchino, e ne sono ricambiati con un sorriso condiscendente.
Dalla via principale, Paochaion non può fare a meno di gettare occhiate fotografiche a tutti i vialetti e i passaggi che si dipartono sui lati.
Vera accelera il passo. “Sbrigati, Pao, ho un impegno con Terry a metà mattina”.
L’attenzione della cinesina dalla pelle azzurra, però, è già stata attirata da un gruppo di cittadini in fondo ad una laterale; fanno la coda a un robusto portone a ogiva ornato di arcani simboli di bronzo, che chiude una costruzione di pietra addossata ad un grande spuntone di roccia. “Vera, quelli fanno la fila per… per che cosa?”.
Brontolando tra sé, la bionda torna indietro di qualche passo e guarda. “Quali ‘quelli’… ah, quelli?”.
“Si, quegli ‘quelli’”, conferma Pao completando il bisticcio di parole.
Vera si incammina verso il fondo della laterale. “Stanno distribuendo l’acqua magica”. Addita una fialetta dalla vaga luminescenza verdolina tra le mani di un signore che se ne viene via soddisfatto.
“Acqua magica?”, chiede Paochaion perplessa, richiamando vaghi ricordi ereditati da Hay Lin. “Ah, quella che Phobos aveva fatto deviare in quello stanzone…”.
“Il Baratro delle ombre, così lo chiamava lui”, risponde Vera con vago disprezzo. “Un nome troppo altisonante, per lo scantinato della torre Est”.

Una donna con un pancione di otto mesi visibile sotto un pastrano le richiama, aspra: “Ehi, rispettate la fila, prego!”, poi esita, notando i vestiti eleganti e lo strano colorito rosato della bionda, che ricorda tanto quello della regina.
“Non dobbiamo prendere acqua, stiamo solo guardando”, si schermisce Paochaion nel suo terrificante meridiano.
Vera si acciglia. ‘Novantamila abitanti, meno quindicimila che hanno assistito alla presentazione, fanno settantacinquemila che non mi hanno mai vista’, pensa tra sé. ‘A questa donna verrà un mezzo colpo, quando si renderà conto di chi ha apostrofato così’.
Si avvicinano al portone aperto e sbirciano nella penombra.

In fondo al piccolo locale, un debole riverbero verdino mostra una fontanella da cui sgorga un filo di acqua luminosa, che si raccoglie in una vaschetta simile ad un’acquasantiera.
Quando un anziano dai capelli radi esce, un funzionario annoiato, seduto ad un tavolino vicino all’ingresso, spunta un nome da un registro e scandisce: “Avanti il prossimo!”.
Il primo della fila pronuncia un nome pieno di consonanti e si accosta alla fonte, immergendovi una fiala di vetro che si riempie in un gorgoglio di bollicine.

“Quest’acqua magica viene distribuita a tutti gli abitanti di Meridian ogni mese”, spiega Vera. “Chi ha qualche potere la usa per rafforzarlo. Altri la accumulano per il futuro, o vendono la loro dose,  o la consegnano a qualche guaritore perché la usi a loro beneficio”.

Da dentro, la voce di un soldato tuona: “Sbrigati! Non vedi che c’è la fila che aspetta?”.
L’uomo alla fonte si alza, intimidito, e tappa il suo recipiente; quindi si allontana un po’ vergognoso, seguito dalle occhiate ostili delle persone in fila.
“C’è sempre qualcuno che approfitta per immergere le mani fino ai polsi e tenerle dentro finché può”, brontola il funzionario chino sul tavolo.
Quando alza gli occhi per guardare la fila, nota le due che stanno guardando curiose dentro il locale. “Ma… quella è la principessa Vira!”, trasale. “Guardie, at-tenti!”.
I due soldati si impettiscono, percuotendosi marzialmente il torace. Anche la gente in fila si irrigidisce, e qualcuno scimmiotta il saluto militare come meglio riesce.

“Vera, prego. V-E-R-A!”, corregge lei. “Riposo, prego. Continuate pure il lavoro”.
Sarebbe bello fare un’uscita ad effetto, pensa guardando in alto, oltre i tetti. Un richiamo telepatico…
Pochi secondi dopo una delle aquile si abbassa nella via, e Vera le porge il braccio sinistro. L’uccello maestoso vi si appoggia docilmente.
Che soddisfazione, pensa lei, ma il suo sorriso si muta in una fulminea smorfia di dolore quando il rapace, sbilanciato, le serra gli artigli sul braccio.
In quel momento, capisce senza equivoci perché i falconieri indossano un lungo guanto di cuoio.
“Vieni, Paochaion!”. Sorride a denti stretti, e si allontana dalla fila riscuotendo sguardi di ammirazione e inchini.
Appena arrivati davanti ad un vicolo deserto, alza il braccio con un gesto elegante, facendo librare in volo l’aquila, che riguadagna quota con possenti colpi d’ala.
Poi la principessa svolta nel vicoletto con nonchalance, seguita da una Paochaion perplessa.
Appena lontano da sguardi indiscreti, Vera si stringe l’avambraccio, quasi con le lacrime agli occhi. “Che male, che male! Quell’uccello del tubo… sapessi come mi ha artigliata!”.
L’altra annuisce. “Certe volte, si fa fatica a credere che Wanda sia un’aquila”.
La Principessa la studia, un po’ in dubbio. “Non starai prendendo l’ironia da Irene?”.
Paochaion cade dalle nuvole. “Ironia? No…Cosa ho detto di ironico?”.
Vera sospira rassegnata e si riguarda l’avambraccio. Non c’è più traccia di sangue, né di lacerazioni sulla manica. “Andiamo!”.
Appena tornate sulla via principale, Pao la trascina con entusiasmo per la mano: “Qui vicino c’è una locanda bellissima. E’ là, proprio in piazza Due Lune”.
 

Meridian, Locanda Due Lune

Dietro il banco, Toklor sta preparando tre bicchieroni del suo nuovo cocktail, quando il suono del campanello dorato sopra la porta preannuncia l’ingresso di altri clienti.
Alzando lo sguardo, l’oste trasale: la bella ed elegante lady Paochaion ha deciso di onorare di nuovo il suo modesto (si fa per dire) locale, ed ha portato con sé un’altra dama dall’aspetto insolito, ma evidentemente di rango.
“Lady Paochaion… signora… siete le benvenute”, dice, chinandosi tanto da sfiorare pericolosamente con la testa uno dei boccali appoggiati sul banco.
La ragazza azzurra si avvicina, sorridendo nella sua adorabile timidezza. “Signor Toklor… vorrei presentarle la principessa Vera Escanor”.
L’oste spalanca occhi e bocca, e la pancetta che cercava di tenere in dentro torna in prima fila. “Que… que... quella …”. E’ un attimo. Si inchina ancora più profondamente. “Principessa Vira, è un onore al di là di ogni mia immaginazione”.
“Vera, prego. V-E-R-A!”. Me lo dovrò scrivere sul vestito, pensa tra sé.
“Scusate…”.
“Questo è il miglior locale della città!”, afferma enfaticamente Paochaion per rompere il momento d’imbarazzo.
“Troppo buona…”, si inchina ancora l’oste, sperando che tutti gli avventori abbiano sentito bene quest’affermazione, e che ne parlino a lungo in giro. Forse dovrebbe riportarla sull’insegna, firmata da questa dama raffinata che ha certo conosciuto il meglio di tutto il metamondo.

In quel momento, un nuovo cliente entra nel locale, voltandosi stupito indietro; mentre esita a chiudere la porta, una magnifica aquila lo segue dentro e zampetta fin ai piedi della principessa.
“E’ con noi”, chiarisce Vera, vedendo le bocche degli astanti un tantino aperte.
“Giù… non ti ci provare ancora!”, intima la nobilissima signorina, rivolta all’uccello che sta guardando con desiderio il suo avambraccio.
“Volete accomodarvi nella saletta?”, chiede l’oste, appena riavutosi dalla sorpresa.
“Sìì! Vedrai che quadri!”, rincalza Paochaion.

Pochi minuti dopo, le due sono faccia a faccia attorno ad un bel tavolo circolare ricavato dalla sezione di un tronco, lucidato con favi e favi di cera e interi  giacimenti di olio di gomito. Quanto all’aquila, ha eletto a suo trespolo la spalliera della terza sedia.
Vera sta spiegando: “Quell’acqua è un concentrato dell’energia magica di cui tutto questo mondo è pervaso. La città è stata costruita in questo vallone perché è qui che sbocca la sorgente”.
“Quel rivoletto che abbiamo visto oggi?”, chiede incredula la ragazza azzurrina. “E’ tutta qui?”.
“Non tutta. La sorgente originale è stata incanalata verso quattro posti di distribuzione pubblici, e verso il palazzo”.
Paochaion ci riflette un attimo. “Ma qual’è l’origine?”.
Vera si stringe nelle spalle. “Posso solo tirare ad indovinare. Una vena d’acqua, scendendo dalle montagne a nord, attraversa un qualcosa sottoterra. Ma non ho idea se sia un deposito di minerale, una entità biologica o magari un manufatto magico, creato in epoche remotissime e nascosto sottoterra per motivi che non riesco neppure ad immaginare”.
Gli occhi di Paochaion brillano d’interesse, mentre un’impossibile caccia al tesoro prende forma nella sua immaginazione. “Un manufatto magico! Sarebbe bellissimo trovarlo, e ricostruire gli andamenti segreti dei corsi d’acqua sotterranei”.
Vera scuota il viso. “Quella fonte esiste da prima di Meridian. Andare a toccare qualcosa di così essenziale per la città è rischioso. E se la guastiamo in qualche modo?”.
L’altra ribatte, quasi offesa: “Ti sembro una che va a guastare i reperti archeologici?”.
D’improvviso, la voce di Theresion risuona nella testa di entrambe: ‘Dove siete? Non dovevamo andare a vedere gli archi di crescita? La carrozza è già alla porta’.
Vera balza in piedi, cercando con gli occhi un orologio. “Lune sincrone! Me ne ero completamente dimenticata!”; poi, rivolta all’altra: “Perché mi fai scordare le cose?”.

L’oste, con un vassoio di bevande e stuzzichini, bussa alla porta della saletta.
Nessuna risposta, nessuna voce dall’interno.
Apre discretamente. “Si può?”.
La stanza è deserta, a parte l’aquila che, con un colpo d’ali, si porta sul davanzale della finestra e lo guarda supplichevole.
“Va beh”, esala lui deluso, “Dovrei esserci abituato, ormai!”.
 

Altopiano sopra Meridian

Dieci minuti dopo, la carrozza color panna e oro percorre lentamente la campagna sull’altopiano, costeggiando un villaggio di contadini a poche centinaia di metri dal palazzo. La sua destinazione è un capannone che si profila poco prima delle colline boscose a ovest.
A bordo ci sono cinque passeggere.

Vera, affacciata al finestrino,  dà un’occhiata preoccupata verso il palazzo. “Spero che Lorna se la cavi decentemente nel ruolo di Elyon”, dice tra sé e sé.
“Chi è Lorna?”, chiede Pao.
“E’ Nemesis Undici”, risponde la guardiana Irma, seduta vicino al finestrino. “Sarà ora che ti impari i nostri nomi!”. Poi, rivolta a Vera: “Non preoccuparti, Lorna farà la brava goccia”.
Vera annuisce poco convinta. Come guardie le Nemesis sono eccezionali, ma le loro capacità di imitatrici sono limitate al solo aspetto esteriore.
Guarda in alto, nel cielo, le due aquile che volteggiano a vegliare sulla loro sicurezza. Invero le sarebbe piaciuto andare a vedere gli archi di crescita con la sola Terry, di cui ammira l’intelligenza silenziosa, e una qualsiasi delle Nemesis, che condividono con Wanda le conoscenze di ingegneria trasferitele prima della partenza. Però Pao voleva ad ogni costo vedere da vicino quel curiosissimo edificio, e le scuse portate da Irenior per venire a farsi un giro in carrozza erano così numerose che Vera ha preferito cedere pur di non doverle ascoltare fino in fondo.
Per fortuna, almeno Carol è rimasta in camera sua.
Guarda Irenior e Irma, sedute fronte a fronte. La somiglianza fisica è evidente, ma l’atteggiamento solare e spensierato della prima la distingue dalla guardiana, cupa e guardinga, molto più di quanto possano fare i colori del corpo o il costume. Non sembra per niente a disagio neanche stando vicino ad una copia della sua migliore amica che interpreta la sua stessa originale.

Pochi minuti dopo, la carrozza si ferma accanto ad un cancello di legno che si apre in un alto steccato. Due soldati sotto una guardiola sorvegliano il perimetro dall’esterno, e scattano sull’attenti mentre il valletto apre la porta del mezzo.
Vera scende per prima. “Riposo”, dice, condiscendente, mentre si avvicina al cancello che, innanzi a lei, si apre da solo.
Da lì, il capannone appare in tutta la sua insolita grandezza. La forma lunga e prismatica, con colonne di mattoni spaziate regolarmente, fa pensare a un’ispirazione terrestre, ma altre cose sembrano aliene per entrambi i mondi.
La copertura diafana, a cellette verdi e azzurre a forma di gocce, è attraversata da eleganti nervature nere che richiamano le alette delle Guardiane di Kandrakar.
“Oooh… E’ bellissimo!”, se ne esce Pao, meravigliata. “Quel tetto…”.
Irenior giunge le mani, ammirata. “Splendido! Chissà a quante fatine avranno tagliato le ali, per rivestirlo!”.
Vera rotea gli occhi. “Entriamo!”. Prima che a Irene esca di bocca qualcosa di inopportuno davanti alle guardie…

Il cancello si richiude alle loro spalle.
Paochaion continua a parlare, entusiasta. “Guarda quei battenti rivestiti in bronzo lucente! Chiudono tutti gli spazi tra le colonne!”.
“Ma perchè non arrivano fin in alto?”, chiede Theresion, notando che resta uno spazio aperto di due metri tra i battenti e la copertura.
“Forse hanno finito il bronzo”, azzarda Irenior.
Si fermano a qualche metro dall’edificio, per osservarlo. Tutte notano un movimento d’aria verso il capannone, che scompiglia i capelli e fa vibrare le alette di Irma.
“A me non piace”, afferma diffidente la guardiana. “Sento qualcosa di freddo, come se fosse circondato d’ombra”. Detto da una Nemesis, suona ancora più inquietante.
Vera risponde senza girare gli occhi. “Quella copertura è stata materializzata da Elyon stessa, ad imitazione delle ali delle guardiane. Serve ad assorbire l’energia magica che permea l’aria, per far funzionare gli archi di crescita”.
Theresion chiede, indicando qualcosa sotto il tetto: “Sono quelli che si intravedono là?”.
“Ora li vedrete”. Vera si avvicina ad un portone di bronzo. Al tocco di un dito, i pannelli cominciano ad aprirsi a soffietto, e la corrente d’aria che le investe da dietro si fa ancora più forte.
“Questo vento…”, geme Paochaion, inquieta. Per lei, ogni brezza sembra come un rimprovero della mai dimenticata Hay Lin.
Vera le ricorda: “Pao, tutte noi siamo fatte d’aria. Questo vento è tipico delle materializzazioni permanenti”.

Dentro al capannone, l’illuminazione è surreale. I raggi del sole, attraversando le cellette verdi e azzurre della copertura, proiettano un caleidoscopio di ombre e luci che confondono le forme di ogni cosa.
“E’ bellissimo!”, ribadisce Paochaion, scordandosi per un attimo il vento alle spalle.
Quando si abituano a quella illuminazione, le ragazze distinguono decine di archi incrociati di pietra e bronzo che arrivano fin quasi alla copertura, sotto i quali si notano sagome non sempre riconoscibili. Piccole scintille scoccano tra queste strutture e gli oggetti, avvolti in aloni luminescenti punteggiati da minuscoli bagliori.
“Ragazze, ecco gli archi di crescita”, dice Vera, quasi smarrita nella vista surreale.
Theresion fa qualche passo avanti, tentando di scostarsi i capelli che le si parano davanti agli occhi, ma non osa arrivare a contatto con le aure inquietanti. “Questi sono gli oggetti che hai copiato a Midgale!”. Indica un aggeggio della grandezza di una cassapanca, “Guarda, il tornio! La tua prima preda!”.
“Ma è ancora molto più piccolo dell’originale”, fa presente Irma, che ha ereditato da Wanda un ricordo molto chiaro della loro prima missione.
Theresion si sposta vicino ad un altro arco. “Anche qui: l’autogru! L’escavatore!”.
Le altre si fanno coraggio, e avanzano meravigliate tra le strutture e le sagome luminescenti.
“E là, l’elicottero! I generatori elettrici”. “Quella è l’antenna del trasmettitore!”. “L’autocarro!”. “E… quello cos’è?”.  “Il frigorifero di casa”.
“Ma è ancora tutto molto piccolo!”, conclude delusa Vera. “Abbiamo messo troppa carne al fuoco: la copertura non capta abbastanza energia per far crescere tutte queste cose”.
Theresion annuisce. “Bisognerà fare delle scelte. Gli oggetti più pesanti, come l’autogru… ci è davvero indispensabile?”.
A Pao salta la mosca al naso: “Ma certo! Ci sarà utilissima per costruire nuovi edifici”.
“Ma…”.
“La voglio! Facciamo a meno dell’elicottero, piuttosto!”.
“Ehi, giù le mani dal mio elicottero privato”, protesta Irenior, che ha appena deciso che cosa può essere meglio di una gita in carrozza.
Vera si accosta a Terry. “Saresti capace di costruire o adattare un videogioco che simuli un’autogru?”.
L’altra la guarda, stranita. “Sì… ma vogliamo costruire edifici veri, o videogiocare a costruirli?”.
“Ti spiegherò”, dice Vera, misteriosa, mentre si porta davanti ad una piastra di bronzo alla base dell’arco e ruota quello che sembra essere un fiore argentato. Immediatamente, le scintille sull’autogru si estinguono. “Intanto, possiamo fare a meno di questa”.
“Ma nooo!”, protesta Paochaion, quasi con le lacrime agli occhi. “Non possiamo, piuttosto, far deviare verso il capannone quell’acqua magica?”.
Le altre si guardano perplesse. “Quale acqua…”. “Quella di Phobos?”.
Vera ci pensa. “Come Phobos… perché no? Per creare scontento, potremo ridurre la distribuzione di acqua magica alla gente”.
“Ma se è così preziosa”, obietta Theresion, “non sprechiamola per materializzare tanta ferraglia!”.
“Ma che dici!”, si inalbera Pao.
“Non la sprecheremo”, promette Vera, “Torneremo a distribuirla dopo che io sarò incoronata”.
Lancia una nuova occhiata verso la copertura diafana ed i suoi intricati disegni, ed una nuova idea geniale si forma nella sua immaginazione. Se…

In quel momento, due aquile cercano di appoggiarsi sopra i portoni chiusi che contornano il capannone, ma la corrente d’aria le sbilancia. I grossi uccelli allargano le ali per volare giù, ma la corrente li spinge brutalmente contro una colonna.
Strillando, le due zampettano verso di loro lungo gli spigoli meno ventosi, tenendo ben chiuse le ali.

“Guardate!”, indica la guardiana Irma. “Le mie compagne!”. Va loro incontro a grandi passi e si inginocchia, guardandole negli occhi. “Cosa vi succede?”.
Poi si volta, allarmata. “Vera! Sono rimaste senza poteri! Non riescono a trasformarsi! E neppure a  comunicare a distanza!”. Guarda verso il portone ancora aperto alle loro spalle. “Se è successo lo stesso a tutte le altre, a palazzo…”.
Vera trasale all’idea. “Oh, no! Queste coperture…”.
Si precipita fuori dal capannone, seguita dalle altre.
A qualche decina di passi dal portone, cerca di trasmettere un pensiero. ‘Mi sentite? Rispondete!’.
Il portone della recinzione si apre, ed i soldati guardano dentro: “Altezza? State chiamando noi?”.
Vera scuote il capo, sorpresa. “Veramente no”.
In quel momento, quasi venti pensieri rispondono, sovrapponendosi: ‘Dove sei?’. ‘Cosa è successo?’. ‘Stai bene?’. ‘Perché non rispondevi?’.
‘Tutto bene’, le tranquillizza. ‘Torniamo subito’. Uscendo dal recinto, guarda verso il palazzo; le pare che quattro puntini variopinti siano già a metà strada verso il capannone.
Che fiato che hanno queste Nemesis, deve ammettere.

Si volta verso le altre, poco indietro. “Avevamo perso i contatti. Colpa della copertura”.
Irma le scocca un’occhiata eloquente. ‘Se succedesse nel momento sbagliato, potrebbe essere una catastrofe! Non sono stati solo i contatti, ad essere persi. Tutte noi eravamo rimaste senza un’ombra dei poteri che ci hai dato’.
Vera annuisce pensierosa. Questo significa che non dovrà mai più entrare in quel capannone, né allontanarsi dalla città.
Inoltre si è resa conto che le loro comunicazioni telepatiche possono essere percepite da altri telepati di basso livello, come il soldato.
“Ragazze, torniamo al palazzo! Abbiamo ancora grossi problemi da risolvere”.
 
 
 
 

  
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