Borderline
Linea di confine
Scenetta introduttiva.
Questo
che vi apprestate a leggere, dovrebbe, in teoria, essere solamente un mero
incipit. (Ho detto dovrebbe, non che lo è). La vera storia è molto più sotto,
quindi, se non volete abbandonare lo scritto ancor prima di averlo letto,
saltate la prima parte del documento e andate alla fan fiction.
Buongiorno/pomeriggio/sera/notte, a qualsiasi ora tu stia
leggendo. Come va? No, aspetta, niente domande personali, no. Uhm: siamo due
pazzi psicopatici e vogliamo presentarvi la nostra ultima fatica (?).
No scusa, chi sarebbe lo psicopatico? Parla per te!
U_U Lo sei anche tu, ehi. La storia è stata concepita da entrambi,
mi sembra. E scleriamo almeno una volta al giorno, quindi siamo pazzi. Ma
taaaanto adorabili, questo sì.
Personalmente non mi ritengo nè pazzo, nè tanto meno adorabile . Quindi
ripeto, parla per te!
U____U Va bene. Siamo una pazza e una divinita, allora.
divinita? Divinità, a casa mia u_ù
Sì, lo so. .______. Non credevo fossi meritevole dell'accento,
tutto qui. <3
Non mi ritieni meritevole dell'accento? Osi perchè se così fosse, sai che sarei
costretto a rivedere la mia selezione di sacerdotesse, nevvero? per caso dubitare del
tuo Dio? No,
Ma scherzavo, Dio-sama! Scherzavo! Ovvio che meritate l'accento, sìsì. In ogni caso, stiamo divagando.
Decisamente sì. Dovevamo, uhm, cosa stavamo facendo?
Dovevamo presentare la fan fiction, credo.
Ah sì, la fan fiction. No, aspetta, abbiamo scritto una fan
fiction?
Certo che sì. Una beeeella fan fiction,
ambientata dopo la fine del manga... Ricordi?
Ah, giusto! ''Quella'' roba.
Non chiamarla roba che poi si offende! Si chiama Borderline,
ricordatelo: B-o-r-d-e-r-l-i-n-e.
Ah-ah. Ricordo, sì. Credo che dovremmo avvertire coloro che saranno
tanto paz..., ehm, coraggiosi, di leggere l'opera,
che sarà moooolto lunga.
Ma interessante, no? Noi lavoreremo affinché la storia risulti
piacevole, in fin dei conti, quindi sarà interessante.
Ovviamente, e non diremo a nessuno che prendiamo mazzette esterne
per sgobbare giorno e notte...
Certo. Perché, volevi dirlo? Insomma, è un segreto, i lettori non
devono saperlo.
Infatti, ma, ops..., Ro, credo che lo abbiano scoperto!
Argh. Uhm, facciamo finta di nulla e continuiamo a presentare,
okay?
[Si guarda attorno con non-chalance] Perchè,
tu hai detto qualcosa per caso? Io non ho sentito nulla, e non ho aperto bocca.
Neppure io. Quindi, uhm... Dicevamo che la fan fiction sarà tanto
carina ed interessante. E i protagonisti... vuoi dirlo tu?
I protagonisti, oh, quelli sono decisamente il pezzo forte ...
[tossicchia e chiama il suggeritore nel retroscena] Chi cacchio sono i protag...ah, sì? No!Non ci credo. Ma l'hai ordinata la
pizza? Sì, ah bravo bravo. Cosa? Ma è un furto in
piena regola! Sì, metti tutto sul conto di Ro. Bravo. Grazie, sì. [Torna a
guardare i lettori] Eh? Kagome e Inuyasha
ovviamente! Credevi che non lo sapessi eh?
...sul mio conto, dici? Oh, uff, e
pensare che quello che lavora sei tu, tra i due! Comunque, sì. InuYasha e
Kagome.
Non sono mica tuo marito, devo mantenere pure te? Ma guarda
questa! Ehm, sì. La storia è sicuramente interessante, quindi, inviterei coloro
che stanno ancora seguendo questo scempio, di scendere con la scrollbar un pò più giù, dove c'è
la storia.
Ovvio che non sei mio marito ò____o, non vedo perché dovresti
esserlo, ma... perché dovrei pagare io per te? Comunque, concordo con Dio-sama: scendeeeete un po' più
giù e godetevi la nostra storia. Non vi costa nulla, no?
Infatti! Mi chiedo perchè stiamo ancora
a parlare del conto della pizza, ma vabbè. Sì,
esatto! Su, su. Via, sciò!
Lasciamo in pace 'sta pizza, per stavolta offro io. *Guarda i lettori* Sciò, abbiamo
detto. ò______o Viaaaa! Leggete e commentate, mi
raccomando.
[Mangiando la pizza] Mhnm, Ro...?
...potresti almeno darmi un pezzo di pizza, Matt. Comunque, che
c'è?
Ho mangiato anche la tua parte [sorriso angelico].
Oh. Che amore di Dio-sama, eh? *Strappa
via Tessaiga dalle mani di InuYasha
e la sventola* Oh, chissà cosa succede se te la do in
teeeesta!
Per una pizza? Quanto sei violenta! [Scappa, comunque, si sa mai].
Buona lettura!
*Ripone la spada e si mette a
giocare con la sua tigre, Neko* Su, via! Buona
lettura!
Capitolo
I
Spente. Spente, dietro le palpebre, le
corolle degli occhi.
Leggero, così leggero d’aver la parvenza
d’essere quasi nullo, il sonno. Il
silenzio troneggia tra i fili di bruma, che, alti, s’intersecano sulla volta,
calando d’attimo in attimo lo spettrale sipario d’una notte immersa nei grigi
toni della nebbia.
Invisibile. Il respiro che solleva la
gabbia toracica dall’alto verso il basso, tanto che all’osservarlo egli pare il
riverbero di cinquant’anni prima. Sembra quasi che da allora non si sia più
risvegliato, permanendo nella quiete, visibile unicamente su d’un volto apparentemente
morto. Da quanto, il trovar rifugio tra le braccia
nodose del secolare non somigliava ad un sonno in piena regola?
L’inconfondibile aroma del buio sporco di sangue non è più percepibile, v’è
solamente odore di fosco, strano, inusuale, quasi monotono nulla.
Un suono.
Rumore che frange la solennità del silenzio, sparpagliandosi in decibel
sempre più acuti che raggiungono la soglia dell’udito. Le orecchie si muovono
impercettibilmente, all’avvertire la violazione quasi punibile del suo riposo riconquistato.
L’oblio del sipario nero gli risparmia la visuale dell’intruso, costringendolo
a svegliare in modo completo le iridi, e dunque ad aprire le palpebre,
scostando infine lo sguardo poco più in là della sua posizione. Né le labbra, né il volto, si contraggono in
qualcosa di particolare. Non avrebbe avuto bisogno di scomodare la veglia per
catturare il fattore di disturbo, gli sarebbe bastato analizzare la fragranza
che forte, ora si scinde dalle altre, divenendo ancor più percepibile dell’acre
sentore di fogliame rigettato dallo stesso Goshinboku. Chiude nuovamente le
palpebre poi, in modo immediato. Una scusante, semplicemente per fingersi
disturbato, per far sì che sia sua la colpa di quel brusco ridesto, e non il
fatto che in realtà non stesse dormendo affatto.
Tanto
lui è sveglio.
Lei lo
sa, ne è certa. L’ha capito nel preciso istante in cui gli si è avvicinata e,
senza alcuna ragione – ragione logica, almeno –, si è volta a fissarlo. L’ha
capito dal modo in cui InuYasha ha sospirato, dal modo in cui si è passato
nervosamente una mano sul volto, dal modo in cui si è morso il labbro
inferiore.
L’ha
capito ed è sicura, punto. È così e basta.
Lui è
sveglio, ed è lì, solo, che cerca chissà quale aroma nel vento, e la cosa la
preoccupa – perché se InuYasha si è addormentato ai piedi del Goshinboku,
allora qualche problema deve esserci. E se c’è, lei vuole saperlo.
«Dormi?»,
chiede. «Tanto lo so che lo sei. Sveglio, intendo».
InuYasha
tira su col naso, distratto, gli occhi che ancora si ostinano a restare chiusi
– oh, dannato sciocco bambinone! Di quando in quando potrebbe anche ricordarsi
di essere gentile. Non tanto, eh, il giusto.
«Dai,
lo so che sei sveglio. Hai un sopracciglio inarcato». Si avvicina, lenta, e gli
preme un dito sul volto. «A-ah. Proprio qui, vedi?».
«Lasciami
in pace».
Oh.
Uhm, allora era sveglio e stava fingendo. Idiota, idiota e ancora idiota.
Beccato.
Distorce il naso in una smorfia ora, costretto ad aprire le palpebre in una
silenziosa ammissione. Il labbro destro si piega verso l’alto, demarcando un
disappunto malcelato su quest’ultime. Il braccio si alza, parandosi dinanzi al
volto per scansarle l’indice presso in faccia.
«Hai preso il mio naso per un pulsante, forse?» chiede, quasi ironico.
Le
palpebre si abbassano, mentre il fiuto percepisce direttamente lo scontro
olfattivo con l’odore di lei adesso. No, non ci riesce più come un tempo a
prendersi gioco di lei, a quanto pare.
Gli arazzi di vento, quieti, si spostano astratti sopra le nubi, piegando
riverberi d’ombra sull’ombra stessa, nella notte.
«Stavo
solo tentando di riposare, a quanto pare. Ci sarei anche riuscito, se non fosse
arrivato qualcuno a disturbarmi…». Piega il capo di lato, sollevando entrambe
le braccia al petto per socchiudere l’occhio sinistro, mentre solamente l’altro
rimane leggermente aperto nell’osservare il profilo della sacerdotessa. Lei è,
effettivamente, una di quelle ora. Inspira profondamente, poggiando il capo al
tronco del secolare per rilassare in seguito le spalle, cercando di non dare a
vedere che il saperla là, in quel momento, ha evaso dalla mente ogni dubbio di
tensione che s’era amalgamato con la muscolatura.
«Dovresti
essere al villaggio, non qui» mente, inarcando un sopracciglio con finto disappunto,
per dimostrare che in fondo, la sua presenza non è poi così desiderata.
La
gamba si solleva, traendosi stretta accanto al busto dove il braccio va ad
avvolgere il ginocchio. Alla movenza, la katana legata al fianco cozza sulla
corteccia provocando una mal sorta di rumoraccio ferroso. Trattiene il respiro
ora, mentre termina la sua arringa in un “keh” conclusivo.
Offenderlo sarebbe facile. E sì, le darebbe una soddisfazione –
una piccola gioia infantile, un breve istante di puro godimento – infinita.
Sarebbe semplice aprire la bocca e parlare. Sarebbe semplice
insultarlo, mostrarsi contrariata, così come sarebbe semplice sorridere
bonariamente e far finta di nulla.
Potrebbe
minacciarlo di andar via, di trasferirsi da Kaede, di ospitare Shippo da loro
per un paio di notti. O magari, potrebbe tirargli un orecchio, urlare
quella-parolina-lì e andare via.
Se lo
meriterebbe, del resto. Le ha fatto intendere di non volerla accanto, di
preferirla al villaggio – e per quanto si sforzi di esserlo, Kagome tollerante
lo è poco e in radi istanti.
Dovrebbe
schiacciarlo al suolo, sarebbe divertente.
Oh,
sì. Se lo meriterebbe proprio.
«Prima
di tutto», comincia, lasciando ricadere mollemente la mano lungo il fianco, «
Seguirlo
non le avrebbe procurato alcun giovamento.
«Se
non sai sceglierti i nascondigli, allora non criticarmi! In fin dei conti»,
prende fiato, nervosa, la manca che si chiude a pugno e trema appena, «hai
deciso tu di accamparti ai piedi del Goshinboku: ho interrotto il tuo riposino,
d’accordo, ma la colpa non è mia. La foresta è suolo pubblico, chiunque può
accedervi e disturbare il sonno altrui, sai?».
Sgrana
gli occhi, spostando il capo a guardarla come se avesse appena visto un
fantasma. Ha qualche problema con il ciclo mensile, – che Miroku ha s’è
guardato di spiegargli – o cos’altro? Sbatte le palpebre e inarca un sopracciglio,
confuso, mentre le orecchie scostano i padiglioni in modo automatico, quando il
suo timbro s’innalza in toni che non dovrebbe possedere. «Hai finito con la
ramanzina, o devo sorbirmi altro?», sospira, sollevandosi. Incrocia le braccia
e la aggira in pochi passi, come se nulla fosse, per fermarsi, volto di spalle,
allineato al suo fianco. Le palpebre s’abbassano completamente, dopodiché il
braccio si solleva e il palmo della mano si posa sulla fronte di lei, senza
sbilanciarsi troppo, in un gesto che dovrebbe
apparire puramente casuale. «Non hai la febbre, vero? Il tuo livello di acidità
si è alzato un po’ troppo per i miei gusti personali», ribatte secco, aprendo
un occhio per controllarla da sopra la spalla. «Non sembra», prende una pausa,
abbassando le spalle per compiere un passo in avanti e distogliere l’attenzione
peccaminosa rivoltale.
«Puoi
tornare alla tua passeggiata…», mormora, seppur il tono non lasci trapelare
troppa convinzione. Ha sollevato involontariamente le palizzate d’orgoglio che
l’hanno sempre contraddistinto, anche se il corrugamento mal celato del volto dimostra
tutt’altro. Le braccia tornano a unirsi salde sotto il petto, mentre alza il
naso per aria con la chiara intenzione di sottolineare la sua superiorità. «Se
vuoi…» conclude, mentre il capo si abbassa di poco, andando a scrutarla segretamente
per osservarne la reazione. Accidenti a lui però! Mai proporre una possibile
selezione d’altre opzioni, sarebbe dovuto sembrare un imperativo categorico,
non qualcosa da poter scegliere.
Potrebbe
chiedergli cosa intende, ma sarebbe inutile. Tanto lo sa, lo sa bene, e
insistere sarebbe solo rigirare il dito nella piaga. E a lei non va di essere
più pedante del solito.
Gli
sorride, per fargli capire che no, non è più arrabbiata – o meglio, lo è ancora
ma non ha voglia di litigare –, e che sì, possono passeggiare insieme. Perché
lui è arrogante,
«Certo»,
risponde. Allunga una mano nella sua direzione, stringendo poi la destra di
InuYasha con fare pratico. «Possiamo», continua – e lo tira dietro di sé, «fare
un giro, se vuoi. Un giro insieme, dico. Tu non stavi dormendo davvero, quindi accompagnarmi,
non dovrebbe essere un problema».
Non
gli lascia il tempo di replicare, perché lasciarglielo significherebbe
concedere al suo dannato orgoglio di riflettere su quanto sta facendo:
semplicemente, ride e comincia a camminare.
«Sai
che Sango è nuovamente in attesa?», proclama dopo un po’. «Sono quasi
invidiosa. Sarebbe il quarto figlio, eh! In ogni caso, tre gravidanze a così
breve distanza sono pericolose, forse dovrebbe concedersi una pausa».
Non è
una critica, la sua, sia chiaro. Non sta sottolineando – o forse sì? – che
Sango e Miroku possono già vantare,
Oh,
no. Lei non vuole sottolineare questo: non è alla ricerca di una gravidanza,
non così presto. No, davvero no.
E poi,
InuYasha quasi non la sfiora – e se lo fa, è quasi in modo costretto,
obbligato. E a lei quei tocchi disinteressati poco piacciono.
«Sono
felice per loro! E tu?».
Non
era sua intenzione sott’intendere una passeggiata. Fare quattro passi romanticamente al chiaro di luna è roba
da sentimentali. Lui non è per niente
sensibile, né mai lo sarà, probabilmente. La coltre di nembi si scosta dalla
falce, relegando un ritaglio di luce poco più in là della loro posizione, è
facile ora intravedere il volto di lei stagliato tra i raggi. Anche il suo imbarazzo
probabilmente, lieve, ma ben distinguibile, che ha deciso di palesarsi sul
volto alla presa d’iniziativa dell’altra. Stava appunto per ribattere con
qualcosa tipo “Perché dovrei seguirti? Non dovevi passeggiare da sola?”. Rimane
silente però, piegando lo sguardo sotto di sé, a contare con noncuranza i fili
d’erba che s’intersecano ad ogni passo. Il volto rimane piegato sulla destra,
lungi dal rivolgerle lo sguardo. Non è per niente abituato a tutto questo; al fatto
che lei non prenda troppo distacco, che sia sfacciata il doppio di lui, e che
si permetta di minare la distanza di
sicurezza che lui si danna a frapporre.
Le
parole della sacerdotessa non raggiungono immediatamente la mente. Al momento è
troppo occupato a vagare su ben altri orizzonti, per preoccuparsi dell’ennesima
gravidanza della sterminatrice o del fatto che il tono di Kagome possa anche
solo lasciar intendere qualcosa di sospetto.
Si sta
concentrando, quasi a farlo apposta su qualsiasi cosa di differente, per non
pensare a quelle cose là, che per un
essere per metà umano non passano inosservate, specialmente se quella parte è maschile. Istinto. Dovrebbe chiamarsi
così, quella frazione del suo essere, che gli sta intimando di cercare
qualsiasi modo per svignarsela per non commettere errori che potrebbero
costargli la vita. Sì, perché dopo tanto tempo senza una controparte femminile,
il corpo recepisce molto meglio i ferormoni che la sua attuale compagna sparge
nell’aria come riso ad una festa, e se non ne fosse intimamente attratto,
probabilmente avrebbe qualche serio problema fisico. Schiarisce la voce ininterrottamente,
camminando ora più celere di lei, in modo che la presa con la sua mano possa
sfuggirgli accidentalmente. Deve
sembrare un caso, altrimenti lei si adirerebbe ancora di più, e lui finirebbe
spalmato sull’erba a nutrirsi d’essa.
Per
volere del fato però, la domanda di Kagome giunge quasi opportuna, tanto da
farlo sobbalzare per scattare di lato come una sentinella, «Che cosa dovrei
pensarne? Sono domande da porre queste?» In realtà la questione riferita è ben
più semplice di quella carpita effettivamente, ma c’è forse differenza? Intanto
è riuscito a divincolarsi, quindi, il problema maggiore è stato scansato in
modo eccellente.
«Ben
per loro» ribatte unicamente, continuando a camminare per conto suo a circa
venti passi di distanza.
Succede
da poco. Solo ultimamente, il suo corpo ha cominciato a reagire in modo strano
alla presenza di Kagome, e, questo, non gli piace proprio per nulla.
«Non
riesci a mostrarti un po’ più entusiasta?», chiede irritata, accelerando il
passo – non tanto per allontanarsi da lui, in verità. Non ce n’è bisogno, no davvero .
Mettere
distanza tra loro non significa cercare di ferirlo, significa giustificarlo.
Significa
tentare di convincersi che, beh, le loro mani si sono divise, questo sì, ma non
deve preoccuparsi, perché, se ora non si sfiorano più, la colpa è della
lontananza. Lui non l’ha lasciata andare, no: semplicemente, lei è troppo
distante.
O
almeno crede.
«Sono
i nostri migliori amici. I nostri migliori amici, InuYasha. Ci hanno aiutato
tantissime volte, non dovresti essere così antipatico».
Riflette
un po’, indecisa se aggiungere altro – sarebbe sfacciato dargli uno schiaffo? E
qualcuno potrebbe incolparla, se gli urlasse qualche cattiveria?
In fin
dei conti, lei non voleva litigare, non lo voleva e non lo vuole. No, no e no.
Lei ci ha provato, a far finta di nulla, cambiando argomento e trascinandolo
dietro di sé, come se il suo comportamento infantile fosse accettabile.
Davvero, ci ha provato.
Ha
provato a sopportare un mese di lontananza – lontananza fisica, perché lui non
la sfiora, e morale, perché lui quasi non le rivolge la parola –, ricordandosi
che sì, okay, star divisi fa male, ma che ha resistito tre anni, prima di
incontrarlo di nuovo, e che poche settimane non dovrebbero essere poi così
dolorose.
Ma lui
continua a irritarla, imperterrito.
«Le
gemelle ti adorano, il nuovo bambino ti adora e certamente anche quello che sta
per nascere ti adorerà: perché non provi a risultare un po’ più umano?».
Possibile
che non riesca a capire la situazione? Che cosa dovrebbe importargli ora di
quei due? Solleva lo sguardo, chiedendosi come, il monaco, sia riuscito a far
passare per qualcosa di puramente normale il disagio che sta provando lui ora.
Ovviamente, lui non ha quel tipo di
fretta.
«Yehh»
solleva l’avambraccio in alto, sarcastico, agitandolo per mostrare tutto
l’entusiasmo che merita la situazione dal suo punto di vista. Ha qualcosa di
ben più importante cui pensare, o ancora meglio, da evitare. Le donne sono
esseri sicuramente strani, e lei, è una degli esempi più lampanti della
bizzarria di quella specie.
«Non è
antipatia la mia, semplicemente non ritengo così interessante quest’argomento!» scandisce bene. Si sposta col busto
in avanti tendendo i muscoli delle braccia lungo i fianchi, per evidenziare
maggiormente il fatto che si sta innervosendo.
No,
nemmeno lui vorrebbe litigare, ma a quanto pare ci deve essere qualcosa nel suo
dna che favorisce l’evento in modo naturale. Inarca le sopracciglia,
dischiudendo le labbra in una vocale ignota, all’ultima battuta proclamata
dalla sacerdotessa.
Provare
a risultare più…
«Cosa?»
il tono s’abbassa e lo sguardo si muove nuovamente di lato. Non è un buon
segno, decisamente no. Scuote il capo, aggrottando maggiormente le
sopracciglia. Ferito.
«Scusami
se non sono abbastanza umano!» ribatte
iracondo. Calpesta il terreno, con la chiara intenzione di allontanarsi
definitivamente da lei. Quante volte dovrà ripetersi questa dannata situazione?
Dopo tanto tempo non ha ancora imparato a contare, prima di vomitare certe
accuse? «Non ho voglia di approfondire il discorso, buona passeggiata».
«Non
fare il bambino!». Gli afferra il braccio e tira, irritata, cercando di
smuoverlo. «Dai. Muoviti, su! Sei un adulto, InuYasha».
Ma lui
niente, niente di niente, non muove un muscolo. Sospira soltanto, offeso – è
offeso di certo, lei lo sa, perché ha gli occhi puntati verso l’alto e le mani
strette a pugno. Forse la insulterebbe, se potesse. Ha l’aria di chi si sta
trattenendo.
«Io…
tu
InuYasha
non si muove né inarca un sopracciglio. Forse neppure l’ascolta, forse resta lì
solo per godere dell’imbarazzo altrui. Forse ama irritarla, chissà.
Perché
se è vero che le donne sono strane, allora bisogna ammettere che gli uomini lo
sono anche di più – vogliono qualcosa? Sì? Di certo non te lo chiederanno.
Perché non sarebbe virile ammetterlo, e allora tergiversano, in attesa, e
spesso restano con un palmo di naso.
E
Kagome sa perfettamente che InuYasha rientra in quella stupida, dannata
categoria.
«Non
chiedermi scusa per il fatto di non essere umano. Cioè, di non esserlo
abbastanza», strilla. «Andiamo, io non ho due anni e di certo tu non ne hai
cinque, quindi questo comportamento infantile è inaccettabile da parte di
entrambi e… e io voglio che tu, ecco. Ti va di passeggiare ancora con me?».
Irritazione.
Frustrazione. Iracondia a livelli eccessivi. No, non è così semplice Kagome,
non dopo questo. Benché tu sappia perfettamente quale sia il vero, evidente
problema nella frase precedente, tenti di scuoterlo con così poca efficacia?
La
strattonata non aiuta di certo, anzi, mina maggiormente l’equilibrio che sino a
pochi secondi prima ancora controllava il corpo. Potrebbe rivoltarsi in
qualsiasi momento, potrebbe sì, ma non lo fa, preferisce rimanere imbalsamato
nella sua posizione a contrarre i muscoli delle mascelle, adirato.
«No!»
categorico. Se lei riesce a essere ponderata in situazioni del genere, lui non
lo è proprio per nulla, anzi, si dimena per liberarsi dalla presa e spostarsi
in avanti di qualche passo ancora, mentre il fiume in piena che all’interno del
corpo comincia a fluire insistentemente e non si placa. Testardo, irascibile,
incontenibile quando si tratta della sua natura, e ciò probabilmente non
cambierà proprio mai, dovessero passare almeno altri cent’anni!
Spicca
un salto, fermandosi su di un ramo in modo da non essere raggiunto. Questo è il
suo modo di farle intendere che al momento non ha alcuna intenzione di
riappacificarsi con lei, a differenza sua ha modi ben diversi per sbollire la
rabbia.
Piega
il busto in avanti, andando a schiacciare il volto sul palmo della mano,
fissando un punto invisibile tra le fronde dell’ontano sul quale s’è
arrampicato.
Oh no, questa volta no. Non cadrò nel
tranello di dartela vinta!
Sì,
orgoglio, proprio quello. Perché ammettere che la sua immaturità riesca a
raggiungere livelli abissali non sarebbe cosa permessa. Le scuse sono da
donnicciole. Non gli risulta d’essere ancora arrivato a doversi piegare a un
simile stadio, quindi, rimarrà lassù finché non se la sentirà di perdonarla.
Lampi
di cenere. Celere, non più come un tempo, quando anche l’etere pareva
incedergli alle spalle per suo timore, ma ugualmente in forma perfetta. Labbra
incurvate, mentre l’olfatto studia il pulviscolo come se avesse percepito
qualcosa di mai fiutato nell’aria.
«Kagome»
indubbiamente, come potrebbe dimenticare un aroma così suadente in soli tre
anni? Tempo che è parso quasi interminabile, ma che ora è giunto, e lei è da
qualche parte in mezzo alla boscaglia che attende semplicemente d’essere
accolta tra le sue braccia.
«Dolce,
cara, innocente Kagome!» ripete, pregustando già l’attimo in cui sarà
sopraffatto dal suo balsamico effluvio.
I pini
paiono arcuarsi sottomessi al suo passaggio, come se le sue gambe non fossero
mai state private dei frammenti della sfera.
«Oh, eccoti!»
spalanca le braccia, sbucando dal primo agglomerato di fogliame alla sua destra,
nel tentativo di stringerla come un tempo tra le fauci degli arti che paiono
aprirsi per divorarla famelici. Deve aver percepito anche l’odore del cuccioletto da qualche parte, ma quando
mai gli è importato qualcosa della sua presenza? L’unica visione che riesce a
riempire totalmente il suo sguardo ora, è quella della sua donna avvolta in seducenti
abiti da sacerdotessa.
«No?»,
ripete lei. Lo osserva per qualche istante, cercando di contenere la rabbia e
riordinare le idee –
Si è
nascosto, lui. Vigliacco.
«Ti odio
InuYasha! Ti odio», urla, nascondendo il volto tra le mani e concedendosi un
singulto esasperato. Non tratterrà il pianto, non ne ha alcuna intenzione. «Ti
detesto!».
Poi i
passi, poi il vento. Poi Koga.
Kagome
si volta di scatto, perplessa, mentre il demone lupo fa la sua apparizione – si
muove baldanzoso, gli occhi che luccicano di gioia e un sorriso sornione sul
volto. Il naso freme impercettibilmente – Perché non è con Ginta e
Hakkaku?
«Kagome»,
la chiama. Si avvicina. «Kagome».
È il solito Koga.
Eppure,
c’è qualcosa, in lui. Una nota stonata, finta, costruita. Lo sguardo è
gaudente, d’accordo, ma non come in passato, e lei questo lo percepisce bene.
Forse
non riesce ancora ad accettare di non aver battuto Naraku. Forse si sente in
colpa.
«Kagome»
mormora il demone. Gli verrebbe quasi voglia di abbracciarla, ma non rischia.
«Oh, Kagome! Mi sei mancata tanto».
Ci mancava solo Koga.
«Ciao»,
balbetta, tentando di camuffare il tono della voce. Dovrebbe anche passarsi una
mano sul volto: le lacrime le hanno bagnato considerevolmente le guance, e la
cosa la fa apparire triste, stanca. E sì, triste e stanca lo è davvero, ma
sarebbe preferibile non palesarlo troppo. «Ciao, Koga».
Tutto
qui?
Non
che si sarebbe aspettato una reazione diversa ma, lei non l’ha mai salutato con
un velo pietoso nel tono, non quanto questo almeno. «Non sei felice di
rivedermi?» domanda, tentando di chinarsi col busto per osservarla da una
prospettiva diversa. No, il problema è più grave del previsto: Kagome non è
raggiante. E quando lei non è felice, persino lo zirlare dei grilli in
lontananza sembra stridere esageratamente.
Lei
sorride, lei è vitale, lei sprizza energia da ogni poro; quando invece
manifesta un timbro vocale così strano, percepibile unicamente da qualcuno che
oramai ha imparato a studiarne anche la più invisibile sfumatura, allora, può
esserci un motivo soltanto.
Una
causa che non gli piace per nulla, che puzza di cane e che possiede
indiscutibilmente il potere di far piombare una creatura come lei nella più
nera disperazione.
Ha un
solo nome, tale sciagura…
«C’entra
qualcosa il sacco di pulci, per caso?» inarca le sopracciglia contrariato,
andando a indagare nell’etere per trovarvi una sua traccia «Nessuno può calare
ombre sul sorriso della mia donna!»
proclama imperativo, alzando lo sguardo per farsi ben udire da chi al momento
abita i piani superiori, a quanto pare.
L’ha
sentito, ha carpito il suo fetore da quando ha messo piede nella radura
circostante, è stato in religioso silenzio a piegare le spalle e a dannarsi con
quel malefico tic che gli ha catturato il sopracciglio destro in modo
inevitabile. Non poteva marcire nella sua tana per altri mille anni? Doveva
proprio sbucare fuori in una situazione del genere? Che vede lui, come unico
colpevole contro il quale puntare l’indice?
Io non ho le pulci.
No,
non è questo il punto! La frase - “alla mia donna” - non dovrebbe nemmeno
essere contemplata nel vocabolario di quell’appestato! Questa, è la questione
fondamentale.
Non è
compito del lupastro preoccuparsi di affari che non lo riguardano minimamente, e
ancor meno di inneggiare ai quattro venti in difesa della sacerdotessa, auto investendosi
della carica di paladino della giustizia.
Non
esce allo scoperto, non ancora, deve resistere alla tentazione di mozzargli la
testa – perché lui è ancora arrabbiato – e dunque non si muoverà da
quell’albero.
«Probabilmente il cuccioletto non ha gli
attributi per difendere ciò che ritiene di sua proprietà», volge lo sguardo
verso Kagome, nuovamente, mostrandole il sorriso più smagliante del suo
repertorio. «Orsù, ti ho già proposto milioni di volte di abbandonare quel coso e di diventare la mia donna. Dopo tre anni, non pensi sia
giunto il momento di fare un salto di qualità non indifferente?» si avvicina,
prendendole le mani tra le sue «Con me non verseresti nemmeno una lacrima»
conclude, più che convinto della sua tesi. Kagome cederà stavolta, e giacché il
bastardino non ha la minima intenzione di palesarsi, ha praticamente la
vittoria in pugno.
Continua,
imperterrito. Le palpebre si abbassano, mentre il braccio, che sta tumefacendo
una porzione di legname da circa dieci minuti buoni, sta tremando di puro
istinto omicida.
No, che faccia quello che vuole, sono
ancora arrabbiato.
Cocciuto,
come nemmeno il pezzo di granito più duro riuscirebbe a essere. Non si muove,
né quando il lupo continua ad offenderlo in modo gratuito, né quando osa
prendere le mani di Kagome tra le sue.
La
pazienza sta scadendo molto velocemente. L’ultima accusa, quella più forte,
dilania in modo totale ogni schema mentale prepostosi inizialmente. E’ già
successo una volta, che lui mettesse in mezzo la storia del piagnisteo. Sa
benissimo quanto questo possa irritarlo nel profondo, e si ostina a voler così
male alla sua vita.
«Io
non …» principia, spiccando un salto dal ramo per ritrovarsi di spalle a Kagome
e diritto di fronte a Koga, frapposto come il giovedì tra i due. «faccio
piangere nessuno» ringhia, ponendosi dirimpetto per mostrargli che lui sa
difendere benissimo le sue cose.
«Credevo
avessi rinunciato all’idea del suicidio,» continua, mentre anche il tono si
solleva con maggior astio. «Ma a quanto pare non hai proprio capito l’antifona,
razza di progenie di una zecca!».
«Ma
davvero? E immagino che tu sia qui per farmela capire, l’antifona» ribatte l’altro, col chiaro intento di non volersi
spostare dalla sua posizione.
«Oh,
contaci» pare pronto a estrarre Tessaiga in qualsiasi momento, e anche che
l’argomento Kagome sia oramai andato perso da un paio di battute.
«Sto
tremando» oh sì, questa volta anche lui
ha un’arma con la quale potersi gingillare, e non si farà scrupolo al doverla
usare, nel caso venisse attaccato. «Idiota» formula, mostrando i denti, con la
bocca ben aperta per evidenziare ancora di più l’aggettivo.
«Debosciato»
e gli insulti volano gratuitamente, come se il tempo, tra di loro, non avesse
sortito il benché minimo cambiamento. In tutto questo, la lotta per mostrare
chi è il più forte, supera di gran lunga quella del chi sa difendere meglio la propria donna, ma cosa ci vuol fare? Tra
animali ci s’intende alla grande.
«…Siete due bambini, per
caso?».
Si pone fra loro, irritata,
guardando prima l’uno e poi l’altro – oh, uomini. Non puoi farne a meno, non ti
è possibile comprendere i loro arcani ragionamenti.
Nota gli occhi di Koga
lampeggiare appena, soddisfatti. «Oh, Kagome», ridacchia il demone dopo pochi
secondi, ormai dimentico del litigio. In fin dei conti, perché attaccar briga
con uno stupido cagnaccio, quando si può godere della compagnia della donna
amata? «Non preoccuparti. Oggi eliminerò ‘sto idiota una volta per tutte, e il
nostro destino sarà roseo».
Roseo, sì. Certo.
Sospira.
Dovrebbe dargli corda, no? Perché dandogli corda, potrebbe far ingelosire
InuYasha, e facendolo ingelosire potrebbe divertirsi un po’. Dovrebbe fare la
svenevole, stringere le mani di Koga e sorridergli dolcemente, magari
giurandogli amore e devozione.
Dovrebbe, ma
non sarebbe giusto nei confronti del demone lupo. Sarebbe prenderlo in giro –
spezzargli il cuore, forse –, deridendolo palesemente. E per quanto Koga a
volte risulti troppo espansivo, davvero troppo, troppo, troppo espansivo,
fargli del male non sarebbe piacevole.
Quindi
dà una celere occhiata ad InuYasha, curiosa. Magari lui è infastidito, forse
attende una scusa per sferrare un pugno a Koga.
Forse,
forse, forse. Forse sì e forse no.
«Dunque»,
prova a dire, la voce che trema appena, «uhm, siete grandi e grossi tutti e
due. Se volete picchiarvi, fatelo». S’interrompe. Sa che InuYasha è in attesa –
lo conosce e lui conosce lei –, e sospetta che invece Koga sia già pronto, le
dita chiuse in una morsa. Prende fiato, lasciando che l’aria le pervada i
polmoni, e poi espira, ben più calma. «Ma se vi picchierete, sappiate che non
rivolgerò più la parola né all’uno né all’altro».
«Kagome,
mia adorata, stai scherzando?».
No, non
sta scherzando. O almeno, è ben decisa a mantenere i propri propositi, quindi
non si arrenderà tanto in fretta.
Guardatelo,
com’è capace di abbandonare una diatriba per divenire la scamorza della
situazione. Svenevole, che quasi gli potrebbe provocare un’ulcera al momento.
Lo
sguardo segue i movimenti di Kagome, per poi passare al lupo, ed infine di
nuovo su di lei. «E’ una questione di
resa dei conti, tu non devi impicciarti, sei una donna!» ribatte, come a voler
sott’intendere che oramai la sacerdotessa è evasa dall’argomento da qualche
minuto oramai, è una faccenda da ‘’uomini’’.
Ringhia,
arcuando un sopracciglio perché lei SA di non doversi intromettere in questioni
che vanno al di sopra della sua competenza. Lui ed il lupastro hanno uno
scontro sospeso da secoli, che ha l’urgenza d’essere concluso.
La
mano sfiora l’elsa, mentre il passo si sposta in corrispondenza del pozzo, che ora
s’intravede a ridosso del confine boschivo, piazzandovisi dinanzi come a voler
dar inizio alle danze.
Le
minacce, nel suo caso, servono a ben poco, perché si sa che quando InuYasha
desidera combattere, nemmeno la discesa di qualche Dio in terra potrebbe
placare l’adrenalina che ha preso a corrergli celere nel sangue.
Koga,
dal canto suo non può tirarsi più indietro oramai, sarebbe come guardare la
propria dignità calpestata sotto i piedi di quel mezzo inetto, e non potrebbe
sopportare l’ennesimo smacco. In primis, è stato lui a privarlo del gusto di
poter vendicare la tribù Yoro da Naraku. Secondo poi, no, per nessuna ragione
al mondo potrebbe subire un’altra sconfitta.
«Scusami,
Kagome» conclude abbassando lo sguardo, tentando di scagionarsi per non poter
accondiscendere questa volta.
«Se sei pronto, possiamo cominciare immediatamente
» propone, sollevando la mano dove presto
farà la sua apparizione Goraishi. Si squadrano, studiandosi come se il campo di
battaglia, in quel momento, inglobasse unicamente loro due.
Le iridi del mezzo demone si posano su
Koga, ebbre del desiderio di porre fine allo scontro con un’unica vittoria, in
suo favore ovviamente. Incurva le labbra piegando le gambe, divaricandole poi
verso l’esterno, per poi infine, estrarre Tessaiga, che si attiva dietro
l’usuale luminescenza. «Prontissimo, fatti sotto» solamente per un millesimo,
la guardia viene abbassata per muovere lo sguardo in corrispondenza di Kagome,
sa benissimo, che dopo questo non gli rivolgerà davvero la parola, ma è come se
volesse essere seguito lo stesso nel combattimento, per dimostrarle che sarà lui
ad aggiudicarsi come sempre, la vittoria, rispendendo a casa il microcefalo con
tanto di coda tra le gambe.
E’ lui il più forte.
Dopo aver fatto ammenda per circa due
secondi, eccolo che scatta sul posto, sollevando un polverone ampio alle sue
spalle per concedersi la prima mossa.
La lamina dello spadone si solleva,
riflettendo il riso di soddisfazione che ora intacca le labbra di InuYasha in
tutta la sua strafottenza. Non ha intenzione di colpirlo direttamente, non ci
sarebbe gusto a farlo fuori in una mossa soltanto, o forse, ancora più
probabilmente, non ha intenzione di ucciderlo. Non ancora, almeno.
La punta di Tessaiga si scontra con gli
artigli dell’arma di Koga. Stridono, s’intersecano, si allontanano e colpiscono
di nuovo in un incontrarsi di ferri. Un balzo, da parte d’entrambi, e ora il
mezzo demone si trova in bilico sulle assi del pozzo col busto reclinato,
pronto a sfruttare le vere potenzialità della spada.
La katana si alza sopra il capo, mentre
l’elsa viene afferrata con entrambe le mani. Prende un respiro profondo, mentre
mostra i canini, smargiasso.
«Kaze…», pare deciso a scagliare uno degli
attacchi che più predilige in assoluto. La spada s’illumina dell’usuale alone
giallastro, caricando una consistente quantità d’energia attorno alla lama.
«Oh, hai intenzione di muoverti sul serio
cuccioletto? Non aspettavo altro!» oh sì, non aspettava nient’altro.
Prende una breve rincorsa, si piega in
avanti, flette le gambe e spicca un balzo proprio sopra il mezzo demone, con
l’unico intento di far pervenire dall’alto il suo personale biglietto da
visita.
«no… Kiz…» il volto si abbassa per due
secondi soltanto, e il colpo viene bloccato ancor prima d’essere inferto. «Che
diam…» sgrana gli occhi, mentre sotto di lui, proprio all’interno del pozzo, si
contorce una fattispecie di buco nero violaceo.
«Ehi, sacco di pulci, hai per caso
cambiato idea?» ringhia l’altro, senz’attendere risposta. Scaglia, infatti, il
suo attacco, ignorante del fatto che l’attenzione del suo avversario, al
momento, sia stata catturata da qualcos’altro.
Vorrebbe
urlare, far qualcosa, magari avvicinarsi. Vorrebbe gettarsi addosso ad InuYasha
– a quel cretino di InuYasha – e trascinarlo via. E non per difenderlo da Koga,
no, anche se quest’ultimo è pronto ad attaccarlo e ferirlo. Non vuole aiutarlo.
Hanno scelto di battersi autonomamente, lei non ha alcuna intenzione di
disturbarli.
Se i
bambini hanno deciso di combattere, che combattimento sia. Poco le interessa,
in verità.
Oh, Kami.
Viola,
nero, buio.
Il
pozzo. Il pozzo, il pozzo, dal pozzo proviene una strana luce, e dà fastidio,
diamine, tanto fastidio, come se le stesse per scoppiare la testa o giù di lì.
Il pozzo sta impazzendo, emana una strana aura. Dà fastidio.
«InuYasha»,
mormora. Si porta le mani sulle orecchie, cercando di calmarsi. Male, male,
male, fa malissimo, quella luce le fa male, tanto. «Uno, due, tre», inizia,
«quattro, cinque e… sei, sette, otto – oddio. InuYasha!».
Koga
non s’è fermato, tutt’altro. Continua a correre verso l’hanyou, pronto a
ferire. Spicca un balzo.
«Fermatevi!
Koga, fermati! Il pozzo-».
«Cosa,
mia diletta?».
Mia diletta un corno.
Inspira ed espira più volte, cercando di calmarsi: InuYasha è ancora in
pericolo, stoicamente fermo sulle travi di legno. «Koga, guarda il pozzo! Emana
una strana luce».
La
mano destra del demone si blocca di scatto, quasi come trattenuta da una forza
invisibile. «Io», inizia a dire, incerto. Poi si volta verso Kagome, confuso,
agitando le gambe nel tentativo di arrestare il salto.
Se lei
l’ha fermato, beh, allora dev’essere importante, perché altrimenti non si
sarebbe messa in mezzo. Avrebbe tenuto il broncio, sì, e ricominciare a
parlarle gli sarebbe costato enorme fatica, ma non avrebbe mai urlato, né
inventato una scusa sciocca come quella.
«Guarda,
Koga! La luce, vedi? Emana una strana aura!».
«Già.
Hai ragione».
Sì,
c’è sicuramente qualcosa di strano nell’etere. InuYasha rimane fermo, anche
quando avverte l’avvicinarsi di Kagome. «Cosa diavolo…» principia, lanciando
mezza occhiata a Koga che s’è interrotto nel bel mezzo dell’attacco,
avvicinandosi al pozzo per sporgersi e dare un’occhiata al suo interno.
«Un demone?
» chiede il lupo, mentre la sua voce
echeggia all’interno del nugolo violastro. Inarca le sopracciglia, passando
nervosamente le dita sul bordo della costruzione.
«Non credo, non emana alcun odore
particolare» a rispondere è l’hanyou, che piega le ginocchia, storcendo il naso
in una smorfia, per accostarsi anch’egli all’entrata.
Lo sguardo va alla sacerdotessa, in ultimo, pare che lei sia infastidita, in un certo senso, dalla strana apparizione. «Che si stia riaprendo il passaggio con la sua epoca?» è una domanda più a se stesso che al resto della combriccola. Aggrotta la fronte, per poi spiccare un balzo e ritrovarsi di fronte alla compagna, chinandosi alla sua altezza per verificare la sua attuale situazione psicologica.
«Hai avvertito qualcosa di strano?» piega
le labbra, inspirando profondamente per poi correggersi quasi subito «stai
bene, Kagome?» le mani si spostano sulle sue spalle. E’ inevitabile non
scorgerle qualcosa di strano sul volto.
«Ehi, ehi!», il lupastro par voler
richiamare l’attenzione dei due, agitando il braccio verso l’alto, allarmato.
«Il vortice si sta… ampliando» conclude.