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Autore: Inucchan_Roro    23/04/2010    14 recensioni
Rimane silente però, piegando lo sguardo sotto di sé, a contare con noncuranza i fili d’erba che s’intersecano ad ogni passo. Il volto rimane piegato sulla destra, lungi dal rivolgerle lo sguardo. Non è per niente abituato a tutto questo; al fatto che lei non prenda troppo distacco, che sia sfacciata il doppio di lui, e che si permetta di minare la distanza di sicurezza che lui si danna a frapporre [...]
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Borderline

Linea di confine

 

 

 

Scenetta introduttiva.

Questo che vi apprestate a leggere, dovrebbe, in teoria, essere solamente un mero incipit. (Ho detto dovrebbe, non che lo è). La vera storia è molto più sotto, quindi, se non volete abbandonare lo scritto ancor prima di averlo letto, saltate la prima parte del documento e andate alla fan fiction.

 

 

Buongiorno/pomeriggio/sera/notte, a qualsiasi ora tu stia leggendo. Come va? No, aspetta, niente domande personali, no. Uhm: siamo due pazzi psicopatici e vogliamo presentarvi la nostra ultima fatica (?).

No scusa, chi sarebbe lo psicopatico? Parla per te!                

U_U Lo sei anche tu, ehi. La storia è stata concepita da entrambi, mi sembra. E scleriamo almeno una volta al giorno, quindi siamo pazzi. Ma taaaanto adorabili, questo sì.

Personalmente non mi ritengo nè pazzo, nè tanto meno    adorabile    . Quindi ripeto, parla per te!         

U____U Va bene. Siamo una pazza e una divinita, allora.   

divinita? Divinità, a casa mia u_ù

         Sì, lo so. .______. Non credevo fossi meritevole dell'accento, tutto qui. <3   

Non mi ritieni meritevole dell'accento? Osi    per caso     dubitare del tuo Dio? No, perchè se così fosse, sai che sarei costretto a rivedere la mia selezione di sacerdotesse, nevvero?         

Ma scherzavo, Dio-sama! Scherzavo! Ovvio che meritate l'accento, sìsì. In ogni caso, stiamo divagando.   

Decisamente sì. Dovevamo, uhm, cosa stavamo facendo?

Dovevamo presentare la fan fiction, credo.

Ah sì, la fan fiction. No, aspetta, abbiamo scritto una fan fiction?

Certo che sì. Una beeeella fan fiction, ambientata dopo la fine del manga... Ricordi?

Ah, giusto! ''Quella'' roba.

Non chiamarla roba che poi si offende! Si chiama Borderline, ricordatelo: B-o-r-d-e-r-l-i-n-e.

Ah-ah. Ricordo, sì. Credo che dovremmo avvertire coloro che saranno tanto paz..., ehm, coraggiosi, di leggere l'opera, che sarà moooolto lunga.

Ma interessante, no? Noi lavoreremo affinché la storia risulti piacevole, in fin dei conti, quindi sarà interessante.

Ovviamente, e non diremo a nessuno che prendiamo mazzette esterne per sgobbare giorno e notte...

Certo. Perché, volevi dirlo? Insomma, è un segreto, i lettori non devono saperlo.

Infatti, ma, ops..., Ro, credo che lo abbiano scoperto!

Argh. Uhm, facciamo finta di nulla e continuiamo a presentare, okay?

[Si guarda attorno con non-chalance] Perchè, tu hai detto qualcosa per caso? Io non ho sentito nulla, e non ho aperto bocca.

Neppure io. Quindi, uhm... Dicevamo che la fan fiction sarà tanto carina ed interessante. E i protagonisti... vuoi dirlo tu?

I protagonisti, oh, quelli sono decisamente il pezzo forte ... [tossicchia e chiama il suggeritore nel retroscena] Chi cacchio sono i protag...ah, sì? No!Non ci credo. Ma l'hai ordinata la pizza? Sì, ah bravo bravo. Cosa? Ma è un furto in piena regola! Sì, metti tutto sul conto di Ro. Bravo. Grazie, sì. [Torna a guardare i lettori] Eh? Kagome e Inuyasha ovviamente! Credevi che non lo sapessi eh?

...sul mio conto, dici? Oh, uff, e pensare che quello che lavora sei tu, tra i due! Comunque, sì. InuYasha e Kagome.

Non sono mica tuo marito, devo mantenere pure te? Ma guarda questa! Ehm, sì. La storia è sicuramente interessante, quindi, inviterei coloro che stanno ancora seguendo questo scempio, di scendere con la scrollbar un più giù, dove c'è la storia.

Ovvio che non sei mio marito ò____o, non vedo perché dovresti esserlo, ma... perché dovrei pagare io per te? Comunque, concordo con Dio-sama: scendeeeete un po' più giù e godetevi la nostra storia. Non vi costa nulla, no?

Infatti! Mi chiedo perchè stiamo ancora a parlare del conto della pizza, ma vabbè. Sì, esatto! Su, su. Via, sciò!

Lasciamo in pace 'sta pizza, per stavolta offro io. *Guarda i lettori* Sciò, abbiamo detto. ò______o Viaaaa! Leggete e commentate, mi raccomando.

[Mangiando la pizza] Mhnm, Ro...?

...potresti almeno darmi un pezzo di pizza, Matt. Comunque, che c'è?   

Ho mangiato anche la tua parte [sorriso angelico].

Oh. Che amore di Dio-sama, eh? *Strappa via Tessaiga dalle mani di InuYasha e la sventola* Oh, chissà cosa succede se te la do in teeeesta!

Per una pizza? Quanto sei violenta! [Scappa, comunque, si sa mai]. Buona lettura!

*Ripone la spada e si mette a giocare con la sua tigre, Neko* Su, via! Buona lettura!

 

                                                                                 

 

 

 

 

 

Capitolo I

 

 

 

 

 

Spente. Spente, dietro le palpebre, le corolle degli occhi.

Leggero, così leggero d’aver la parvenza d’essere quasi nullo, il sonno.  Il silenzio troneggia tra i fili di bruma, che, alti, s’intersecano sulla volta, calando d’attimo in attimo lo spettrale sipario d’una notte immersa nei grigi toni della nebbia.

Invisibile. Il respiro che solleva la gabbia toracica dall’alto verso il basso, tanto che all’osservarlo egli pare il riverbero di cinquant’anni prima. Sembra quasi che da allora non si sia più risvegliato, permanendo nella quiete, visibile unicamente su d’un volto apparentemente morto.  Da quanto, il trovar rifugio tra le braccia nodose del secolare non somigliava ad un sonno in piena regola? L’inconfondibile aroma del buio sporco di sangue non è più percepibile, v’è solamente odore di fosco, strano, inusuale, quasi monotono nulla.

Un suono.  Rumore che frange la solennità del silenzio, sparpagliandosi in decibel sempre più acuti che raggiungono la soglia dell’udito. Le orecchie si muovono impercettibilmente, all’avvertire la violazione quasi punibile del suo riposo riconquistato. L’oblio del sipario nero gli risparmia la visuale dell’intruso, costringendolo a svegliare in modo completo le iridi, e dunque ad aprire le palpebre, scostando infine lo sguardo poco più in là della sua posizione.  Né le labbra, né il volto, si contraggono in qualcosa di particolare. Non avrebbe avuto bisogno di scomodare la veglia per catturare il fattore di disturbo, gli sarebbe bastato analizzare la fragranza che forte, ora si scinde dalle altre, divenendo ancor più percepibile dell’acre sentore di fogliame rigettato dallo stesso Goshinboku. Chiude nuovamente le palpebre poi, in modo immediato. Una scusante, semplicemente per fingersi disturbato, per far sì che sia sua la colpa di quel brusco ridesto, e non il fatto che in realtà non stesse dormendo affatto.

  

   Tanto lui è sveglio    .

Lei lo sa, ne è certa. L’ha capito nel preciso istante in cui gli si è avvicinata e, senza alcuna ragione – ragione logica, almeno –, si è volta a fissarlo. L’ha capito dal modo in cui InuYasha ha sospirato, dal modo in cui si è passato nervosamente una mano sul volto, dal modo in cui si è morso il labbro inferiore.

L’ha capito ed è sicura, punto. È così e basta.

Lui è sveglio, ed è lì, solo, che cerca chissà quale aroma nel vento, e la cosa la preoccupa – perché se InuYasha si è addormentato ai piedi del Goshinboku, allora qualche problema deve esserci. E se c’è, lei vuole saperlo.

«Dormi?», chiede. «Tanto lo so che lo sei. Sveglio, intendo».

InuYasha tira su col naso, distratto, gli occhi che ancora si ostinano a restare chiusi – oh, dannato sciocco bambinone! Di quando in quando potrebbe anche ricordarsi di essere gentile. Non tanto, eh, il giusto.    Non c’è bisogno di diventare zuccherosi    .

«Dai, lo so che sei sveglio. Hai un sopracciglio inarcato». Si avvicina, lenta, e gli preme un dito sul volto. «A-ah. Proprio qui, vedi?».

«Lasciami in pace».

Oh. Uhm, allora era sveglio e stava fingendo. Idiota, idiota e ancora idiota.

 

Beccato. Distorce il naso in una smorfia ora, costretto ad aprire le palpebre in una silenziosa ammissione. Il labbro destro si piega verso l’alto, demarcando un disappunto malcelato su quest’ultime. Il braccio si alza, parandosi dinanzi al volto per scansarle l’indice presso in faccia.  «Hai preso il mio naso per un pulsante, forse?» chiede, quasi ironico.

Le palpebre si abbassano, mentre il fiuto percepisce direttamente lo scontro olfattivo con l’odore di lei adesso. No, non ci riesce più come un tempo a prendersi gioco di lei, a  quanto pare. Gli arazzi di vento, quieti, si spostano astratti sopra le nubi, piegando riverberi d’ombra sull’ombra stessa, nella notte.

«Stavo solo tentando di riposare, a quanto pare. Ci sarei anche riuscito, se non fosse arrivato qualcuno a disturbarmi…». Piega il capo di lato, sollevando entrambe le braccia al petto per socchiudere l’occhio sinistro, mentre solamente l’altro rimane leggermente aperto nell’osservare il profilo della sacerdotessa. Lei è, effettivamente, una di quelle ora. Inspira profondamente, poggiando il capo al tronco del secolare per rilassare in seguito le spalle, cercando di non dare a vedere che il saperla là, in quel momento, ha evaso dalla mente ogni dubbio di tensione che s’era amalgamato con la muscolatura.

«Dovresti essere al villaggio, non qui» mente, inarcando un sopracciglio con finto disappunto, per dimostrare che in fondo, la sua presenza non è poi così desiderata.

La gamba si solleva, traendosi stretta accanto al busto dove il braccio va ad avvolgere il ginocchio. Alla movenza, la katana legata al fianco cozza sulla corteccia provocando una mal sorta di rumoraccio ferroso. Trattiene il respiro ora, mentre termina la sua arringa in un “keh” conclusivo.

 

Offenderlo sarebbe facile. E sì, le darebbe una soddisfazione – una piccola gioia infantile, un breve istante di puro godimento – infinita.

Sarebbe semplice aprire la bocca e parlare. Sarebbe semplice insultarlo, mostrarsi contrariata, così come sarebbe semplice sorridere bonariamente e far finta di nulla.    Sarebbe semplice    .

Potrebbe minacciarlo di andar via, di trasferirsi da Kaede, di ospitare Shippo da loro per un paio di notti. O magari, potrebbe tirargli un orecchio, urlare quella-parolina-lì e andare via.

Se lo meriterebbe, del resto. Le ha fatto intendere di non volerla accanto, di preferirla al villaggio – e per quanto si sforzi di esserlo, Kagome tollerante lo è poco e in radi istanti.

Dovrebbe schiacciarlo al suolo, sarebbe divertente.

Oh, sì. Se lo meriterebbe proprio.

«Prima di tutto», comincia, lasciando ricadere mollemente la mano lungo il fianco, «   non     m’interessa se ti do fastidio. Obiettivamente, la foresta non è tua. Se voglio passeggiare o fare altro, son fatti miei». Perché insomma, dannazione, il suo desiderio di passeggiare non va erroneamente confuso con una sorta di – come dire? – inseguimento. Non era uscita per pedinare lui, sia chiaro, non ne aveva alcuna intenzione.

Seguirlo non le avrebbe procurato alcun giovamento.

«Se non sai sceglierti i nascondigli, allora non criticarmi! In fin dei conti», prende fiato, nervosa, la manca che si chiude a pugno e trema appena, «hai deciso tu di accamparti ai piedi del Goshinboku: ho interrotto il tuo riposino, d’accordo, ma la colpa non è mia. La foresta è suolo pubblico, chiunque può accedervi e disturbare il sonno altrui, sai?».

 

Sgrana gli occhi, spostando il capo a guardarla come se avesse appena visto un fantasma. Ha qualche problema con il ciclo mensile, – che Miroku ha s’è guardato di spiegargli – o cos’altro? Sbatte le palpebre e inarca un sopracciglio, confuso, mentre le orecchie scostano i padiglioni in modo automatico, quando il suo timbro s’innalza in toni che non dovrebbe possedere. «Hai finito con la ramanzina, o devo sorbirmi altro?», sospira, sollevandosi. Incrocia le braccia e la aggira in pochi passi, come se nulla fosse, per fermarsi, volto di spalle, allineato al suo fianco. Le palpebre s’abbassano completamente, dopodiché il braccio si solleva e il palmo della mano si posa sulla fronte di lei, senza sbilanciarsi troppo, in un gesto che dovrebbe apparire puramente casuale. «Non hai la febbre, vero? Il tuo livello di acidità si è alzato un po’ troppo per i miei gusti personali», ribatte secco, aprendo un occhio per controllarla da sopra la spalla. «Non sembra», prende una pausa, abbassando le spalle per compiere un passo in avanti e distogliere l’attenzione peccaminosa rivoltale.

«Puoi tornare alla tua passeggiata…», mormora, seppur il tono non lasci trapelare troppa convinzione. Ha sollevato involontariamente le palizzate d’orgoglio che l’hanno sempre contraddistinto, anche se il corrugamento mal celato del volto dimostra tutt’altro. Le braccia tornano a unirsi salde sotto il petto, mentre alza il naso per aria con la chiara intenzione di sottolineare la sua superiorità. «Se vuoi…» conclude, mentre il capo si abbassa di poco, andando a scrutarla segretamente per osservarne la reazione. Accidenti a lui però! Mai proporre una possibile selezione d’altre opzioni, sarebbe dovuto sembrare un imperativo categorico, non qualcosa da poter scegliere.

 

Potrebbe chiedergli cosa intende, ma sarebbe inutile. Tanto lo sa, lo sa bene, e insistere sarebbe solo rigirare il dito nella piaga. E a lei non va di essere più pedante del solito.

Gli sorride, per fargli capire che no, non è più arrabbiata – o meglio, lo è ancora ma non ha voglia di litigare –, e che sì, possono passeggiare insieme. Perché lui è arrogante,     tanto    , e indisponente sino alla nausea, eppure tenero, e lei vuole disperatamente stargli accanto, anche a costo di dimenticare qualche sciocco screzio.

«Certo», risponde. Allunga una mano nella sua direzione, stringendo poi la destra di InuYasha con fare pratico. «Possiamo», continua – e lo tira dietro di sé, «fare un giro, se vuoi. Un giro insieme, dico. Tu non stavi dormendo davvero, quindi accompagnarmi, non dovrebbe essere un problema».

Non gli lascia il tempo di replicare, perché lasciarglielo significherebbe concedere al suo dannato orgoglio di riflettere su quanto sta facendo: semplicemente, ride e comincia a camminare.

«Sai che Sango è nuovamente in attesa?», proclama dopo un po’. «Sono quasi invidiosa. Sarebbe il quarto figlio, eh! In ogni caso, tre gravidanze a così breve distanza sono pericolose, forse dovrebbe concedersi una pausa».

Non è una critica, la sua, sia chiaro. Non sta sottolineando – o forse sì? – che Sango e Miroku possono già vantare,    pur essendo giovani    , un cospicuo numero di eredi.              

Oh, no. Lei non vuole sottolineare questo: non è alla ricerca di una gravidanza, non così presto. No, davvero no.

E poi, InuYasha quasi non la sfiora – e se lo fa, è quasi in modo costretto, obbligato. E a lei quei tocchi disinteressati poco piacciono.

«Sono felice per loro! E tu?».

 

Non era sua intenzione sott’intendere una passeggiata. Fare quattro passi romanticamente al chiaro di luna è roba da sentimentali. Lui non è per niente sensibile, né mai lo sarà, probabilmente. La coltre di nembi si scosta dalla falce, relegando un ritaglio di luce poco più in là della loro posizione, è facile ora intravedere il volto di lei stagliato tra i raggi. Anche il suo imbarazzo probabilmente, lieve, ma ben distinguibile, che ha deciso di palesarsi sul volto alla presa d’iniziativa dell’altra. Stava appunto per ribattere con qualcosa tipo “Perché dovrei seguirti? Non dovevi passeggiare da sola?”. Rimane silente però, piegando lo sguardo sotto di sé, a contare con noncuranza i fili d’erba che s’intersecano ad ogni passo. Il volto rimane piegato sulla destra, lungi dal rivolgerle lo sguardo. Non è per niente abituato a tutto questo; al fatto che lei non prenda troppo distacco, che sia sfacciata il doppio di lui, e che si permetta di minare la distanza di sicurezza che lui si danna a frapporre.

Le parole della sacerdotessa non raggiungono immediatamente la mente. Al momento è troppo occupato a vagare su ben altri orizzonti, per preoccuparsi dell’ennesima gravidanza della sterminatrice o del fatto che il tono di Kagome possa anche solo lasciar intendere qualcosa di sospetto.

Si sta concentrando, quasi a farlo apposta su qualsiasi cosa di differente, per non pensare a quelle cose là, che per un essere per metà umano non passano inosservate, specialmente se quella parte è maschile. Istinto. Dovrebbe chiamarsi così, quella frazione del suo essere, che gli sta intimando di cercare qualsiasi modo per svignarsela per non commettere errori che potrebbero costargli la vita. Sì, perché dopo tanto tempo senza una controparte femminile, il corpo recepisce molto meglio i ferormoni che la sua attuale compagna sparge nell’aria come riso ad una festa, e se non ne fosse intimamente attratto, probabilmente avrebbe qualche serio problema fisico. Schiarisce la voce ininterrottamente, camminando ora più celere di lei, in modo che la presa con la sua mano possa sfuggirgli accidentalmente. Deve sembrare un caso, altrimenti lei si adirerebbe ancora di più, e lui finirebbe spalmato sull’erba a nutrirsi d’essa.

Per volere del fato però, la domanda di Kagome giunge quasi opportuna, tanto da farlo sobbalzare per scattare di lato come una sentinella, «Che cosa dovrei pensarne? Sono domande da porre queste?» In realtà la questione riferita è ben più semplice di quella carpita effettivamente, ma c’è forse differenza? Intanto è riuscito a divincolarsi, quindi, il problema maggiore è stato scansato in modo eccellente.

«Ben per loro» ribatte unicamente, continuando a camminare per conto suo a circa venti passi di distanza.

Succede da poco. Solo ultimamente, il suo corpo ha cominciato a reagire in modo strano alla presenza di Kagome, e, questo, non gli piace proprio per nulla.

 

«Non riesci a mostrarti un po’ più entusiasta?», chiede irritata, accelerando il passo – non tanto per allontanarsi da lui, in verità.    Non ce n’è bisogno, no davvero    .

Mettere distanza tra loro non significa cercare di ferirlo, significa giustificarlo.

Significa tentare di convincersi che, beh, le loro mani si sono divise, questo sì, ma non deve preoccuparsi, perché, se ora non si sfiorano più, la colpa è della lontananza. Lui non l’ha lasciata andare, no: semplicemente, lei è troppo distante.

O almeno crede.

«Sono i nostri migliori amici. I nostri migliori amici, InuYasha. Ci hanno aiutato tantissime volte, non dovresti essere così antipatico».

Riflette un po’, indecisa se aggiungere altro – sarebbe sfacciato dargli uno schiaffo? E qualcuno potrebbe incolparla, se gli urlasse qualche cattiveria?

In fin dei conti, lei non voleva litigare, non lo voleva e non lo vuole. No, no e no. Lei ci ha provato, a far finta di nulla, cambiando argomento e trascinandolo dietro di sé, come se il suo comportamento infantile fosse accettabile. Davvero, ci ha provato.

Ha provato a sopportare un mese di lontananza – lontananza fisica, perché lui non la sfiora, e morale, perché lui quasi non le rivolge la parola –, ricordandosi che sì, okay, star divisi fa male, ma che ha resistito tre anni, prima di incontrarlo di nuovo, e che poche settimane non dovrebbero essere poi così dolorose.

Ma lui continua a irritarla, imperterrito.    Idiota    .

«Le gemelle ti adorano, il nuovo bambino ti adora e certamente anche quello che sta per nascere ti adorerà: perché non provi a risultare un po’ più umano?».

 

Possibile che non riesca a capire la situazione? Che cosa dovrebbe importargli ora di quei due? Solleva lo sguardo, chiedendosi come, il monaco, sia riuscito a far passare per qualcosa di puramente normale il disagio che sta provando lui ora. Ovviamente, lui non ha quel tipo di fretta.

«Yehh» solleva l’avambraccio in alto, sarcastico, agitandolo per mostrare tutto l’entusiasmo che merita la situazione dal suo punto di vista. Ha qualcosa di ben più importante cui pensare, o ancora meglio, da evitare. Le donne sono esseri sicuramente strani, e lei, è una degli esempi più lampanti della bizzarria di quella specie.

«Non è antipatia la mia, semplicemente non ritengo così interessante quest’argomento!» scandisce bene. Si sposta col busto in avanti tendendo i muscoli delle braccia lungo i fianchi, per evidenziare maggiormente il fatto che si sta innervosendo.

No, nemmeno lui vorrebbe litigare, ma a quanto pare ci deve essere qualcosa nel suo dna che favorisce l’evento in modo naturale. Inarca le sopracciglia, dischiudendo le labbra in una vocale ignota, all’ultima battuta proclamata dalla sacerdotessa.

Provare a risultare più…

«Cosa?» il tono s’abbassa e lo sguardo si muove nuovamente di lato. Non è un buon segno, decisamente no. Scuote il capo, aggrottando maggiormente le sopracciglia. Ferito.

«Scusami se non sono abbastanza umano!» ribatte iracondo. Calpesta il terreno, con la chiara intenzione di allontanarsi definitivamente da lei. Quante volte dovrà ripetersi questa dannata situazione? Dopo tanto tempo non ha ancora imparato a contare, prima di vomitare certe accuse? «Non ho voglia di approfondire il discorso, buona passeggiata».

 

«Non fare il bambino!». Gli afferra il braccio e tira, irritata, cercando di smuoverlo. «Dai. Muoviti, su! Sei un adulto, InuYasha».

Ma lui niente, niente di niente, non muove un muscolo. Sospira soltanto, offeso – è offeso di certo, lei lo sa, perché ha gli occhi puntati verso l’alto e le mani strette a pugno. Forse la insulterebbe, se potesse. Ha l’aria di chi si sta trattenendo.

«Io… tu    sei     umano. O almeno, lo sei in...», bisbiglia. Scuote il capo: no, così non va. Non è quello il modo per fare pace, se di pace si vuol parlare, non lo è proprio. Prende fiato. «Lo sai, no? Tu, ecco. Oddio».

InuYasha non si muove né inarca un sopracciglio. Forse neppure l’ascolta, forse resta lì solo per godere dell’imbarazzo altrui. Forse ama irritarla, chissà.

Perché se è vero che le donne sono strane, allora bisogna ammettere che gli uomini lo sono anche di più – vogliono qualcosa? Sì? Di certo non te lo chiederanno. Perché non sarebbe virile ammetterlo, e allora tergiversano, in attesa, e spesso restano con un palmo di naso.

E Kagome sa perfettamente che InuYasha rientra in quella stupida, dannata categoria.    Idiota    .

«Non chiedermi scusa per il fatto di non essere umano. Cioè, di non esserlo abbastanza», strilla. «Andiamo, io non ho due anni e di certo tu non ne hai cinque, quindi questo comportamento infantile è inaccettabile da parte di entrambi e… e io voglio che tu, ecco. Ti va di passeggiare ancora con me?».

 

Irritazione. Frustrazione. Iracondia a livelli eccessivi. No, non è così semplice Kagome, non dopo questo. Benché tu sappia perfettamente quale sia il vero, evidente problema nella frase precedente, tenti di scuoterlo con così poca efficacia?

La strattonata non aiuta di certo, anzi, mina maggiormente l’equilibrio che sino a pochi secondi prima ancora controllava il corpo. Potrebbe rivoltarsi in qualsiasi momento, potrebbe sì, ma non lo fa, preferisce rimanere imbalsamato nella sua posizione a contrarre i muscoli delle mascelle, adirato.

«No!» categorico. Se lei riesce a essere ponderata in situazioni del genere, lui non lo è proprio per nulla, anzi, si dimena per liberarsi dalla presa e spostarsi in avanti di qualche passo ancora, mentre il fiume in piena che all’interno del corpo comincia a fluire insistentemente e non si placa. Testardo, irascibile, incontenibile quando si tratta della sua natura, e ciò probabilmente non cambierà proprio mai, dovessero passare almeno altri cent’anni!

Spicca un salto, fermandosi su di un ramo in modo da non essere raggiunto. Questo è il suo modo di farle intendere che al momento non ha alcuna intenzione di riappacificarsi con lei, a differenza sua ha modi ben diversi per sbollire la rabbia.

Piega il busto in avanti, andando a schiacciare il volto sul palmo della mano, fissando un punto invisibile tra le fronde dell’ontano sul quale s’è arrampicato.

Oh no, questa volta no. Non cadrò nel tranello di dartela vinta!

Sì, orgoglio, proprio quello. Perché ammettere che la sua immaturità riesca a raggiungere livelli abissali non sarebbe cosa permessa. Le scuse sono da donnicciole. Non gli risulta d’essere ancora arrivato a doversi piegare a un simile stadio, quindi, rimarrà lassù finché non se la sentirà di perdonarla.

 

Lampi di cenere. Celere, non più come un tempo, quando anche l’etere pareva incedergli alle spalle per suo timore, ma ugualmente in forma perfetta. Labbra incurvate, mentre l’olfatto studia il pulviscolo come se avesse percepito qualcosa di mai fiutato nell’aria.

«Kagome» indubbiamente, come potrebbe dimenticare un aroma così suadente in soli tre anni? Tempo che è parso quasi interminabile, ma che ora è giunto, e lei è da qualche parte in mezzo alla boscaglia che attende semplicemente d’essere accolta tra le sue braccia.

«Dolce, cara, innocente Kagome!» ripete, pregustando già l’attimo in cui sarà sopraffatto dal suo balsamico effluvio.

I pini paiono arcuarsi sottomessi al suo passaggio, come se le sue gambe non fossero mai state private dei frammenti della sfera.

«Oh, eccoti!» spalanca le braccia, sbucando dal primo agglomerato di fogliame alla sua destra, nel tentativo di stringerla come un tempo tra le fauci degli arti che paiono aprirsi per divorarla famelici. Deve aver percepito anche l’odore del cuccioletto da qualche parte, ma quando mai gli è importato qualcosa della sua presenza? L’unica visione che riesce a riempire totalmente il suo sguardo ora, è quella della sua donna avvolta in seducenti abiti da sacerdotessa.

 

«No?», ripete lei. Lo osserva per qualche istante, cercando di contenere la rabbia e riordinare le idee –    no    , ha detto. Ha detto    no     come se non avesse colpa, lui, e poi s’è nascosto tra i rami, per sbollire la rabbia. L’ha lasciata lì, sola, a guardarsi intorno. L’ha lasciata sola.

Si è nascosto, lui. Vigliacco.

«Ti odio InuYasha! Ti odio», urla, nascondendo il volto tra le mani e concedendosi un singulto esasperato. Non tratterrà il pianto, non ne ha alcuna intenzione. «Ti detesto!».

Poi i passi, poi il vento. Poi Koga.

Kagome si volta di scatto, perplessa, mentre il demone lupo fa la sua apparizione – si muove baldanzoso, gli occhi che luccicano di gioia e un sorriso sornione sul volto. Il naso freme impercettibilmente –    cosa ci fa lui qui?     Perché non è con Ginta e Hakkaku?

«Kagome», la chiama. Si avvicina. «Kagome».

   È il solito Koga    .

Eppure, c’è qualcosa, in lui. Una nota stonata, finta, costruita. Lo sguardo è gaudente, d’accordo, ma non come in passato, e lei questo lo percepisce bene.

Forse non riesce ancora ad accettare di non aver battuto Naraku. Forse si sente in colpa.

«Kagome» mormora il demone. Gli verrebbe quasi voglia di abbracciarla, ma non rischia. «Oh, Kagome! Mi sei mancata tanto».

   Ci mancava solo Koga    .

«Ciao», balbetta, tentando di camuffare il tono della voce. Dovrebbe anche passarsi una mano sul volto: le lacrime le hanno bagnato considerevolmente le guance, e la cosa la fa apparire triste, stanca. E sì, triste e stanca lo è davvero, ma sarebbe preferibile non palesarlo troppo. «Ciao, Koga».

 

Tutto qui?

Non che si sarebbe aspettato una reazione diversa ma, lei non l’ha mai salutato con un velo pietoso nel tono, non quanto questo almeno. «Non sei felice di rivedermi?» domanda, tentando di chinarsi col busto per osservarla da una prospettiva diversa. No, il problema è più grave del previsto: Kagome non è raggiante. E quando lei non è felice, persino lo zirlare dei grilli in lontananza sembra stridere esageratamente.

Lei sorride, lei è vitale, lei sprizza energia da ogni poro; quando invece manifesta un timbro vocale così strano, percepibile unicamente da qualcuno che oramai ha imparato a studiarne anche la più invisibile sfumatura, allora, può esserci un motivo soltanto.

Una causa che non gli piace per nulla, che puzza di cane e che possiede indiscutibilmente il potere di far piombare una creatura come lei nella più nera disperazione.

Ha un solo nome, tale sciagura…

«C’entra qualcosa il sacco di pulci, per caso?» inarca le sopracciglia contrariato, andando a indagare nell’etere per trovarvi una sua traccia «Nessuno può calare ombre sul sorriso della mia donna!» proclama imperativo, alzando lo sguardo per farsi ben udire da chi al momento abita i piani superiori, a quanto pare.

 

L’ha sentito, ha carpito il suo fetore da quando ha messo piede nella radura circostante, è stato in religioso silenzio a piegare le spalle e a dannarsi con quel malefico tic che gli ha catturato il sopracciglio destro in modo inevitabile. Non poteva marcire nella sua tana per altri mille anni? Doveva proprio sbucare fuori in una situazione del genere? Che vede lui, come unico colpevole contro il quale puntare l’indice?

Io non ho le pulci.

No, non è questo il punto! La frase - “alla mia donna” - non dovrebbe nemmeno essere contemplata nel vocabolario di quell’appestato! Questa, è la questione fondamentale.

Non è compito del lupastro preoccuparsi di affari che non lo riguardano minimamente, e ancor meno di inneggiare ai quattro venti in difesa della sacerdotessa, auto investendosi della carica di paladino della giustizia.

Non esce allo scoperto, non ancora, deve resistere alla tentazione di mozzargli la testa – perché lui è ancora arrabbiato – e dunque non si muoverà da quell’albero.

 

 «Probabilmente il cuccioletto non ha gli attributi per difendere ciò che ritiene di sua proprietà», volge lo sguardo verso Kagome, nuovamente, mostrandole il sorriso più smagliante del suo repertorio. «Orsù, ti ho già proposto milioni di volte di abbandonare quel coso e di diventare la mia donna. Dopo tre anni, non pensi sia giunto il momento di fare un salto di qualità non indifferente?» si avvicina, prendendole le mani tra le sue «Con me non verseresti nemmeno una lacrima» conclude, più che convinto della sua tesi. Kagome cederà stavolta, e giacché il bastardino non ha la minima intenzione di palesarsi, ha praticamente la vittoria in pugno.

 

Continua, imperterrito. Le palpebre si abbassano, mentre il braccio, che sta tumefacendo una porzione di legname da circa dieci minuti buoni, sta tremando di puro istinto omicida.

No, che faccia quello che vuole, sono ancora arrabbiato.

Cocciuto, come nemmeno il pezzo di granito più duro riuscirebbe a essere. Non si muove, né quando il lupo continua ad offenderlo in modo gratuito, né quando osa prendere le mani di Kagome tra le sue.

La pazienza sta scadendo molto velocemente. L’ultima accusa, quella più forte, dilania in modo totale ogni schema mentale prepostosi inizialmente. E’ già successo una volta, che lui mettesse in mezzo la storia del piagnisteo. Sa benissimo quanto questo possa irritarlo nel profondo, e si ostina a voler così male alla sua vita.

«Io non …» principia, spiccando un salto dal ramo per ritrovarsi di spalle a Kagome e diritto di fronte a Koga, frapposto come il giovedì tra i due. «faccio piangere nessuno» ringhia, ponendosi dirimpetto per mostrargli che lui sa difendere benissimo le sue cose.

«Credevo avessi rinunciato all’idea del suicidio,» continua, mentre anche il tono si solleva con maggior astio. «Ma a quanto pare non hai proprio capito l’antifona, razza di progenie di una zecca!».

«Ma davvero? E immagino che tu sia qui per farmela capire, l’antifona» ribatte l’altro, col chiaro intento di non volersi spostare dalla sua posizione.

«Oh, contaci» pare pronto a estrarre Tessaiga in qualsiasi momento, e anche che l’argomento Kagome sia oramai andato perso da un paio di battute.

«Sto tremando»  oh sì, questa volta anche lui ha un’arma con la quale potersi gingillare, e non si farà scrupolo al doverla usare, nel caso venisse attaccato. «Idiota» formula, mostrando i denti, con la bocca ben aperta per evidenziare ancora di più l’aggettivo.

«Debosciato» e gli insulti volano gratuitamente, come se il tempo, tra di loro, non avesse sortito il benché minimo cambiamento. In tutto questo, la lotta per mostrare chi è il più forte, supera di gran lunga quella del chi sa difendere meglio la propria donna, ma cosa ci vuol fare? Tra animali ci s’intende alla grande.

 

«…Siete due bambini, per caso?».

Si pone fra loro, irritata, guardando prima l’uno e poi l’altro – oh, uomini. Non puoi farne a meno, non ti è possibile comprendere i loro arcani ragionamenti.

Nota gli occhi di Koga lampeggiare appena, soddisfatti. «Oh, Kagome», ridacchia il demone dopo pochi secondi, ormai dimentico del litigio. In fin dei conti, perché attaccar briga con uno stupido cagnaccio, quando si può godere della compagnia della donna amata? «Non preoccuparti. Oggi eliminerò ‘sto idiota una volta per tutte, e il nostro destino sarà roseo».

Roseo, sì. Certo.

Sospira. Dovrebbe dargli corda, no? Perché dandogli corda, potrebbe far ingelosire InuYasha, e facendolo ingelosire potrebbe divertirsi un po’. Dovrebbe fare la svenevole, stringere le mani di Koga e sorridergli dolcemente, magari giurandogli amore e devozione.

   Dovrebbe    , ma non sarebbe giusto nei confronti del demone lupo. Sarebbe prenderlo in giro – spezzargli il cuore, forse –, deridendolo palesemente. E per quanto Koga a volte risulti troppo espansivo, davvero troppo, troppo, troppo espansivo, fargli del male non sarebbe piacevole.

Quindi dà una celere occhiata ad InuYasha, curiosa. Magari lui è infastidito, forse attende una scusa per sferrare un pugno a Koga.

Forse, forse, forse. Forse sì e forse no.

 

«Dunque», prova a dire, la voce che trema appena, «uhm, siete grandi e grossi tutti e due. Se volete picchiarvi, fatelo». S’interrompe. Sa che InuYasha è in attesa – lo conosce e lui conosce lei –, e sospetta che invece Koga sia già pronto, le dita chiuse in una morsa. Prende fiato, lasciando che l’aria le pervada i polmoni, e poi espira, ben più calma. «Ma se vi picchierete, sappiate che non rivolgerò più la parola né all’uno né all’altro».

«Kagome, mia adorata, stai scherzando?».

   No    , non sta scherzando. O almeno, è ben decisa a mantenere i propri propositi, quindi non si arrenderà tanto in fretta.

Guardatelo, com’è capace di abbandonare una diatriba per divenire la scamorza della situazione. Svenevole, che quasi gli potrebbe provocare un’ulcera al momento.

Lo sguardo segue i movimenti di Kagome, per poi passare al lupo, ed infine di nuovo su di lei.  «E’ una questione di resa dei conti, tu non devi impicciarti, sei una donna!» ribatte, come a voler sott’intendere che oramai la sacerdotessa è evasa dall’argomento da qualche minuto oramai, è una faccenda da ‘’uomini’’.

Ringhia, arcuando un sopracciglio perché lei SA di non doversi intromettere in questioni che vanno al di sopra della sua competenza. Lui ed il lupastro hanno uno scontro sospeso da secoli, che ha l’urgenza d’essere concluso.

La mano sfiora l’elsa, mentre il passo si sposta in corrispondenza del pozzo, che ora s’intravede a ridosso del confine boschivo, piazzandovisi dinanzi come a voler dar inizio alle danze.

Le minacce, nel suo caso, servono a ben poco, perché si sa che quando InuYasha desidera combattere, nemmeno la discesa di qualche Dio in terra potrebbe placare l’adrenalina che ha preso a corrergli celere nel sangue.

Koga, dal canto suo non può tirarsi più indietro oramai, sarebbe come guardare la propria dignità calpestata sotto i piedi di quel mezzo inetto, e non potrebbe sopportare l’ennesimo smacco. In primis, è stato lui a privarlo del gusto di poter vendicare la tribù Yoro da Naraku. Secondo poi, no, per nessuna ragione al mondo potrebbe subire un’altra sconfitta.

«Scusami, Kagome» conclude abbassando lo sguardo, tentando di scagionarsi per non poter accondiscendere questa volta.

«Se sei pronto, possiamo cominciare immediatamente

» propone, sollevando la mano dove presto farà la sua apparizione Goraishi. Si squadrano, studiandosi come se il campo di battaglia, in quel momento, inglobasse unicamente loro due.

Le iridi del mezzo demone si posano su Koga, ebbre del desiderio di porre fine allo scontro con un’unica vittoria, in suo favore ovviamente. Incurva le labbra piegando le gambe, divaricandole poi verso l’esterno, per poi infine, estrarre Tessaiga, che si attiva dietro l’usuale luminescenza. «Prontissimo, fatti sotto» solamente per un millesimo, la guardia viene abbassata per muovere lo sguardo in corrispondenza di Kagome, sa benissimo, che dopo questo non gli rivolgerà davvero la parola, ma è come se volesse essere seguito lo stesso nel combattimento, per dimostrarle che sarà lui ad aggiudicarsi come sempre, la vittoria, rispendendo a casa il microcefalo con tanto di coda tra le gambe.

E’ lui il più forte.

Dopo aver fatto ammenda per circa due secondi, eccolo che scatta sul posto, sollevando un polverone ampio alle sue spalle per concedersi la prima mossa.

La lamina dello spadone si solleva, riflettendo il riso di soddisfazione che ora intacca le labbra di InuYasha in tutta la sua strafottenza. Non ha intenzione di colpirlo direttamente, non ci sarebbe gusto a farlo fuori in una mossa soltanto, o forse, ancora più probabilmente, non ha intenzione di ucciderlo. Non ancora, almeno.

La punta di Tessaiga si scontra con gli artigli dell’arma di Koga. Stridono, s’intersecano, si allontanano e colpiscono di nuovo in un incontrarsi di ferri. Un balzo, da parte d’entrambi, e ora il mezzo demone si trova in bilico sulle assi del pozzo col busto reclinato, pronto a sfruttare le vere potenzialità della spada.

La katana si alza sopra il capo, mentre l’elsa viene afferrata con entrambe le mani. Prende un respiro profondo, mentre mostra i canini, smargiasso.

«Kaze…», pare deciso a scagliare uno degli attacchi che più predilige in assoluto. La spada s’illumina dell’usuale alone giallastro, caricando una consistente quantità d’energia attorno alla lama.

«Oh, hai intenzione di muoverti sul serio cuccioletto? Non aspettavo altro!» oh sì, non aspettava nient’altro.

Prende una breve rincorsa, si piega in avanti, flette le gambe e spicca un balzo proprio sopra il mezzo demone, con l’unico intento di far pervenire dall’alto il suo personale biglietto da visita.

«no… Kiz…» il volto si abbassa per due secondi soltanto, e il colpo viene bloccato ancor prima d’essere inferto. «Che diam…» sgrana gli occhi, mentre sotto di lui, proprio all’interno del pozzo, si contorce una fattispecie di buco nero violaceo.

«Ehi, sacco di pulci, hai per caso cambiato idea?» ringhia l’altro, senz’attendere risposta. Scaglia, infatti, il suo attacco, ignorante del fatto che l’attenzione del suo avversario, al momento, sia stata catturata da qualcos’altro.

 

Vorrebbe urlare, far qualcosa, magari avvicinarsi. Vorrebbe gettarsi addosso ad InuYasha – a quel cretino di InuYasha – e trascinarlo via. E non per difenderlo da Koga, no, anche se quest’ultimo è pronto ad attaccarlo e ferirlo. Non vuole aiutarlo. Hanno scelto di battersi autonomamente, lei non ha alcuna intenzione di disturbarli.

Se i bambini hanno deciso di combattere, che combattimento sia. Poco le interessa, in verità.

   Oh, Kami.

Viola, nero, buio.    

Il pozzo. Il pozzo, il pozzo, dal pozzo proviene una strana luce, e dà fastidio, diamine, tanto fastidio, come se le stesse per scoppiare la testa o giù di lì. Il pozzo sta impazzendo, emana una strana aura. Dà fastidio.

«InuYasha», mormora. Si porta le mani sulle orecchie, cercando di calmarsi. Male, male, male, fa malissimo, quella luce le fa male, tanto. «Uno, due, tre», inizia, «quattro, cinque e… sei, sette, otto – oddio. InuYasha!».

Koga non s’è fermato, tutt’altro. Continua a correre verso l’hanyou, pronto a ferire. Spicca un balzo.

«Fermatevi! Koga, fermati! Il pozzo-».

«Cosa, mia diletta?».

   Mia diletta un corno    . Inspira ed espira più volte, cercando di calmarsi: InuYasha è ancora in pericolo, stoicamente fermo sulle travi di legno. «Koga, guarda il pozzo! Emana una strana luce».

La mano destra del demone si blocca di scatto, quasi come trattenuta da una forza invisibile. «Io», inizia a dire, incerto. Poi si volta verso Kagome, confuso, agitando le gambe nel tentativo di arrestare il salto.

Se lei l’ha fermato, beh, allora dev’essere importante, perché altrimenti non si sarebbe messa in mezzo. Avrebbe tenuto il broncio, sì, e ricominciare a parlarle gli sarebbe costato enorme fatica, ma non avrebbe mai urlato, né inventato una scusa sciocca come quella.

«Guarda, Koga! La luce, vedi? Emana una strana aura!».

«Già. Hai ragione».

 

Sì, c’è sicuramente qualcosa di strano nell’etere. InuYasha rimane fermo, anche quando avverte l’avvicinarsi di Kagome. «Cosa diavolo…» principia, lanciando mezza occhiata a Koga che s’è interrotto nel bel mezzo dell’attacco, avvicinandosi al pozzo per sporgersi e dare un’occhiata al suo interno.

«Un demone?

 » chiede il lupo, mentre la sua voce echeggia all’interno del nugolo violastro. Inarca le sopracciglia, passando nervosamente le dita sul bordo della costruzione.

«Non credo, non emana alcun odore particolare» a rispondere è l’hanyou, che piega le ginocchia, storcendo il naso in una smorfia, per accostarsi anch’egli all’entrata.

Lo sguardo va alla sacerdotessa, in ultimo, pare che lei sia infastidita, in un certo senso, dalla strana apparizione. «Che si stia riaprendo il passaggio con la sua epoca?» è una domanda più a se stesso che al resto della combriccola. Aggrotta la fronte, per poi spiccare un balzo e ritrovarsi di fronte alla compagna, chinandosi alla sua altezza per verificare la sua attuale situazione psicologica.

 

 

«Hai avvertito qualcosa di strano?» piega le labbra, inspirando profondamente per poi correggersi quasi subito «stai bene, Kagome?» le mani si spostano sulle sue spalle. E’ inevitabile non scorgerle qualcosa di strano sul volto.

«Ehi, ehi!», il lupastro par voler richiamare l’attenzione dei due, agitando il braccio verso l’alto, allarmato.

«Il vortice si sta… ampliando» conclude.

 

 

  
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