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Autore: pizia    27/04/2010    1 recensioni
Sauron ha di nuovo l'Anello, ma qualcosa gli impedisce ancora di sferrare il suo attacco definitivo alla Terra di Mezzo
Genere: Drammatico, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Capitolo 7 -

Misteriosi progetti ed imminenti pericoli

 

Faramir sentiva la fredda umidità delle segrete del palazzo di Minas Tirith penetrargli sin dentro le ossa, mordendogli l’anima e la carne con la stessa ferocia. Solo una misera candela illuminava la cella e tra poco anche quella si sarebbe consumata, e l’uomo non si faceva nessuna illusione: nessuno sarebbe venuto per portargliene una nuova.

Ma il buio più grande era quello che Faramir aveva dentro il cuore.

Le parole di suo padre, se ancora poteva chiamarlo così, gli ferivano le orecchie e la consapevolezza che ormai egli fosse completamente impazzito gli stringeva il cuore.

Gli sembrava di essere tornato un bambino, quando si trovava in castigo senza comprendere cosa avesse fatto di male per meritarselo.

Allora però c’era stato Boromir, sempre schierato dalla sua parte e sempre pronto a sostenerlo, il suo esempio e la sua guida.

Avrebbe voluto rivederlo in quel momento, avrebbe voluto che gli consigliasse cosa fare, avrebbe voluto semplicemente che gli sorridesse e gli desse una pacca su una spalla.

Ma Boromir non c’è più!” si disse scuotendosi violentemente. “Non posso permettermi di impazzire come ha fatto mio padre. Lui non c’è ma tutto quello che mi ha insegnato è dentro di me. Ho un importantissimo compito da portare a termine, e la prima cosa da fare per adempierlo è uscire di qui, o almeno mantenere la salute, fisica e soprattutto mentale, fino a quando qualcuno non verrà a darmi una mano...”.

Sapeva che uno dei motivi per cui nessuno usciva vivo da quelle prigioni era che spesso i prigionieri impazzivano in quelle stanze dove non filtrava un filo di luce e l’aria era appestata da secoli di polvere e marcio. Più di una volta, in passato, persone che si erano poi scoperte innocenti si erano tolte la vita lì dentro nell’unico modo possibile: sbattendo la testa contro le pareti fino a fracassarsi il cranio.

Se Faramir chiudeva gli occhi gli sembrava quasi di poter vedere gli spettri di quelle persone, e di sentire le loro voci e tonfi dei colpi dati contro il muro.

Ancora una volta l’uomo si scosse: quelle potevano anche essere solo un mucchio di storie divulgate proprio per terrorizzare la gente e scoraggiarla a compiere crimini, una sorta di lupo cattivo per tenere a bada gli adulti invece che i bambini. Ed evidentemente era un lupo cattivo che funzionava benissimo dato che, da quando lui poteva avere memoria, nessuno si era macchiato di crimini tanto gravi da richiedere la reclusione in quelle segrete. Le normali prigioni erano sempre state più che sufficienti.

Sono dunque il primo da almeno una generazione ad avere quest’onore: dovrei esserne lusingato...” pensò sarcasticamente, sorridendo di sbieco nel tentativo di non lasciarsi prendere dal panico e dalla disperazione.

Si sedette in un angolo e si rannicchiò: aveva freddo dato che lo avevano gettato lì dentro lasciandogli addosso solo i suoi pantaloni e una semplice sottotunica leggera. Era a piedi nudi.

Chiuse gli occhi, nel tentativo di dormire un po’ per non impazzire, e diversamente da quanto si fosse atteso, il sonno lo vinse molto presto.

 

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“Pipino ascoltami bene perché non è il momento di giocare questo” disse Gandalf poggiando la mani sulle spalle dell’hobbit. “Dobbiamo sapere cosa sta tramando Sauron, capire perché nonostante l’Anello sia ormai nelle sue mani ancora non abbia sferrato l’attacco in grande stile. L’unico mezzo per comprendere tutto ciò è sfruttare il Palanthir che tu stesso hai portato via da Isengard”.

Pipino deglutì a vuoto, nervosamente: Gandalf aveva un’espressione dannatamente seria, e lui temeva di non essere all’altezza del compito che stava per affidargli, qualunque esso fosse.

“Tuttavia se fossi io, o Dama Galadriel, ad usarlo scopriremmo sì quello che vogliamo sapere, ma forniremmo al nostro nemico troppe informazioni dato che, come noi potremmo vedere lui, lui potrebbe vedere noi. E’ già successo quando Aragorn lo ha involontariamente usato, e non so se sia un bene che l’Oscuro Signore sappia ora che l’erede di Isildur non è solo una leggenda, ma un uomo in carne ed ossa. Meglio non rischiare di rivelargli nient’altro”continuò lo Stregone con un’espressione sempre più cupa e preoccupata.

Frodo che osservava silenzioso la scena, comprendeva fin troppo bene le preoccupazioni del suo vecchio amico: lui aveva vissuto in prima persona l’incubo della rivelazione di Aragorn a Sauron e aveva sentito con le sue stesse orecchie ciò che il discepolo di Morgoth aveva detto al ramingo: erano parole che non comprendeva, ma non poteva far a meno di tremare ogni volta che vi ripensava. Era preoccupato per Aragorn, anche perché aveva buoni motivi per ritenere che nemmeno lui avesse compreso sino in fondo le parole di Sauron, e non faticava a leggere la stessa preoccupazione negli occhi di Gandalf e Dama Galadriel.

“Io cosa posso fare?” chiese titubante Pipino, strappando Frodo dai suoi cupi ricordi.

“Sarai tu a guardare dentro il Palanthir” gli rispose lo Stregone.

“Ma Gandalf io ho giocato più volte con quell’aggeggio convinto che fosse solo una bella pietra, e non ci ho mai visto nulla dentro, lo giuro!” disse Pipino sconsolato, certo che quella rivelazione lo reclutasse di nuovo al ruolo di inutile peso per la Compagnia.

“Lo sappiamo Pipino...” intervenne con dolcezza Galadriel, che ben aveva capito i sentimenti che albergavano nel cuore dell’hobbit più giovane del gruppo, “... ma questa volta Gandalf sarà con te: tu sarai semplicemente il suo tramite...”.

Notando la confusione presente negli occhi di Pipino si affrettò a continuare: “Sarai fisicamente tu quello che impugnerà il Palanthir, ma mentre lo farai Gandalf ti sarà accanto, in contatto con te, in modo che il suo potere scorra attraverso di te e attivi la pietra permettendoti di metterti in contatto diretto con Sauron, ma risultando irriconoscibile a lui. Insomma tu potrai vedere lui, ma lui non riuscirà mai a capire chi e come lo abbia raggiunto. Se siamo fortunati potrebbe addirittura non accorgersi di noi...”.

“Quello che vedrai potrebbe sconvolgerti mio piccolo amico” disse Gandalf, deciso a non nascondere nemmeno uno dei pericoli a cui l’hobbit andava incontro, in modo che potesse decidere consapevolmente se accettare quell’incarico o meno. “Frodo potrà darti delucidazioni in proposito, sempre che abbia voglia di parlarne... Non credo potrebbe accaderti quello che è successo a lui, ma è comunque un rischio che non posso del tutto escludere. So di chiederti molto: comunque vada quando avremo finito difficilmente tu sarai la stessa persona che sei ora. Per questo motivo se non te la senti io non ti biasimo affatto; se non vuoi correre un simile rischio noi cercheremo una via alternativa e se non ce ne fossero guarderò io stesso nel Palanthir. Quindi decidi nella più assoluta libertà e tranquillità, Peregrino Tuc. L’unica cosa che devo chiederti è di decidere entro domani mattina: so che ti sto chiedendo di prendere una decisione molto difficile e di non concederti molto tempo per farlo, ma purtroppo anche il tempo comincia ormai ad essere un nostro nemico: ne abbiamo già sprecato sin troppo. Ora dobbiamo agire” concluse Gandalf guardando l’hobbit dritto dritto negli occhi.

“Lo farò io. Non voglio che Pipino debba vedere quello che io ho già visto...” disse Frodo, facendosi coraggio per aiutare l’amico, anche se la sola idea di un nuovo viaggio nel regno degli spiriti di Sauron gli faceva accapponare la pelle.

Comprese presto però di aver agito in maniera impulsiva, senza riflettere, e capì anche che aveva mentito: non sarebbe mai più stato disposto a tornare in quel mondo... forse nemmeno per salvare la Terra di Mezzo.

“Non posiamo chiederti una cosa del genere piccolo amico” rispose Galadriel a cui non sfuggì l’impercettibile sospiro di sollievo che emise l’hobbit. “Già due volte abbiamo rischiato di perderti in quel mondo, la terza volta potremmo non essere così fortunati. E se anche volessimo, sarebbe sciocco farlo dato che ormai Sauron ti conosce forse persino meglio di quanto conosca Gandalf o me: ti riconoscerebbe subito. E lo stesso vale per te Samvise Gamgee...” si affrettò a dire, precedendo l’offerta di collaborazione che il terzo hobbit stava per fare. “Tu stesso, anche se per pochissimo tempo, sei stato il portatore dell’Anello, tu stesso sei stato contaminato dal suo potere e proprio tramite questo potere Sauron ti riconoscerebbe immediatamente. Tra noi cinque solo Pipino può aiutarci, altrimenti dovremo cercare un altro modo...” concluse fissando intensamente lo sguardo su Frodo.

L’hobbit comprese quello che la signora degli Elfi gli stava chiedendo, e involontariamente fece un piccolo passo indietro: in un primo momento non aveva parlato perché Aragorn gli aveva chiesto di non parlare, ma più quei ricordi sedimentavano nella sua mente, sbiadendo sino a scomparire in alcuni dettagli, amplificandosi in maniera innaturale in altri, meno si sentiva disposto a parlarne. Dar loro forma di parola era troppo doloroso, un rivivere quelle sensazioni ingigantite in maniera insopportabile. Forse, se avesse parlato subito, ce l’avrebbe fatta, ma ormai ogni giorno che passava anche solo l’idea di rivangare quei ricordi gli diventava più insopportabile.

“Cosa vi fa credere che, dopo quello che potrebbe vedere, Pipino sarebbe disposto a parlarvene più di quanto non lo sia padron Frodo?” chiese Sam, che non perdeva mai di vista il lato più pratico e concreto delle cose.

“Quello che lui vedrà io lo leggerò nella sua mente... con il tuo permesso ovviamente Pipino” rispose Galadriel, passando lo sguardo da un hobbit all’altro.

“Perché non hai mai letto la mia di mente allora?” chiese Frodo.

“Avrei potuto, ma detesto invadere i pensieri degli altri senza essere autorizzata a farlo. E inoltre temo che, se anche lo facessi, ora non ci riuscirei: hai eretto, anche se forse inconsapevolmente, delle barriere molto pesanti intorno a te, Frodo Baggins: è normale dopo quello che hai passato, ma credo che nemmeno volendolo adesso riusciresti ad abbassarle quel tanto che basta a farmi leggere i tuoi pensieri e ricordi”.

Frodo si sentiva terribilmente in colpa: i suoi amici, e in particolar modo Pipino, stavano rischiando di rivelarsi a Sauron solo perché lui non era abbastanza coraggioso da affrontare i fantasmi della sua mente.

“Non sentirti in colpa Frodo Baggins” gli disse dolcemente Galadriel.

“In fondo non è poi così vero che non puoi leggermi i pensieri, signora di Lorien...” le rispose con un sorriso stanco.

“Non c’è bisogno di scavare nella tua mente per scoprire quali sentimenti ti agitano in questo momento: i tuoi occhi parlano da soli, e dicono molto di più di quello che non dicano le tue labbra” disse l’elfa ricambiando il sorriso.

“Peccato che non possano dire abbastanza...” sospirò Frodo sconsolato: avrebbe voluto che in quel momento ci fosse anche Aragorn. Lui sarebbe senz’altro stato in grado di superare ogni paura o riserva e di parlare, dicendo loro quello che avevano bisogno di sapere, senza che anche Pipino fosse costretto a conoscere il mondo degli spiriti.

“Io non ho bisogno di pensarci!” disse tutto ad un tratto Pipino, spezzando il silenzio che si era venuto a creare e attirando su di sé lo sguardo di tutti gli altri. “Hai detto che non abbiamo più molto tempo Gandalf, quindi non c’è motivo di attendere fino a domani per fare questa... cosa... Io sono pronto...” concluse, e guardandolo negli occhi lo Stregone seppe che era assolutamente convinto di quello che stava dicendo: ancora una volta gli hobbit erano riusciti a stupirlo.

 

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Cavalcavano in silenzio quella mattina mentre attraversavano la breccia di Rohan in direzione di Edoras.

Merry aveva provato un paio di volte a spezzare quell’atmosfera pesante, ma ogni suo tentativo di fare conversazione aveva riscosso poco successo con Aragorn e addirittura un esito nullo con Eowyn.

Non comprendeva cosa fosse successo, ma gli sembrava di essere ripiombato nei primi giorni di quel viaggio quando il ramingo era ancora troppo scosso per quello che aveva passato e la dama era troppo rispettosa per dargli fastidio.

Non era una sensazione piacevole soprattutto per uno che come lui era abituato al continuo vociare di Pipino, ma l’hobbit si era rassegnato: presto avrebbero raggiunto la loro meta e, qualunque cosa fosse successa tra i suoi due compagni di viaggio non sarebbe più stato affar suo.

Aragorn da parte sua non comprendeva fino in fondo il comportamento di Eowyn: credeva che anche la donna desiderasse quello che era successo la sera prima, e di certo quando l’aveva guardata negli occhi non vi aveva letto alcun rifiuto. Eppure ora sembrava arrabbiata ed evitava accuratamente di incrociare il suo sguardo.

Aveva cercato di parlare quella mattina, mentre Merry si era allontanato per sciacquarsi al fiume, ma lei gli aveva detto che doveva raccogliere tutte le sue cose e preparasi per la partenza, e lo aveva invitato a fare altrettanto con le sue.

Evidentemente ho sbagliato qualcosa... O forse ho sempre frainteso tutto quanto...” pensò sconsolato.

In fondo però si sentiva sollevato al pensiero che nulla fosse successo fra loro: tempo al massimo due o tre giorni sarebbe partito per una missione che non era sicuro di poter affrontare: sarebbe stato tutto molto più difficile se avesse saputo che c’era qualcuno... di speciale... ad attenderlo. In quella maniera, invece, se anche non fosse tornato i suoi amici lo avrebbero certo pianto, ma nessuno si sarebbe ritrovato con il cuore spezzato, e questa consapevolezza era allo stesso tempo dolorosa e consolante.

Più di una volta Aragorn aveva scrollato le spalle, nel tentativo di liberare la mente dalle vicende della sera prima per dedicarsi a problemi ben più importanti quali l’elaborazione di una strategia d’attacco che sicuramente Theoden ed Eomer avrebbero voluto discutere con lui, oppure un piano per cercare di venir fuori vivo dai Sentieri Morti facendosi seguire dagli spettri che li abitavano, eppure ogni volta i suoi pensieri tornavano quasi indipendentemente all’immagine del volto di Eowyn illuminato dalla luna la sera prima, e i suoi occhi non potevano fare a meno che cercare la figura della donna che, con lo sguardo fisso di fronte a sé, cavalcava al suo fianco.

Fu così che Aragorn giunse al palazzo d’oro di Meduseld senza avere lo straccio di un’idea di quello che avrebbe dovuto dire o fare.

 

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“Adesso devi rilassarti Pipino...” disse con voce calma e profonda Dama Galadriel, “... non devi preoccuparti o opporti in alcun modo quando sentirai il potere di Gandalf fluire in te...”. 

Pipino in realtà era molto teso e, anche se la calda voce della signora degli Elfi gli forniva un porto sicuro contro tutte le sue paure, non riusciva ad abbandonarsi come gli veniva chiesto di fare.

Galadriel prese allora a sfiorargli leggermente le tempie in un massaggio rilassante e confortante, mentre continuava a parlargli e a spiegargli ciò che doveva fare: “Devi lasciare al potere la possibilità di scorrerti in tutto il corpo fino ad arrivare alla tua mente. Sarà un’intrusione inebriante, ma non devi temere: Gandalf non permetterà che ti sopraffaccia. Sei affidato in buone mani Pipino, di questo non dubitare nemmeno per un attimo”.

Frodo e Sam, che osservavano in religioso silenzio tutto quello che stava accadendo, videro pian piano il loro amico distendere l’espressione del volto, rilasciare le dita prima strette a pugno in una posizione più naturale e infine socchiudere le labbra, completamente abbandonato.

Frodo sentiva il cuore accelerato nel petto: aveva paura per Pipino e si sentiva responsabile dato che sua era la colpa di tutta quella situazione.

Sam evidentemente notò l’espressione preoccupata e colpevole del suo padrone e, senza dire nulla, gli poggiò una mano sulla spalla in un gesto comprensivo. Frodo seppe così che almeno Sam non lo condannava per il suo comportamento codardo, e questo, sebbene non bastasse a cancellare il suo stato d’animo, lo fece comunque sentire un pochino meglio. Si voltò verso il viso rotondo del suo più caro amico che lo osservava con il solito sguardo da chioccia premurosa e gli sorrise grato.

“Mithrandir...” sussurrò Galadriel quando si rese conto che Pipino era quasi ormai in stato di trance.

L’uomo riaprì gli occhi in risposta a quel richiamo e annuì appena con il capo; quindi si avvicinò alla sedia su cui era seduto Pipino e gli poggiò entrambe le mani sulle spalle, tornando un istante dopo a chiudere gli occhi.

Passarono dei lunghi istanti in cui nulla sembrava succedere: la fronte di Gandalf si aggrottava ogni istante di più, mentre Pipino rimaneva immobile e apparentemente tranquillo sulla sua sedia.

Frodo e Sam si chiesero se tutto stesse andando per il verso giusto, mentre anche l’espressione di Galadriel si incupiva leggermente.

Non opporti Pipino...” disse la dama parlando direttamente alla sua mente.

Per qualche istante non accadde ancora nulla, ma quando lo sforzo di Gandalf sembrò raggiungere l’apice che lo Stregone non avrebbe potuto superare, Pipino spalancò improvvisamente gli occhi e meccanicamente allungò la mano alla ricerca della Pietra Veggente di Elendil.

Immediatamente Galadriel gli porse il cuscino su cui la pietra scura giaceva, e scostò il telo di raso che lo copriva, stando bene attenta a non toccarlo.

Non appena Pipino toccò il globo questo sembrò prendere vita: striature rossastre cominciarono a pulsare sulla superficie nera e perfettamente lucida , con un’intensità sempre crescente. Ora pareva incandescente, ma doveva in realtà essere freddo visto che Pipino non ne discostava la mano.

Frodo e Sam trattenevano il respiro, come se temessero che un solo loro sospiro potesse mandare all’aria tutto quanto.

Galadriel teneva ora gli occhi fissi su quelli sbarrati e senza espressione di Pipino nel tentativo di cogliere qualsiasi immagine o suono potesse agitarsi nella mente dell’hobbit.

 

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Landa desolata e incorporea.

Contorni sfumati e appesantiti da una nebbia densa spessa e soffocante.

Pipino avrebbe voluto urlare, ma la sua voce sembrava morirgli in bocca, come se intorno ci fosse un vuoto che le impediva di propagarsi.

Tutta la Terra di Mezzo passò sotto i suoi occhi, anche se Pipino stentò a riconoscerla: rivide per un attimo la sua Contea, ma non appena provò a guardar meglio lo scenario era già cambiato lasciandogli solo l’impressione di non aver visto null’altro che spettri anche lì, lungo il Decumano Sud; e poi Brea, la stessa Imladris, il passo del Caradhras, le miniere di Moria rigurgitanti di orchetti e mostri più antichi di Arda stessa, Lorien, i maestosi Argonaths, Amon Hen e la foresta di Fangorn, e ancora Isengard ed Edoras. Tutto il cammino che aveva fatto in quell’ultimo anno lo ripercorse ora in pochissimi istanti: ma tutto aveva un aspetto diverso, distorto, completamente privo di vita. Non erano che rovine di quello che un tempo era stato e che lui aveva visto al massimo dello splendore, e quel contrasto così netto strideva nella su mente in maniera quasi insopportabile.

Poi prima ancora che potesse rendersene conto si trovò in un luogo ove mai era stato prima: a differenza che nel resto della Terra di Mezzo qui la vita pulsava, ma erano solo creature oscene quelle che uscivano direttamente dal grembo martoriato della terra. Il puzzo di zolfo era insopportabile, ma non era il vicino Monte Fato, il vulcano più antico di Arda e l’unico ancora in attività, a produrlo. Era la stessa terra corrotta a produrre quell’odore nauseabondo che appestava l’aria di Mordor e che cresceva man mano che si avvicinava al fulcro di tutto quell’orrore: la torre nera di Barad-dur, la fortezza di Sauron.

Ancora un battito di ciglia, ed ora era dentro la torre, in una sala enorme e nera come una notte senza luna e senza stelle.

“L’Anello è mio e, ora che Denethor è impazzito e ha fatto arrestare Faramir per tradimento, relegandolo nelle segrete, anche Gondor lo è! Richiama il tuo viscido aiutante: non c’è più bisogno di lui a Minas Tirith” Sauron si arrestò un attimo, come infastidito da qualcosa.

Cercò di individuare cosa potesse averlo disturbato, e lo stesso fece il suo interlocutore, Saruman il Bianco.

Dopo qualche attimo di pausa riprese: “Sarebbe stato meglio controllare anche Rohan...” disse in un sibilo che fece accapponare la pelle di Saruman, per sottolineare la duplice sconfitta subita dallo stregone ad opera degli uomini del Mark. “I Rohirrim potrebbero causarci problemi e rallentamenti, ma senza l’aiuto di Gondor non potranno far nulla: al Fosso di Helm si sono difesi bene, ma hanno pagato un caro prezzo. Loro non possono permettersi di perdere troppi uomini, mentre noi non abbiamo di questi problemi. Anche gli Elfi potrebbero essere un problema, ma il loro tempo qui è finito e molti di loro sono già partiti: non sono abbastanza numerosi per impensierirmi, anche se sarà bene non sottovalutarli. Manca solo un tassello al nostro mosaico e poi sarà la vittoria...”.

“Quando lo farai catturare?” chiese Saruman con impazienza.

“Avrei già potuto farlo dopo la sua... visita da queste parti…, ma allora era conciato talmente male che avrei rischiato di ucciderlo. Deve essere sufficientemente debole per poterlo piegare, ma sufficientemente forte da resistere: ora che finalmente l’ho trovato non posso perderlo!”.

“Come farai ad indebolirlo? Mi sembra piuttosto... resistente...” chiese di nuovo lo stregone.

“Farà tutto da solo: vuole percorrere i Sentieri Morti nella speranza di costringere gli spiriti ad onorare il loro giuramento. Quello che non sa è che se anche dovesse riuscirci quegli spettri attingeranno da lui quel poco di vita che è loro necessaria per potersi liberare dalla schiavitù, e questo ovviamente lo indebolirà non poco, ma nemmeno troppo, e appena fuori dai sentieri troverà ad attenderlo gli ultimi due Nazgul”.

“E se non dovesse sopravvivere ai Sentieri Morti? Nessun mortale in fondo ci è mai riuscito...” gli fece notare Saruman.

“Lui non è un comune mortale. E comunque spazzerò via io stesso quegli spettri se le cose non dovessero andare nel verso giusto! Presto l’erede di Isildur sarà mio e la mia vendetta sarà finalmente completa”.

Quella che Pipino vedeva di fronte a Saruman era una forma enorme, vagamente umana, ma non definita, sfumata come tutto il resto: anche lui uno spettro. Sauron non era più solo un occhio fiammeggiante, ma nemmeno ancora un corpo fisico. Si indovinava la forma della sua antica maschera di terrore, ma essa ancora non esisteva: una catena a cui era attaccato l’Anello del Potere circondava quella sorta di aria più densa e scura, ma nonostante fosse tornato in possesso del suo gingillo, Sauron non poteva ancora riottenere forma fisica e dunque utilizzarlo.

La paura dell’hobbit cresceva a dismisura, rischiando di fargli perdere il controllo. Sauron cominciava ad avvertire chiaramente quella paura, anche se non riusciva a spiegarsi da dove potesse venire: due carboni ardenti incastonati nel viso incorporeo si fissarono su di lui, senza poterlo vedere, ma tutto divenne nero prima ancora che Pipino potesse gridare di fronte all’odio che vi poté leggere dentro.

 

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Galadriel era sfinita e annientata dall’orrore, ma riuscì a avere la prontezza di spirito di allontanare il Palanthir dalla mano ancora protesa di Pipino, un attimo prima che questi prorompesse in un grido di terrore allo stato puro.

Appena perso il contatto con la mano dell’hobbit la pietra tornò a farsi nera ed immota, mentre Frodo e Sam si precipitarono a sostenere uno Gandalf e l’altro Pipino che, stremati, si stavano accasciando al suolo.

Pipino aveva ancora gli occhi sbarrati, era freddo e tremava come una foglia scossa dai gelidi e violenti venti del Nord: Frodo cercò inutilmente per qualche momento di farglieli chiudere, passandogli con delicatezza una mano sul volto.

Non avrebbe dimenticato mai la maschera di paura che in quel momento trasformava il volto solitamente spensierato di suo cugino, e non si sarebbe ma perdonato se lui non fosse tornato la stessa creatura gioiosa e pasticciona che era stata prima di quella terrificante avventura.

Pian piano sentì tuttavia il calore tornare nel corpo dell’altro hobbit, e i suoi occhi finalmente si chiusero, lasciando scivolare fuori delle lacrime solitarie. Il tremore che lo scuoteva aumentò, ma questa volta Frodo comprese che erano i singhiozzi di un pianto liberatorio a scuotergli le spalle.

Lo strinse a sé il più forte che poteva, massaggiandogli schiena e braccia perché potesse riscaldarsi più velocemente e sussurrandogli alle orecchie parole di conforto.

Quando sentì il tocco delicato di Dama Galadriel sulla sua spalla alzò verso di lei lo sguardo e, comprendendo quello che l’elfa gli stava chiedendo di fare, si caricò Pipino sulle spalle e lo condusse nella sua stanza dove un soffice materasso lo attendeva; Sam al quale si appoggiava uno sfinito Gandalf, li seguì in silenzio, tenendo per sé ogni pensiero, ogni domanda e ogni considerazione.

 

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“L’esercito è pronto re Thranduil. Ho lasciato qui un piccolo contingente per proteggere voi e la nostra gente, anche se non ci sarà nulla da fare se dovessimo fallire nella nostra impresa...” disse Mariel.

“Per proteggere me?” chiese il re sinceramente stupito, interrompendola. “Io verrò con voi! Credevo non ci fossero dubbi in proposito, ma evidentemente mi sbagliavo...”.

“Ma padre!?!” esclamò Legolas, esattamente con lo stesso tono che poco prima aveva usato il suo genitore.

“Mio signore non è possibile...” intervenne Mariel. “Se dovessimo vincere questa guerra, ma sia voi che il principe Legolas doveste non sopravvivere chi guiderebbe il nostro popolo fino a Valinor? Uno di voi due deve rimanere qui!”.

“Mariel il nostro popolo non è come quello degli Uomini: loro hanno bisogno di un re che li guidi, che dia loro delle leggi da seguire, o infrangere, che dica loro cosa devono e cosa possono fare, un re che sia il loro simbolo. Ma noi siamo Elfi e tutto questo per noi non ha alcun senso: credi davvero che senza di me, o senza Legolas, i nostri compagni non saprebbero cosa fare? Credi davvero che non sarebbero in grado di raggiungere i Porti Grigi e da lì di partire per Valinor? Io, come Elrond, Celeborn e la stessa Galadriel siamo solo poco più che simboli, custodi di un sapere e di poteri che non sono più di questa terra e che da tempo immemore non vengono più usati. Sono gli Uomini che ci hanno dato il nome di re, ma siamo Elfi esattamente come lo sei tu o qualsiasi altra persona che viva qui a Bosco Atro o a Lorien. Non c’è nulla che io o Legolas sappiamo fare, o dire, che non potrebbe fare o dire un altro qualsiasi elfo. Prego i Valar perché questo non avvenga, ma se sia io che mio figlio dovessimo perire in questa guerra, coloro che sopravvivranno sapranno comunque quello che devono fare. E poi non esistono re e regine a Valinor, dunque non c’è motivo per cui io non debba venire con voi. In fondo tu stesso, Legolas, mi hai detto che a noi si uniranno Elrond e Celeborn: perché dunque vi aspettavate che io rimanessi qui tranquillo a guardare i miei amici cadere senza muovere un dito?” chiese, concludendo il suo lungo monologo.

Sia Legolas che Mariel abbassarono lo sguardo imbarazzati.

Thranduil intuì, senza bisogno di frugare nelle loro menti, quello che pensavano: “Figlio mio non credere che perché, da quando sei nato, non mi hai mai visto impugnare un arco o una spada seriamente io abbia dimenticato come si usano. Vengo con voi per combattere, non per farmi uccidere...” disse sorridendo.

Legolas non sapeva cosa dire: l’ultima cosa che si era aspettato era che suo padre, che fino a poche sere prima di quella guerra sembrava non voler nemmeno sentir parlare, avesse ora deciso di prendervi parte in prima persona.

Tutto d’un colpo, per la prima volta nella sua vita, gli si presentò la prospettiva di perderlo: era una cosa alla quale non aveva mai pensato, e di fronte alla quale si trovava totalmente impreparato.

Lo fissò per qualche istante e comprese che nulla che lui o Mariel avessero potuto dire gli avrebbe fatto cambiare idea: paura, amore, dubbio e orgoglio si alternarono nel suo cuore e nella sua mente, in un cocktail talmente forte da togliergli quasi il respiro.

“Adesso scusatemi, ma devo andare a togliere le ragnatele dalla mia armatura...” disse Thranduil scherzando, nel tentativo di allentare un po’ la tensione e, anche se i sorrisi che apparvero sui volti di suo figlio e del suo Primo Comandante non sembravano del tutto convinti, si allontanò senza che alcun dubbio ombreggiasse il suo cuore millenario.

“Mariel...” disse un passo prima di lasciare la stanza, “... questa sera mi farebbe piacere se tu e mastro Gimli cenaste insieme a noi”.

“Non posso rispondere a nome di mastro Gimli, maestà, ma per me sarà un grande onore” rispose cerimoniosamente la ragazza.

“Dubito che Gimli si lascerà scappare l’occasione...” disse Legolas in tono ironico.

“Solo ad un patto però” si affrettò a precisare il re, “Questa sera non voglio parlare né di guerra, né di orchi, né tanto meno di Sauron” e così dicendo lasciò la stanza.

Mariel e Legolas si guardarono per un lungo istante, poi fu Legolas a parlare: “Perché, anche se è la cosa più ovvia del mondo, mi sembra così strano che lui voglia partire con noi?”.

“Grazie ai Valar noi due abbiamo sempre vissuto più o meno in pace fino a questo momento, e non abbiamo mai visto il nostro re scendere in battaglia. E’ per questo che ora ci sembra tutto così strano” le rispose la ragazza, sfiorandogli gentilmente una mano con la sua. “Sa quello che fa...” tentò di rassicurarlo, vedendo l’espressione preoccupata che si era disegnata sul volto di Legolas.

Lui le sorrise, quindi l’attirò a sé e la baciò dolcemente.

“E noi lo sappiamo cosa facciamo?” chiese sussurrandole all’orecchio quando, per riprendere fiato, fu costretto a staccare le labbra da quelle della compagna.

“Per noi non c’è scelta Legolas: non c’è mai stata...” rispose, stringendosi ancora di più a lui e poggiandogli la guancia destra nell’incavo della spalla sinistra, mentre lui le accarezzava i lunghi capelli biondo-cenere.

 

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Quella sera avrebbe dovuto lasciare Minas Tirith e Gondor per sempre e ancora non era riuscito a trovare il modo di aiutare Faramir ad uscire dalle segrete. Stava camminando rasente il muro di una casa, nel tentativo di ripararsi dal freddo e dalla sorveglianza delle guardie di pattuglia. Era completamente sovrappensiero e così venne colto completamente alla sprovvista quando, passando davanti ad una porta, un braccio vi sporse fuori, tappandogli la bocca per impedirgli di urlare, e lo trascinò all’interno dell’abitazione.

Beleg si dimenò freneticamente mentre la porta veniva richiusa alle sue spalle, cercando di portare la mano alla spada per difendersi dal suo aggressore.

Altre due braccia gli impedirono qualsiasi gesto inconsulto.

“Non preoccupatevi nobile Beleg, non vogliamo farvi del male” disse l’uomo che, alle sue spalle, gli teneva ancora una mano sulla bocca.

Dicendo quelle parole  lasciò la presa sul suo volto, mentre la stretta che gli impediva il movimento delle braccia si faceva meno serrata.

“Mi dispiace per il trattamento, ma non potevamo permettere che ci scoprissero: sarebbe stata la fine per noi, per voi e per il Capitano Faramir” disse ancora la voce dietro la sua schiena.

Nonostante fosse ancora pieno giorno, le finestre dell’abitazione erano completamente sbarrate e quindi all’interno regnava il buio. Beleg non poteva vedere il volto dei suoi interlocutori in quell’oscurità, ma le parole dell’uomo lo avevano tranquillizzato, e quando ogni suo tentativo di ribellione cessò anche l’altro uomo abbandonò la presa sui suoi polsi.

Finalmente venne accesa una candela, e la sua tenue luce permise a Beleg di riconoscere Aldamir e Telemnar, uno dei più alti ufficiali dell’esercito di Gondor il primo, sottufficiale e migliore amico di Faramir il secondo.

“Siano ringraziati tutti i Valar...” disse sospirando l’uomo, mentre gli altri due gli rispondevano con un sorriso. “Ma cosa è successo qui?”.

“Quali siano stati gli avvenimenti precisi,questo solo Denethor lo sa, ma una settimana dopo la vostra partenza è giunto in città un individuo inquietante che si è istallato a palazzo divenendo in pochi giorni il consigliere più fidato del Sovrintendente. Da allora tutti gli ufficiali sono stati allontanati dall’esercito, come è accaduto a me, o degradati a semplici soldati, come Telemnar, e sono stati rimpiazzati da stranieri, mercenari suppongo, che non so nemmeno immaginare da dove possano venire...” prese a raccontare Aldamir. “Quando qualcuno di noi ha chiesto spiegazioni, Denethor in persona gli ha risposto che non poteva affidare la sicurezza di Minas Tirith allo stesso esercito che non aveva nemmeno saputo difendere Osgiliath, e che quindi aveva provveduto a rinnovare le nostre armate con gente senza dubbio più affidabile. Da allora in poi chiunque abbia protestato non è giunto al giorno dopo per raccontarlo. Molti di noi si sono dimessi, mentre ad altri è stato chiesto di rimanere per poter tenere la situazione sotto controllo dall’interno. Sono due giorni che tentiamo di contattarvi, ma solo oggi ci siamo riusciti... adottando metodi non molto ortodossi effettivamente Ci dispiace, non intendevamo mancarvi di rispetto...”.

Un malcelato sorriso segnò l’espressione di Beleg: “Non mi sembra il caso di preoccuparsi del rispetto che non merito. Adesso abbiamo una missione ben più importante da compiere: dobbiamo tirare fuori Faramir dalle segrete, e dobbiamo farlo prima che anche lui impazzisca là dentro!”

“Addirittura nelle segrete!” disse Aldamir sbalordito e preoccupato.

“Te l’avevo detto che non c’era traccia di lui nelle prigioni comuni...” intervenne per la prima volta Telemnar.

“A parte voi due, c’è qualcun altro su cui possiamo fare affidamento?” chiese Beleg preoccupato.

“Non molti purtroppo”gli rispose ancora Aldamir. “Sono stati molto astuti e scrupolosi: hanno eliminato chiunque rappresentasse un pericolo, hanno degradato gli ufficiali e hanno promosso i ragazzi più giovani a posizioni che normalmente avrebbero potuto raggiungere solo tra una ventina d’anni a voler essere ottimisti. In questo modo si sono assicurati il loro silenzio, se non addirittura la loro devozione, e un esercito i cui vertici sono molto facilmente influenzabili: se ci attaccassero in questo momento verremmo sbaragliati via in meno di un pomeriggio. Possiamo fare affidamento sui veterani che ancora non sono in esilio o a riposare sotto terra, ma saranno meno di una trentina di uomini in tutto: potrebbero anche essere sufficienti per tentare di far evadere Faramir, ma poi...?”.

“Poi bisognerà sollevare Denethor dal suo incarico: ormai è solo un vecchio folle incapace di distinguere i nemici dagli amici, anche se questi hanno nelle vene il suo stesso sangue! Una volta che Faramir sarà libero proclameremo lui Sovrintendente!” esclamò Telemnar.

“Non sarà facile convincere Faramir a fare una cosa del genere: è suo padre...” disse Aldamir dubbioso.

“Lo so che non sarà facile per lui, e lo capisco, ma conosco abbastanza bene Faramir per dire che è un uomo ragionevole e...”.

“Faramir non ha nessuna intenzione di diventare Sovrintendente di Gondor” li interruppe Beleg. “E se non vuole farlo è solo perché non ci sarà nessun bisogno che lo faccia: al consiglio ho visto con i miei stessi occhi colui che rivendica il trono di Gondor... l’erede di Isildur... e Faramir gli ha giurato aiuto e fedeltà. Se vinceremo questa guerra, qui a Minas Tirith tornerà ad esserci un re: il tempo dei Sovrintendenti è finito...”.

I due uomini lo fissarono per qualche istante con aria incredula.

“Dunque esiste davvero un erede di Isildur...” disse Aldamir, ancora scosso per quella rivelazione.

“Già... e che i Valar lo proteggano vista la strada che ha scelto di seguire per giungere sin qui...” disse Beleg.

“Cosa vuoi dire con queste minacciose parole?” chiese Telemnar.

“Passerà attraverso i Sentieri Morti per costringere gli spettri a mantenere il giuramento che fecero al suo antenato”si limitò ad accennare, mentre lo stupore dei due uomini, se possibile, cresceva ancora. “Ma è una storia troppo lunga da raccontare, e Faramir ci aspetta. Come pensate di tirarlo fuori dalle segrete?”.

 

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“Allora qual è la situazione?” chiese Gandalf, ancora molto stanco a causa dello sforzo prolungato.

“La situazione è ancora peggiore di quella che credevamo” gli rispose Galadriel con espressione preoccupata.

“Spiegati meglio...” disse sospirando lo stregone.

“Sauron vuole assolutamente Aragorn: lo attaccherà all’uscita dei Sentieri Morti. Da quello che ho capito non lo considera una minaccia da eliminare... Anzi, lo vuole vivo, ma non so dirti perché...”.

Gandalf la osservò con espressione smarrita: cercava di comprendere per quale motivo il ramingo potesse essere tanto importante per l’Oscuro Signore, ma entrare nella mentalità perversa e distorta di Sauron era troppo persino per lui.

“Le brutte notizie non sono finite purtroppo, Mithrandir” disse Galadriel interrompendo il filo dei suoi pensieri. “Minas Tirith è in mano al nemico e Faramir imprigionato nelle segrete. Rohan si troverà da sola ad affrontare il nemico da ovest e dovrà fronteggiare anche Gondor...”.

“Ma com’è possibile tutto ciò?” chiese lo stregone, che stentava a credere alle su orecchie.

“Denethor ha perso la ragione, ed ora soldati di Mordor pattugliano la sua città. Quando Faramir è tornato lo ha fatto arrestare e condannato a morte per tradimento” concluse la dama di Lorien.

“Dunque perdiamo prima ancora di cominciare a combattere” disse Gandalf, quasi rassegnato.

“Non è questo il modo di parlare” lo rimproverò l’elfa.

“Non abbiamo nemmeno modo di avvisare Aragorn, o almeno Theoden!” la interruppe, arrabbiato, lo stregone. “Cosa credi che accadrà quando i Rohirrim arriveranno a Gondor e verranno attaccati dalla stessa gente che ritenevano alleata? Per non parlare poi di Aragorn! Perché Sauron lo vuole? Che cosa ha in serbo per lui? Perché Mordor non ha ancora sferrato l’attacco?”.

“Non sono Sauron e non penso come lui... Quello che so è che sebbene ormai abbia il suo Anello e una forma umana, anche se non ancora un corpo, Sauron ancora esita a sferrare l’attacco. C’è ancora qualcosa che gli impedisce di agire, come se non gli permettesse di usare i poteri dell’Anello, e finché questo qualcosa ci sarà, per noi c’è ancora una speranza. Non possiamo arrenderci Mithrandir!” rispose la donna, con insolita veemenza.

“Hai ragione...” ammise Gandalf, dopo averla guardata per qualche istante stupefatto: mai avrebbe immaginato di vedere la signora della Luce perdere la consueta calma e dolcezza. “Per prima cosa dobbiamo trovare un modo per avvisare Theoden...”.

“Celeborn: l’ho già contattato e un elfo ha già lasciato Lorien per raggiungere il Mark” disse Galadriel nuovamente calma.

“Sempre pieni di risorse voi Elfi...” sorrise stancamente Gandalf. “Come sta Pipino?” chiese infine.

“Si riprenderà: è piuttosto scosso, ma anche incredibilmente forte, e i suoi amici gli sono vicini” gli rispose Galadriel, tranquillizzandolo. “Ora riposa anche tu Mithrandir, poi decideremo il da farsi”.

“Come faremo ad avvertire Aragorn? Quando l’elfo che è partito da Lorien arriverà ad Edoras dubito che lui sarà ancora lì” disse Gandalf.

“Lo credo anche io e per questo non so rispondere alla tua domanda. Possiamo solo fidarci di lui: in fondo non sarebbe certo la prima volta che affronta i Nazgul...” rispose l’elfa, senza nascondere tuttavia la sua preoccupazione.

“Sì, ma sarebbe la prima volta che li affronterebbe dopo che Sauron ha scoperto la sua vera identità.  Credo che sia lui la chiave di tutto questo mistero…” ribatté lo Stregone.

“Può darsi, ma non c’è nulla che possiamo fare per lui, soprattutto finché tu non ti sarai ripreso! Riposa Gandalf...” disse la donna, salutandolo ed uscendo dalla sua stanza.

Rimasto solo, lo Stregone sospirò pesantemente: per la prima volta da quando era giunto nella Terra di Mezzo, poco più di duemila anni prima, si sentiva completamente inutile. Nemmeno imprigionato ad Orthanc si era sentito tanto impotente come in quel momento, disteso in un letto mentre i suoi amici rischiavano la vita combattendo, mentre lui non sapeva nemmeno come fare ad avvisarli dei pericoli che li minacciavano.

Lugubri pensieri occupavano ancora la mente dell’Istaro quando il sonno e la stanchezza lo vinsero, costringendolo ad un sonno tormentato da sogni in cui ogni speranza di sopravvivenza moriva persa nelle nere lande di Mordor.

  
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