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Autore: miseichan    30/04/2010    4 recensioni
Ivan si definisce il figlio del demonio. Chiunque lo conosca non oserebbe mai contraddirlo, e su questo sicuramente gli darebbe ragione, perché ha tutte le sembianze di un demone: alto, con un fisico asciutto e scolpito, occhi neri più dell’ebano… occhi che però ora sembrano morti, perché hanno visto cose orribili: immagini che purtroppo non dimenticherà mai. Ma in quel nuovo paese, una ragazza riuscirà a superare le difese di Ivan, i muri che ha alzato attorno a sé. Una ragazza riuscirà a vedere oltre quella sua aria da bello e dannato… l’unica che riuscirà a far tornare a brillare quelle due gocce d’ebano, dure all’esterno e fragili all’interno. STORIA SOSPESA PER VACANZE ( brevi )… scusate!!
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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manie suicide

Il figlio del demonio

 

* Manie suicida*

 

 

- Ivaaaaan! -

La voce l’aveva sentita: non aveva potuto farne a meno.

Probabilmente non sarebbe comunque mai riuscito ad ignorarla: si era pian piano insinuata nei suoi sogni, sconvolgendone l’andamento caotico già di per sé. Non la riconobbe né capì da dove provenisse o perché lo stesse torturando, la sentì però.

Era squillante, prorompente, invadente: terribilmente fastidiosa.

Il cervello iniziò a funzionare in automatico, lasciando che i pensieri venissero a galla.

Il primo di questi fu un’imprecazione.

Una bestemmia di quelle pesanti, che ti vergogni poi di aver anche solo potuto pensare.

In quel momento però la preoccupazione non sfiorò minimamente il ragazzo che era nel letto: con un movimento drastico e seccato si girò, cercando di allontanarsi dal rumore.

Non vi riuscì purtroppo: sembrava che il molesto schiamazzo non accennasse a diminuire.

Con un mugolio di protesta si allontanò ancora, tirandosi le coperte fin sopra la testa e gettando via il cuscino, nella speranza di riuscire a colpire il portare di guai che era sicuro non avrebbe goduto di lunga vita. Ascoltò con piacere un gemito soffocato ed un tonfo, segno che il cuscino aveva fatto il suo lavoro, la voce però dopo poco riprese più assidua di prima:

- E dai Ivaaaan! -

Fu con un ringhio sommesso che il giovane si mise a sedere, aprendo gli occhi che erano ridotti a due fessure sottili per la rabbia: non ci si comportava in questo modo, non di mattina e certamente non quando non era nemmeno riuscito a prendere ancora il caffè.

Non ci si comportava così: no, a meno che non si fosse afflitti da manie suicida.

Chiunque quindi Ivan avrebbe visto, a breve si sarebbe scontrato con qualcosa che era sicuramente più doloroso di un cuscino piumoso. Uomo avvisato, mezzo salvato.

E a fottersi il fatto che non fosse stato avvisato in realtà.

Forse per il residuo torpore del sonno non lo riconobbe subito, quando poi riuscì ad inquadrarne per bene la figura, squadrando con odio i capelli castani acconciati in un ammasso informe di ricci, le labbra del ragazzo si strinsero quasi in uno spasmo mentre mimava a mezza voce un “ Tu! ” che esprimeva senza problemi tutto il disprezzo e la rabbia del momento.

- F.U.O.R.I ! -

Lo aveva urlato, con tutto il fiato che i suoi polmoni riuscivano a cacciare appena sveglio.

E non era poco.

A sentirlo furono tanti, primo fra tutti il malcapitato che in fin dei conti se l’era cercata.

Poi arrivò alle orecchie di Jeremy, che sentendolo si piegò un po’ su se stesso, stringendosi nelle spalle e socchiudendo gli occhi.

Se lo aspettava ad essere sinceri, Terence per altro glielo aveva anche detto.

Lui però se ne era infischiato altamente ed anche in quel momento non è che la cosa lo interessasse più di tanto. Alzando gli occhi al cielo tornò a concentrarsi sull’arma che teneva fra le mani, riprendendo il lavoro di pulizia della canna da dove si era fermato come niente fosse.

Non si era perso la risatina soddisfatta del fratello, poco lontano da lui, impegnato ai fornelli, solo aveva fatto finta di niente: non aveva alcuna intenzione di dargli anche la più piccola soddisfazione.

Terence non sembrava della medesima opinione nel frattempo: mentre con una mano stringeva l’elastico con cui aveva raccolto i capelli, con l’altra aveva preso ad agitare una spatola nella sua direzione, continuando sempre a sghignazzare compiaciuto.

- Devi ammetterlo su: chi aveva ragione ? -

- Non si sono ancora sentite urla di dolore -

Jeremy annuì come ad auto convincersene: non lo stava ancora malmenando.

Proprio mentre se lo ripeteva un tonfo fortissimo giunse dal piano superiore, poi sentì il fracasso di qualcosa che veniva scaraventato contro un muro, quindi per concludere un ultimo colpo sordo.

La pistola quasi gli scivolò dalle mani per la sorpresa: la posò rapidamente in una tasca dei pantaloni, alzando quindi lo sguardo per incontrare quello del fratello.

- Dici che… -

Terence scosse la testa, girandosi verso il piano di cottura e dandogli le spalle, concludendo la frase per lui in tono decisamente divertito:

- Ucciso ? No, non credo. Se sali ora capace che lo salvi ancora -

Jeremy scattò in piedi incredulo, avviandosi a passo svelto verso le scale.

Salì la prima rampa incerto, indeciso su come affrontare la situazione.

Fu a quel punto che notò la sagoma del ragazzino accasciata sul parchè, con le spalle al muro e un abat-jour in pezzi affianco.

Spalancò gli occhi facendo gli ultimi scalini a due a due e raggiungendo Mattia:

- Dio santo! Stai bene !? -

Si accovacciò di fronte al ragazzo in preda all’ansia, studiandone la figura con sguardo colpevole.

L’altro ricambiò lo sguardo sorridente, annuendo come se niente fosse:

- Certo! Non si preoccupi Jeremy sto benissimo. Adoro Ivan! La mattina è intrattabile quasi quanto mio padre -

Jeremy scosse la testa e alzandosi gli porse una mano per aiutarlo a fare lo stesso.

- Quasi !? -

Mattia annuì convinto prima di rispondere, sicuro di sé.

- Naturalmente: se avessi osato svegliare mio padre come ho fatto con Iv. probabilmente ora non respirerei più -

Lo disse come fosse la cosa più naturale del mondo, incurante del fatto che dall’interno della camera non provenissero altri rumori che ante e cassetti sbattuti con forza brutale.

Quando poi giunse chiaramente anche un ringhio sommesso, seguito da una sequela impressionante di imprecazioni, il ragazzo smise di sorridere stringendo un po’ gli occhi e atteggiandosi in un’espressione impensierita mentre si accarezzava con la mano dietro la testa.

- Forse non dovrei dare per certo nemmeno che una volta uscito mi lascerà vivo, vero ? -

Lo chiese con sincera curiosità, accennando a Jeremy con il capo ed aspettando una qualche risposta, rassicurante o meno.

L’altro gli sorrise prendendolo a braccetto e spingendolo giù per le scale, mormorando a mezza voce in modo che sentisse solo lui:

- Farò di tutto perché ti lasci in vita, non preoccuparti -

Ebbero appena il tempo di entrare in cucina e prendere posto al tavolo che al piano di sopra una porta venne aperta e chiusa violentemente, quindi dei passi lenti e irati risuonarono distintamente.

La risatina sommessa di Terence era l’unico altro rumore.

- Meritereste di morire tutti. In modo atroce. Lentamente. Dolorosamente. Il più possibile. Non vi assicuro che sarà per mano mia ma non crediate che non lo desideri immensamente -

Ivan si era affacciato in cucina, poggiandosi allo stipite della porta con le spalle e squadrando i tre uomini con reale disprezzo ed odio. Che volesse o meno essere una minaccia quella che aveva appena pronunciato, era stata comunque paurosamente inquietante.

Tre paia d’occhi erano puntati su di lui: su quel ragazzo alto in jeans scuri e con una camicia nera che sembrava il demonio in persona tanto i suoi occhi lanciavano saette.

Ivan si passò una mano sul viso, soffermandosi con il palmo sulla fronte per massaggiare le tempie.

Fece quindi scorrere le dita fra i capelli e reclinò la testa all’indietro;

Non si sentiva più un fiato, neanche Terence ridacchiava. Fu sempre il ragazzo a parlare, con voce meno adirata questa volta ma ancora altamente contrariata, e a rompere quel silenzio assordante:

- Forse non lo sapevate e per questo ci tengo a dirlo, così che non ricapiti più una cosa del genere. E’ per il bene di tutti, vi assicuro: non venite più a svegliarmi. Mai più. Mai. E’ importante che sia chiaro: ne va della salute fisica e mentale di tutti. Non sopporto che mi si svegli, men che meno come ha fatto Seth qui. Non va. Davvero. Non so come sia possibile che tu sia ancora vivo, Seth. Poco ci è mancato che ti defenestrassi… -

- Caffè ? -

Terence si era avvicinato di soppiatto, piantandogli una tazza enorme e fumante sotto il naso.

Ivan si interruppe, guardando alternativamente la tazza e Terence, poi senza dire altro, con una semplice alzata di spalle afferrò la tazza.

Cominciò a sorseggiarlo lentamente, mentre i tratti del suo viso sembravano addolcirsi attimo dopo attimo.

Sempre bevendo si allontanò piano, aggirandosi per la casa.

- Abbiamo scoperto come placare il demonio, allora -

Jeremy sogghignò, rispondendo prontamente all’espressione del fratello che annuiva soddisfatto.

Mattia aveva gli occhi ormai costantemente spalancati: fissava prima uno poi l’altro abitante di quella casa e non riusciva a nascondere le proprie emozioni ed impressioni che ondeggiavano dalla sorpresa alla gioia.

Fece per dire qualcosa ma venne interrotto da un lamento soffocato.

Si voltò trovandosi di fronte un Ivan nuovamente alterato. Osservò con rimpianto la tazza già vuota e dopo aver lanciato un’occhiata veloce alla caffettiera purtroppo vuota, si preparò al peggio.

- Cos’è ?! -

Dicendolo sollevò con gesto stizzito uno zainetto rosso e nero.

Lanciò uno sguardo allo zaino, guardandolo con aria schifata, per poi tornare a puntare gli occhi su Jeremy e Terence.

- Non sono milanista! -

Mormorò a denti stretti con tono accusatorio, continuando a tenerlo in alto e ben lontano.

- Iv… è per la scuola -

Jeremy lo aveva detto con naturalezza, come se la cosa fosse ovvia e banale ma Ivan scosse la testa vivacemente, perdendo però l’aria infuriata, sostituita velocemente da qualcosa che sembrava un misto fra disperazione e rassegnazione.

- Oggi è lunedì -

Non era una domanda e nemmeno un’affermazione.

Era una semplice e pura constatazione.

- Sì -

Ivan abbassò lo zaino, lasciandolo cadere ai suoi piedi e facendo una faccia da condannato a morte.

- Non ci credo… devo andare a scuola ? -

Quasi non si era sentita la domanda tanto la voce era uscita esile e provata da quelle labbra che sembravano tendere verso il basso tanta l’angoscia che in quel momento lo affliggeva.

Jeremy e Terence annuirono in contemporanea, con espressioni serie che non ammettevano repliche.

- Perché tu e Mattia non vi avviate ? Noi vi seguiamo fra un po’ e finiamo di accordarci con il preside, anche se ormai è già tutto sistemato: non ci saranno problemi di alcun tipo -

Ivan annuì svogliatamente, afferrando lo zaino e lanciandoselo in spalla con furia ed al tempo stesso in un movimento pieno di eleganza innaturale.

Senza salutare si avviò fuori dalla cucina dopo aver lasciato la tazza sul tavolo e con passo spedito uscì di casa.

Mattia aveva assistito a tutta la scena in silenzio e mentre scattando in piedi per raggiungerlo salutava i due ragazzi, l’unica cosa a cui riusciva a pensare era che Ivan sarebbe andato a scuola: la cosa lo entusiasmava oltre modo in maniera eccessiva, eppure non riusciva ad evitarlo.

- E’ fantastico! -

Ivan non gli rispose, osservandolo con indifferenza mentre Mattia adattava il passo a quello dell’altro ragazzo.

Il ragazzino non si scompose, mantenendo invariata la sua euforia.

Fece per riprendere il discorso quando gli tornò in mente qualcosa che prima gli era sfuggito:

- Seth ? -

Ivan si voltò appena, non capendo dove volesse andare a parare e il ragazzino annuendo continuò con voce squillante e gesticolando al contempo con le mani:

- Mi hai chiamato Seth! Più volte! Perché ? -

Ivan sorrise con aria divertita e saccente prima di rispondere:

- Mai visto “ The O.C. ? ” -

Mattia strinse gli occhi, faticando a stargli dietro nel ragionamento, ma Ivan continuò imperterrito alzando gli occhi al cielo e sbottonando i primi bottoni della camicia.

- Ecco, tu sei Seth. Ragazzino, bamboccio, ingenuo, atipico, frustrato dalla vita noiosa e monotona che si ritrova. Per quanto la cosa sia impressionante devo aggiungere che sei anche fastidioso e rompipalle quanto lui -

Mattia iniziò quasi a saltellare al fianco di Ivan, costringendolo a fermarsi e girarsi per guardarlo in viso.

Sprizzava gioia ed entusiasmo da tutti i pori e quando parlò sembrò che faticasse a non urlare come un pazzo:

- Sì, sì, sì! Sono Seth! Allora tu sei Ryan! -

- Cosa ? -

Mattia prese a fare piccoli saltelli, tenendo le mani sulle spalle del ragazzo che aveva di fronte e fissandolo con occhi luccicanti. Sorrideva candidamente, annuì senza fermarsi:

- Certo! Tu sei lo straniero! Diventeremo amici per la pelle e combinerai tantissimi guai che poi però non saranno guai! Cioè… niente di eccessivamente grave, che risolveremo e che però movimenterà comunque le cose! Sarà fantastico! Assolutamente eccezionale e noi… -

Ivan gli piantò saldamente una mano sul capo, spingendolo e trattenendolo per terra fermo.

Scosse la testa. Una sola volta.

In modo perentorio e incorruttibile.

- NO -

Mattia provò a ribattere ma Ivan non glielo permise: prese un bel respiro e continuò.

- Credevo di essermi già spiegato: tu sarai anche una piaga come Seth ma io non sono e non sarò Ryan. Non ho intenzione di combinare un bel niente. Ribadisco che me ne starò buono per un po’ e al massimo quello che potrà succedere sarà il mio suicidio -

La faccia di Mattia assunse per qualche istante un’espressione delusa e risentita, poi Ivan mormorò qualcosa a voce bassa, come fosse una maledizione e Mattia tornò a sorridere.

“ Ah no, quasi dimenticavo: o il mio suicidio o il tuo omicidio, perdonami ”

- Sei fortissimo, lo sai ? -

Ivan lo guardò, temendo seriamente per la sanità mentale del ragazzo che senza problemi continuava a trasudare allegria pura.

- Devi avere qualche problema secondo me -

Mattia ignorò la frase dell’altro prendendo a camminare e trascinandoselo dietro per la manica.

- Siamo quasi arrivati ! -

Ivan socchiuse gli occhi non capendo dove vedesse la scuola il ragazzino, così con voce carica di sconforto chiese:

- Dove ? Non vedo ragazzi -

Mattia allungò il braccio, indicando dritto di fronte a sé.

Ivan seguì la direzione del dito con lo sguardo e vedendo finalmente quella che era la scuola sentì un tuffo al cuore.

Cercando di capacitarsi di non star ancor dormendo sbattè più volte le palpebre e poi con un gemito soffocato pensò fra se e se che forse un Ryan Atwood sarebbe servito per davvero.

 

*

 

   
 
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