Il figlio del demonio
* Manie suicida*
- Ivaaaaan! -
La voce l’aveva sentita: non aveva potuto farne a
meno.
Probabilmente non sarebbe comunque mai riuscito ad
ignorarla: si era pian piano insinuata nei suoi sogni, sconvolgendone l’andamento
caotico già di per sé. Non la riconobbe né capì da dove provenisse o perché lo
stesse torturando, la sentì però.
Era squillante, prorompente, invadente: terribilmente
fastidiosa.
Il cervello iniziò a funzionare in automatico, lasciando
che i pensieri venissero a galla.
Il primo di questi fu un’imprecazione.
Una bestemmia di quelle pesanti, che ti vergogni poi di
aver anche solo potuto pensare.
In quel momento però la preoccupazione non sfiorò
minimamente il ragazzo che era nel letto: con un movimento drastico e seccato
si girò, cercando di allontanarsi dal rumore.
Non vi riuscì purtroppo: sembrava che il molesto
schiamazzo non accennasse a diminuire.
Con un mugolio di protesta si allontanò ancora, tirandosi
le coperte fin sopra la testa e gettando via il cuscino, nella speranza di
riuscire a colpire il portare di guai che era sicuro non avrebbe goduto di
lunga vita. Ascoltò con piacere un gemito soffocato ed un tonfo, segno che il
cuscino aveva fatto il suo lavoro, la voce però dopo poco riprese più assidua
di prima:
- E dai Ivaaaan! -
Fu con un ringhio sommesso che il giovane si mise a
sedere, aprendo gli occhi che erano ridotti a due fessure sottili per la
rabbia: non ci si comportava in questo modo, non di mattina e certamente non
quando non era nemmeno riuscito a prendere ancora il caffè.
Non ci si comportava così: no, a meno che non si fosse
afflitti da manie suicida.
Chiunque quindi Ivan avrebbe visto, a breve si sarebbe
scontrato con qualcosa che era sicuramente più doloroso di un cuscino piumoso.
Uomo avvisato, mezzo salvato.
E a fottersi il fatto che non fosse stato avvisato in
realtà.
Forse per il residuo torpore del sonno non lo riconobbe
subito, quando poi riuscì ad inquadrarne per bene la figura, squadrando con
odio i capelli castani acconciati in un ammasso informe di ricci, le labbra del
ragazzo si strinsero quasi in uno spasmo mentre mimava a mezza voce un “
Tu! ” che esprimeva senza problemi tutto il disprezzo e la rabbia del
momento.
- F.U.O.R.I ! -
Lo aveva urlato, con tutto il fiato che i suoi polmoni
riuscivano a cacciare appena sveglio.
E non era poco.
A sentirlo furono tanti, primo fra tutti il malcapitato
che in fin dei conti se l’era cercata.
Poi arrivò alle orecchie di Jeremy, che sentendolo si
piegò un po’ su se stesso, stringendosi nelle spalle e socchiudendo gli
occhi.
Se lo aspettava ad essere sinceri, Terence per altro
glielo aveva anche detto.
Lui però se ne era infischiato altamente ed anche in quel
momento non è che la cosa lo interessasse più di tanto. Alzando gli occhi al
cielo tornò a concentrarsi sull’arma che teneva fra le mani, riprendendo
il lavoro di pulizia della canna da dove si era fermato come niente fosse.
Non si era perso la risatina soddisfatta del fratello,
poco lontano da lui, impegnato ai fornelli, solo aveva fatto finta di niente:
non aveva alcuna intenzione di dargli anche la più piccola soddisfazione.
Terence non sembrava della medesima opinione nel
frattempo: mentre con una mano stringeva l’elastico con cui aveva
raccolto i capelli, con l’altra aveva preso ad agitare una spatola nella
sua direzione, continuando sempre a sghignazzare compiaciuto.
- Devi ammetterlo su: chi aveva ragione ? -
- Non si sono ancora sentite urla di dolore -
Jeremy annuì come ad auto convincersene: non lo stava ancora
malmenando.
Proprio mentre se lo ripeteva un tonfo fortissimo giunse
dal piano superiore, poi sentì il fracasso di qualcosa che veniva scaraventato
contro un muro, quindi per concludere un ultimo colpo sordo.
La pistola quasi gli scivolò dalle mani per la sorpresa:
la posò rapidamente in una tasca dei pantaloni, alzando quindi lo sguardo per
incontrare quello del fratello.
- Dici che… -
Terence scosse la testa, girandosi verso il piano di
cottura e dandogli le spalle, concludendo la frase per lui in tono decisamente
divertito:
- Ucciso ? No, non credo. Se sali ora capace che lo salvi
ancora -
Jeremy scattò in piedi incredulo, avviandosi a passo
svelto verso le scale.
Salì la prima rampa incerto, indeciso su come affrontare
la situazione.
Fu a quel punto che notò la sagoma del ragazzino
accasciata sul parchè, con le spalle al muro e un abat-jour in pezzi affianco.
Spalancò gli occhi facendo gli ultimi scalini a due a due
e raggiungendo Mattia:
- Dio santo! Stai bene !? -
Si accovacciò di fronte al ragazzo in preda
all’ansia, studiandone la figura con sguardo colpevole.
L’altro ricambiò lo sguardo sorridente, annuendo
come se niente fosse:
- Certo! Non si preoccupi Jeremy sto benissimo. Adoro
Ivan! La mattina è intrattabile quasi quanto mio padre -
Jeremy scosse la testa e alzandosi gli porse una mano per
aiutarlo a fare lo stesso.
- Quasi !? -
Mattia annuì convinto prima di rispondere, sicuro di sé.
- Naturalmente: se avessi osato svegliare mio padre come
ho fatto con Iv. probabilmente ora non respirerei più -
Lo disse come fosse la cosa più naturale del mondo,
incurante del fatto che dall’interno della camera non provenissero altri
rumori che ante e cassetti sbattuti con forza brutale.
Quando poi giunse chiaramente anche un ringhio sommesso,
seguito da una sequela impressionante di imprecazioni, il ragazzo smise di
sorridere stringendo un po’ gli occhi e atteggiandosi in
un’espressione impensierita mentre si accarezzava con la mano dietro la
testa.
- Forse non dovrei dare per certo nemmeno che una volta uscito
mi lascerà vivo, vero ? -
Lo chiese con sincera curiosità, accennando a Jeremy con
il capo ed aspettando una qualche risposta, rassicurante o meno.
L’altro gli sorrise prendendolo a braccetto e
spingendolo giù per le scale, mormorando a mezza voce in modo che sentisse solo
lui:
- Farò di tutto perché ti lasci in vita, non preoccuparti
-
Ebbero appena il tempo di entrare in cucina e prendere
posto al tavolo che al piano di sopra una porta venne aperta e chiusa
violentemente, quindi dei passi lenti e irati risuonarono distintamente.
La risatina sommessa di Terence era l’unico altro
rumore.
- Meritereste di morire tutti. In modo atroce. Lentamente.
Dolorosamente. Il più possibile. Non vi assicuro che sarà per mano mia ma non
crediate che non lo desideri immensamente -
Ivan si era affacciato in cucina, poggiandosi allo stipite
della porta con le spalle e squadrando i tre uomini con reale disprezzo ed
odio. Che volesse o meno essere una minaccia quella che aveva appena
pronunciato, era stata comunque paurosamente inquietante.
Tre paia d’occhi erano puntati su di lui: su quel
ragazzo alto in jeans scuri e con una camicia nera che sembrava il demonio in
persona tanto i suoi occhi lanciavano saette.
Ivan si passò una mano sul viso, soffermandosi con il
palmo sulla fronte per massaggiare le tempie.
Fece quindi scorrere le dita fra i capelli e reclinò la
testa all’indietro;
Non si sentiva più un fiato, neanche Terence ridacchiava.
Fu sempre il ragazzo a parlare, con voce meno adirata questa volta ma ancora
altamente contrariata, e a rompere quel silenzio assordante:
- Forse non lo sapevate e per questo ci tengo a dirlo,
così che non ricapiti più una cosa del genere. E’ per il bene di tutti,
vi assicuro: non venite più a svegliarmi. Mai più. Mai. E’ importante che sia chiaro: ne va della salute fisica
e mentale di tutti. Non sopporto che mi si svegli, men che meno come ha fatto
Seth qui. Non va. Davvero. Non so come sia possibile che tu sia ancora vivo,
Seth. Poco ci è mancato che ti defenestrassi… -
- Caffè ? -
Terence si era avvicinato di soppiatto, piantandogli una
tazza enorme e fumante sotto il naso.
Ivan si interruppe, guardando alternativamente la tazza e
Terence, poi senza dire altro, con una semplice alzata di spalle afferrò la
tazza.
Cominciò a sorseggiarlo lentamente, mentre i tratti del
suo viso sembravano addolcirsi attimo dopo attimo.
Sempre bevendo si allontanò piano, aggirandosi per la
casa.
- Abbiamo scoperto come placare il demonio, allora -
Jeremy sogghignò, rispondendo prontamente all’espressione
del fratello che annuiva soddisfatto.
Mattia aveva gli occhi ormai costantemente spalancati:
fissava prima uno poi l’altro abitante di quella casa e non riusciva a
nascondere le proprie emozioni ed impressioni che ondeggiavano dalla sorpresa alla
gioia.
Fece per dire qualcosa ma venne interrotto da un lamento
soffocato.
Si voltò trovandosi di fronte un Ivan nuovamente alterato.
Osservò con rimpianto la tazza già vuota e dopo aver lanciato un’occhiata
veloce alla caffettiera purtroppo vuota, si preparò al peggio.
- Cos’è ?! -
Dicendolo sollevò con gesto stizzito uno zainetto rosso e
nero.
Lanciò uno sguardo allo zaino, guardandolo con aria
schifata, per poi tornare a puntare gli occhi su Jeremy e Terence.
- Non sono milanista! -
Mormorò a denti stretti con tono accusatorio, continuando
a tenerlo in alto e ben lontano.
- Iv… è per la scuola -
Jeremy lo aveva detto con naturalezza, come se la cosa
fosse ovvia e banale ma Ivan scosse la testa vivacemente, perdendo però
l’aria infuriata, sostituita velocemente da qualcosa che sembrava un
misto fra disperazione e rassegnazione.
- Oggi è lunedì -
Non era una domanda e nemmeno un’affermazione.
Era una semplice e pura constatazione.
- Sì -
Ivan abbassò lo zaino, lasciandolo cadere ai suoi piedi e
facendo una faccia da condannato a morte.
- Non ci credo… devo andare a scuola ? -
Quasi non si era sentita la domanda tanto la voce era
uscita esile e provata da quelle labbra che sembravano tendere verso il basso
tanta l’angoscia che in quel momento lo affliggeva.
Jeremy e Terence annuirono in contemporanea, con
espressioni serie che non ammettevano repliche.
- Perché tu e Mattia non vi avviate ? Noi vi seguiamo fra
un po’ e finiamo di accordarci con il preside, anche se ormai è già tutto
sistemato: non ci saranno problemi di alcun tipo -
Ivan annuì svogliatamente, afferrando lo zaino e
lanciandoselo in spalla con furia ed al tempo stesso in un movimento pieno di
eleganza innaturale.
Senza salutare si avviò fuori dalla cucina dopo aver
lasciato la tazza sul tavolo e con passo spedito uscì di casa.
Mattia aveva assistito a tutta la scena in silenzio e
mentre scattando in piedi per raggiungerlo salutava i due ragazzi,
l’unica cosa a cui riusciva a pensare era che Ivan sarebbe andato a scuola:
la cosa lo entusiasmava oltre modo in maniera eccessiva, eppure non riusciva ad
evitarlo.
- E’ fantastico! -
Ivan non gli rispose, osservandolo con indifferenza mentre
Mattia adattava il passo a quello dell’altro ragazzo.
Il ragazzino non si scompose, mantenendo invariata la sua
euforia.
Fece per riprendere il discorso quando gli tornò in mente
qualcosa che prima gli era sfuggito:
- Seth ? -
Ivan si voltò appena, non capendo dove volesse andare a
parare e il ragazzino annuendo continuò con voce squillante e gesticolando al
contempo con le mani:
- Mi hai chiamato Seth! Più volte! Perché ? -
Ivan sorrise con aria divertita e saccente prima di
rispondere:
- Mai visto “ The O.C. ? ” -
Mattia strinse gli occhi, faticando a stargli dietro nel
ragionamento, ma Ivan continuò imperterrito alzando gli occhi al cielo e
sbottonando i primi bottoni della camicia.
- Ecco, tu sei Seth. Ragazzino, bamboccio, ingenuo,
atipico, frustrato dalla vita noiosa e monotona che si ritrova. Per quanto la
cosa sia impressionante devo aggiungere che sei anche fastidioso e rompipalle
quanto lui -
Mattia iniziò quasi a saltellare al fianco di Ivan,
costringendolo a fermarsi e girarsi per guardarlo in viso.
Sprizzava gioia ed entusiasmo da tutti i pori e quando
parlò sembrò che faticasse a non urlare come un pazzo:
- Sì, sì, sì! Sono Seth! Allora tu sei Ryan! -
- Cosa ? -
Mattia prese a fare piccoli saltelli, tenendo le mani
sulle spalle del ragazzo che aveva di fronte e fissandolo con occhi luccicanti.
Sorrideva candidamente, annuì senza fermarsi:
- Certo! Tu sei lo straniero! Diventeremo amici per la
pelle e combinerai tantissimi guai che poi però non saranno guai! Cioè…
niente di eccessivamente grave, che risolveremo e che però movimenterà comunque
le cose! Sarà fantastico! Assolutamente eccezionale e noi… -
Ivan gli piantò saldamente una mano sul capo, spingendolo
e trattenendolo per terra fermo.
Scosse la testa. Una sola volta.
In modo perentorio e incorruttibile.
- NO -
Mattia provò a ribattere ma Ivan non glielo permise: prese
un bel respiro e continuò.
- Credevo di essermi già spiegato: tu sarai anche una
piaga come Seth ma io non sono e non sarò Ryan. Non ho intenzione di combinare
un bel niente. Ribadisco che me ne starò buono per un po’ e al massimo
quello che potrà succedere sarà il mio suicidio -
La faccia di Mattia assunse per qualche istante
un’espressione delusa e risentita, poi Ivan mormorò qualcosa a voce
bassa, come fosse una maledizione e Mattia tornò a sorridere.
“ Ah no, quasi dimenticavo: o il mio suicidio o il
tuo omicidio, perdonami ”
- Sei fortissimo, lo sai ? -
Ivan lo guardò, temendo seriamente per la sanità mentale
del ragazzo che senza problemi continuava a trasudare allegria pura.
- Devi avere qualche problema secondo me -
Mattia ignorò la frase dell’altro prendendo a
camminare e trascinandoselo dietro per la manica.
- Siamo quasi arrivati ! -
Ivan socchiuse gli occhi non capendo dove vedesse la
scuola il ragazzino, così con voce carica di sconforto chiese:
- Dove ? Non vedo ragazzi -
Mattia allungò il braccio, indicando dritto di fronte a
sé.
Ivan seguì la direzione del dito con lo sguardo e vedendo
finalmente quella che era la scuola sentì un tuffo al cuore.
Cercando di capacitarsi di non star ancor dormendo sbattè
più volte le palpebre e poi con un gemito soffocato pensò fra se e se che forse
un Ryan Atwood sarebbe servito per davvero.
*