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Autore: La neve di aprile    23/08/2005    10 recensioni
Lola era una ragazzina di quattordici anni nata a Madrid e cresciuta a Kabul.
Lola era.
Genere: Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LOLA

 

Lola aveva quattordici anni e viveva in Iraq, in un quartiere di Kabul.
Era una ragazzina come tante altre, con lunghi capelli lontani nascosti da impalpabili veli e grandi occhi neri. Aveva un bel visetto a forma di cuore e un nasino a punta, spruzzato di efelidi, che odiava, con tutta se stessa e non perdeva mai l'occasione per lamentarsi di quelle macchioline che si vedevano nonostante la pelle bruciata dal caldo e torrido sole.
Lola faceva parte di quella categoria di persone che alla mattina non riescono proprio ad aprire gli occhi tanto sono assonnate e hanno bisogno di quattro-cinque tazze di caffé solo per riuscire a dire "Ho sonno". La prima e la seconda ora a scuola erano infernali per lei , ancora addormentata, con la mente catturata da frammenti di sogno interrotti dal brusco suonare di una sveglia.
Lola non era molto alta, ma in compenso era velocissima. Era un vero asso in quei giochi che i ragazzi di Kabul fanno nei cortili delle scuole. Giochi stupidi, infantili: nascondino, rincorrersi, qualche strana versione di guardia e ladri. Nonostante questo, però, Lola non era popolare tra i suoi coetanei, che la giudicavano strana , forse a causa di quel suo carattere schivo, solitario. Come fanno certi lupi, si isolava dalla massa, preferendo la compagnia di un libro a quella dei suoi coetanei.
Lola leggeva moltissimo. Anche quando procurarsi un libro era diventato impossibile, lei si rinchiudeva in un carcere di parole e di mondi meravigliosi, cercando di dimenticare lo squallore al quale era oramai abituata. Non era sempre stato così per lei e per la sua famiglia. Erano arrivati in Iraq quando Lola era ancora una bambinetta in fasce e vivevano in una bellissima casa sulle colline. Li era cresciuta tra pareti bianche e tv satellitare, ascoltando vecchi lp dei Beatles e annusando gli aromi piccanti della cucina irachena.
Lola amava la musica.Era la sua compagnia quando andava in autobus, quando studiava al pomeriggio, incantandosi a guardare una foglia cadere oltre il vetro di una finestra, era con lei quando andava a comprare il pane e anche quando sognava ad occhi aperti. Voleva una canzone in ogni attimo della sua vita, voleva carpire il segreto nascosto tra parole scritte forse a caso e farlo suo. Non c'era giorno che passasse senza che imparasse a memoria una canzone. Allo stesso modo in cui mava la musica, amava la neve. Ma nel suo paese non nevica mai, fa troppo caldo e lei lo sa benissimo. Ma la neve l'ha vista, eh! Una volta, quando i suoi genitori l'hanno portata a fare quell'unica vacanza della sua vita in un paese di metallo e cemento con case alte fino al cielo e alberi ricoperti da mille lucine colorate. Si, era stata a New York, una volta.
Lola non ricordava però il piccolo alberghetto di periferia, con la stanze ricoperte da carta da parati scrostata e con grandi scarafaggi neri nel bagno dai rubinetti gocciolanti. No, lei ricordava, come tutti i bambini, la magia di un albero di natale, delle vetrine luccicanti e dei cori per le strade, ricoperte da tanta, tantissima neve. Ricordava quei larghi e freddi fiocchi che volteggiavano nell'aria grigia, metallica, non i brividi e il raffreddore che si portò poi dietro per mesi, una volta tornata nel caldo torrido di casa sua.
Lola era una ragazzina come tante altre, forse più fortunata sotto certi aspetti. Aveva una casa con l'acqua potabile, uno scaldabagno e un computer in camera, con il collegamento internet. I suoi genitori le volevano bene, la coccolavano come potevano, forse per scusarsi e farsi perdonare. Perché Lola non era nata in Iraq. Lola era nata a Madrid, nella caotica Madrid. Sangue spagnolo scorreva nelle sue vene, illuminava i suoi occhi neri. Parlava a stento lo spagnolo e non lo capiva moltissimo, assuefatta com'era ai suoni rochi e gutturali della lingua araba, che ormai aveva intriso anche il più piccolo anfratto del suo animo. I suoi genitori erano medici partiti volontari per quel paese disastrato e lavoravano in un ospedale - campo. I soldi però erano diventati ben presto troppo pochi per continuare a vivere su quelle colline e il trasloco in una casa più vicina al centro era stato inevitabile. Lola non si era lasciata spaventare dalle prime difficoltà, dal dialetto incomprensibile che i ragazzini parlavano e si era lasciata catturare dalla bellezza della grande Moschea Blu e dei mille bazar da favola.
Come tutti i ragazzini cresciuti in un paese in guerra, non aveva paura, nemmeno quando gli allarmi suonavano e nell'aria risuonava il sibilo delle bombe, seguito poi dalle prime violente esplosioni. Non aveva paura nemmeno quando calava quel silenzio agghiacciante che precedeva le urla disperate di chi trovava un corpo e lo riconosceva. No, Lola era coraggiosa. Lola metteva gli auricolari del suo preziosissimo walkman della Philips e chiudeva gli occhi, sperando che tutto passasse. Non le era mai successo nulla, si era convinta che la musica la proteggesse. E anche quando le bombe cadevano mentre era a scuola, le bastava pensare a una qualsiasi canzone perchè la melodia le riempisse la mente e le desse la forza di muovere le gambe e correre via, veloce come il vento, verso un posto lontano, dove la polvere non la soffocasse.
Lola era una normalissima ragazzina di quattordici anni, in fin dei conti.
Era.
Lola era, in ogni senso.
Ora non è più.
O meglio, è un corpo sepolto in una fossa comune, in mezzo ad altri cadaveri dalle storie forse analoghe alla sua. La musica non l'ha protetta, quando la bomba è esplosa sopra la sua casa, sparando macerie in ogni direzione e sollevando un fungo di fumo nel cielo stellato. Non ha visto le stelle vibrare come le corde di un'arpa mentre gli aerei, rapidi come frecce appena scoccate, volavano via. Forse non ha nemmeno sentito il fragore dello scoppio, grazie a quegli auricolari che teneva nelle orecchie e che si sono fusi con lei, per poi diventare un mucchio di ossa, carne e vestiti carbonizzati.
Lola è morta.
In una fresca notte di settembre il suo cuore ha battuto un'ultima volta, le sue orecchie hanno ascoltato una canzone per l'ultima volta. Mentre i suoi genitori lavoravano per salvare la vita di un bambino che aveva perso entrambe le gambe su una mina, lei moriva. Paradossale, no?
Chissà, forse ha sofferto, forse no. Ma tanto, ora cosa importa?
Lola è morta.
Non giocherà più in cortile, non sognerà più la neve e non canterà più in silenzio; non camminerà più per le vie fangose della sua città adottiva, non riderà più, non piangerà più.
Lola era.
Come tanti altri, assieme a lei, forse si è chiesta, mentre la vita la lasciava, quale era la sua colpa, perché non le davano il tempo di crescere, di amare, di odiare, di sbagliare e solo da vecchia morire. Chissà se Lola si è arrabbiata, mentre il suo ultimo respiro veniva esalato. Chissà se ha urlato di dolore. Chissà se ha maledetto quelle persone che detengono in una sola mano il potere di condannare innocenti. Chissà se invece ha pianto. Se ha avuto paura. Chissà se si era già addormentata e non ha sentito nulla.
Mi piace pensare che Lola fosse felice. Che stesse ascoltando la sua canzone preferita e si fosse immersa tra le note al punto di non accorgersi di altro. Di non sentire il dolore. Già. Mi piace pensare che fosse felice.

   
 
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