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Autore: Red_Hot_Holly_Berries    01/05/2010    4 recensioni
Britannia, epoca di spade nella roccia, di cavalieri, di draghi e di... COSA!? Draghi!? Sì, draghi, come un (incredulo) cavaliere avrà modo di scoprire. Hic sunt dracos, certo, ma il segreto è conviverci...
Genere: Azione, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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xElos:certo che l'ho letto! anche se l'idea della citazione non viene da lì. "Hic Sunt Dracos" lo si trova spesso sulle carte medioevali: al centro vi sono le terre del feudo, ma tutto intorno è bianco, con disegni leggendari e questa dicitura, a dire che tutto il resto del mondo è immaginario, pericoloso, non essendovi la curiosità necessaria per esplorarlo.
Perciò doppio richiamo: alla triste storia di Elbow il Vecchio ed il Giovane, ed alla capacità di guardare oltre lo scritto, il tracciato.
Altra cosa, il commento sull'Inghilterra. Se sei mai stata in Gran Bretagna, o anche solo al Nord delle Francia, Belgio e via dicendo, sai cosa intendo. Metà del mio sangue proviene da quelle parti...
Un grazie incredibile per aver commentato un prologo così corto, e la mia promessa che ascolterò qualunque tuo suggerimento.




Capitolo 2: …E Neanche Quello Appena Svegliato

-Mi giuri eterna fedeltà?-
-Lo giuro.-
-Giuri di proteggere il debole dal forte, la giustizia dal male?-
-Lo giuro.-
-Giuri di tenere al fianco questa spada fino alla morte, fino alla tomba?-
-Lo giuro.-

-È ora di alzarsi, milord!- trillò una voce allegra nel suo orecchio, facendolo schizzare fuori dal sonno e quasi fuori dal letto.
-Elizabeta, dannazione…- ansimò Alfred, passandosi una mano sul viso e premendosi l’altra sul petto, cercando di rallentare il battito furioso del suo cuore.
-Mi hai fatto venire un infarto!- La sua domestica ridacchiò.
-Sono molto spiacente, milord.- Sì, certo, guardatela com’era depressa.
-Credevo che anche stamattina volesse alzarsi presto per allenarsi…- Calma, Alfred, non sta bene strozzare la cameriera che ti ha dato il tuo signore…
-Ma dovevi proprio urlarmi nell’orecchio? Mi fa male la testa!-
-Certo che le fa male la testa, milord, dato che ieri sera ha bevuto come una spugna, e io ho dovuto trascinarla a letto- disse Elizabeta con un sorriso innocente e molto inquietante, che gli ricordò con un brivido quello del siniscalco Ivan. E quella che teneva dietro la sua schiena, era la sua famigerata padella di ferro…?
Perché diavolo se l’era beccata lui, la serva vendicativa? Alfred sospirò di nuovo, dicendo definitivamente addio al sogno in cui aveva rivissuto la sua investitura a cavaliere, avvenuta alcuni mesi prima, e scostò le coperte, saltando giù dal letto.
Dopo sbornia o meno, era innegabile che quel giovane fosse sempre pieno di energie.
-Le porto la colazione o vuole mangiare nella sala grande?- domandò la ragazza, aiutandolo a vestirsi con una scioltezza collaudata dall’esperienza giornaliera.
-No, grazie, mangerò giù con gli altri.- sbadigliò il cavaliere, assicurandosi con un gesto automatico la spada nel suo fodero al fianco sinistro e la daga a quello destro.
Alla tavolata dei cavalieri se non altro trovò un po’ di compassione: la sera prima non aveva certo bevuto da solo, e non sembrava nemmeno essere l’unico ad avere problemi con la servitù dispotica.
Antonio, venuto dall’Iberia ed attualmente incaricato di addestrare i magnifici cavalli che aveva portato con sé, doveva essere stato cacciato dalla camera a calci da Lovino, mentre era quasi sicuro che i fratelli Gilbert e Ludwig, entrambi Germani, fossero stati svegliati dall’esuberanza di Feliciano (fratello a sua volta del sopracitato servo).
L’unico che si era alzato di sua spontanea volontà era senza dubbio Roderich, che pur essendo un cavaliere come gli altri, si occupava principalmente dell’amministrazione finanziaria del regno. Sua caratteristica era l’essere disgustosamente mattiniero, e con questo poco c’entrava il suo servo, tale Vash, che pur sapendo essere tirannico, lo era meno apertamente degli altri.
Caratteristica ereditata da sua sorella, Liechtenstein (Lily per comodità), rendendola la domestica più timida di Camelot, e a questo probabilmente era dovuta la mancanza del suo padrone Francis alla tavolata: se lasciato a sé stesso difficilmente si svegliava prima di mezzogiorno, e solitamente Lily necessitava dell’aiuto del fratello per buttarlo giù dal letto, o così Alfred aveva sentito dire.
L’ultimo arrivato si sedette tra Antonio e Gilbert, salutandoli con uno sbadiglio, venendo ricambiato nello stesso modo dal primo e con un arruffamento di capelli dal secondo.
Alfred era acutamente consapevole di essere il più giovane, e si era ripromesso di far loro vedere quanto valeva, ma per adesso aveva impegni più importanti. Tipo la colazione. Una sguattera gli allungò una ciotola di latte, in cui inzuppò del pane in attesa che Ludwig si fosse servito degli avanzi dell’arrosto del giorno prima, e quindi buttarsi lui stesso voracemente sul vassoio.
- Non vedo il re. Dov’è?- chiese alla fine, dopo aver superato la fase “inghiotti tutto ciò su cui riesci a mettere le mani” ed entrando in quella successiva, ovvero “prova a sentire che sapore ha il cibo che stai mangiando”.
-L’ho visto uscire prima a cavallo con Merlino. Credo siano andati in città o qualcosa del genere.- gli rispose Antonio, porgendogli una caraffa di quello che Alfred riconobbe dall’odore essere un rimedio contro il mal di testa.
-Grazie mille!- Il biondo se ne versò un boccale pieno, grato di quel dono del celo che erano le erbe medicinali.
-Cosa avrà da fare con quello “stregone”?- si chiese ad alta voce, dubbioso, ma gli altri fecero poco caso al suo riferimento a Merlino: sapevano già di quanto poco lui credesse alla magia. E sapevano anche bene che prima o poi si sarebbe rimangiato le sue parole. Come avevano fatto loro, d’altronde.
-Piuttosto che impicciarti nelle faccende del re, cosa conti di fare tu, oggi?- gli chiese Roderich, ed Alfred si prese un attimo per pensarci. C’era qualcosa che doveva fare, oggi… Qualcosa che aveva programmato da molto tempo… Ah, sì!
-Devo andare a trovare il Conte Braginski. A quanto ho capito, mio padre mi vuole far sposare con una delle sorelle di Ivan…- La dichiarazione di Alfred attirò l’attenzione di tutto il tavolo.
-Stai scherzando, vero!?- domandò incredulo Ludwig. -Spero non quella pazza di Natalia, vero?- Antonio si guardò dietro le spalle, per assicurarsi che il siniscalco non fosse in vista. –Hai presente che ossessione ha per Ivan! Ti farebbe fuori in un attimo! Fa paura…-
Rabbrividì, e Alfred fece lo stesso. –No, credo voglia che mi proponga alla maggiore.-
Alla sua rassicurazione, fu Gilbert a replicare: -Ah, Yekaterina! Ti invidio, compare, con quel bel paio di tette!- disse in tono sognante, facendo il gesto di palpare un enorme seno invisibile, scatenando risate generali tra gli altri cavalieri.
Anche Alfred rise, la sua espressione era troppo assurda, ma dentro di sé rabbrividì. Il troppo stroppia, e a lui facevano davvero senso…
Ma se ricordava bene, non era atteso dal Conte se non dopo pranzo… il che gli lasciava libera la mattinata per far quel che voleva. Gli tornò in mente la scusa usata da Elizabeta per svegliarlo all’alba e sorrise: sì, allenarsi era una buona idea. Un po’ di sano esercizio fisico gli avrebbe fatto dimenticare quei brutti pensieri.


Sovrappensiero, Alfred stava mangiucchiando pane e formaggio, lasciando che il suo cavallo scegliesse l’andatura che più gradiva.
Il sole era proprio allo zenit, e un gradevole tepore pervadeva le sue membra, a partire dalla cotta di maglia fino alle ossa, eppure, nonostante ciò, il cavaliere non aveva fame: con un sospiro, ripose il suo pranzo nella sacca da sella.
Il giovane si sentiva incredibilmente a disagio all’idea della visita che era in procinto di compiere, ma non poteva farci nulla: gli ordini di suo padre erano tassativi. Dire che la sua famiglia proveniva dalla piccola nobiltà non rendeva l’idea: suo padre, ex-capitano di guerra, aveva ricevuto il suo appezzamento di terra in cambio del suo valido servizio sotto Re Uther, quando aveva aiutato i Pendragon ad ottenere il trono di Britannia.
In quanto figlio unico, Alfred aveva non solo il dovere di perpetrare la stirpe, ma anche di migliorare il loro status sociale, e legarsi ai Braginski, casato ben più antico del loro, sarebbe stato prendere due piccioni con una fava.
Vantaggio di essere un uomo: se non altro, non sarebbe stato costretto a sposarsi con Yekaterina, ma solo fortemente incitato a farlo. Alle donne nobili andava decisamente peggio, doveva riconoscerlo: loro non avevano proprio parola in merito a chi avrebbero sposato.
Fu interrotto a metà di un secondo sospiro da un cupo tremore che fece vibrare tanto l’aria quanto il suolo sotto gli zoccoli del suo baio, che dilatò le froge, nervoso.
Alfred ci mise un secondo a capire che quel suono che sembrava uscire direttamente dall’inferno altro non era che un ruggito.
Il ruggito di una bestia fottutamente grande.
Il biondo tirò le redini e sguainò la spada, guardandosi intorno mentre il suo destriero, addestrato alla guerra, si irrigidiva sotto di lui, pronto a fronteggiare il nemico.
No, nulla in vista sulla strada, o meglio sentiero, usata principalmente usata dai pastori, che tagliava il pascolo disseminato di pecore che si stendeva in cima al promontorio che poi declinava in una scogliera a precipizio.
Il ruggito si ripeté, ed Alfred ebbe appena il tempo di capire che giungeva appunto dalla scogliera, quando un paio di zampe artigliate, due enormi ali da pipistrello e una testa da rettile emersero dal precipizio, seguiti da uno smisurato corpo serpentino.
Grandioso. Un drago.
Un dannatissimo drago.
Il breve rammarico di aver scelto una strada così isolata fu spazzato via da un altro pensiero, molto più terreno e pratico, riassumibile in “Oh merda”.
Con suo grande disagio, l’espressione “ingoiare in un sol boccone” non era solo un modo di dire: quella creatura avrebbe potuto “ospitare” tra la mascelle anche un uomo adulto, e senza neanche doverle aprire troppo.
E il resto del corpo era nella stessa (enorme) proporzione: doveva avere un’apertura alare superiore ai 15 metri, e dal muso alla punta della lunga coda… doveva essere tra i 20 e i 25 metri.
Mioddio.
La grossa testa simile a quella di una lucertola, di per sé lunga più di 2 metri, era ornata da due lunghi corni ritorti a spirale che partivano dalle arcate sopraccigliari, e una fila di simili spuntoni ossei, lisci e appuntiti, correva lungo tutta la sua spina dorsale, abbastanza sottili dietro la nuca e sul collo, larghi e lunghi sul dorso, e più corti e tozzi lungo la coda, man mano rimpicciolendo fino alla punta.
Come a voler negare i pensieri confusi che rincorrevano nella mente di Alfred (“Mi-mangia-mi-mangia-mi-mangia”), il drago non sembrò neppure notare la sua presenza, dedicandola tutta al gregge di pecore messo in fuga dal suo arrivo. E dalla sua espressione,almeno l’ipotesi sulla sua fame sembrava azzeccata.
Il cavaliere si aspettava di vederlo alzarsi in volo per catturare la cena, ma di nuovo l’enorme bestia non si comportò come si aspettava, evidentemente ritenendolo uno spreco di energie: ciò che fece invece fu accucciarsi e, semplicemente, balzare addosso alle sue prede designate, due pecore rimaste indietro rispetto al gregge, coprendo con un solo balzo la distanza che li divideva, dimostrando che decisamente la sua enorme mole non era dovuta al grasso.
Anche così, mentre ruggiva il suo apprezzamento e la sua fame, la creatura aveva un aspetto incredibilmente regale: il sole di mezzogiorno brillava sulle sue scaglie verdi, tendenti al panna sui fianchi e al grigio perla sul ventre, traendone riflessi dorati, blu e argento, soprattutto sulle scaglie più piccole della testa, accentuando di contrasto i suoi enormi occhi verde smeraldo, privi di sclera bianca e dalla pupilla verticale come quelli di un serpente.
Alfred rimase a contemplarlo stupore a bocca aperto, dibattendosi tra meraviglia e timore, ma quando il drago alla fine azzannò il ventre di una delle due pecore, mettendo in mostra le lunghe zanne e sporcandosi il muso di sangue, il timore si trasformò rapidamente in ardore, e con un urlo spronò il cavallo verso la bestia.
Non aveva un piano, non sapeva come il drago avrebbe reagito, ma si lanciò comunque, spinto da un istinto che lo esigeva a gran voce. Guarda la morte negli occhi…
Al suo grido di guerra e al martellio degli zoccoli del cavallo, il drago alzò fieramente la grossa testa, ma la lentezza dei suoi movimenti non era dovuta alla sorpresa.
Era come un valanga, come un albero che cade, come un’onda che si infrange sulla scogliera: da lontano le sue movenza potevano sembrare indolenti, ma solo quando giungevano al loro culmine, quando era troppo tardi per tirarsi indietro, ci si rendeva conto di quale fosse la forza intrinseca, la potenza inimmaginabile, di quel moto.
Così per Alfred il tempo che impiegò per coprire la distanza sembrò dilatarsi, mentre lo osservava alzarsi sulle possenti zampe posteriori, sbattendo in movimenti ampi le immense ali e fendendo l’aria con le zampe anteriori, la coda che sferzava dietro di lui per mantenere l’equilibrio.
Fu solo quando la sua ombra cadde sul cavaliere, oscurando il cielo, che il drago, senza smettere di fissarlo neanche per un attimo, ruggì, levando in alto la testa.
La terra sussultò, le nuvole tremarono, il mare fremette. Quel suono profondo fece scorrere più veloce il sangue nelle vene del cavaliere, mentre gli sembrava che un secondo cuore nel suo petto battesse all’unisono con il ritmico battito delle sue ali, palpitando nelle sue ossa, nella sua carne, nella sua vera essenza.
Guarda la morte negli occhi e perditici.
In quel ruggito il drago riversò tutto sé stesso: era supremazia, era vittoria,era antichità, era forza, era violenza, era consapevolezza.
Ora lo sapeva, sapeva cosa l’aveva spinto ad attaccarlo: era quella consapevolezza che cercava, no agognava. Perché, non lo sapeva, ma…
Il cavallo di Alfred si rifiutò di avanzare oltre, sgroppando, costringendolo a smontare con un balzo un secondo prima che il suo destriero scappasse via, e questo incidente così terreno, così futile, lo riscosse dalla sua trance. Comprese così l’ammonimento delle leggende di non fissare mai un drago negli occhi: erano creature di un altro mondo, e potevo aprire porte oltre le quali la mente umana si smarriva.
Consapevole o meno di ciò, la creatura si riabbassò sulle zampe con un tonfo e si lanciò contro il cavaliere in una mossa fluida, spalancando le fauci.
E dalle profondità di queste, Alfred vide vomitare un inferno incandescente.
  
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