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Autore: Annoiata    03/05/2010    2 recensioni
Sono arrivati gli Americani. E nel piccolo paesino di Lovino, la realtà cambia. {LovinoXAlfredXAntonio}
Genere: Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quella sera i bambini del quartiere avevano di che gioire. Videro  i loro padri trasportare tavoli e sedie facendoli uscire, talvolta con difficoltà dalle porte delle loro casette, e sistemarli tutti in cortile attorno al pozzo. Videro le loro madri riunirsi in casa della comare che aveva -fortunata lei- la cucina più grande e spaziosa e mettersi al lavoro per cucinare, con il poco che avevano, prelibatezze da mangiare per tutti quanti.

C’era aria di festa, nell’aria.

La madre di Lovino e Feliciano stava facendo un breve lista di quello che potevano utilizzare per preparare un pasto decente, necessario a soddisfare i palati, per nulla sopraffini, della gente del posto. Il pane c’era, e anche l’olio, il sale ed il pepe. E qualcuno doveva tenere in dispensa anche un pizzico di origano, o di qualche altra spezia esotica. Per cominciare, quindi, si poteva preparare del pane cunzato , poi, magari, se qualcuno aveva delle acciughe e dei pomodori freschi anche dei panini imbottiti. Bisognava chiedere al fornaio. Le acciughe le aveva lei, conservate sotto sale, gliele aveva date Nuccia, la moglie del droghiere… o era Nella, la figlia? Non ricordava. Mentre Lovino e Feliciano giocavano con Mrinella ed Antonio a rincorrersi, intralciando il lavoro degli uomini che trasportavano i mobili fuori in cortile, inciampando tra le gonne, passando sotto le gambe delle signore che tranquille sistemavano le cerate e i trubberi sui tavoli, lei contava le uova. troppo poche per farne una torta. E non c’era abbastanza latte.

<< Oh beh… mettiamoci al lavoro >> disse sfregandosi le mani.

Il buio non era ancora sceso, che già un mucchio di gente si era riversata sui tavoli imbanditi. Alla fine, ciò che le donne non erano riuscite a racimolare, ovvero dolciumi e caramelle, l’avevano portato la moglie del pasticciere ed i maestri caramellai del paese, i giovani figli dell’ormai anziano caramellaio. Così i più grandi gustarono cannoli, cassate e graffe, mentre i bambini inseguivano i ragazzi con i vassoi colmi di carrubbe, leccalecca, caramelle all’anice, alla menta, all’arancia… una vera cuccagna. Ben diverso dai pane e cipuddra che erano soliti mangiare. Un piacevole diversivo, che, come tale, non sarebbe durato a lungo. Dovevano approfittarne, perciò, chi le possedeva –chi faceva il garzone, quindi- spendeva con noncuranza le due lire che riceveva come paga dal bottegaio, dal falegname o dal parrucchiere. La giusta paga per una giornata passata a spazzare trucioli o capelli appena tagliati dal pavimento.

Gli adulti chiacchieravano tra di loro, le vecchie spettegolavano allegramente di quella ragazza che era fuiuta con il fidanzato o di quel contadino mischineddru che aveva perso tutti i suoi terreni per una scommessa. C’era chi aveva messo su una piccola orchestrina, con due violini, una chitarra senza corde e un ragazzo che teneva il tempo battendo le mani. Le giovani ragazze più virtuose si divertivano ad intonare vecchie canzoni popolari, tra gli sguardi maliziosi dei giovanottini e le occhiate invidiose delle signorinelle della loro età. Naturalmente, gli uomini stringevano calorosamente la mano al padre del bambino appena nato a cui era dovuta la festa, che stava avidamente succhiando il latte dal seno della mammana,mentre la madre riposava, sfinita dal parto, in casa tra le lenzuola.

I bambini invece, giocavano i disparte, disposti a cerchio, tenendosi per mano. Si apprestavano ad un girotondo. Feliciano stringeva la mano di Lovino preoccupato, perché il fratello gli aveva raccontato che una volta ad un bambino che girava troppo forte, gli si erano staccate le braccia. Quella di Feliciano era l’età dei mostri e delle streghe, l’età in cui la mamma gli racconta dell’uomo nero, del bau bau, per farli andare a letto presto. E lui ovviamente, credeva a certe cose. Soprattutto se uscivano dalla bocca del fratello.

<< Lovì, ma a quel bambino veramente ci si sono staccate le braccia? >> chiese sottovoce. Lovino ridacchiò

<< Ma certo che non è vero. Scherzavo, scemo  >> rispose. Feliciano tirò un sospiro di sollievo. Poco importava che il fratello lo avesse ingiustamente preso in giro. Le sue braccia non si sarebbero staccate. Poteva giocare tranquillamente.

Marinella cominciò ad intonare una cantilena:  << Rumani è duminica, tagliamu la testa a Minica, Minica un c’è, ccìa tagghiamu o re… >> e i bambini iniziarono a girare.

 << …u re è malatu, ccìa tagghiamu o surdato… >> cantava Marinella, mentre il i bambini giravano sempre più veloce.

<< …u surdato è a far la guerra… >>  e già gli altri ragazzini ridacchiavano sommessamente. Lovino ed Antonio si scambiarono uno sguardo. Le loro madri li avevano entrambi vestiti con i loro indumenti migliori, camicia bianca e pantaloncini di stoffa grezza, con calzettoni che prudevano e che arrivavano fin quasi al ginocchio. Le scarpe erano quelle di tutti i giorni. Avevano anche i capelli pettinati per bene, ma Lovino conservava quel ricciolo ribelle che apparteneva anche al fratello Feliciano, e i capelli corti di Antonio, per quanto più ordinati del solito, erano sempre indomabili. Sorrisero.

 << tutti cu culu ‘nterra! >> esclamò Marinella, finendo così la filastrocca, tra lo sgomento dei parenti attorno a loro. I bambini, ridendo, si lasciarono cadere a terra tra le risate generali, mentre le rispettive madri si precipitavano a tirare su i loro figli, rimproverandoli per aver insozzato i vestiti puliti.

A gioco finito, i bambini si dispersero. I più golosi tornarono ad addentare il pane, le bambine presero a costruire bambole con delle vecchie pezzuole, le attorcigliarono fino a farne una palla in cima e poi strozzarono il grumo di stoffa con un elastico, in modo che la palla in cima rappresentasse la testa e il resto della pezza il corpo. Non c’era niente di meglio per loro. Lovino ed Antonio si fermarono a giocare con gli altri bambini a pallone, mentre Feliciano si diresse, assonnato, tra le braccia della sua mamma.

<< Oh, Feliciano… che ci fai qui? Non vai a giocare con tuo fratello? >> chiese la donna mettendo a sedere sulle sue ginocchia il figlio

<< Lovino dice che sono troppo piccolo per giocare >> disse strofinandosi gli occhi assonnati. La madre alzò gli occhi al cielo, rassegnata.

<< Ma non c’è bisogno che lo rimproveri. Non voglio giocare e poi ho sonno >> disse in difesa del fratello.

<< Sei troppo buono con lui >> disse la madre arruffandogli i capelli << Il mio ometto >> rise.

<<  Non lo mettere in castigo. Lui non è cattivo. Fa così perché è arrabbiato con papà. Io glielo dico sempre che papà non ci poteva fare niente se è morto. Ma lui niente, non ne vuole sentir parlare >> disse, e si raggomitolò contro il ventre della madre. Lei non rispose, si asciugò tristemente una lacrima che le scese dagli occhi

<< …Mamma? >> la chiamò Feliciano << scusami… >>

<< No, non devi scusarti. E lasciamo perdere queste cose, su, stasera si festeggia, bisogna essere allegri! >>

Feliciano guardò sua madre. Aveva gli occhi lucidi.

<< Mamma? >> le chiese << Faremo una festa anche noi quando nascerà il bambino? >>

La madre a quel punto guardò teneramente Feliciano e poi si accarezzò la pancia. Anche se da pochi mesi, il pancione infatti era ancora poco visibile, era incinta e quell’inverno avrebbe regalato ai suoi bambini un fratellino o una sorellina con cui giocare. Abbracciò Feliciano e gli passò dolcemente una mano tra i capelli.

<< Certo tesoro, certo. E tu e Lovino vi divertirete un sacco >> disse baciandogli la fronte.

*Letteralmente il pane cunzatu è il “pane condito” si fa con olio, sale e origano.

*Le cerate e i trubberi sono le tovaglie

*mischineddru significa, poveraccio, poverello

* la mammana è la balia. Le madri che non potevano allattare i figli li affidavano a loro.

*Domani è domenica, tagliamo la testa e Menica, Menica non c’è, la tagliamo al re, il re è ammalato la tagliamo al soldato, il soldato è a far la guerra, tutti col culo per terra. Me l’ha insegnata mia nonna :D

  
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