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Autore: Annoiata    04/05/2010    4 recensioni
Sono arrivati gli Americani. E nel piccolo paesino di Lovino, la realtà cambia. {LovinoXAlfredXAntonio}
Genere: Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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L’aria sapeva di croste di formaggio affumicate e di pomodori marci. Era viziata, spessa quasi che ne si potesse toccare con mano la consistenza: sarebbe stata molle al tatto, se vi si fosse affondato un coltello, sarebbe stato come affettare del burro.

Gli toglieva il respiro, schiacciandolo, una morsa che gli opprimeva i polmoni.

Lovino si svegliò di soprassalto, milioni di gocce di sudore sulla fronte come piccole perle scintillanti. Si passò una mano nervosa tra i capelli sudaticci, tastandosi il volto, il naso, gli occhi, il mento, come per accertarsi che fosse ancora integro. Poggiò una mano sul cuore, dove la camicia era sbottonata. Batteva a mille.

Si trascinò dal pagliericcio su cui aveva dormito fino al tavolaccio di legno su cui si abbandonò, braccia conserte, come gli avevano insegnato a scuola, e testa tra di esse. Sul tavolo vi erano gettati alla rinfusa i resti di una misera cena: croste di formaggio bruciacchiate e fetidi brandelli di pomodori.

Si recò, gli occhi assonnati, nella stalla dietro la casupola nella quale quella sera era stato costretto a passare la notte. Vi sonnecchiavano delle capre, strette in cerchio, tra cui una con il ventre vistosamente gonfio: avrebbe partorito tra breve. Lentamente, i gesti resi goffi dal sonno, prese una lunga verga di legno che stava appoggiata al muro diroccato e svegliò gli animali, percuotendoli con il bastone. Con grida d’incitamento, menando colpi talvolta all’aria e talvolta alle capre che si attardavano lungo il cammino, condusse gli animali al pascolo più vicino, situato sulla sommità di una scoscesa collina.

Come suo padre prima di lui, Lovino, a soli quattordici anni, era diventato un picuraru. Un pastorello. Ma a differenza di suo padre, lui non avrebbe lasciato una moglie e due figli nello sconforto precipitando in una scarpata. Se lo ricordava bene, suo padre. Un omone alto e robusto con due folti baffi scuri sempre bagnati di birra annacquata, occhi vispi e mani ben pasciute che sapevano maneggiare con abilità zappa e nerbo.

Comunque, quello del pecoraio era un lavoro utile. Alla gente del paese e a Lovino. “Qualcuno deve pur farlo” si diceva spesso. La famiglia aveva bisogno di soldi, e poco importava che il lavoro trovato fosse considerato di scarso stampo sociale. Mandriano, bracciante, garzone… quello che contava era la paga, per aiutare sua madre, che lentamente si stava riprendendo dalla disgrazia capitatale, anche grazie all’aiuto di Feliciano, che le era sempre stato accanto, ma che purtroppo ultimamente aveva dovuto lasciare che si crogiolasse da sola nel suo dolore, poiché assunto come apprendista dal panettiere. Spazzava il pavimento e, se capitava, accoglieva i clienti o gli veniva riservato l’onore di tenere d’occhio le pagnotte nel forno. Un vecchio artigiano che lo aveva preso in simpatia gli aveva anche insegnato ad intrecciare covoni di paglia e vimini per ricavarne cestini e ventagli. Intrecciava cesti e ventagli dalle sei alle sette, senza sosta. Il vecchio bottegaio non gli aveva mai elargito una lira.

Arrivato al pascolo senza affaticarsi e versare una stilla di sudore, tanto era avvezzo a quel percorso e a quella vita, si sedette all’ombra di un albero ad osservare il cielo senza nuvole. All’orizzonte il sole non era ancora sorto, ma Lovino sapeva che presto si sarebbe levato, illuminando con la sua luce fioca i prati, poi i ruderi di campagna, poi, infine, le prime case del suo amato paesino. Mise le mani dietro la nuca, aspettando l’albeggiare, controllando di tanto le capre che placide ruminavano poco lontano. Inspirò l’aria del mattino. Sapeva d’erba, di fragile grano che si piegava alla brezza leggera del vento. Cadde in un sonno profondo, cullato dalla dolce fruscio delle fronde degli alberi, attraverso le quali cominciarono a far capolino i primi raggi di sole.

***

<< Lovino! >>

Il malcapitato aprì gli occhi. Confuso come un pulcino appena nato che rivendica come propria madre la prima cosa che i suoi deboli occhi vedono,  Lovino cercò di mettere a fuoco colui che lo aveva appena svegliato.

Una folta zazzera di capelli scuri, due occhi neri ed un sorriso a trentadue denti. Fronte alta, guance rosse sporche di terra. Torso nudo, mani ruvide e callose che gli serravano i polsi. Un fazzoletto rosso legato stretto all’avambraccio, gomiti sbucciati. I calzoni corti e sdruciti che tutti i ragazzini erano obbligati a portare.

<< Antonio… >> mormorò scocciato << che ore sono? >>

<< Non lo so >> disse l’amico chino su di lui << è tardi. Marinella ha il calessino, torniamo a casa >>

<< E le capre? >> chiese preoccupato Lovino.

<< Ci ha pensato Gianni, a loro >>

<<  Chi è? Non lo conosco >>

Antonio sbuffò. Il suo amico era sempre parecchio diffidente

<< Un amico mio. Lavora nel campo di Zu’ Turiddo, come me >>

Lovino si tirò su a sedere, gettando un’occhiata all’amico che intanto si incamminava per raggiungere Marinella, la quale attendeva poco lontano a dorso del vecchio ronzino che aveva il carretto carico di fieno a suo seguito. Antonio aveva da poco cominciato a lavorare come bracciante per un ricco proprietario terriero del posto. Il sole gli aveva scurito ancor di più la pelle ed il lavoro nel campi gli aveva sviluppato i muscoli delle braccia e del torace. Giorni a seminare vasti campi di cereali, a trascinare l’aratro, a tirar su e poi far affondare nella nuda terra la zappa lo stavano lentamente forgiando nel corpo e nel carattere, ammansendone la fin troppo scherzosa indole, mutando il suo aspetto da bambino in quello di un uomo adulto. Lui invece aveva ancora il fisico acerbo di un marmocchio, i lineamenti delicati di un fanciullo, il naso piccolo e a punta, gli occhi grandi, da cerbiatto, come Feliciano. Né del tutto bambino, né del tutto uomo.

Raggiunse l’amico in quattro salti ed assieme saltarono sul calessino, sistemandosi tra le balle di fieno.

*Turiddo è il "nomignolo" di Salvatore

Ma c'è qualcuno a cui piace questa storia? XD So che le recensioni non sono solite fioccare ma... avete capito no? Eddài! :P
  
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