lullaby3: beh, grazie davvero! Sia tu che moniko chan mi state spronando a continuare a scrivere. E la Sicilia è meravigliosa. Sono un po’ patriottica in questi ultimi giorni.
Un enoooooorme grazie anche a Datura e Robuccia :D
Lovino
viveva in una coorte costituita da sei o sette abitazioni addossate tra
loro,
due di queste a due piani. Davano tutte su un cortile esterno che dava
sulla
strada, a pochi isolati dalla drogheria. Dietro, in quello spiazzo che
i muri
bassi delle case nascondevano alla vista, vi era un altro cortile,
più piccolo,
in terra battuta, dove il padre di Antonio vi coltivava -si fa per
dire- i suoi
amati pomodori. Era proprio qui che Donna Mannina, data la bella
giornata,
aveva apparecchiato, ed ora se ne stava tranquilla a ricamare in un
angolo all’ombra,
aspettando che gli uccellini tornassero
al nido.
Feliciano
tornò prima del previsto. Le corse incontro agitando le
braccia per richiamare
la sua attenzione, gridando felice: “Mamma, mamma! Ho
guadagnato cinque lire,
cinque!” Arrivato al suo cospetto, le consegnò
orgoglioso le monete, poi le
stampò un sonoro bacio sulla fronte e due sulle guance.
<<
Cinque lire! Cosa mi ci posso comprare, mamma? >> chiese,
adocchiando le
monete che la madre faceva tintinnare passandosele di mano in mano.
<<
Cosa? >> disse sgomenta Donna Mannina <<
Comprare? Neanche per
songo! Questi li sarvamu, poi si vede, cosa ci compreremo.
Intanto vanno messi da parte >>
<<
Però… pensavo che… >>
cerò di difendersi Feliciano.
<<
Che né a te, né a tuo fratello venga in mente di
toccare questi soldi. Quel che
ho detto ho detto. Non si toccano >> lo interruppe la
madre.
Un
flebile “si” uscì dalle labbra
dell’amareggiato Feliciano. Si lasciò scivolare
a terra, appoggiandosi al muro. La madre riprese a cucire, ma stavolta
con
scatti d’ira, nervosa. Lo si capiva dalle continue punture
d’ago che si
procurava. Non era da lei, aveva dita molto capaci. Stettero in
silenzio per un
po’, finché Feliciano decise di rivolgere alla
madre una domanda che gli
premeva fare da un po’, che lo assillava.
<<
Che si mangia? >> chiese.
<<
Ah, un banchetto da re >> rispose sarcastica la madre,
senza staccare gli
occhi dai ferri << Pani e
cipuddra. E un po’ di acitu >>
Bleah.
Aceto. Mentre a Feliciano veniva l’acquolina in bocca
pensando a montagne di
piatti di spaghetti al pomodoro, tocchi
di manzo appena tagliati e pesci sfrigolanti sulla brace,
sentì avvicinarsi gli
zoccoli di un cavallo. Si alzò per andare a vedere cosa
stesse succedendo,
senza mai abbandonare il pensiero di quei cibi deliziosi per
qualcos’altro che
non fosse un fumante piatto di pasta.
In fondo
alla strada vide Marinella che giudava il carretto, mentre il ronzino
arrancava
esausto, quasi che avesse fatto chissà che. Di tanto in
tanto la ragazza lanciava
sguardi preoccupati alle balle di fieno. Scoprì il motivo di
quello strano
comportamento quando il calessino si fermò davanti casa loro
e Marinella scese
elegantemente dalla cavalcatura con un semplice balzo, e
indicò, alzando gli
occhi al cielo, Lovino ed Antonio che se le stavano dando di santa
ragione,
facendo oscillare pericolosamente il carretto, spargendo biada
dappertutto.
<<
Meglio dividerli, questi due>> disse sorridendo,
accarezzando il muso del
cavallo che nitrì stanco. Feliciano si avvicinò
ai due con passo cauto.
<<
Che state facendo? >> domandò titubante.
Lovino ed Antonio si voltarono
all’unisono
<<
Mi ha dato una testata! >> gridò Antonio
mentre Lovino gli tappava la
bocca.
<< Ha cominciato lui!
>> si giustificò
Lovino.
Feliciano
rise, e, aiutato da Marinella e dalla madre, che era prontamente
intervenuta,
divise i due amici. Donna Mannina buttò la testa
all’indietro e si rassettò i
capelli raccogliendoli in una crocchia. Mentre armeggiava con la sua
acconciatura, non potè fare a meno di notare Marinella ed
Antonio. Con una
forcina tra le labbra biascicò:
<<
E voi? Ancora qui siete? Volete fermarvi a pranzo? >>
Marinella
stava per fare cenno di no con la testa, stando attenta a ringraziare
lo stesso
come le avevano insegnato, ma Antonio voleva proprio mangiare un
boccone, ed
entusiasta, strinse vigorosamente la mano a Donna Mannina, e senza
tante
cerimonie, si sedette a tavola.
<<
Che c’è da mangiare? >> chiese
raggiante.
Antonio
e Marinella si complimentarono per il buon cibo, lodando le doti che
Mannina
aveva in cucina, sapendo che la donna, come tutte le comari del paese,
si
scioglieva alle lusinghe. Che fossero sulla pulizia della casa, sulle
calzette
di lana cucite a maglia o sulla buona cucina, non importava, ad una
donna di
casa come Mannina. Lusinghe erano, anche se talvolta si avvicinavano di
più
a patetiche
sviolinate, e venivano
accettate con un sorriso. I complimenti dei due ragazzi però
sembravano
sinceri. Forse perché, mangiando in compagnia dei loro
migliori amici non gli
importava che il pane fosse duro, privo di quella fragranza che aveva
il pane
appena uscito dal forno, si sbriciolasse e t’impastasse la
bocca ad ogni morso,
che le cipolle fossero insipide e che l’aceto riuscisse a
malapena a donargli
un po’ di sapore. O forse perché Marinella, mossa
dalle preghiere di Feliciano,
aveva portato a tavola un fiasco di vino. L’aroma era forte,
quasi inebriante.
Donna
Mannina faceva continue domande ad Antonio e Marinella,
chiedendo delle loro famiglie.
<<
E come sta la sorellina, eh? Come sta? >> chiedeva
insistente a
Marinella.Questa rispondeva imbarazzata che stava benissimo, cominciava
già ad
andar carponi, aveva messo quasi tutti i dentini e sapeva
già articolare
qualche parola. Lei avrebbe preferito tornare a casa, almeno vi avrebbe
trovato
un po’ di pace. Antonio sembrava parecchio a suo agio, seduto
accanto a Lovino,
rispondeva cortesemente ogni volta che veniva interpellato, ridendo e
scherzando,
strappando, come solo lui sapeva fare, un sincero sorriso a Lovino.
Feliciano
chiacchierava con Marinella, smettendola solo per addentare
dell’altro pane e
tracannare vino.
<<
Marinella, finito qua mi aiuti a sparecchiare? >> chiese
Mannina
<<
Beh, veramente io… ecco… avrei da…
>> farfugliò la ragazza << ma se
proprio insiste… >>
<< Devi fare
qualcos’altro? E che cosa? Vai dal
maestro di ricamo, per caso? >> e le versò un
altro bicchiere di vino,
che lei però non bevve.
<<
Veramente… ho lezione di ballo >>
I tre
ragazzi al tavolo si voltarono all’unisono, gli occhi
sgranati.
<<
Ballare? Tu? >> esclamò stupito Lovino.
Marinella
arrossì di rabbia. Sapeva che i suoi amici avrebbero reagito
in quel modo nel
sentire lei, che da sempre si era unita alle loro scorribande tra i
campi,
parlare di scuola di danza. Ma avrebbero dovuto aspettarselo, prima o
poi. No?
Lei era una ragazza. Sì, in passato, da bambina, preferiva
giocare con i
bambini maschi piuttosto che con le bambine della sua età.
Trovava più divertente
salire sugli alberi e giocare alla guerra invece d’indossare
di nascosto i
vestiti e le scarpe eleganti della madre, o impiastricciarsi di trucco
e
adornarsi di perle.
Perciò
intimò a Lovino di stare zitto. Era stata sua madre ad
insistere tanto perché
lei imparasse a ballare. “ Ormai sei
diventata una signorina” le aveva detto “ed
è bene che tu faccia quello che
fanno tutte le signorine della tua
età” .
Stava
per dirgliene quattro, quando Donna Mannina, furbescamente, seppe
riparare al
danno.
<<
mio figlio ed Antonio potrebbero venire con te >> disse.
Antonio, che
fino a quel momento aveva seguito l’esempio di Feliciano, e
cioè lasciar
correre ingozzandosi di quello che era rimasto, ingollò in
un sol colpo il
sorso di vino dal bicchiere che si era appena accostato alle labbra,
strozzandosi. Lovino prese a battergli una mano sulla schiena, ridendo.
<<
Cosa? >> disse Antonio con voce rauca
<<
Pensavo… sarebbe carino da parte vostra accompagnare
Marinella. Magari potreste
prendere lezioni anche voi. Feliciano ha da lavorare, quindi non
può >>
precisò Mannina. E aggiunse poi, con tono di rimprovero: << Ma voi due siete liberi per
oggi, giusto?
>>
I due
ragazzi, tra le proteste di Lovino e i colpi di tosse di Antonio,
furono
costretti ad accettare.
***
La sala
da ballo si trovava in un locale adiacente al cinema intitolato a
Mussolini, il
LITTORIO. Era un piccolo auditorium dove la banda di ottoni del paese
veniva a
provare e a riporre gli strumenti. Di solito veniva ingaggiata per
partecipare
alla processione dei misteri che si teneva nel paese vicino. Era per
consuetudine e religione che la banda accettava di parteciparvi. E
anche per il
cospicuo compenso, che non mancava mai. Tranne quell’anno. A
Trapani non c’era
spazio per i misteri. La guerra si era portata via anche quel brandello
di
tradizione, durante uno dei quotidiani bombardamenti della capitale,
dove una
basilica che conteneva alcune delle sculture da far sfilare in
processione era
andata distrutta.
Il
pavimento della saletta era in marmo, a scacchi bianchi e neri.
L’intonaco
cadeva a pezzi e sul tetto, se il tuo partner ti faceva esibire in un
caschè,
potevi notare chiazze d’acqua sparse qua e là.
C’era anche un palchetto su cui
probabilmente tempo addietro vi si esibiva un’orchestra, o la
stessa banda
musicale della cittadina e, addossate al muro, erano state
provvisoriamente
sistemate le sedie che prima intralciavano gli aspiranti ballerini.
Lovino
si abbandonò su un mucchio di quelle seggiole
pericolosamente impilate.
<<
Io non ballo
>> disse
corrucciato.
<<
Oh Lovì,
non fare lo stupido >>
sbuffò Marinella << Devi ballare
>>
<<
Non voglio. Non mi piace. Le ragazze ballano >>
<<
Ma lo farà anche Antonio! >>
<<
Non so ballare >>
<<
Oh. >> commentò Marinella. <<
Posso insegnarti io. Antonio? Vieni
qui >> prese
per mano Lovino, che
si tirò su a sedere di malavoglia, e lo gettò tra
le braccia di Antonio.
<<
Tu, Antonio, metti la mano qui >> e giudò
delicatamente la
mano dell’amico a tastare la schiena di
Lovino.
<<
Ehi! >> si ritrasse Lovino
<< Che stai facendo? Pensavo che mi dovessi
insegnare a ballare!
>>
<<
È quello che sto facendo. Ora su, mettigli la mano su una
spalla >> disse
con calma
<<
Ma… ma… >>
<<
Che c’è di strano? Alle prove facciamo sempre
così. I maschi con i maschi e le femmine
con le femmine >>
<<
Ma... >>
<<
E smettila di lamentarti! Nino non fa una piega! >>
Antonio non ebbe il
tempo di protestare che Marinella svelta intrecciò le mani
dei due. Entrambi s’irrigidirono.
<<
Avanti Nino. Conduci tu >> spiegò
<<
Perché non posso condurre io? >> si
lagnò Lovino << non
voglio fare la donna! >>
Antonio
scoppiò a ridere, e Lovino credette di arrossire dalla punta
dei piedi fino a
quella delle orecchie.
*A quell'epoca i ragazzi ballavano con i ragazzi e le ragazze con le ragazze. Sul serio XD Era imbarazzante vedere un uomo e una donna assieme, specialmente nelle scuole di ballo. Ovviamente c'era chi ballava con la propria ragazza, ma invece di chiedere di ballare ad una sconosciuta, facevi prima ad improvvisare un tango con un amico.