Fanfic su artisti musicali > Michael Jackson
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Autore: MaryTerryJackson    05/05/2010    2 recensioni
La storia di Susie,una piccola grande bambina che Michael Jackson ha aiutato, con il suo amore, a guarire dalla leucemia...i due si allontanano dopo le prime accuse di molestie nel 1993 ma si rincontreranno,sette anni dopo... “…Allora scrivi,Michael…Scrivi l’amore!come hai sempre fatto!” Adesso mi guarda confuso e per un attimo mi sembra che il suo sguardo si stia rabbuiando nuovamente. “Io…Non riesco...E’ diverso…” Sussurra con una voce da cui traspare un velo di tristezza e tirando un grande sospiro prima di continuare… “Io...ho quasi quarantun anni Susie…E i miei obiettivi li ho raggiunti…Ma l’amore vero…quello non ho più la speranza di trovarlo…” I suoi occhi,improvvisamente,iniziano a luccicare e con voce commossa continua a parlare,fissando le mie mani tra le sue e iniziando ad accarezzarle…Dio solo sa cosa sto provando…Vorrei urlargli che gli voglio bene,tanto tanto bene…ma adesso non posso,ha bisogno di essere ascoltato…
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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h2>CIAO A TUTTI!
SPERO CHE VI PIACCIA LA MIA STORIA! UN SALUTO A TUTTI PRIMA DI INIZIARE (IN PARTICOLAR MODO A TUTTI I FAN-.- E COLORO CHE HANNO CAPITO E HANNO SEMPRE SAPUTO CHE PERSONA FANTASTICA E' STATA REALMENTE MICHAEL JACKSON)!
mArIA tEReSA

 

Remember the time

Sono seduta sul letto.
 Il materasso non è molto comodo ma ormai,dopo le prime notti passate a girami e rigirarmi nel letto in cerca della giusta posizione per poter prendere sonno,mi ci sono abituata.
 Di fianco a me la mia borsa marrone,enorme,con dentro quei pochi vestiti che mi sono sempre fatta bastare in questi ultimi due anni,e tutto il mio fedele materiale “lavorativo”.
 In mano ho una fotografia,quella fotografia impolverata che è sempre restata sul mio comodino di legno antico e graffiato che si regge a stento ancora in piedi.
Non ho mai avuto abbastanza soldi per comprare una cornice,forse non mi è neanche mai passato per l’anticamera del cervello, ma comunque,anche se mi fosse avanzato qualche risparmio in più,certamente non l’avrei speso per comprare ciò che consideravo qualcosa di inutile e superfluo.
Già da tempo ho stabilito le mie priorità e la pulizia della casa,se così si può chiamare la mia piccola stanza con un letto,un comodino,un cesso e un lavandino,non è tra quelle.
Sposto l’alto strato di polvere dalla foto con le mie piccole mani,ancora da bambina nonostante i miei 20 anni di età e con le unghie tutte mangiate,e il mio sguardo cade sugli occhi color nocciola e profondi di una bambina dal viso bianco e candido:nonostante non abbia né sopracciglia,né capelli,la sua bocca carnosa è spalancata in un radioso sorriso;di fianco a lei il viso di un uomo di giovane età.Anche lui sorride e i suoi denti sono bianchi e lineari e la sua bocca sottile ma,a differenza della bambina,sui suoi occhi neri e corvini casca qualche ciuffo riccio e nero di capelli.
Quella bambina di undici anni,malata di leucemia e dal viso spensierato che nasconde ogni tipo di dolore sono io. Quell’uomo di 32 anni,dal viso innocente,dolce e angelico che mi ha salvato la vita non è mio padre.E’ Michael Jackson.
Distolgo lo sguardo dalla fotografia per non ricadere in ricordi che,con tanta fatica, ho cercato di rimuovere dalla mia mente e mi alzo dal letto con gli occhi lucidi e la guancia destra ancora umidiccia.

Guardo l’orologio di legno a forma di gufo, che suor Matilda mi ha regalato il giorno dei miei 18 anni,quando ho lasciato l’orfanotrofio.
Me la ricordo ancora quella scena.
Io con la mia affezionata borsa marrone che mi dirigevo verso gli alti cancelli neri che si aprivano sempre di più,man mano che mi avvicinavo.
Il mio stato d’animo era molto ambiguo e contraddittorio.Da una parte ero eccitata perché sapevo che,una volta varcata quella soglia,che non avevo mai attraversato da sola,avrei raggiunto la libertà tanto sperata.
Mi sembrava un grande traguardo pensando a tutte quelle volte che,da piccolina,avevo cercato di scappare ma invano perché,un po’ per la poca furbizia,un po’ per la goffaggine dei movimenti,venivo sempre rincorsa e acciuffata dalle suore prima di riuscire a raggiungere l’uscita.
Solo una volta ricordo di essere riuscita ad arrampicarmi su un cancello.E’ proprio in quell’occasione che ho scoperto di soffrire spaventosamente di vertigini.Mi arrampicai talmente in alto che arrivai in un punto in cui non potevo più né scendere né salire.Suor Matilda riuscì ad aiutarmi e a riportarmi per l’ennesima volta nell’ufficio della Madre Superiora nonostante le mie urla miste di rabbia e di spavento.
Da quel giorno capii che era inutile tentare di fuggire e mi arresi,aspettando con ansia il momento tanto atteso che era finalmente arrivato.
L’altra parte di me,però,non voleva girarsi verso la piccola costruzione in mattoni rossi intorno alla quale c’era una folla di adolescenti,bambini e suore…Tutti i miei affetti.Sono stati loro la mia famiglia.
I più piccoli,che mi vedevano come una sorella maggiore,gridavano il mio nome piangendo,nonostante avessi chiesto loro di non farlo e di non essere tristi perché sarei passata a trovarli sicuramente.
Mi voltai verso di loro e con molto stupore non vidi solo suor Matilda che si asciugava gli occhi con un fazzolettino bianco,ma persino la Madre Superiora che aveva sopportato tutte le mie marachelle,anche quelle un po’ meno malefiche…

Sono le 15:00 e sono in super ritardo!
Come al solito mi immergo nei miei stupidi pensieri perdendo la cognizione del tempo.Non è la prima volta che mi capita ma non doveva succedermi proprio oggi che volevo passare un po’ di tempo con i miei pargoletti per prepararli alla mia imminente partenza…Odio gli addii!
Afferro la borsa,la foto e l’orologio e mi dirigo verso la porta della mia affezionata “casetta”.Tocco per l’ultima volta il comodino prima di infilare la chiave nella serratura.Una mandata,due,tre... Sono fuori.


 

  
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