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Autore: Tynuccia    06/05/2010    2 recensioni
[Gundam SEED Destiny] Appoggiò la testa sulle braccia conserte, gli occhi fissi su di lui, ma le palpebre improvvisamente si fecero pesanti come macigni.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Yzak Joule
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Coperta

 

*

 

 Alzò lo sguardo dai fogli fittamente scritti e sgranò gli occhi notando che ora il cielo fuori dalla finestra era un manto nero cosparso di puntini luminosi, a differenza dell’ultima volta che si era concessa un attimo di tempo per lasciare che la sua mente si riposasse un poco. Ancora rammentava la volta aranciata di Aprilius One, qualche ora prima, così brillante che sembrava andare a fuoco. Era stato un brevissimo spettacolo mozzafiato e, con un minuscolo sorriso ad incresparle le labbra, aveva continuato a scrivere, dimenticandosi subito del suo essere donna, delle emozioni che un semplice tramonto era stato in grado di risvegliare in lei, di se stessa. In mente aveva fisso un solo obiettivo: finire il rapporto cominciato quella mattina, rileggerlo e rilegarlo nel miglior modo possibile, per poi infilarlo in un archivio dove, con tutta probabilità, avrebbe preso solo polvere e neanche mezzo complimento per la cura che gli aveva dato, o la peculiare scelta di un vocabolario adatto ad ogni singolo paragrafo. Però, prima ancora di finire su uno scaffale lurido nei sotterranei della Sede Centrale, sarebbe capitato tra le sue mani. Ed eccolo, sprezzante e forte, l’unico elemento che le faceva amare quelle ore trascorse in una stanza minuscola, quelle fitte insopportabili al braccio a furia di scrivere e quella stanchezza che le invecchiava di qualche anno l’altrimenti fresco volto da diciottenne.

 

 La consapevolezza che una parte di lei, sebbene così impersonale, sarebbe stata esaminata da lui le ricordava costantemente che le piaceva la sua professione e che mai, mai, avrebbe preferito tornare a casa con gli altri e godersi un lungo bagno bollente in solitudine. Piuttosto rimaneva sempre fino a tardi, annullando la propria vita sociale, ma innalzando in qualche impercettibile modo quella sentimentale. Sopportava le occhiaie, il sonno, gli sfoghi cutanei solo per sentire un misero complimento a fine giornata da parte sua, tentare di cogliere l’ombra di un sorriso su quel suo viso bianco, come se fosse stato di fine porcellana, cercare una scintilla nei suoi occhi cobalto e, magari, come già era successo in passato, rabbrividire a causa di un’amichevole pacca sulla spalla, data con delicatezza ed imbarazzo. Sicuramente non come quelle poderose di Dearka, capaci di annientare la colonna vertebrale per almeno una settimana.

 

 Soffocò uno sbadiglio mordendosi il labbro inferiore e tornò a cercare anche solo il minimo errore nelle sue parole, sempre animata dalla splendente speranza di potersi sentire utile ed indispensabile al suo superiore, sebbene qualsiasi sbaglio avrebbe portato nella sua giovane vita qualche secondo in più passato con lui; ma l’accortezza con cui aveva steso il documento non tradiva quel suo infantile desiderio di compagnia e, dopo quindici minuti buoni di ricerca minuziosa, la sua penna rossa ancora non aveva tracciato mezzo segno. Il suo essere così meticolosa l’aveva sempre resa abbastanza orgogliosa, specialmente quando all’Accademia ed i suoi quaderni venivano considerati quasi delle prostitute cartacee vista la frequenza con cui cambiavano proprietario, il loro campo d’azione la fotocopiatrice, per poi tornare sempre da lei. Quasi odoravano di molteplici storie, di paure e speranze dei suoi compagni, ma quelle metafore si annullavano subito quando i suoi occhi vagavano nell’immenso giardino della struttura di ZAFT e coglievano quel ridicolo caschetto argenteo in lontananza, le sue orecchie che captavano il suo starnazzare pomposo mentre sfidava il suo eterno rivale nell’ennesima partita di scacchi o in un’altra stranezza. Lui era il suo senpai, il modello per lei da seguire e, nonostante il suo carattere impossibile, la carriera che egli poteva vantare le ricordava ogni secondo che sì, un giorno anche lei avrebbe voluto diventare una fonte d’ispirazione per qualcuno. Non quella che alcuni dei suoi sottoposti provavano per lei quando cercavano il suo aiuto, ma qualcosa di forte. Una dipendenza. Perché, alla fine, lei era drogata di lui e ancora, dentro di sé, sperava che in qualche modo anche lui avrebbe potuto avere bisogno di lei solo e soltanto in futuro.

 

 Decise che il suo lavoro poteva andare bene e lo infilò con attenzione in una busta trasparente. Era arrivato, finalmente, quel momento della giornata che ambiva più di tutti e, all’alba delle undici e mezzo di sera, Shiho Hahnenfuss poté alzarsi dalla sua poltrona girevole per la prima volta dopo ore. Ascoltò sconcertata lo scricchiolare delle sue ossa, un rumore poco rassicurante che comunque testimoniava con quanta passione svolgeva le sue mansioni, che fossero stilare rapporti o andare a prendergli il caffè nella mensa dello stabile. Adorava in maniera quasi morbosa quando lui la obbligava a fargli da cameriera, ma, neanche a dirlo, si comportava impeccabilmente anche in quei frangenti e posava con delicatezza la tazza sulla scrivania mentre faceva abilmente scivolare il vassoio sotto il braccio. Lo guardava sorseggiare la bevanda, si imbambolava davanti alla sua fronte che si rilassava ed al suono melodioso del suo sospiro sollevato. Ogni tanto la pregava di rimanere un po’, che tanto c’era Dearka a sgobbare in ufficio e chiacchieravano tranquillamente di ZAFT, di PLANT, di loro. Evitava di fargli notare che l’aveva sempre ammirato da lontano e descriveva i giorni all’Accademia come pesanti, ma che erano serviti a qualcosa, a farle indossare quell’uniforme, a fare di lei un pilota d’élite, a farla assumere da lui. E tranciava di netto quell’ultima parte che non aveva confessato a nessuno. Era un sentimento, il suo, pesante come un fardello dentro il suo cuore e, nonostante avrebbe voluto gridarlo al mondo intero, si vergognava di provare certe cose per il suo superiore, qualcuno che per lei sarebbe sempre stato fuori da ogni portata, specie quando i giornali scandalistici lo eleggevano settimanalmente come lo scapolo d’oro delle Clessidre, come il giovane più affascinante e via discorrendo. La vera ira, però, le montava leggendo i nomi delle sue possibili fiamme. Gelosa e consapevole, si ripeteva che era già fidanzato con il suo lavoro per pensare all’amore, e sapere che lei stessa faceva parte di quell’impiego a tempo pieno le rilassava l’anima, altrimenti tesa come la corda di un violino.

 

 Percorse i corridoi silenziosi con la busta stretta al seno, stupidamente convinta che un po’ del suo profumo le sarebbe rimasto attaccato e che lui l’avrebbe inalato durante la sua ispezione. Avrebbe desiderato che anche la sua fragranza artificiale avesse potuto farlo sospirare come quando si concedeva un caffè a metà mattinata, ma non aveva voglia di indagare, forse per paura di non trovare niente, e puntualmente abbassava lo sguardo mentre lui leggeva i documenti, fissandolo sui suoi piedi che, in quei momenti, le sembravano dannatamente interessanti. Poi, quando finalmente lui si complimentava in maniera spiccia e lievemente ammirata, lei si limitava a scattare sull’attenti, riservando il suo smagliante sorriso per il muro, una volta tornata a casa e stretta ad un cuscino. Lì la sua essenza giovanile usciva da ogni poro e, al ricordo della sua voce rabbiosa, si metteva a ridacchiare da sola, mentre agitava vigorosamente le gambe nell’aria. Si rendeva conto di essere ridicola, ma reprimere a lungo il suo carattere solare non le faceva bene. Fisicamente e mentalmente.

 

 Giunse davanti alla porta del suo ufficio e, proprio prima di bussare, notò che era aperta. Non riuscì a resistere alla curiosità e spinse il pannello, entrando nella stanza in punta di piedi. Si aspettava una lavata di capo da un secondo all’altro, ma dopo cinque secondi i suoi timpani erano ancora intatti. Fece vagare gli occhi in ogni angolo e, finalmente, scoprì perché non era stata investita da insulti. Le sue labbra, nuovamente, si piegarono all’insù, ammorbidendo i suoi tratti facciali. Esalò un sospiro seriamente innamorato e cominciò a camminare lentamente verso di lui.

 

 Quando lo raggiunse si piegò e si trattenne i capelli perché non gli finissero sul viso. Non l’aveva mai ammirato da così vicino e non si stupì di non trovare mezza imperfezione su quella pelle diafana. Non l’aveva neppure mai visto addormentato e, in quel momento, capì che, paradossalmente, nel suo cuore non sarebbe mai esistito altro uomo che Yzak Joule; che era tanto cagnaccio, da sveglio, quanto cucciolo, nel sonno. La sua espressione pacifica lo testimoniava perfettamente. Inspirò a fondo, il cuore che le martellava nelle orecchie, e la ragione che svaniva piano piano dalla sua mente. Velocemente le sue labbra si posarono sulle sue, tanto sottili, godendosi la loro morbidezza screpolata. Chiuse gli occhi, rammaricandosi dell’amarezza di quel suo primo bacio ed ignorando il fatto che, con tutta probabilità, aveva rubato quello del suo Comandante.

 

 Si tirò all’indietro di scatto, temendo che qualsiasi disgrazia sarebbe potuta piombare sulla sua testa. Non voleva perderlo per la sua stupida ossessione, ma il suo continuare a dormire così beatamente la fece desistere dall’avere paura. Si portò le dita alla bocca, sorridendo gioiosa. Probabilmente avrebbe potuto ottenere solo quello nella sua vita da lui, ma in quel momento le bastò, il contatto tra di loro già sigillato come ricordo nella sua mente. Si voltò ed aprì l’armadietto contro la parete, estraendone una coperta, che mise con dolcezza estrema sul corpo inerte del giovane, gli occhi che indugiarono rapidamente sul suo colletto slacciato e sulle ciocche argentee che cadevano morbide sul suo viso perfetto.

 

 Posò la busta impregnata del suo profumo sulla scrivania, decisa a saltare la parte dei complimenti per quella sera e tornare direttamente a casa, estremamente soddisfatta comunque dalla piega che le cose avevano preso. Non fece due passi, comunque, che cambiò idea e si accomodò sulla poltrona di fronte a lui, avvicinandosi di poco. Voleva guardarlo dormire, voleva perdersi nel suo odore e voleva stargli accanto. Non avrebbe mai più potuto godersi istanti come quelli e se ne sarebbe andata solo dopo poco. Solo qualche minuto non avrebbe fatto male a nessuno.

 

 Appoggiò la testa sulle braccia conserte, gli occhi fissi su di lui, ma le palpebre improvvisamente si fecero pesanti come macigni. La stanchezza della giornata lavorativa s’impadronì di lei e pensò che, dopotutto, non si sarebbe sicuramente addormentata.

 

*

 

 “Sì, Presidente. C’imbarcheremo al più presto possibile. Conti pure sulla Voltaire e sulla Rousseau per fermare quei pazzi. No, non faremo cadere Junius Seven sulla Terra ed aiuteremo la Minerva al massimo delle nostre possibilità. Sì, certo. A tra poco, allora.”

 

 Shiho aprì lentamente gli occhi, avvertendo un familiare profumo avvolgerla ed uno straordinario tepore farle compagnia. Sentiva la bocca impastata dal sonno e la vista annebbiata, la voce seria e profonda che tanto amava raggiungerle le orecchie, ma il messaggio distruttivo non la scalfì di un centimetro. Lo sbattere violento della cornetta, comunque, la fece sobbalzare e si mise a sedere diritta, portandosi una mano sul petto, il cuore che le martellava contro la gabbia toracica.

 

 “Cazzo,” fu l’unica cosa che Yzak Joule riuscì a dire, fissandola. “Non era mia intenzione svegliarla, Maggiore.”

 “C-Comandante!” esclamò lei, saltando in piedi e scattando sull’attenti. Ai suoi piedi cadde la stessa coperta che aveva poggiato su di lui poco – o tanto, davvero non sapeva – prima. La guardò interrogativamente e poi portò nuovamente lo sguardo sul suo adorato superiore, intento a scrivere al computer. “Non mi dica che mi sono addormentata.”

 “Come un sasso,” precisò l’albino, alzando un sopracciglio. “Per questa volta non le farò un richiamo solo perché io stesso mi trovavo nella medesima situazione. A proposito, grazie per avermi coperto.” Si esibì in impercettibile ghigno, guardandola con la coda dell’occhio. “Ho pensato di fare lo stesso quando mi sono svegliato e l’ho trovata lì.”

 “Le sono riconoscente, signore,” mormorò delicatamente Shiho, sciogliendosi per quel pensiero così accorto. “Qualcosa che posso fare per lei?”

 “Sì, venga qui e telefoni da parte mia all’equipaggio, pregando di fare passaparola. C’imbarchiamo tra un’ora, alle sette di mattina, dal porto di Aprilius per evitare una catastrofe. Chi non c’è verrà buttato fuori a calci nel culo. Tutto chiaro?”

 “Certo, Comandante,” disse la tedesca, raggiungendolo e cominciando a digitare il numero di Dearka. Ascoltò il suono della linea per un po’, fino a quando il suo collega rispose. Gli spiegò la situazione e, nel bel mezzo del discorso, sentì Yzak tirarle la manica insistentemente. Si voltò, trovandolo con un biglietto tra le mani.

 

 Ho controllato il suo rapporto. Eccellente lavoro, Maggiore.

 

 Sospirò, emozionata, e decise che per una volta il suo sorriso l’avrebbe regalato a lui e non al muro di camera sua.

  
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