Avrei voluto scrivere di più, ho potuto finire solo questo capitolo. Godetevelo!
La sala
era piena di gente.
Per
quanto il locale fosse fatiscente, per quanto ci fossero solo poche
sedie,
pochi tavoli, poche luci ad illuminarlo facendone risaltare
l’atmosfera cupa,
un sacco di ballerini volteggiavano in pista. Oh beh,
perlopiù coppie formate
da gente dello stesso. Il resto invece era distribuito uniformemente ai
lati
della pista. Era quasi comico: uomini da un lato, intenti a girarsi i
pollici,
e donne dall’altro, a far tappezzeria. Entrambi aspettavano
–i ragazzi con
occhi impazienti, le ragazze sospirando annoiate- il momento propizio
per
chiedere a qualcuno di ballare. Segretamente tutti però,
speravano che qualcuno
o qualcuna, il più coraggioso tra tutti, si facesse avanti
così da rendere meno
scomodo per gli altri rivolgere a qualcuno il fatidico “ti va
di ballare?”. Se
lo fanno tutti, perché non farlo anche tu? Facile, no?
Ovvio, c’era chi, sicuro
di sé, si lanciava in pista con la propria fidanzata. Ma per te, da sfortunato
scapolo, prima di
chiedere ad una ragazza sconosciuta di ballare, prima di evitare gli
sguardi di
rimprovero degli uomini che l’avevano adocchiata prima di te
e delle vecchie
pettegole, sarebbe
stato più facile
improvvisare un tango con un’amico. Veloce ed indolore.
Al ritorno a casa Dopo la
“lezione di ballo”
Marinella aveva insistito perché tutti e tre si fermassero
lì anche la sera.
“Ci
sarà
più gente! Ci divertiremo!” aveva detto
strattonandolo per la camicia.
Più
gente, non è così?
Marinella.
Vai. Al. Diavolo.
Era
questo che avrebbe voluto dirle. Ballare con Antonio –per la
verità, se
qualcuno li avesse visti, non avrebbe chiamato quello che stavano
facendo in
quel modo- era più semplice. Era normale. Per quanto fosse
normale che due
ragazzi danzassero stretti assieme.
Ma
Antonio era Antonio. Un’amico. E poi durante le
“prove” non c’era nessuno che
potesse spiare il terzetto. Nessun orecchio indiscreto poteva posarsi
su
Marinella, che pazientemente batteva le mani a tempo di valzer e
talvolta le
muoveva a mo’ di direttore d’orchestra, o su
Lovino, che imprecava ogni volta
che l’amico per sbaglio gli pestava i piedi ogni tre passi.
L’unica ch poteva
ridere dei loro strafalcioni, quella era Marinella, un’amica,
come Antonio.
Ed ora
invece eccolo qui, seduto tra i tanti ragazzi, galletti ruspanti che
attendevano solo di abbordare una gallinella. Sua madre aveva insistito
perché
per quell’occasione speciale indossasse i vestiti di suo
padre, gli abiti che
si era fatto fare su misura dal sarto, così sarebbe stato
più elegante. “Vestito
così troverai sicuramente una zita.”
Gli aveva detto fiera, poi gli aveva pulito uno sbaffo di terra che
aveva sulla
guancia con l’indice inumidito di saliva. Lovino si era
scansato, infastidito,
sfregandosi la gota.
Il
completo era era grigio fumo, il sarto gli aveva persino regalato il
giusto
cappello da abbinarci. L’unica occasione nella quale suo
padre lo aveva
indossato era stato il funerale di suo zio. Ricordava che suo padre si
asciugava le lacrime strofinandosi continuamente gli occhi con la
manica della
giacca, a cui mancava un bottone ed ormai era zuppa. Ricordava anche
che
avevano seppellito lo zio nel cimitero del paese vicino, dove migliaia
di
cipressi solitari facevano a guardia e compagnia agli spiriti dei
defunti. Lui
era allergico ai cipressi. Gli si gonfiavano gli occhi e gli prudeva il
naso.
Si rivide bambino, la vista offuscata dalle lacrime che gli rigavano il
volto
per il fastidio e per la perdita del parente stretto.
Quando zu’Mimmo veniva a trovarli lo
sollevava
sulle sue spalle e lo portava in giro correndo e ridendo come un
ragazzino.
Quando si era ammalato di tifo, la malattia che lo aveva portato alla
morte,
aveva appena la forza per adagiare la sua mano su quella del nipotino
che
stringeva le candide coperte del suo letto di morte.
Tentando
di togliersi dalla testa quei macabri pensieri, si concentrò
sulla gente
che piroettava in
pista. Vide Marinella
ed Antonio che si cimentavano in una scatenata quadriglia. Adesso si
tenevano a
braccetto, avanzando adagio, adesso
intrecciavano le loro mani assieme a tutti gli altri partecipanti, lui
da un
lato e lei dall’altro, come un ponte. Le coppie vi passavano
sotto una ad una.
Lovino
cominciava ad annoiarsi, finchè non vide, con la coda
dell’occhio, da sotto il
“ponte” uscire una ragazza che teneva per mano un
anziana ma piacente signora.
La
ragazza aveva un vestito blu lungo fino ai piedi che lasciava
intravedere le
sue forme. I suoi capelli erano biondi, ed inusuale era anche il colore
della
sua pelle, bianca come il latte. Rideva di gusto chiudendo gli occhi,
quando li
aprì, Lovino vide che erano di un intenso color azzurro. La
ragazza scambiò
qualche parola, interrotta dallo sforzo di reprimere le risate, con la
donna
anziana che si sorreggeva a lei. non capì quello che si
dissero, forse erano
troppo lontane, forse c’era troppo chiasso, con
l’orchestrina che, imbracciati
gli strumenti, aveva iniziato a suonare un movimentato doppio passo. E
poi gli
era parso di sentire una cadenza diversa nella voce delle due donne, un
accento
diverso dal suo. Certamente, con quegli strani tratti somatici che si
ritrovava, non era una del paese.
Era
tedesca?
Lovino
si rese conto di stare a seguirla con gli occhi. La guardò
congedare la donna
che stava con lei tra risatine e salamelecchi, poi abbandonarsi su una
seggiola
a pochi metri di distanza da lui. Sbuffava, stanca e accaldata,
facendosi aria
con la mano. Tentò invano di sistemarsi i capelli dietro le
orecchie ma questi
continuavano a sfuggire al curato fiocco blu che portava a
mo’ di cerchietto.
Li aveva vaporosi, che le saltellavano di qua e di là ad
ogni mossa del capo.
Seguì il regale profilo della fronte, del piccolo naso,
delle labbra sottili.
Sbirciò anche la generosa scollatura.
Altri
ragazzi, ammucchiati alle pareti, la stavano fissando da lontano,
lanciandole
di nascosto occhiate lascive.
<<
Lovino! >> due mani amichevoli artigliarono le sue spalle
facendolo
sussultare. << Vieni a ballare? >>
Tirò
un
sospiro di sollievo. Era solo Antonio.
<<
No >> disse liberandosi sgarbatamente dalla presa
dell’amico << C’è
troppa gente >>
Antonio
si abbandonò su una sedia accanto a lui
<<
Oh, por favor! Non ti
noterà nessuno!
>> disse esasperato
<<
Ho detto di no >> troncò Lovino.
Tornò a fissare la donna, oggetto delle
sue attenzioni e di quasi tutti gli uomini della sala. Per fortuna, era
ancora
lì, poco lontano da lui, ad aggiustarsi le ciocche ribelli
che non stavano ai
suoi ordini. Quel suo modo di aggrottare le sopracciglia indispettita
ogniqualvolta un ricciolo sfuggisse al suo tocco lo fece sorridere.
<<
Marinella vuole ballare con te >> esordì
Antonio di punto in bianco.
Lovino
non distolse lo sguardo dalla ragazza.<< Che?
Perché? >> chiese.
<<
E che ne so io >> asserì << mi
ha solo chiesto di dirtelo. È strana
stasera >>
<<
Bah, le donne… >>
<<
Già… >> Antonio e Lovino si davano
le spalle, uno batteva nervosamente il
piede sulle mattonelle incrinate, stonando con il ritmo della mazurca
che
l’orchestrina stava strimpellando. L’altro, una
mano a sostegno del mento,
sbuffava guardando la pista da ballo e alla donna davanti a
sé.
<<
Vuoi invitarla a ballare? >> domandò Antonio.
<<
Chi? >>
<<
La muchacha. Quella che stai
fissando
da ore >>
Lovino
si girò a guardare l’amico.
<<
E tu come… >>
<<
Ti ho visto, sai? Come la guardavi. Ti ha visto anche Marinella, poi mi
ha
chiesto di voler ballare con te. Credo fosse arrabbiata
>> lo interruppe
Antonio
<<
E perché? Che ho fatto? >> chiese stranito
Lovino
<<
Non lo so. Te l’ho detto che è strana
>> rispose Antonio
<<
Voglio invitarla a ballare >>
<<
Chi? >>
<<
La ragazza. La tedesca. >>
<<
Oh beh… è… molto bella
>> Antonio prese a picchiettare il bracciolo della
sedia con insistenza. Mignolo, anulare, medio, indice, pollice. Lovino
non
colse la nota storta che c’era nella sua voce. Antonio era
nervoso.
<<
Bueno >> gli battè un’amichevole
pacca sulla spalla << che aspetti?
Chiediglielo >>
<<
Sei pazzo?! >> disse Lovino a denti stretti
<< non voglio fare malafiura >>
<<
Smettila di farti problemi. Chiediglielo e basta. Di sicuro
dirà di no, ma tu
prova lo stesso >>
<<
Ehi! >> esclamò indispettito Lovino.
<<
Che c’è? >> chiese Antonio sornione.
Conosceva perfettamente il punto
debole dell’amico. Il suo orgoglio.
<<
Credi davvero che non riuscirei a fare una cosa così
semplice? E che lei dirà
di no? Si tratta solo di andarle a parlare, devo solo farle una
domanda! E semplicissimo!
Ora ti faccio vedere io! >>
Lovino
Aveva alzato la voce e gli prudevano le mani. Per tutto il discorso,
fatto di
frasi interrotte a metà, d’imprecazioni e di
minacce –campate in aria- contro
l’amico, aveva gesticolato in preda alla rabbia. Si
tirò su a sedere.
<<
Aspetta >> Antonio lo trattenne per la manica della
giacca << Se
vai davvero, ricorda di… >> e attirandolo a
sé gli sussurrò qualcosa
all’orecchio. Lovino arrossì.
<<
Perché dovrei fare una cosa del genere? >>
chiese imbarazzato.
<<
Perché sì. Fallo. Alle donne piace. Ma scommetto
che non ne hai il coraggio. Tienes miedo?
>> rispose Antonio.
Lovino mise
il broncio, e con stupore dell’amico, si diresse a passo
deciso verso la
bionda.
La
ragazza stava bevendo del vino da un bicchiere di vetro.
<<
Ciao… vuoi…v…vuoi >>
iniziò a balbettare Lovino. Antonio si era
avvicinato a Marinella, l’amico lo indicava divertito,
mentresi poteva dire che
Marinella stesse quasi incenerendo con lo sguardo la giovane straniera.
Lovino
non si diede per vinto
<<
Vu… ti andrebbe di… ballare? >> riuscì finalmente
a farfugliare.
La
ragazza lo guardò dritto negli occhi. si era portata il
bicchiere al petto. Il
vino, scuro, quasi cremisi, aveva ondeggiato senza però
sgocciolare fuori.
Sorrise.
<<
Certo >> disse pacatamente. Lovino non riuscì
a distinguere il suo
accento. Non era tedesca. La ragazza gli tese la mano, che Lovino
afferrò
imbarazzato e la aiutò, da bravo cavaliere, ad alzarsi. Era
poco più alta di
lui.
Assieme,
attirando gli sguardi di tutti i presenti, iniziarono a danzare sulle
note di
un lento. La ragazza avvicinò il volto a quello di Lovino.
Le sarebbe bastato
sporgersi solo un altro po’ e avrebbe potuto schioccargli un
bacio sulle labbra
corrucciate.
<<
Mi chiamo Bella >> si
presentò.
<<
Io sono… sono Lovino >>
Bella
gli appese le braccia al collo. Lovino notò che aveva il
naso spruzzato di
lentiggini e che da vicino, l’azzurro dei suoi occhi era meno
intenso,
somigliante quasi più al verde.
<<
Sei tanto bello, Lovino. Speravo mi
chiedessi
di ballare >> gli sussurrò languidamente.
Lovino
deglutì.
<<
Io ti piaccio? Sono… come dite qui? >> si
portò un’indice alle labbra,
pensierosa <<
carina? >>
I loro
nasi si sfioravano, tanto si era avvicinata. Le sue labbra, le sue
occhiate
sdolcinate, i suoi fianchi ben torniti erano un invito ad andare
“oltre”.
Lovino lanciò uno sguardo disperato ad Antonio.
L’amico,
il braccio attorno alla spalla di Marinella, mimò con le
labbra la parola “hazlo”.
Fallo.
“Lo faccio, scemo. Giuro che lo faccio. E poi
vediamo chi riderà. Ora lo faccio”
pensò
Indugiò
ancora sulle curve morbide dei fianchi della ragazza e
lasciò scivolare la mano
sul suo sedere. Un attimo dopo si ritrovò a massaggiarsi la
guancia alla quale
la ragazza, indignata, aveva appena dato un sonoro schiaffo. Gli parve
che la
musica in sala si fosse fermata, così come le coppie che
danzavano. Invece,
solo qualcuno aveva intuito cosa fosse successo, mentre chi aveva
assistito
chiaramente alla scena, oltre a due sconcertati Marinella ed Antonio,
era stata
la donna che aveva fatto da compagno a Bella durante la quadriglia.
Guardava
Lovino con occhi di fuoco.
“Oh madonna. È la madre.”
Pensò impaurito.
La
ragazza sussurrò arrabbiata qualcosa nella sua lingua, di
certo nulla di
gentile. Si rassettò le pieghe del lungo vestito blu e si
avviò stizzita verso
l’uscita, accompagnata dalla donna anziana che continuava a
squadrare Lovino.
***
Marinella,
la giacca di Antonio sulle spalle, aspettava gli amici che
bighellonavano
seduti sul marciapiede. Non c’era un filo di vento quella
sera. Il cielo era
cosparso di stelle e il brulichio sommesso della gente che ancora si
scatenava
in pista era stranamente piacevole, quasi come una ninnananna. Le luci
soffuse
che provenivano dalle finestrelle e dalla fessura della porta del
locale
servivano a creare ciò che qualcuno avrebbe chiamato
“l’atmosfera giusta”. Per
che cosa, non lo sapeva. Forse per un bacio. Due amanti che si
scambiavano quel
gesto d’amore, magari un po’ brilli, entrambi con
le gote arrossate dall’alcool,
i loro respiri e le loro mani che s’intrecciavano.
Tornò
a
fissare sconsolata i suoi due migliori amici, che si spintonavano e
ridevano
come due idioti.
<<
L’hai fatto davvero. Sei incredibile, amigo
>>
<<
Certo. Cosa credevi? Nessuno può chiamarmi codardo. Nemmeno
tu. >>
<<
Tu sei proprio loco, Lovì >> Antonio
gli poggiò una mano sulla spalla << Andiamo a
casa, dai >>
Si
alzarono sgranchendosi le gambe, quando un ragazzo uscì dal
locale. Guardò
Lovino sgranando gli occhi e disse:
<<
Ehi, Casanova. Ti ho
visto con la
straniera. Ti è andata male! >> disse
ridacchiando.
Marinella ed Antonio dovettero correre a trattenere Lovino, che in men che non si dica aveva già afferrato il ragazzo per il bavero del cappotto, pronto a prenderlo a pugni.
*La malafiura è la
figura di merda
*La zita è la fidanzata
*Bella, la straniera, è nientepopodimeno che BELGIO ^_____^