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Autore: SissiCuddles    08/05/2010    1 recensioni
Ho ufficialmente deciso di autocondannarmi a morte. Ebbene sì, questa è la terza fanfiction che scrivo in questo periodo. Questa fanfic però è diversa dalle altre. La sto scrivendo con più calma e tranquillità. Spero vi possa piacere. Vi avviso di nuovo: non è una delle mie classiche fanfiction a mio parere. Ridico che contiene spoiler riguardanti il prossimo finale di stragione. Io ve l'ho detto due volte ora tocca a voi. Ah, dimentivavo: il titolo è "The Bitter End" in quanto la fine sarà amara, ciò significa, niente lieto fine.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Greg House, Lisa Cuddy
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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The Bitter End

Capitolo 3: A Place Called Home Parte III

Princeton. Appartamento Di House. Ore 16:45
Gli ABBA cominciarono a suonare nell’appartamento distogliendo l’attenzione dei due uomini intenti a suonare un vecchio pezzo dei Rolling Stones. House si avvicinò al telefono, ma appena vide il numero sul display decise di non rispondere. Ritornò alla sua postazione precedente, mentre Alvin lo fissava confuso.
“Perché non rispondi?”
“E’ il mio ex migliore amico. Il traditore”
“Ah. Sei sicuro che non vuoi rispondere?”
House annuì sommessamente, mentre le sue mani pizzicavano le corde della chitarra in modo sapiente.
Il telefono riprese a suonare e questo costrinse Alvin ad alzarsi dal piano in direzione del telefono. Lo prese in mano e lo mise al suo orecchio, guadagnandosi uno sguardo curioso di House.
“Pronto…”
“House? Non sarai ubriaco?”
“Chi è House?”
“Chi sei tu?”
“Chi sei tu?”
“Chiunque tu sia, devo parlare con House immediatamente”
“Mi dispiace, ma non è in casa”
“E dove è?”
“Sarà andato a farsi un giro in qualche locale, amico”
“Ma tu chi sei?”
“Sono il suo nuovo migliore amico”
House osservava il giovane amico, ascoltando quell’assurda conversazione telefonica che lo stava in un certo senso divertendo. Si alzò e prese il telefono.
“Che hai Wilson?”
“House! Ma allora sei stato lì tutto il tempo ad ascoltare?”
“Che vuoi Wilson?”
“Cuddy vuole vederti immediatamente nel suo ufficio”
“Perché?”
“Deve parlare con te. Immediatamente House”
“Farò un salto più tardi. Ora sono impegnato”
“House, non sto scherzando. Dovete parlare”
“E da quando tu sei il suo assistente? Perché non ha chiamato lei?”
“Mi ha chiesto un favore, sperando che tu mi ascoltassi”
“Dille che verrò più tardi”
House chiuse la telefonata brutalmente. Erano settimane che non aveva una discussione con Cuddy. Avevano cercato di evitare ogni contatto visivo, ogni giorno nessuno dei due alzava lo sguardo verso l’altro. Solo la mattina si salutavano distrattamente e ognuno ritornava al proprio lavoro.
Alvin osservò l’espressione dell’animo, era un po’ confuso da questo suo comportamento. Dopotutto lui e Wilson erano migliori amici, e per quanto House lo negasse, loro lo sarebbero sempre stati, anche se Alvin ora viveva con lui.
“Devo andare in ospedale più tardi”
“Ho sentito.”
“Credo tu possa rimanere da solo ancora per un po’”
“Sì, non ti preoccupare. Ho alcune cose da fare qui”
House raccolse il bastone inerme appoggiato alla spalliera del divano. Prese la giacca dall’attaccapanni e rimase a fissare la scena. Era di nuovo a casa sua, nessuno gli avrebbe impedito di vivere la sua vita.

Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio del Primario di Medicina. Ore 17:45
House entrò nell’ufficio del primario senza bussare. Fu accolto dagli sguardi dei due medici, che lo attendevano nervosamente.
Wilson sedeva su una delle poltrone alla sua destra, mentre Cuddy era appoggiata alla sua scrivania. House li osservò a lungo prima di cominciare a parlare.
“Sono qui. Di cosa volete parlare?”
House inquadrò Wilson, senza permettere di catturarsi nemmeno un minimo centimetro di Cuddy nella sua visuale. L’oncologo scosse la testa, facendo capire ad House che lui ancora non sapeva niente.
“Allora capo. Cosa vuoi da me?”
Si guardarono negli occhi per la prima volta dopo tanto tempo. Gli occhi azzurri di lei si persero di nuovo in quelli celesti di lui. Così maledettamente celesti, pensò lei. Si girò di scatto verso la sua scrivania e prese un foglietto. Quel foglietto che aveva fissato per quasi tutto il pomeriggio, sperando che quello fosse solo l’ennesimo scherzo di Lucas. Ma non lo era. Quello era la verità. Una cosa che il vecchio House avrebbe fatto, che il nuovo lui avrebbe solo considerato un ricordo dei vecchi tempi.
“Guarda questo”
Cuddy gli porse quel biglietto così anonimo. Lui lo prese tra le mani e quasi senza leggerlo, lo accartocciò tra le dita.
Il rumore della carta che si accartocciava sotto le fredde mani del diagnosta sembrò rimbombare nell’ufficio, rompendo l’ennesimo momento di silenzio che aveva di nuovo riempito l’ufficio.
“Devo rendere conto di ogni mia singola azione ora?”
“House, non si tratta di questo, tu…”
“Io cosa? Non sono nemmeno libero di andare in un bar ed ubriacarmi?”
“Sei libero di bere quanto vuoi. Lo hai sempre fatto.”
Cuddy rispose così seccamente, quasi impersonalmente. Lasciò tutte le emozioni fuori da quel discorso. O almeno cercò di comportarsi nell’interesse dell’ospedale e non nel suo.
“House, tu hai scatenato una rissa. Ci sono stati anche colpi di pistola…”
“Oh mio dio, qualcuno è stato ferito?”
Wilson si alzò dalla poltrona scandalizzato. Guardò Cuddy, lei scosse la testa. Il medico fece un giro su se stesso e si risedette.
“House, che diavolo avevi in mente?”
House guardò l’amico e sorrise ironico.
“Pensi che io abbia programmato una rissa? Che io lo abbia fatto di mia spontanea volontà così da attirare un po’ l’attenzione?”
“Non voglio dire questo, ma…”
“Mi state trattando come un bambino”
“Non ti stiamo trattando come un bambino…”
Di nuovo si ritrovarono nel silenzio più assoluto, tranne che per le voce leggere che cominciavano a sentirsi dalla clinica. Si poteva sentire il chiacchiericcio dei pazienti che aspettavano di essere visitati, anche a quell’ora.
“Cuddy, solo perché tu sei il capo non significa che hai il permesso di intrometterti nella mia vita ogni volta che vuoi…”
“House, siamo amici…”
“No, non lo siamo mai stati”
“Io sono…”
“Tu non sei mia amica. Non lo sei mai stata”
Wilson e Cuddy rimasero a guardarlo, mentre usciva chiudendosi la porta dell’ufficio alle spalle.
“Sono un idiota”
“Non lo sei James. Qui la str*nza sono io”
“Lo sai che quello che ha detto non è vero…”
“E invece è vero.”
“Lisa, c’è qualcosa che devo sapere”
“Cosa?”
“Perché tutti questi sensi di colpa nei suoi confronti? E’ ancora per la storia della gamba? Sono passati anni, lascia perdere…”
“Non è per la gamba, Wilson.”
“E allora qual è il motivo?”
Cuddy si alzò e si sedette sulla poltrona di fronte all’amico, rannicchiandosi nella comoda e soffice imbottitura. Wilson si raddrizzò leggermente e continuava a fissare Cuddy. Quando lei rialzò lo sguardo, l’uomo vide le lacrime solcare il viso perfetto della donna.
“James, io non ce la faccio più…”
“Qual è il problema?”
“Io e House siamo stati insieme”
“So già della vostra storia al college, ma non vedo come la cosa possa collegarsi a questo momento”
“Circa tre settimane fa, quando mi hai chiesto di parlare con lui riguardo a Sam, sono stata a casa vostra. Ne avevamo già parlato nel mio ufficio, ma dovevamo…chiarire alcune cose. Eravamo in salotto quando gli ho detto che ero confusa, che forse provavo ancora qualcosa per lui”
“Cuddy, tu ed House avete passato la notte insieme? Eri tu quella donna…”
“Wilson, mi dispiace così tanto…”
“Lisa, tu non hai nessuna colpa.”
“Invece sì, lui mi odia ora.”
“Lui non ti odia. Odia me. Questa è solo la sua reazione al fatto che io e Sam vogliamo andare a vivere insieme.”
“Ma le sbronze e la rissa, queste sono colpa mia”
“No…Lisa, calmati. Non hai nessuna colpa. Parlerò con House. Voglio che torni a vivere con me e se a Sam non andasse bene, può sempre rimanere nel suo appartamento.”
“Wilson abbiamo combinato un casino.”
“No, House è la causa di tutti i suoi casini”
Wilson si avvicinò a Cuddy e la abbracciò forte.
“Sistemeremo tutto…”
“Lo spero…ma tu non dirgli niente di quello che ti ho appena detto.”
“Non lo farò Lisa.”

Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio di House. Ore 18:25
“House, possiamo parlare?”
“Pensavo avessimo parlato abbastanza”
Wilson entrò nell’ufficio, camminò verso House e si sedette dall’altra parte della scrivania.
“No…voglio che torni a vivere nel loft”
“No”
“Se a Sam non va bene, può rimanere a vivere nel suo appartamento.”
“Capisci Wilson, io non ho bisogno di te.”
Detto questo si alzò ed uscì dal suo ufficio, lasciando l’oncologo a fissare la sedia di fronte a lui, ora vuota.

 

Circa due settimane dopo…

Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio del Primario. Ore 10:00
House varcò le grandi porte a vetri dell’ospedale dopo l’ennesima notte in bianco. Gli occhiali da sole nascondevano il celeste intenso dei suoi occhi. Camminava zoppicando appoggiando tutto il peso sul bastone logorato dal tempo.
“Buongiorno House…”
“Buongiorno…”
Cuddy tentò di fermarlo, ma lui camminava già verso l’ascensore. Cuddy gli si parò davanti per sbarrargli la strada.
“Possiamo parlare?”
“Ehm, no. Ho un caso…”
“No, non hai un caso. Sono il tuo capo dimentichi?”
Cuddy sorrise leggermente.
“Posso offrirti un caffè?”
House la osservò esitante per qualche secondo, ma senza smettere di fissare il suo sorriso stampato sul volto, annuì.
Camminarono fianco a fianco verso la caffetteria.
“Come ai vecchi tempi eh?”
“Sembrerebbe…”
Presero il loro caffè e si sedettero ad uno dei tavoli. La caffetteria era semideserta nonostante l’orario. Ognuno stava svolgendo il proprio dovere senza problemi.
“Volevo parlare con te”
“Questo lo hai già detto”
“Grazie genio.”
House la osservò, Stava ancora sorridendo.
“Il tuo boytoy ti ha soddisfatta?”
“Lucas ultimamente sta lavorando molto”
“Credevo che senza sesso tu tornassi la solita arpia, ma mi sbagliavo.”
“Sono felice…”
“Lo vedono tutti questo…”
“Rachel ha detto la sua prima parola ieri sera…”
“Ho la marmocchia non parla già?”
“House, ha poco più di un anno…”
“Buddah appena nato già parlava…”
“Mia figlia non è Buddah…”
“Ah davvero?”
Sorrisero.
“E’ bello potersi parlare di nuovo.”
House bevve il suo caffè silenziosamente, cercando ogni minimo particolare di ogni singola persona che varcava le porte d’ingresso al bar.
“Mi piacciono questi momenti…”
“Questi momenti?”
“Sì…io, te e un caffè. Mi piace”
“Lo so che ti piaccio, ma…”
“House, intendevo…”
“Lo so cosa intendi…”
“E’ divertente…”
“Cosa è divertente?”
“Tu mi hai detto che non siamo amici e che mai lo siamo stati. Lo pensi veramente?”
“Lo pensavo”
“E ora non lo pensi più?”
“Ho cambiato idea…”
“Mi fa piacere…Penso che dovremmo prendere un caffè insieme più spesso, non trovi?”
“Se paghi sempre tu, a me va bene”
“Certo, chi dovrebbe pagare se non io?”
“Così si ragiona…brava Cuddles.”
“Ciao House…”
House la osservò allontanarsi e come sempre osservò il rapido movimento dei suoi fianchi.
Se non posso averla per me, tanto vale tornare ai vecchi tempi.

Princeton. Casa Cuddy. Ore 21:00
“Lucas, sono a casa”
“Ehi tesoro siamo in camera”
“Arrivo…”
Cuddy si tolse la giacca, appoggiò la borsa nell’entrata e si tolse le scarpe. Salì le scale velocemente finchè non raggiunse la stanza della piccola Rachel.
“Ehi piccola mia…”
Cuddy si avvicinò lentamente alla piccola. Appena vide la madre, la bambina allungò le braccia verso la donna. Lisa la prese in braccio e le stampò un bacio sulla guancia.
“Mi sei mancata tesoro mio…”
“Mama…”
“E’ tutto il pomeriggio che lo dice…”
Luca la guardava raggiante, come se quella fosse una sorpresa.
“Lo so, ha cominciato ieri sera…”
“E non mi hai detto niente?”
“Scusa…ma eri a lavoro e non volevo disturbarti…”
“Non fa niente…”
Lisa sorrise, mentre Lucas le dava un dolce bacio sulle labbra.
“E’ ora di andare a dormire rospetto…”
Lucas prese Rachel tra le braccia e la mise a letto. Cuddy si sedette in parte a lei e le lesse una storia. La piccola si addormentò in men che non si dica.
“Era distrutta…”
“Sì, siamo stati al parco oggi…”
“Grazie…”
“Di niente tesoro…”
Scesero verso la cucina.
“Scusa se non ti ho aspettato a cenare, ma stavo morendo di fame…”
“Oh dio…sono le 9 e mezza?
“Ehi, lo so come è il tuo lavoro, perciò ti ho fatto le lasagne vegetariane come piacciono a te”
“Uhm, grazie. Come farei senza di te”
“Moriresti di fame”
“Sono sopravvissuta per anni senza che nessuno cucinasse per me”
“Hai vissuto mangiando insalate...dubito che tu sappia cucinare del tutto”
“Non è vero…io so cucinare, il problema è che non ho tempo…”
Lucas cominciò a massaggiarle le spalle, mentre Cuddy divorava la sua porzione di lasagne.
“Mi chiedevo se…”
“Sì?”
“Niente…”
“Dai, dimmelo…”
“Siamo insieme da un po’ di tempo e…mi chiedevo se, fosse il caso di, ufficializzare la cosa…”
Cuddy lo guardò per qualche secondo.
“Lucas, tu mi stai chiedendo di…di…”
“Di ufficializzare la cosa.”
“Mi stai chiedendo di sposarti?”
“Credo di sì”
“Credi di sì?”
“Sì.”
“Sì, cosa?”
“Sì, ti sto chiedendo di sposarmi”
Cuddy sorrise, per poi tornare seria.
“Lucas, io…”
“Lo so, è troppo presto. Mi dispiace avere rovinato la serata. Scusa…”
“Lucas, io ho bisogno di un po’ di tempo. Non ti sto rifiutando. Dico solo che ho bisogno di pensarci un po’ su.”
“Pensaci quanto vuoi Lisa. Voglio solo che tu sappia che sei speciale per me”
“Sei speciale anche tu”
“Ci guardiamo un film prima di andare a dormire?”
“Certo, faccio una doccia e ti raggiungo, ok?”
“Certo. Ti amo Lisa”
Troppo tardi, Cuddy aveva ormai chiuso la porta del bagno.

 

 

 

   
 
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