The Bitter End
Capitolo
3: A Place Called Home Parte III
Princeton.
Appartamento Di House. Ore 16:45
Gli
ABBA cominciarono a suonare nell’appartamento
distogliendo l’attenzione dei due uomini intenti a suonare un
vecchio pezzo dei
Rolling Stones. House si avvicinò al telefono, ma appena
vide il numero sul
display decise di non rispondere. Ritornò alla sua
postazione precedente,
mentre Alvin lo fissava confuso.
“Perché non rispondi?”
“E’ il mio ex migliore amico. Il
traditore”
“Ah. Sei sicuro che non vuoi rispondere?”
House annuì sommessamente, mentre le sue mani pizzicavano le
corde della
chitarra in modo sapiente.
Il telefono riprese a suonare e questo costrinse Alvin ad alzarsi dal
piano in
direzione del telefono. Lo prese in mano e lo mise al suo orecchio,
guadagnandosi uno sguardo curioso di House.
“Pronto…”
“House? Non sarai ubriaco?”
“Chi è House?”
“Chi sei tu?”
“Chi sei tu?”
“Chiunque tu sia, devo parlare con House
immediatamente”
“Mi dispiace, ma non è in casa”
“E dove è?”
“Sarà andato a farsi un giro in qualche locale,
amico”
“Ma tu chi sei?”
“Sono il suo nuovo migliore amico”
House osservava il giovane amico, ascoltando quell’assurda
conversazione
telefonica che lo stava in un certo senso divertendo. Si
alzò e prese il
telefono.
“Che hai Wilson?”
“House! Ma allora sei stato lì tutto il tempo ad
ascoltare?”
“Che vuoi Wilson?”
“Cuddy vuole vederti immediatamente nel suo ufficio”
“Perché?”
“Deve parlare con te. Immediatamente House”
“Farò un salto più tardi. Ora sono
impegnato”
“House, non sto scherzando. Dovete parlare”
“E da quando tu sei il suo assistente? Perché non
ha chiamato lei?”
“Mi ha chiesto un favore, sperando che tu mi
ascoltassi”
“Dille che verrò più tardi”
House chiuse la telefonata brutalmente. Erano settimane che non aveva
una
discussione con Cuddy. Avevano cercato di evitare ogni contatto visivo,
ogni
giorno nessuno dei due alzava lo sguardo verso l’altro. Solo
la mattina si
salutavano distrattamente e ognuno ritornava al proprio lavoro.
Alvin osservò l’espressione dell’animo,
era un po’ confuso da questo suo
comportamento. Dopotutto lui e Wilson erano migliori amici, e per
quanto House
lo negasse, loro lo sarebbero sempre stati, anche se Alvin ora viveva
con lui.
“Devo andare in ospedale più tardi”
“Ho sentito.”
“Credo tu possa rimanere da solo ancora per un
po’”
“Sì, non ti preoccupare. Ho alcune cose da fare
qui”
House raccolse il bastone inerme appoggiato alla spalliera del divano.
Prese la
giacca dall’attaccapanni e rimase a fissare la scena. Era di
nuovo a casa sua,
nessuno gli avrebbe impedito di vivere la sua vita.
Princeton
Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio del
Primario di Medicina. Ore 17:45
House
entrò nell’ufficio del primario senza bussare.
Fu accolto dagli sguardi dei due medici, che lo attendevano
nervosamente.
Wilson sedeva su una delle poltrone alla sua destra, mentre Cuddy era
appoggiata alla sua scrivania. House li osservò a lungo
prima di cominciare a
parlare.
“Sono qui. Di cosa volete parlare?”
House inquadrò Wilson, senza permettere di catturarsi
nemmeno un minimo centimetro
di Cuddy nella sua visuale. L’oncologo scosse la testa,
facendo capire ad House
che lui ancora non sapeva niente.
“Allora capo. Cosa vuoi da me?”
Si guardarono negli occhi per la prima volta dopo tanto tempo. Gli
occhi
azzurri di lei si persero di nuovo in quelli celesti di lui.
Così
maledettamente celesti, pensò lei. Si girò di
scatto verso la sua scrivania e
prese un foglietto. Quel foglietto che aveva fissato per quasi tutto il
pomeriggio, sperando che quello fosse solo l’ennesimo scherzo
di Lucas. Ma non
lo era. Quello era la verità. Una cosa che il vecchio House
avrebbe fatto, che
il nuovo lui avrebbe solo considerato un ricordo dei vecchi tempi.
“Guarda questo”
Cuddy gli porse quel biglietto così anonimo. Lui lo prese
tra le mani e quasi
senza leggerlo, lo accartocciò tra le dita.
Il rumore della carta che si accartocciava sotto le fredde mani del
diagnosta
sembrò rimbombare nell’ufficio, rompendo
l’ennesimo momento di silenzio che
aveva di nuovo riempito l’ufficio.
“Devo rendere conto di ogni mia singola azione ora?”
“House, non si tratta di questo, tu…”
“Io cosa? Non sono nemmeno libero di andare in un bar ed
ubriacarmi?”
“Sei libero di bere quanto vuoi. Lo hai sempre
fatto.”
Cuddy rispose così seccamente, quasi impersonalmente.
Lasciò tutte le emozioni
fuori da quel discorso. O almeno cercò di comportarsi
nell’interesse
dell’ospedale e non nel suo.
“House, tu hai scatenato una rissa. Ci sono stati anche colpi
di pistola…”
“Oh mio dio, qualcuno è stato ferito?”
Wilson si alzò dalla poltrona scandalizzato.
Guardò Cuddy, lei scosse la testa.
Il medico fece un giro su se stesso e si risedette.
“House, che diavolo avevi in mente?”
House guardò l’amico e sorrise ironico.
“Pensi che io abbia programmato una rissa? Che io lo abbia
fatto di mia spontanea
volontà così da attirare un po’
l’attenzione?”
“Non voglio dire questo, ma…”
“Mi state trattando come un bambino”
“Non ti stiamo trattando come un
bambino…”
Di nuovo si ritrovarono nel silenzio più assoluto, tranne
che per le voce
leggere che cominciavano a sentirsi dalla clinica. Si poteva sentire il
chiacchiericcio dei pazienti che aspettavano di essere visitati, anche
a
quell’ora.
“Cuddy, solo perché tu sei il capo non significa
che hai il permesso di
intrometterti nella mia vita ogni volta che vuoi…”
“House, siamo amici…”
“No, non lo siamo mai stati”
“Io sono…”
“Tu non sei mia amica. Non lo sei mai stata”
Wilson e Cuddy rimasero a guardarlo, mentre usciva chiudendosi la porta
dell’ufficio alle spalle.
“Sono un idiota”
“Non lo sei James. Qui la str*nza sono io”
“Lo sai che quello che ha detto non è
vero…”
“E invece è vero.”
“Lisa, c’è qualcosa che devo
sapere”
“Cosa?”
“Perché tutti questi sensi di colpa nei suoi
confronti? E’ ancora per la storia
della gamba? Sono passati anni, lascia perdere…”
“Non è per la gamba, Wilson.”
“E allora qual è il motivo?”
Cuddy si alzò e si sedette sulla poltrona di fronte
all’amico, rannicchiandosi
nella comoda e soffice imbottitura. Wilson si raddrizzò
leggermente e
continuava a fissare Cuddy. Quando lei rialzò lo sguardo,
l’uomo vide le
lacrime solcare il viso perfetto della donna.
“James, io non ce la faccio
più…”
“Qual è il problema?”
“Io e House siamo stati insieme”
“So già della vostra storia al college, ma non
vedo come la cosa possa
collegarsi a questo momento”
“Circa tre settimane fa, quando mi hai chiesto di parlare con
lui riguardo a
Sam, sono stata a casa vostra. Ne avevamo già parlato nel
mio ufficio, ma
dovevamo…chiarire alcune cose. Eravamo in salotto quando gli
ho detto che ero
confusa, che forse provavo ancora qualcosa per lui”
“Cuddy, tu ed House avete passato la notte insieme? Eri tu
quella donna…”
“Wilson, mi dispiace così
tanto…”
“Lisa, tu non hai nessuna colpa.”
“Invece sì, lui mi odia ora.”
“Lui non ti odia. Odia me. Questa è solo la sua
reazione al fatto che io e Sam
vogliamo andare a vivere insieme.”
“Ma le sbronze e la rissa, queste sono colpa mia”
“No…Lisa, calmati. Non hai nessuna colpa.
Parlerò con House. Voglio che torni a
vivere con me e se a Sam non andasse bene, può sempre
rimanere nel suo appartamento.”
“Wilson abbiamo combinato un casino.”
“No, House è la causa di tutti i suoi
casini”
Wilson si avvicinò a Cuddy e la abbracciò forte.
“Sistemeremo tutto…”
“Lo spero…ma tu non dirgli niente di quello che ti
ho appena detto.”
“Non lo farò Lisa.”
Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio
di
House. Ore
18:25
“House,
possiamo parlare?”
“Pensavo avessimo parlato abbastanza”
Wilson entrò nell’ufficio, camminò
verso House e si sedette dall’altra parte
della scrivania.
“No…voglio che torni a vivere nel loft”
“No”
“Se a Sam non va bene, può rimanere a vivere nel
suo appartamento.”
“Capisci Wilson, io non ho bisogno di te.”
Detto questo si alzò ed uscì dal suo ufficio,
lasciando l’oncologo a fissare la
sedia di fronte a lui, ora vuota.
Circa
due settimane dopo…
Princeton
Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio del Primario. Ore 10:00
House
varcò le grandi porte a vetri dell’ospedale dopo
l’ennesima notte in bianco.
Gli occhiali da sole nascondevano il celeste intenso dei suoi occhi.
Camminava
zoppicando appoggiando tutto il peso sul bastone logorato dal tempo.
“Buongiorno House…”
“Buongiorno…”
Cuddy tentò di fermarlo, ma lui camminava già
verso l’ascensore. Cuddy gli si
parò davanti per sbarrargli la strada.
“Possiamo parlare?”
“Ehm, no. Ho un caso…”
“No, non hai un caso. Sono il tuo capo dimentichi?”
Cuddy sorrise leggermente.
“Posso offrirti un caffè?”
House la osservò esitante per qualche secondo, ma senza
smettere di fissare il
suo sorriso stampato sul volto, annuì.
Camminarono fianco a fianco verso la caffetteria.
“Come ai vecchi tempi eh?”
“Sembrerebbe…”
Presero il loro caffè e si sedettero ad uno dei tavoli. La
caffetteria era
semideserta nonostante l’orario. Ognuno stava svolgendo il
proprio dovere senza
problemi.
“Volevo parlare con te”
“Questo lo hai già detto”
“Grazie genio.”
House la osservò, Stava ancora sorridendo.
“Il tuo boytoy ti ha soddisfatta?”
“Lucas ultimamente sta lavorando molto”
“Credevo che senza sesso tu tornassi la solita arpia, ma mi
sbagliavo.”
“Sono felice…”
“Lo vedono tutti questo…”
“Rachel ha detto la sua prima parola ieri
sera…”
“Ho la marmocchia non parla già?”
“House, ha poco più di un
anno…”
“Buddah appena nato già
parlava…”
“Mia figlia non è Buddah…”
“Ah davvero?”
Sorrisero.
“E’ bello potersi parlare di nuovo.”
House bevve il suo caffè silenziosamente, cercando ogni
minimo particolare di
ogni singola persona che varcava le porte d’ingresso al bar.
“Mi piacciono questi momenti…”
“Questi momenti?”
“Sì…io, te e un caffè. Mi
piace”
“Lo so che ti piaccio, ma…”
“House, intendevo…”
“Lo so cosa intendi…”
“E’ divertente…”
“Cosa è divertente?”
“Tu mi hai detto che non siamo amici e che mai lo siamo
stati. Lo pensi
veramente?”
“Lo pensavo”
“E ora non lo pensi più?”
“Ho cambiato idea…”
“Mi fa piacere…Penso che dovremmo prendere un
caffè insieme più spesso, non
trovi?”
“Se paghi sempre tu, a me va bene”
“Certo, chi dovrebbe pagare se non io?”
“Così si ragiona…brava
Cuddles.”
“Ciao House…”
House la osservò allontanarsi e come sempre
osservò il rapido movimento dei
suoi fianchi.
Se non posso averla per me, tanto vale
tornare ai vecchi tempi.
Princeton. Casa Cuddy. Ore 21:00
“Lucas, sono a casa”
“Ehi tesoro siamo in camera”
“Arrivo…”
Cuddy si tolse la giacca, appoggiò la borsa
nell’entrata e si tolse le scarpe.
Salì le scale velocemente finchè non raggiunse la
stanza della piccola Rachel.
“Ehi piccola mia…”
Cuddy si avvicinò lentamente alla piccola. Appena vide la
madre, la bambina
allungò le braccia verso la donna. Lisa la prese in braccio
e le stampò un
bacio sulla guancia.
“Mi sei mancata tesoro mio…”
“Mama…”
“E’ tutto il pomeriggio che lo
dice…”
Luca la guardava raggiante, come se quella fosse una sorpresa.
“Lo so, ha cominciato ieri sera…”
“E non mi hai detto niente?”
“Scusa…ma eri a lavoro e non volevo
disturbarti…”
“Non fa niente…”
Lisa sorrise, mentre Lucas le dava un dolce bacio sulle labbra.
“E’ ora di andare a dormire
rospetto…”
Lucas prese Rachel tra le braccia e la mise a letto. Cuddy si sedette
in parte
a lei e le lesse una storia. La piccola si addormentò in men
che non si dica.
“Era distrutta…”
“Sì, siamo stati al parco
oggi…”
“Grazie…”
“Di niente tesoro…”
Scesero verso la cucina.
“Scusa se non ti ho aspettato a cenare, ma stavo morendo di
fame…”
“Oh dio…sono le 9 e mezza?
“Ehi, lo so come è il tuo lavoro,
perciò ti ho fatto le lasagne vegetariane
come piacciono a te”
“Uhm, grazie. Come farei senza di te”
“Moriresti di fame”
“Sono sopravvissuta per anni senza che nessuno cucinasse per
me”
“Hai vissuto mangiando insalate...dubito che tu sappia
cucinare del tutto”
“Non è vero…io so cucinare, il problema
è che non ho tempo…”
Lucas cominciò a massaggiarle le spalle, mentre Cuddy
divorava la sua porzione
di lasagne.
“Mi chiedevo se…”
“Sì?”
“Niente…”
“Dai, dimmelo…”
“Siamo insieme da un po’ di tempo e…mi
chiedevo se, fosse il caso di, ufficializzare
la cosa…”
Cuddy lo guardò per qualche secondo.
“Lucas, tu mi stai chiedendo
di…di…”
“Di ufficializzare la cosa.”
“Mi stai chiedendo di sposarti?”
“Credo di sì”
“Credi di sì?”
“Sì.”
“Sì, cosa?”
“Sì, ti sto chiedendo di sposarmi”
Cuddy sorrise, per poi tornare seria.
“Lucas, io…”
“Lo so, è troppo presto. Mi dispiace avere
rovinato la serata. Scusa…”
“Lucas, io ho bisogno di un po’ di tempo. Non ti
sto rifiutando. Dico solo che
ho bisogno di pensarci un po’ su.”
“Pensaci quanto vuoi Lisa. Voglio solo che tu sappia che sei
speciale per me”
“Sei speciale anche tu”
“Ci guardiamo un film prima di andare a dormire?”
“Certo, faccio una doccia e ti raggiungo, ok?”
“Certo. Ti amo Lisa”
Troppo tardi, Cuddy aveva ormai chiuso la porta del bagno.