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Autore: birilloorsettokinder    09/05/2010    2 recensioni
E'la storia che S. Meyer ha scritto in new moon però raccontata dal punto di vista di Edward. Ero troppo curiosa di scoprire cosa è successo a lui in tutti quei mesi in cui ha vissuto senza Bella. Spero che vi piaccia. Strinsi più forte le mani intorno al volante, la velocità della macchina aveva raggiunto i suoi limiti, ma non mi soddisfaceva. Tutto in me gridava di tornare indietro, tutto tranne quella parte di me che l’amava più di ogni altra cosa al mondo. La mia Bella, la mia piccola umana. La ragazza che mi ero prefissato di proteggere! Che ingenuo! La mia natura non mi permette azioni positive, non mi permette di fare alcunché per espiare il peccato di essere un sopravvissuto. Tutto ciò che posso, tutto ciò che devo, è andare via da lei prima che sia troppo tardi. “Dio” imprecai con il petto scosso da asciutti singhiozzi “Dio te ne prego donami almeno le lacrime” urlai.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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inconsapevole

Lottai contro il dolore.




 Era il prezzo da pagare per salvargli la vita, e l'avrei pagato.

 (New Moon; Stephanie Mayer)

In un attimo fui alla macchina, non mi curai di chi potesse avermi visto, di chi fosse intorno a me. Dovevo allontanarmi da lei, il prima possibile, prima di sentire la sua voce, il suo odore, non avrei resistito.

Ero lacerato, distrutto, morto.

In cento anni mi ero definito morto senza sapere cosa realmente volesse dire, senza capire il significato di quella parola agghiacciante.

Adesso era chiaro dentro di me : Io ero morto.

Morto voleva dire non avere più nulla, essere annientato nel cuore, e che importava se il mio cuore non battesse, io lo sentivo dilaniarsi ugualmente.

Il suo meraviglioso viso sconvolto dal dolore era impresso nella mia mente, non avrei più scacciato quel ricordo, ma in realtà non avrei mai voluto scacciarlo. Dovevo ricordarmi cosa avessi inflitto alla mia Bella ogni istante della mia esistenza, quanto dolore le avessi provocato.

Ero un idiota, stupido, ingenuo, crudele vampiro. Sarei stato meno crudele se l’avessi uccisa quel giorno nell’aula di biologia. Avrei assecondato i miei istinti, sarebbe stato orribile, disgustoso, ma sarebbe stato qualcosa, almeno in parte, di involontario, era la mia natura, nessuno mi costringeva a soffocarla.

Io non avevo assecondato la mia natura, no,  ma la mia assoluta follia. Ero stato un pazzo a credere di poterle stare al fianco come uomo e non come assassino. Lei era la mia preda e io l’avevo resa la mia ragione di vita! Che folle! L’avevo costretta a divenire parte della mia orribile realtà, godendo egoisticamente del suo calore, del suo amore che non avrei mai meritato.

Mi chiesi cosa stesse facendo, sperai che suo padre l’avesse trovata o che lei avesse avuto il buonsenso di tornare subito a casa. Ma poi ricordai che lei non aveva mai avuto buonsenso, mai!

Altrimenti sarebbe fuggita via da me!

L’idea del mio amore da solo nella foresta, disperata e debole mi fece venire voglia di tornare indietro.

Si, dovevo tornare indietro, portarla a casa e andare via. Non avrei avuto ripensamenti, soltanto l’avrei condotta a casa al sicuro.

Ma chi volevo prendere in giro! Non avrei resistito a lei!

Ricordai le promesse che le avevo fatto “Nessuna interferenza” le avevo detto.

Spinsi più forte sull’acceleratore della mia Volvo ancore intrisa del suo odore, sempre più forte.

Dovevo allontanarmi, lo sapevo, ma ogni centimetro, ogni millimetro che mi allontanava da lei era un dolore sempre più forte. Sentivo crescere dentro una voragine mai immaginata. Era il dolore più forte che avrei mai concepito con la fantasia.

Non credevo esistesse dolore più forte di quello della trasformazione, ma questo lo superava di gran lunga.

La gola era secca, ma non per la sete, sentivo freddo, poteva un vampiro sentire freddo? Le mie mani sul volante tremavano.

Sapevo che sarebbe stata una sofferenza atroce, ma non immaginavo tanto.

Dovevo resistere, dovevo farlo per lei, per l’amore che provavo, glielo dovevo!

Era stata l’unica cosa bella della mia esistenza, e dovevo ricambiarle il favore lasciandole vivere una vita normale.

Il suo viso mi tornò alla mente, i suoi occhi scuri, le sue labbra rosse e calde sulle mie, un ringhio basso uscì dalla mia bocca a quel ricordo.

Volevo morire, forse sarebbe stata la cosa più facile, ma non potevo lasciarla sola nel mondo, avrei atteso che lei morisse per porre fine anche alla mia esistenza. Non mi faceva più paura l’idea che la mia anima fosse dannata, non mi interessava, perché l’inferno lo stava già vivendo ed era stata una scelta consapevole e volontaria. Per te tutto amore mio!

Sferrai un pugno al finestrino, dovevo incanalare il dolore in qualche modo, o sarei imploso. Il vetro si frantumò in mille pezzettini e il suo luccichio mi ricordò quello della lacrime della mia Bella.

“Bella” sussurrai sconvolto al ricordo del suo nome che tante volte avevo pronunciato consapevole di quanto fossi fortunato che lei si fosse donata a me, ma non totalmente. Adesso le avrei dato più carezze, più amore, l’avrei osservata di più, più a lungo. Avrei carpito ogni movimento del suo volto, del suo corpo impacciato. Le avrei detto più volte “Ti amo”, l’avrei baciata di più, sapevo di esagerare con le mie precauzioni, ma ero certo che lo facevo per lei. E invece adesso avrei voluto aver fatto qualcosa anche per me, per lenire il profondo ed infinito dolore che avevo nel petto.

Provai ribrezzo per il mio profondo egoismo, non ero in grado di dimenticarmi di me neanche in quei momenti in cui sapevo lei stava soffrendo per me. Ma come potevo dimenticare o ignorare l’agonia che avevo nel cuore, nel corpo, in tutte le mie membra?

Cercai di immaginare cosa stesse facendo. Sta piangendo stupido! Urlai nella mia mente.

Mi parve di poterla vedere appallottolata sul suo grande letto, dove tante volte eravamo stati insieme. Vedevo il suo fragile corpo scosso dai singhiozzi, gli occhi arrossati, i suoi meravigliosi occhi nocciola che erano divenuti il centro del mio vivere.

Espirai piano cercando di calmarmi. Il dolore che le avevo provocato era infinito, ma l’avevo fatto per lei, per amore della sua vita e della sua anima.

Se non l’amassi così tanto non avrei mai potuto privarmi di lei.

“Ti amo” dissi all’abitacolo vuoto della macchina, solo per rafforzare la sicurezza che ciò che stavo facendo fosse per amore.

Se lei fosse stata lì al mio fianco si sarebbe commossa, come sempre quando dicevo di amarla, e mi avrebbe risposto che lei mi amava molto di più.

“Ma come paragonare un albero ad una foresta?” le avevo chiesto una volta.

Lei non poteva provare l’amore che provavo io, era troppo fragile e delicata, l’avrebbe sommersa.

 

 

Tutto era finito, ogni cosa si dissolveva velocemente man mano che mi allontanavo da lei.

Il vento che entrava dal finestrino rotto si infrangeva sul mio volto di marmo senza provocare alcuna sensazione in me. Ricordai il tocco delicato delle sue mani sulla mia pelle. Nessuno prima mi aveva donato amore, mi aveva fatto una carezza in quel modo. Ero stato solo per cento anni ma non me ne ero curato. Adesso era diverso perché c’era lei sulla terra e mi reclamava a sé come una enorme calamita.

Strinsi più forte le mani intorno al volante, la velocità della macchina aveva raggiunto i suoi limiti, ma non mi soddisfaceva. Tutto in me gridava di tornare indietro, tutto tranne quella parte di me che l’amava più di ogni altra cosa al mondo. La mia Bella, la mia piccola umana. La ragazza che mi ero prefissato di proteggere! Che ingenuo! La mia natura non mi permette azioni positive, non mi permette di fare alcunché per espiare il peccato di essere un sopravvissuto. Tutto ciò che posso, tutto ciò che devo, è andare via da lei prima che sia troppo tardi.

“Dio” imprecai con il petto scosso da asciutti singhiozzi “Dio te ne prego donami almeno le lacrime” urlai.

Era uno strazio! Tutto sotto la mia pelle ardeva di dolore, ma all’esterno nulla era evidente. Avrei solo desiderato delle calde lacrime che mi rigassero il volto bianco.

La mia sete si era spenta. Dopo cento anni di costante bruciore nella gola adesso più nulla, niente, nada.  Non sentivo il bisogno di nutrirmi, neanche nella parte più remota della mia vasta mente. Qualunque priorità era scomparsa, si era fatta da parte sovrastata, sconfitta, distrutta, dal dolore che provavo in ogni fibra del mio essere.

Il suo sguardo distrutto rimaneva fisso davanti ai miei occhi, ero stato crudele, avevo realizzato tutte le sue paure, ma era stato per amore, per amore, per amore, mi ripetevo cercando perdono in me stesso per ciò che avevo fatto alla donna che deteneva la mia anima. Ma non esisteva perdono, non esisteva indulgenza, non esisteva assoluzione, non esisteva comprensione, non esisteva benevolenza, non esisteva remissioni, non esisteva liberazione per ciò che l’avevo costretta a subire.

Provai ribrezzo per me stesso, per la ferocia e la crudeltà con cui non mi ero curato della sua umanità. Diciassette anni per sempre, la mia condanna, ma come avevo potuto pensare di permettere a lei di scontare questa condanna con me, per me? Felice di aver trovato la gioia, l’amore, la vita, non avevo dato peso al fatto che l’avrei costretta ad una realtà sbagliata, disumana, a lei incomprensibile e per lei pericolosa.

Con egoismo sconfinato l’avevo trascinata dentro la mia orrorosa realtà, senza comprendere quanto impossibile fosse il nostro amore.

Ti amo Bella.

L’amerò per l’eternità, nessuna prenderà mai il posto che lei aveva nel mio cuore morto, posto che nessuna prima di lei aveva occupato.

Aspetterò inerme che il tempo scorra sulla mia carne immortale e quando arriverà il suo momento sarà giunto anche il mio.

Non posso vivere in un mondo dove lei non esiste.

Non sapevo dove mi stavo dirigendo, ma di sicuro lontano da quell’irresistibile richiamo che era lei per me.

Glielo dovevo, era mio compito regalarle una vita normale, una vita felice, un vita e basta.

Al mio fianco non sarebbe mai stata al suo posto nel mondo.

No, mio piccolo amore, ti proteggerò io da me.

 

 

La mia mente annebbiata dal dolore e dall’incoscienza che come un tarlo si nutriva di me dal momento in cui il mio sguardo non si era più posato su Bella mi portarono a guidare per ore, forse giorni, rinchiuso in quel mezzo mortale che non era nulla più di un cimelio della mia vita felice.

Non era il momento della nostalgia, non era il momento del dolore folle, non era il momento del rimpianto, né quello della consapevolezza. Era il momento del nulla. Nulla intorno a me, nulla scalfiva la mia mente vuota nella quale rimbombava solamente il suo viso pallido e il suo naturale calore.

Mi rifiutavo di pensare, mi rifiutavo di capire cosa realmente fosse successo.

Era troppo, troppo da concepire anche per la mia mente sconfinata che ad un tratto appariva così impotente dinnanzi a tanta assurdità.

Ero stato catapultato in un mondo parallelo in cui ero di nuovo solo e lei non era con me.

Due giorni prima potevo stringerla al mio corpo lasciando che mi riscaldasse, baciare le sue labbra, tenerle la mano delicata o semplicemente ascoltarla parlare nel sonno.

Ora ero solo, senza la mia anima, senza il mio cuore.

Mi sentivo vuoto e inconsapevole.

Non capivo cosa realmente stessi facendo, cosa accedesse nel mondo intorno a me.

Silenzio, solamente il silenzio inondava i miei giorni di viaggiatore solitario e disperato.

Dovevo capire, dovevo andare via, non continuare a girarci intorno, ovunque mi sembrava sempre troppo vicino, ma ovunque troppo vicino era dove ritornavo dopo aver tentavo di allontanarmi maggiormente.

Nessuna traccia di sete.

Nessuna traccia di ragione.

Nessuna traccia di una meta.

Nessuna traccia di vita.

Nessuna traccia di nulla che non fosse sgomento e inconsapevolezza.

Eppure sapevo, sapevo che tutto il dolore che adesso accarezzava il mio corpo lambendo ogni centimetro della mia pelle, tutto questo dolore di cui sentivo l’odore nell’abitacolo della Volvo, questo dolore che stava seduto nel sedile del passeggero ad osservarmi silenzioso, a sussurrare sofferenza alle mie orecchie sorde, proprio questo dolore ben presto mi avrebbe sommerso colpendomi forte, inondandomi e lasciandomi affondare sotto il suo esagerato peso, mi avrebbe lasciato boccheggiante sul ciglio della strada, sul ciglio della mia vita. E non  mi avrebbe più abbandonato. Sarebbe accaduto, lo sapevo e lo attendevo senza temerlo.

Per il momento rimanevo inconsapevole.

 

 

 Angolo dell'autrice :

Ok, lo so è più di un secolo che non aggiorno. Ma un commento mi ha spinto a riprendere, un commento bellissimo che mi ha fatto venir voglia di provarci. 

Grazie Toscanna hai scritto delle cose davvero belle, mi hai lasciata per un pò in silenzio a rileggere le tue parole. Spero di aver scritto qualcosa di decente. E' difficile. E' difficile perchè bisogna immergersi nella sofferenza tatalmente per capirlo ed in questo periodo già per me abbastanza negativo è stato strano rendersi conto che cercare di capire questo dolore, sprofondare insieme a lui, mi feceva sentire vuota del mio di dolore, come se lo avessi consegnato nelle mani del personaggio, come se avessi affidato a lui questo peso così scomodo. Quindi grazie! Grazie di avermi spinta a riprendere perchè mi ha fatta stare meglio. Continuerò, non so ogni quanto, non so quando, ma lentamente continuerò. 

Un bacio e spero che troverai qualche altra parola per me.


  
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