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Autore: Kiki75    10/05/2010    1 recensioni
Jack ed Ennis hanno adottato la piccola C.J., figlia di Cassie Cartwright. E adesso? (da "I segreti di Brokeback Mountain")
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ennis Del Mar , Jack Twist, Nuovo personaggio
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Come sei veramente
Restless heart syndrome

2 – C.J.

Febbraio 1981

"Papà, Ennis… perché non siete sposati?"
Se avesse potuto prevedere la reazione di suo padre, che quasi si era strozzato con il boccone di broccoletti, e soprattutto quella di Ennis, che aveva iniziato a tossire fino alle lacrime, sbruffando il tavolo con il sorso d’acqua che aveva in bocca, C.J. non si sarebbe nemmeno sognata di fare quella domanda.
"Ehi", esclamò, non sapendo se preoccuparsi più di suo padre o di Ennis. "Ma che ho detto?"
"Principessa, ma che domande sono?" chiese Jack, dopo avere deglutito i broccoli, imbarazzato e rosso in faccia, ridendo.
"Le persone che si vogliono bene si sposano", spiegò lei. "Perché voi non siete sposati?"
Ennis si asciugò la bocca con il tovagliolo a quadretti. Era, se possibile, ancora più paonazzo di Jack.
"Perché non ci possiamo sposare", rispose Jack.
"E perché no?"
"Perché alle persone dello stesso sesso non è permesso sposarsi."
"Chi è che non lo permette?"
"La chiesa, innanzitutto. E anche lo stato."
"E perché no?" domandò nuovamente lei. Proprio non riusciva a capire.
"Perché…" Jack esitò. Sembrava che neanche lui conoscesse la risposta. "Perché dicono che è scritto nella Bibbia."
"Nella Bibbia sono scritte un mucchio di cavolate", asserì C.J..
"Un po’ di rispetto, ragazzina", l’ammonì Ennis. "Piuttosto, finisci i broccoli."
"Ma davvero", insisté lei, ormai per nulla interessata ai broccoli al burro piccanti e alla bistecca alla brace che costituivano la portata centrale di quella sera.
"E perché mai ci sarebbero delle cavolate nella Bibbia?" domandò Jack, conciliante.
"Perché se Dio ci ama", rispose C.J., seria, "Allora non dovrebbe avere mandato il diluvio. E non avrebbe dovuto ordinare ad Abramo di sacrificare suo figlio. E non avrebbe dovuto nemmeno mandare Gesù, suo figlio, sulla terra a farsi ammazzare."
"Accidenti, abbiamo una teologa", esclamò Ennis.
"Però è vero", disse lei. "Se Dio ci ama, non dovrebbe lasciare che succedano cose tanto ingiuste. E dovrebbe permettere anche a voi di sposarvi."
Jack sospirò. "Principessa, ci sono tante cose ingiuste da risolvere, ben più gravi del matrimonio fra persone dello stesso sesso."
"Sì, però…"
"E poi… sai, noi siamo sposati."
"Davvero?" gli occhi di C.J. s’illuminarono.
"Jack", intervenne Ennis.
"No, perché?" fece Jack. Poi, verso C.J.: "Sai, è un segreto. Nessuno lo sa, ma ci siamo sposati la prima notte che abbiamo trascorso qui al ranch."
"E quando?"
"Era il cinque febbraio 1967. Abbiamo fatto quattordici anni la settimana scorsa."
"Uao. Ma come avete fatto, se non si può?"
"Bè, non siamo andati in chiesa, e non c’era il prete… abbiamo fatto fra di noi."
"Jack", brontolò di nuovo Ennis.
"Era il primo giorno che abitavamo qui", ricordò Jack, assorto. "Eravamo stanchi morti, avevamo lavorato tanto per costruire il ranch e preparare tutto… e alla sera, siamo andati in un locale a Casper per festeggiare, lo stesso dove poi avremmo conosciuto tua madre, e abbiamo bevuto un po’ troppo. Così, quando siamo arrivati a casa, Ennis…"
"Jack, falla finita!" esclamò Ennis, più imbarazzato che arrabbiato.
"Non sto dicendo niente di male", rispose Jack.
"Sì, dai, En, lascia che me lo racconti", insisté C.J..
"Io non mi ricordo niente", sbuffò Ennis. Poi indicò Jack con le punte della forchetta: "E neanche tu dovresti ricordartelo."
Jack alzò le spalle. "Fa così perché si vergogna", spiegò a C.J., con aria da cospiratore. "Fa tanto il duro, ma è stato lui a chiedermi di sposarlo."
Ennis tornò a dedicarsi alla sua bistecca: "Io non me lo ricordo."
C.J. ridacchiò, pensando ad Ennis, brillo, che si lasciava andare fino a chiedere a Jack di sposarlo. Non doveva essere stato soltanto brillo, doveva essere stato del tutto bevuto per mettere da parte la sua solita rigidità, il suo solito conformismo. A ben pensarci, poi, Ennis non era affatto conformista, dal momento che aveva scelto di andare contro le regole, contro la Bibbia, la chiesa e lo stato, e stare con un altro uomo.
O non era conformista come voleva far credere… o amava Jack alla follia, al punto da andare contro le regole che di solito ci teneva a rispettare.
C.J. propendeva per la seconda ipotesi.
"Allora, papà, come avete fatto?" domandò.
"Siamo tornati a casa, e siamo andati a letto", raccontò Jack. "Sai, era tutto un po’ speciale… era la nostra prima notte qui, in casa nostra, capisci? Allora lui mi ha detto… mi ha detto che se il mondo fosse stato diverso, mi avrebbe sposato dopo una settimana che ci conoscevamo."
"Ti ha detto proprio così?" fece C.J..
"Io non lo ricordo", grugnì Ennis.
"Certo", confermò Jack. "Poi mi ha chiesto di sposarlo, anche se ovviamente non potevamo andare in chiesa e fare festa e tutto il resto, sarebbe rimasto tutto solo fra di noi. E io gli ho detto sì, che lo volevo, era la cosa che volevo di più al mondo. E così, abbiamo giurato."
"Che bello", disse C.J.. Era un po’ strano immaginare suo padre ed Ennis giurarsi amore eterno nel lettone, in pigiama, ubriachi, anziché in chiesa, davanti a un prete, vestiti in abiti eleganti, con i testimoni, i parenti e gli amici e la musica e tanti fiori e tutto il resto, come si vedeva alla televisione e come aveva visto talvolta in chiesa… ma insomma, poteva andare. Anche perché, chi mai avrebbe potuto indossare l’abito bianco e il velo, in una cerimonia regolare? Suo padre, no di certo, ed Ennis meno che mai.
"Ma non dirlo a nessuno", disse Jack. "Per la chiesa, noi non siamo sposati, anzi siamo… bè, siamo…"
"Dei peccatori", masticò Ennis.
"In effetti, dopo che abbiamo giurato…"
"Non dire fesserie", corresse Ennis. "Tu eri ubriaco fradicio, a momenti non riuscivi nemmeno a baciarmi."
"Davvero?" ghignò Jack. "Eri tu ad essere ubriaco fradicio, caro mio, se non ti ricordi quello che è successo dopo."
"Twist!" esclamò Ennis. "Non si dicono certe cose davanti a una bambina!"
Jack scoppiò a ridere, mentre Ennis continuò, rivolto a C.J.: "Non stare ad ascoltarlo, ragazzina…"
C.J. ridacchiò. Non aveva capito bene cos’avessero o non avessero fatto suo padre ed Ennis dopo che si erano sposati, ma era felice di vedere che si volevano bene come dovevano essersene voluti allora. C’era solo una cosa che non le tornava. "Ehi, ma se siete sposati, perché non portate le fedi?"
Ennis e Jack la guardarono, spiazzati.
"Perché no", rispose Ennis, secco.
"E perché no?"
"Perché no, e basta. Tu fai troppe domande."
"Non ce n’è bisogno", intervenne Jack. "Non c’è bisogno di un anello per sentirsi legati alla persona che si ama."
La voce di suo padre era calma, la risposta era chiara e non faceva una grinza. Ma allora, perché quel sorriso triste?

Maggio 1984

Certo, la sua famiglia era diversa dalle altre. Ma Ennis e suo padre si amavano, e la amavano: quindi, cosa c'era di male?
C.J. non era stupida, e man mano che cresceva, aveva iniziato a capire perché la gente, o almeno la maggior parte di essa, fosse dell'idea opposta. Capiva il concetto, con la forza della ragione, ma non riusciva proprio a condividerlo. Non che avere a che fare con il resto del mondo fosse sempre uno scherzo, ma la sua famiglia l'aveva sempre circondata d'amore, e se anche era composta di due uomini invece di un papà e di una mamma, a lei non importava proprio un bel fico secco.
A volte, ma proprio solo a volte, aveva sentito la mancanza di una mamma, anche se in realtà, non avendola mai avuta, non sapeva dire esattamente cosa le mancasse di una tale figura. Vedeva però la zia Jan con i tre figli, e le sue amiche con le relative madri, e non le sarebbe affatto dispiaciuto avere in casa una donna da poter chiamare mamma... anche se sia Jack sia Ennis avevano sempre ricoperto entrambi i ruoli che aveva visto ricoprire da Matt e Jan in casa Hamilton. Solo, i ruoli non erano così strettamente definiti: essendo entrambi dello stesso sesso, sia Jack sia Ennis avevano sempre fatto, chi più chi meno, un po’ da padre, e un po’ da madre, anche a seconda del proprio temperamento. Entrambi l'avevano coccolata, l'avevano sgridata, le avevano insegnato cosa poteva e non poteva fare, l'avevano fatta giocare quando stava bene e vegliata quando era ammalata, le avevano insegnato come fare le faccende domestiche e come si sella un cavallo, per poi lanciarsi con lui al galoppo.
Per questo non poteva definirsi una ragazzina infelice, tutt'altro. A scuola c'era chi la prendeva in giro, ma C.J. si era presto accorta che tutti quanti, a turno, in un modo o nell'altro, venivano presi in giro: chi per la corporatura, chi per le lentiggini, chi per i denti storti o l'apparecchio ai denti, chi per le orecchie a sventola, chi per il mestiere dei genitori... Laura McKennit, poveretta, era balbuziente, e non riusciva a spiccicare parola senza che qualcuno scoppiasse a ridere, facendola balbettare ancora di più. C.J. non aveva mai preso in giro nessuno, anzi si era sempre dimostrata solidale verso i derisi, e a poco a poco si era conquistata la stima, e l'amicizia, di diversi suoi compagni e compagne di classe, che aveva invitato al ranch svariate volte - peccato solo che i genitori di Anna King le avessero sempre proibito di andare.
Anche il ranch era per C.J. un piccolo paradiso, oltre che un motivo di orgoglio verso i propri compagni di classe. Adorava gli animali, in particolare i cavalli, fin da piccola il suo sogno era stato quello di diventare veterinaria, e non c'era giorno, a meno che le condizioni meteorologiche non fossero proibitive, che non uscisse con il suo Hidalgo per una cavalcata, in compagnia di Jack o Ennis o tutti e due, o spesso anche di Tommy, il figlio sedicenne di Meg Norton, l'insegnante fissa del maneggio. Aveva imparato a cavalcare subito dopo avere imparato a camminare, e talvolta Meg, con l'approvazione di Jack ed Ennis, le aveva persino permesso di affiancarla durante le lezioni di equitazione ai bambini più piccoli.
No, la sua vita non era affatto malvagia, malgrado tutto: malgrado non avesse mai conosciuto sua madre, malgrado suo padre fosse innamorato di un altro uomo e ci vivesse insieme, malgrado le malelingue definissero suo padre e il compagno con epiteti irripetibili.
Peggio per loro.
L’unica cosa che non le era chiara, e che le girava in testa da qualche mese, era come avesse potuto suo padre essere andato a letto con sua madre, mentre allo stesso tempo viveva con Ennis, dormiva con Ennis, e ne era tanto innamorato.
Si era trattato di un tradimento, in piena regola e con tutti i crismi.
C.J. aveva imparato che andare a letto con qualcuno significava farci sesso, e benché non sapesse esattamente in cosa consistesse "fare sesso" sapeva che, con il sesso, le donne potevano restare incinte e, dopo nove mesi, partorire un bambino.
Suo padre ed Ennis si conoscevano dal 1963. Da quando si erano conosciuti, non si erano mai separati; avevano iniziato a vivere insieme al ranch dal 1967, Cassie si era stabilita da loro soltanto nel dicembre 1972, e nel 1973 era stata ammazzata da un pazzo di nome George Thompson, che si era intrufolato in casa loro.
O almeno, così le avevano raccontato.
Lei non aveva osato chiedere di più.
Come aveva fatto Cassie ad entrare nella vita di Jack ed Ennis, nella loro casa?
Era una barista nel locale che frequentavano.
Certamente.
Ma era già incinta di C.J., quando l’avevano ospitata al ranch: la matematica non era un’opinione.
E allora, Jack aveva fatto sesso con lei mentre, contemporaneamente, dormiva, faceva sesso, anche con Ennis.
Perché?
Perché, maledizione, se amava tanto Ennis? Ed era vero che lo amava, C.J. lo poteva vedere con i propri occhi. Ci litigava, ma era solo perché il suo carattere era diametralmente opposto a quello del compagno. A volte, C.J. si era chiesta come si potesse amare una persona tanto diversa da te, ma non si era saputa dare una risposta. Però era vero che quei due si amavano, non c’era alcun dubbio in proposito. Ennis amava suo padre, e suo padre amava Ennis.
E allora, com’era successo?
Suo padre non era un traditore. Come aveva potuto tradire Ennis, tradire la persona che amava e che aveva sposato, seppur in segreto? Suo padre aveva tanti difetti, ma per come lo conosceva lei, non era né inaffidabile, né bugiardo. Forse che avesse dei lati nascosti, che a lei non era dato conoscere?
E come aveva fatto Ennis, tanto duro e orgoglioso, a perdonare Jack, e addirittura ad accettare Cassie in casa con loro? Per perdonare un tradimento, pensava C.J., tutto l’amore del mondo non poteva essere sufficiente.
C.J. avrebbe voluto saperlo.
E avrebbe voluto non saperlo.
Avrebbe potuto chiederlo direttamente a suo padre, oppure ad Ennis, o anche alla zia Jan o allo zio Matt. Sicuramente anche Emily lo sapeva, avrebbe potuto domandare a lei: ormai, la considerava alla stregua di una nonna, ed era certa che avrebbe saputo usare le parole più adatte per spiegarle la questione.
Ma non se l’era mai sentita: se nessuno gliene aveva mai parlato, come le avevano invece parlato, a volte fin troppo chiaramente, di altri argomenti, forse era perché si trattava davvero di una verità poco simpatica.
E in fondo, era andata così, e non era andata male: lei viveva con Jack ed Ennis, loro si amavano e la amavano, e questa era la cosa più importante, ora come ora. Quello che era successo più di undici anni prima, era solo affare di suo padre, di Ennis, e di sua madre, e sembrava che se lo fossero risolto fra di loro.
Per ora, lei non voleva entrarci.

Già da qualche giorno, C.J. aveva notato quel vecchio pick-up verde e scassato che si aggirava intorno alla fermata dell’autobus, di ritorno da scuola, ma non ci aveva mai dato troppo peso se non per il fatto che il guidatore, un ragazzo sui vent’anni con i capelli color cioccolato che sfuggivano da sotto il cappello marrone, sembrava essere piuttosto carino.
"Chissà chi è", aveva commentato Angela Lewis. "Se ne sta sempre qui… chissà chi aspetta."
"Mah", aveva risposto C.J.. "Di sicuro nessuno che prende questo autobus."
"Dici?" aveva detto Angie.
"Forse aspetta qualcuno che arriva con il prossimo… magari, la sua ragazza."
"Ah. Che peccato, è così figo…"
"E’ un po’ grande", aveva osservato C.J.. "E comunque, c’è di meglio."
"Tommy Norton, eh?" aveva detto Angie.
"Ma no!" aveva esclamato C.J..
"Dai, C.J., lo sappiamo tutti che ti piace", l’aveva apostrofata Angie. "E poi, anche lui è carino."
"Falla finita, Angie… Tommy è solo un amico."
Il discorso era terminato lì. Certo però che era strano: il ragazzo sul pick-up se ne stava lì, con il finestrino aperto, a volte fumando una sigaretta, osservava le persone che scendevano dall’autobus numero tredici, per la maggior parte ragazzini delle elementari e delle medie usciti da scuola, ma non caricava mai nessuno. Anzi, quando tutti i ragazzi se n’erano andati per la propria strada, C.J. aveva notato che il pick-up non si muoveva: restava lì fermo, al lato della strada.
Sì, di sicuro attendeva una persona, che sarebbe arrivata con l’autobus quattordici un quarto d’ora più tardi.
Quel pomeriggio, il pick-up era sempre lì, come di solito; ma C.J. aveva altro a cui pensare. Sull’autobus erano saliti anche Mark Henderson, di tredici anni, con i suoi due amici: di solito, Mark si faceva portare a scuola e andare a prendere da sua madre o suo fratello più grande, e senza di lui i suoi due scagnozzi, Patrick e James, avevano il coraggio di un gatto davanti a una vasca d’acqua.
Con Mark, invece, era tutta un’altra storia: Ennis li definiva quei bulletti da quattro soldi, ma quei tre, insieme, se ti prendevano di mira erano capace di rovinarti la giornata, o anche l’intera settimana. Per fortuna di solito si stancavano presto della vittima predestinata, e passavano a un’altra nel giro di sette giorni.
Questa volta era stato il turno di C.J.. Per tutto il viaggio in autobus, dall’ultima fila, avevano sghignazzato su suo padre ed Ennis, che secondo loro non avevano le palle e altre insinuazioni simili, interrompendosi solamente quando il guidatore gridava loro di finirla. C.J., seduta a metà dell’autobus, ogni tanto aveva ribattuto per le rime, ogni tanto li aveva semplicemente mandati al diavolo, ma non aveva fatto altro che infiammare ancor più le battute dei tre, al che aveva deciso che la cosa migliore era tacere, sebbene fosse difficile tenere la bocca chiusa di fronte a simili offese. In realtà, avrebbe voluto raggiungerli in fondo all’autobus e prenderli a pugni, ma sapeva benissimo che sarebbe stata lei a prenderle, così aveva rinunciato. Colmo della sfortuna, non c’era neanche Angie, a casa con l’influenza. Con il suo temperamento flemmatico, lei di certo sarebbe stata in grado di calmare le acque.
"Io scommetto che l’hanno anche fatta partecipare ai loro giochi", aveva ridacchiato Mark, a un certo punto. "Lo sanno tutti che i froci si divertono anche con i bambini. Magari ci puoi insegnare qualche gioco anche a noi, eh biondina?"
E C.J. non ci aveva visto più. Si era alzata per andargli a tirare un pugno, rompere il naso o la testa o prenderlo di peso e farlo volare direttamente fuori dal finestrino, ma l’autobus aveva raggiunto la fermata e Mark e i suoi sgherri erano scesi dall’uscita posteriore. Lei li aveva rincorsi, gridando: "Siete solo degli stronzi che non capiscono un cazzo!"
"Oh, la biondina si è arrabbiata", disse Patrick. "Perché non chiami tuo papà o il suo amichetto a darci le sculacciate?"
"Stai zitto!" C.J., furiosa, gli tirò un pugno, che Patrick prontamente parò con una mano.
"Sei carina quando ti arrabbi", l’apostrofò Mark, tirandole i capelli da dietro e facendole sfuggire un’esclamazione di sorpresa e dolore. "Dai, arrabbiati di più."
"Brutto mentecatto figlio di puttana!" gridò C.J., voltandosi verso di lui e tirandogli un calcio in mezzo alle gambe. Il colpo questa volta andò a buon fine: Mark era la mente del gruppo, ma al contrario dei due amici era gracile, con quelle braccia sottili non sarebbe stato in grado di spezzare un ramoscello.
Il ragazzino si accartocciò con le mani sui testicoli, gemendo, mentre Patrick e James lo guardavano, sbalorditi.
"Ben ti sta, stronzo", esclamò C.J., con le mani sui fianchi "Adesso vediamo chi è che non ha le palle."
"Che cazzo avete da guardare?" miagolò Mark. "Prendete quella puttanella!"
Si metteva male. C.J., zaino in spalla, si voltò e prese a correre verso il ranch – dalla fermata erano dieci minuti a piedi: in inverno spesso Jack o Ennis l’andavano a prendere, ma con la bella stagione C.J. preferiva camminare, sgranchirsi le gambe dopo le lunghe ore trascorse per lo più seduta a scuola.
Cavolo, se qualcuno la fosse andata a prendere anche quella volta… suo padre, Ennis, o anche Tommy.
Invece, naturalmente, non c’era nessuno, la stavano aspettando alla fattoria, e James, grosso ma non grasso come Patrick, le era alle calcagna e la stava per raggiungere.
Il rombo di un’auto che si avvicinava e che invece di sorpassarla accostava di fianco a lei.
Il pick-up verde.
Da dentro, il ragazzo carino le aprì lo sportello: "Avanti, sali", disse.
C.J. non se lo fece ripetere e salì.
"Bei figli di puttana, eh?" commentò lui, ingranando la prima e ripartendo in fretta.
"Puoi dirlo forte", rispose lei, guardando nel retrovisore: Patrick aveva raggiunto James, e i due erano rimasti in piedi, in mezzo alla strada, a braccia e gambe larghe, increduli. Immaginò quanto si sarebbe arrabbiato Mark: non solo le aveva prese da una ragazzina, ma la stessa aveva fatto fessi i suoi due scagnozzi. "Però uno l’ho messo fuori gioco, scommetto che per un po’ mi lasceranno stare. Ah, a proposito, grazie."
"Di niente", disse lui. Era proprio carino, begli occhi verdi, bei denti bianchi. Angela Lewis sarebbe morta d’invidia, quando le avesse raccontato l’accaduto. "Non potevo lasciare che ti facessero del male."
"Grazie", ripeté lei. "Guarda, io abito in un ranch poco più avanti… adesso posso anche scendere."
"Tranquilla, ti ci accompagno", disse lui. Poi: "Tu sei C.J. Twist, giusto?"
Lei rimase a bocca aperta. "Scusa, come fai a…"
"Ho sentito che ti chiamavano così, alla fermata", spiegò lui. "E’ un po’ che ti osservo."
Tutte quelle storie sugli adescatori di bambini… allora erano vere? Ma no, non poteva essere, questo ragazzo era praticamente un bambino anche lui… come poteva essere un adescatore?
Sì, poteva non essere un adescatore. Ma non poteva nemmeno essere un suo ammiratore. Un ventenne non si interessa alle undicenni, se non per qualche strano motivo.
C.J. iniziò ad avere paura: "Fammi scendere", disse, cercando di tenere ferma la voce.
"Calma", disse lui. "Non voglio farti del male. Voglio solo conoscerti."
Forse fronteggiare Mark, Patrick e James sarebbe stato meglio. "Conoscermi? E… perché?"
"Perché io sono tuo fratello. Tuo fratellastro. Mi chiamo George Thompson Junior."
"Scusa?" C.J. era allibita: quel tipo stava farneticando.
"George Thompson Junior", ripeté lui. "Ma tutti mi chiamano solo Junior."
"Scusa?" domandò di nuovo C.J.. "Mio… fratellastro? Ma come…?"
"Abbiamo lo stesso padre", spiegò lui. "Va’ a finire che non sei mai stata curiosa di conoscere il resto della tua famiglia."
"Mio padre non ha altri figli", disse lei. Proprio non capiva. Che suo padre avesse tradito Ennis e messo incinta una donna più di una volta? No, impossibile, non era il tipo… senza contare che Ennis non gliel’avrebbe perdonata tanto facilmente. "Mio padre vive al ranch con Ennis, e… io sono la sua unica figlia."
Lui la guardò, interrogativo. Poi sembrò capire: "Non lo sai?"
"Sapere cosa?"
"Tu credi che tuo padre sia… quel Jack Twist?"
"Jack Twist è mio padre."
"Non te l’hanno mai detto", sospirò lui.
"Detto cosa?"
"Tuo padre… nostro padre… non è Jack Twist. Tuo padre si chiamava George Thompson."
"Non è vero", ribatté lei. "George Thompson è il nome dell’uomo che ha ammazzato mia madre."
"Appunto", disse lui. "Non capisci? Mio padre è impazzito a causa di tua madre, che si è fatta mettere incinta da lui, e poi lo è andata a sbandierare per tutto il paese. Mia madre lo è venuta a sapere e…"
"Smettila!" gridò C.J., ancora incredula. Quel tipo stava mentendo. Certo. Era carino, ma era matto come un cavallo. "Fammi scendere, o mi butto giù."
"C.J…."
"Fammi scendere!"
"Non arrabbiarti", disse lui, calmo. "Capisco che la cosa non ti piaccia… io credevo che tu lo sapessi…"
"Tu sei pazzo", esclamò lei. "Fammi scendere."
Erano arrivati all’imbocco del vialetto ghiaiato che, dopo duecento metri, portava al ranch. Junior fermò il pick-up. "C.J…. sta per Cassie Junior, vero?"
"Cassandra", corresse lei. Da una parte voleva scendere e scappare a casa, dall’altra voleva restare seduta ed ascoltare quello che Junior, se quello era davvero il suo nome, aveva da dire. "Cassie era solo un soprannome."
"Ascolta, C.J., io non sono pazzo", insisté lui. "Mi dispiace che non ti avessero detto niente."
"Io… come posso crederti?" domandò lei. "Tu vieni qui e ti presenti come mio fratellastro... mi dici che tuo padre è anche mio padre, ed è la stessa persona che ha ammazzato mia madre… come faccio a credere a una cosa del genere?"
"Non vedi quello che tu credi sia tuo padre?" chiese Junior. "Quello non sa neanche com’è fatta, una donna."
"Questo non è…" iniziò C.J., ma si fermò. Stava per dire "questo non è vero", ma ne era proprio sicura? "Accidenti", sbottò, con un moto di stizza.
"Jack Twist e il suo compagno, quell'Ennis… loro hanno preso in casa tua madre, quando era incinta", spiegò Junior. "Ma lei non era incinta di nessuno dei due. Lei faceva la cameriera nel locale di mio padre… di nostro padre… e l’ha sedotto."
"Ma perché lui poi l’avrebbe ammazzata?" C.J. proprio non capiva. Forse era prevenuta, ma se anche fosse stato davvero suo padre, era George Thompson ad avere tutta la colpa. "Quel Thompson, si è fatto sedurre, ha messo incinta mia madre, e poi si è intrufolato nel ranch e…"
"Lo so. Era impazzito. Ma è impazzito perché è venuta fuori tutta la storia, e mia madre ha chiesto il divorzio e l’ha cacciato di casa. Capisci? Tua madre e Jack Twist hanno rovinato la mia famiglia."
"Tu sei pazzo", ripeté C.J.. Okay, poteva starci, poteva essere vero che Thompson fosse suo padre (in quel caso, suo padre, Jack, non aveva tradito Ennis… ma tutti quanti le avevano tenuto nascosto un’altra verità, per tutti quegli anni, ed era un pensiero altrettanto poco simpatico)… ma che Jack e sua madre avessero rovinato la famiglia di Thompson le sembrava esagerato. Thompson se l’era andata a cercare, aveva fatto sesso con Cassie anche se era già sposato e aveva un figlio, magari più di uno, e poi, per vendetta, l’aveva uccisa e tentato di uccidere le persone che l’avevano ospitata. Era Thompson il fuori di testa, non sua madre e suo padre.
Ma… questo Junior le stava dicendo che quel fuori di testa era suo padre.
"C.J…."
"Io me ne vado", disse lei. Aprì lo sportello, saltò giù e si mise a correre verso il ranch.
"C.J.!" gridò Junior, dal finestrino.
"Tu sei pazzo!" ripeté lei, correndo, e sentì le lacrime affiorarle agli occhi. "Sei pazzo come tuo padre!"
Udì il motore mettersi in moto, e il pick-up ripartire. Temette che Junior volesse raggiungerla, e correndo si voltò verso la strada, ma il pick-up si stava allontanando verso Edgerton.
"E’ solo un pazzo", ansimò, correndo, sentendo un nodo in gola. "Solo un pazzo fuori di testa."
Arrivò di corsa al ranch, dove Ennis la stava aspettando sul portico di fronte: "Ehi, ragazzina."
Lei si fermò prima dei tre scalini, si piegò su sé stessa, ansimando, le mani sulle ginocchia. "En…"
"Chi era quello?" Ennis era inquieto: di certo, aveva visto che era scesa da un pick-up sconosciuto.
"Era…" C.J. avrebbe potuto chiedergli spiegazioni su quel che le aveva raccontato Junior, ma era davvero sicura di volerlo fare? Si passò una mano sugli occhi bagnati e rialzò la testa: "Era… uno."
"Uno, chi?"
"Un ragazzo. Non hai visto?"
"Non fare la spiritosa", Ennis si stava innervosendo. Gesù, quanto era geloso. "Mi sembrava un po’ grandino per te. Quante volte ti ho detto che non devi salire in macchina con…"
"Mi ha salvata", l’interruppe C.J.. "Mark e i suoi sgherri mi stavano molestando, si metteva male, e lui mi ha difesa e mi ha riportata a casa." Non era andata proprio così, ma se Ennis avesse saputo che era salita in macchina con un perfetto sconosciuto di sua spontanea volontà, le avrebbe fatto passare un brutto quarto d’ora.
"Di nuovo quei tre bulletti?" fece Ennis, ora più preoccupato che arrabbiato. "Ti hanno fatto del male?"
"No", rispose lei. "Per fortuna c’era… quel tipo."
"Hai pianto", disse Ennis, con insolita dolcezza, e le carezzò una guancia. "Sei sicura che…"
Lei si scostò: "Non preoccuparti. Non è niente."
"C.J…. sei sicura che vada tutto bene?"
"Sì, En. Tutto a posto."
"Se qualcuno ti molesta ancora…"
"Non preoccuparti. Mi so difendere."
"Lo so, ragazzina. Ma se hai qualche problema…"
"E’ tutto a posto", esclamò lei, quasi gridando. Se avesse continuato a parlare con Ennis, avrebbe finito per raccontargli tutto quanto, e non ne aveva per niente voglia. "Vado a cambiarmi, voglio fare una cavalcata."
"E i compiti?"
"Li faccio dopo cena", rispose C.J. correndo in casa, e ringraziando di non avere avuto subito a che fare con suo padre, che forse suo padre non era.

Avrebbe voluto farsi una cavalcata da sola, al galoppo per la prateria, come faceva di solito quando era arrabbiata o nervosa: ma Tommy Norton aveva tanto insistito per unirsi a lei, che non aveva potuto dirgli di no. In effetti, Tommy le piaceva: aveva un bel viso dolce, con gli occhi color del cielo e le fossette ai lati della bocca, capelli castano chiari, e un fisico da paura, dovuto agli allenamenti di pugilato, con i fianchi stretti e le spalle larghe, e le braccia muscolose al punto giusto. Quando era libero da impegni scolastici e sportivi dava una mano con le bestie: ciò significava che era in giro per il ranch almeno un paio di giorni alla settimana, oltre al sabato e alla domenica e per tutte le vacanze estive.
Non fu brutto. Avrebbe avuto bisogno di una cavalcata in solitaria, ma si lanciò comunque al galoppo con Hidalgo, seguita da Tommy su Cleopatra, e alla fine, raggiunto un piccolo ruscello che sfociava nel Platte, si fermarono ad abbeverare i cavalli.
"Accidenti se mi hai fatto correre", esclamò Tommy sedendosi sull’erba e togliendosi il cappello. "Ma cos’hai mangiato a pranzo?"
"Sono un po’ giù", rispose lei, sedendosi vicino a lui a gambe incrociate. "Avevo bisogno di sfogarmi."
"Che è successo?"
"Io…" C.J. esitò. Forse Tommy era la persona giusta a cui esporre i propri dubbi, volendo evitare di parlarne a suo padre, Ennis, Emily o agli zii. Magari quel Junior Thompson le aveva cacciato solo un sacco di balle. "Senti, secondo te… è possibile che mio padre abbia tradito Ennis?"
"Scusa?"
"Sì… mio padre stava con Ennis, ma allo stesso tempo è andato a letto con mia mamma e sono nata io. Secondo te, è possibile?"
"Certo che lo è, dal momento che sei nata tu."
C.J. sospirò. Che discorso difficile. "Sì, ma… tu ce lo vedi, mio padre, a tradire la persona a cui vuole bene?"
Tommy inarcò un sopracciglio: "Non ci ho mai pensato."
"Allora pensaci adesso."
"In effetti… no. Non ce lo vedo."
"Quindi?"
"Quindi, niente", terminò lui. "Io non ce lo vedo, ma non cambia niente, perché tu sei qui. Quindi, l’ha fatto. Sai come sono gli adulti… una botta e via. Magari è stata solo questione di una volta… Cassie gli piaceva, e lui piaceva a Cassie… non credo che pensasse di mollare Ennis per mettersi con tua madre. Piuttosto", soggiunse, "E’ Ennis che non lo vedo proprio per niente a perdonargli un tradimento, e addirittura accettare Cassie, incinta, in casa propria."
"Non lo farebbe mai", confermò C.J..
"No, non è da lui."
"Però l’ha fatto, visto che le cose sono andate così."
Tommy rifletté per un attimo. Poi: "E se… sai, ho sentito al telegiornale di una coppia che non riusciva ad avere un bambino, perché la moglie era sterile. Allora hanno pagato una ragazza perché si facesse fecondare dal marito, e poi desse loro il bimbo. Un utero in affitto, insomma."
"E come mai sono finiti al telegiornale?" domandò C.J.. "Io non andrei tanto a raccontarla in giro, una cosa come questa."
"Quando il bimbo è nato, la ragazza non voleva più lasciarlo e ha restituito i soldi, ma i due signori non volevano farsene una ragione, hanno continuato a molestarla e lei è andata alla polizia."
"Scusa, ma questo cosa c’entra con me?"
"Tuo padre ed Ennis sono uomini", spiegò Tommy. "Non possono avere figli. Ma quasi tutte le coppie innamorate, arrivate a un certo punto, desiderano dei bambini."
"Quindi avrebbero pagato mia madre… Cassie…"
"Non lo so. E’ solo un’ipotesi."
"Ma scusa", disse C.J.. Poteva anche essere, ma sua madre non sembrava quel tipo di persona, almeno dai racconti di suo padre. "Mettiamo che mio padre ed Ennis le abbiano proposto una cosa del genere… lei come può avere accettato?"
"Forse aveva bisogno di denaro. Era una cameriera, un po’ di soldi in più fanno sempre comodo."
"No, non ci sta", obiettò C.J.. "E se invece… lei fosse stata incinta di qualcun altro?"
"Tuo padre… non sarebbe tuo padre", calcolò Tommy. "Via, C.J.!"
"No, perché? Non potrebbe essere?"
"Ma no… è assurdo. Come avrebbero potuto tenertelo nascosto per così tanto tempo?"
"Forse pensavano…" se Junior non aveva mentito, poteva esserci un solo motivo per il quale le era stata taciuta la verità: "Forse pensavano che io non capissi."
"Non c’è molto da capire", disse Tommy. "Né niente di tanto orribile da dovertelo nascondere. Tua madre era incinta, e tuo padre ed Ennis le hanno dato ospitalità. Poi, quando quel matto di Thompson l’ha ammazzata, loro si sono presi cura di te."
"Sì, ma…" iniziò C.J. Sì, ma se quel matto che l’ha ammazzata fosse anche il mio vero padre?
Questo non poteva dirlo a Tommy. Lui non ne sapeva niente.
Forse nessuno ne sapeva niente, a parte suo padre, Ennis, Emily e magari zia Jan e zio Matt.
E naturalmente, Junior Thompson e la sua famiglia.
Ma se quel Junior fosse stato pazzo alla stregua di suo padre e le avesse raccontato un sacco di balle?
Sì, ma perché? Solo per il gusto di farla soffrire?
E perché proprio lei?
Pazzo o no, conosceva la sua famiglia. Sapeva che Jack ed Ennis facevano coppia, che lei era figlia di Cassie, che Cassie era stata ammazzata da George Thompson.
"Andiamo a casa, Tommy", disse, rialzandosi in piedi.

"Qualcosa non va, principessa?" domandò Jack, osservando il piatto ancora pieno di C.J.. "E’ cattivo?"
Lei aveva appena piluccato la coscia di pollo arrosto: "No, è buono… ma non ho fame."
"Di solito vai matta per il pollo", disse Jack. "Sicura di sentirti bene?"
"Sì, sto bene. Solo che…"
"Oggi quei tre cretini l’hanno molestata di nuovo", intervenne Ennis.
"Che cosa?" fece Jack.
"En, non dirglielo", disse C.J..
"Mark Henderson e i suoi scagnozzi", precisò Ennis. "Bella forza, in tre contro una ragazzina."
"En…"
"E’ vero, C.J.?" domandò Jack, preoccupato. "Che ti hanno fatto?"
"Niente", rispose lei, laconica.
"A me non sembra", insisté Jack. "Ti hanno detto qualcosa di brutto?"
"Mi insultavano dal fondo dell’autobus", spiegò lei. "Alla fermata, ho tirato un calcio a Mark e sono scappata."
"E un tizio l’ha fatta salire sul suo pick-up", aggiunse Ennis.
"Cosa?" esclamò Jack. "Perché non mi avete detto niente?"
Ah, sei tu che chiedi perché non ti abbiamo detto niente, adesso. "Perché non è successo niente, davvero", rispose lei. "Questo ragazzo era alla fermata, ha visto quei tre che mi davano noia, mi ha difesa e fatta salire, e mi ha accompagnata qui. Fine della storia."
"Ma chi era?" volle sapere Jack. "Ennis, tu lo sai?"
Ennis alzò le spalle. Fu C.J. a rispondere: "Non lo so. Non l’ho mai visto prima. Era uno sui vent’anni, mi ha detto solo che stava aspettando la sua ragazza sull’autobus successivo."
"Questa storia non mi piace", sbottò suo padre. "Quei tre teppistelli devono finirla di importunare quelli più deboli. Che ti hanno detto?"
C.J. abbassò lo sguardo.
"Ti hanno detto qualcosa su di noi, vero?" insisté Jack. "Su me ed Ennis. Ci scommetto."
"Dicevano che non avete le palle", rispose C.J., più che altro per far smettere suo padre. Mai e poi mai, neanche sotto tortura, gli avrebbe rivelato dell’accusa, ingiusta e infamante, di pedofilia e incesto. "E io ho tirato un calcio nelle palle a Mark."
Jack trattenne una risata, ed Ennis esclamò: "Hai sentito la ragazzina? Lei sì che ce le ha, le palle."
"E’ quel che si meritava", rincarò C.J., orgogliosa.
"Però non va bene", commentò Jack. "Bisogna che qualcuno ti porti a scuola, e che ti venga a prendere."
"Cosa?" fece lei.
"Se quelli continuano ad insultarti…"
"Non se ne parla. Se mi portate e mi venite a prendere, capiranno che ho paura e faranno peggio."
"Ma tu hai paura", affermò Jack. "Te la sei vista brutta e hai avuto paura. Altrimenti, non saresti salita in macchina con uno sconosciuto. Pensa se fosse stato un…"
"Papà!" esclamò C.J..
Effettivamente, papà caro, era uno squilibrato. Ma forse no, forse era perfettamente sano di mente, era solo mio fratellastro come ha detto di essere, ed era mio papà ad essere uno squilibrato… e mio papà purtroppo non sei tu.
Ma non aveva il coraggio di dirglielo. Non l’avrebbe mai trovato.
"No, ascolta", disse Jack. "Non mi piace che qualcuno ti prenda in giro, o peggio, soprattutto per causa nostra. Ma non mi piace nemmeno che sali in macchina con qualcuno che non conosci, questo lo sai."
"Lo so", convenne lei. "Ma… sì, ho avuto paura. James mi stava raggiungendo, e se non ci fosse stato quel ragazzo, non so come sarebbe finita."
"Allora ti porteremo a scuola", stabilì Jack. "E ti verremo a prendere"
"Non esiste", esclamò lei. "Non ho più sei anni, papà!"
"Questa volta è andata bene", insisté Jack. "Ma se James ti prendeva? O se quel tipo era un pedofilo che voleva… approfittarsi di te?"
"Ma mi prenderanno tutti in giro!"
Jack sospirò, guardò Ennis.
"Almeno fino alla fermata, allora", propose Ennis. "Come in inverno. Tanto, fra quindici giorni la scuola è finita, poi il prossimo anno vedremo. Mi sembra un buon compromesso, no?"
"Aggiudicato", disse Jack.
"Okay", brontolò C.J..

Nei due giorni seguenti, Junior con il suo pick-up verde non si presentò più alla fermata dell’autobus. Meglio così, perché Ennis, che ora accompagnava e andava a riprendere C.J. alternandosi con Jack, aveva già visto il mezzo e il suo possessore, avrebbe potuto volerlo conoscere anche solo per ringraziarlo, e C.J. non avrebbe saputo come gestire la situazione.
Il problema era che più di una volta, al diavolo tutto, era stata sul punto di chiedere spiegazioni a suo padre o a Ennis, o telefonare ad Emily.
Ma all’ultimo momento, si era sempre morsa la lingua.
La verità era che se la faceva sotto: da una parte voleva sapere, dall’altra no.
Perché se le avevano mentito su una cosa del genere, potevano averle mentito anche su qualcos’altro.
E in ogni caso, questa era una cosa grave. Se Jack era suo papà, e lei era il frutto di un tradimento, bene: le cose si erano sistemate, e quello in fondo era l’importante. Era poco simpatico, ma non grave: o meglio, non così grave, non inaccettabile. Ma se suo padre era invece George Thompson... se era davvero figlia di un uomo simile…
Ogni volta che ci pensava, le si accapponava la pelle e le veniva un groppo alla gola.
Gliel’avevano tenuto nascosto perché la conoscevano, e sapevano che ci sarebbe stata peggio che male, come in effetti stava. Questo lo capiva.
Però era lo stesso arrabbiata. In fondo, erano loro gli adulti, no? Erano loro a doverle spiegare le cose con le parole giuste.
Suo padre ed Ennis avevano notato che c’era qualcosa che non andava, e più di una volta le avevano domandato cos’avesse: qualcuno forse l’aveva di nuovo presa in giro?
Lei aveva sempre risposto che andava tutto bene.
"A me non sembra, principessa", obiettò suo padre, la mattina del terzo giorno successivo al fattaccio di Junior, mentre l’accompagnava alla fermata dell’autobus.
"Forse sono un po’ stanca", disse lei. "Sta finendo l’anno… e tutte queste interrogazioni e compiti in classe…"
"Già, hai studiato molto, ultimamente", convenne Jack. "Senti, perché oggi pomeriggio non lasciamo perdere tutto quanto e ci facciamo un giro a Casper?"
"Papà, veramente dovrei…"
"Non mi pare che tu abbia delle interrogazioni o dei compiti in classe, domani."
"Bè, veramente…"
"Allora facciamo così", propose Jack. "Oggi pomeriggio ti vengo a prendere direttamente da scuola, e ci facciamo un giro in centro. Dillo anche ad Angela, se vuoi. Possiamo fare un po’ di acquisti… sei cresciuta tanto nell’ultimo anno, scommetto che ti serve qualcosa per l’estate."
La proposta non era affatto malvagia. "Sai, mi piacerebbe una gonna lunga come quella di Michelle…"
"Buona idea", convenne suo padre. "E’ ora che tu la smetta di vestirti come un maschiaccio, ormai sei una signorina." Sospirò. "Se ci fosse tua madre, sicuramente per te sarebbe più facile."
C.J. sentì affiorare il nodo alla gola, che negli ultimi giorni era diventato fin troppo familiare. "Ma no, che dici?"
"E’ la verità", disse Jack. "Non hai una figura femminile a cui fare riferimento… hai solo un mucchio di mandriani rozzi e maleducati. Mi dispiace, ma…"
Lei si sentì stringere il cuore. "A me no, papà", disse, stringendogli il braccio. "Io sto bene qui con voi. Non avrei potuto chiedere di meglio. E poi c’è Emily, la zia Jan, e anche Meg e Hope…"
"Principessa…"
L’espressione di Jack la fece sciogliere e qualcosa scattò in lei. Capì che nel suo cuore, quello era e sarebbe sempre stato suo padre, al diavolo se non l’aveva concepita. Era stato lui, insieme a Ennis, ad averla allevata e cresciuta, a esserle stato vicino quando aveva bisogno, senza contare che aveva deciso di prendersi cura di lei dopo che Cassie era morta, mentre avrebbe potuto benissimo lasciarla in un istituto. Era stato lui ad aiutarla a diventare quella che era, e se anche non era suo padre naturale, per lei non cambiava niente. George Thompson non sarebbe mai stato un padre per lei, sarebbe sempre solo stato il pazzo che aveva ucciso sua madre. Il suo vero papà era Jack Twist, punto e basta.
Anzi... a ben pensarci, visto come stavano realmente le cose, anche Ennis poteva essere considerato suo padre.
Si strinse al suo braccio: "Non ti preoccupare, papà. Io sto bene. Oggi pomeriggio ci facciamo un giro, solo io e te, e facciamo un po’ di shopping. Anche tu hai bisogno di qualche maglietta nuova."
"Mi consigli tu?"
"Certamente. I tuoi gusti sono orribili."

Fu divertente. Di solito, C.J. andava a fare acquisti con Hope e la zia Janice, ma scoprì di potersi divertire altrettanto con suo padre. Acquistarono una gonna lunga, ricamata, di seta color indaco, da far invidia a quella di Michelle Patterson, abbinandola a una canotta color canna di fucile: nello specchio, C.J. sorrise a quell’immagine di sé così diversa dalla solita, e suo padre si complimentò dicendole che sembrava una principessa indiana. Comprarono poi altre t-shirt da battaglia per entrambi, un paio di jeans nuovi e uno di stivaletti per C.J., uno di stivali per Jack, un cappello color panna e due camicie a quadri per Ennis, e infine, carichi di borse, si fermarono a prendere un gelato, seduti all'ombra del tendone della gelateria migliore di Casper.
"E’ divertente fare acquisti con la mia bambina", disse Jack, sereno, appoggiando la sua tazza di caffè e allungandosi sulla sedia. 
"E’ divertente fare acquisti col mio papà", replicò C.J. leccando il suo cono panna e cioccolato. "Dobbiamo farlo più spesso."
"Non troppo, però… altrimenti, Ennis dirà che gli prosciughiamo il conto in banca."
"La prossima volta, facciamo venire anche lui."
"Oddio, no", protestò Jack, e C.J. rise: per Ennis, andare per negozi equivaleva ad andare all’inferno, e riusciva a renderlo un inferno anche per chi lo accompagnava. Peccato, perché con gli abiti giusti, anche Ennis avrebbe fatto la sua figura: molte delle sue compagne di classe stravedevano per lui, Angela lo trovava estremamente figo, ed erano rimaste malissimo quando, all’inizio dell’anno scolastico, C.J. aveva spiegato loro che faceva coppia con Jack. "Quanto ben di Dio sprecato", aveva commentato Carla Jenkins. "Ma ne sei proprio sicura, C.J.?"
"Sicurissima", aveva confermato C.J.. "Dormono anche nello stesso letto."
Oooh generale di stupore. Poi Candice Bullock aveva chiesto: "E si baciano?"
"Bè, certo."
Altro oooh di stupore, e qualcuna delle ragazze se n’era andata a confabulare altrove, mentre Carla aveva ribattuto: "Cavolo, che fortuna. Vivi in casa con due maschi del genere…"
C.J. aveva pensato che Carla era un’idiota, non aveva idea di cosa significasse vivere con un padre omosessuale e il suo uomo, non foss’altro che per le compagne che si allontanavano e ti bisbigliavano dietro le spalle. Ma ora, guardando suo padre, pensò di essere la ragazzina più fortunata del mondo.

Di ritorno al ranch, mentre stavano discutendo su cosa cucinare per cena - ci voleva qualcosa di veloce da preparare, visto che erano ormai le sette di sera - C.J. provò un tuffo al cuore: sul lato destro della strada, ancora in lontananza, proprio vicino al ponte sul Platte, ecco il vecchio pick-up verde. Impossibile sbagliarsi: era quello di Junior.
"Che c’è?" domandò suo padre.
"Io…" iniziò lei, ma poi tacque: quella di Junior Thompson era una storia chiusa. Aveva deciso di non pensarci più, suo padre era Jack e solo Jack, quindi basta arrovellamenti. "Niente."
Dal pick-up però uscì un ragazzo, un ventenne biondiccio e allampanato: assolutamente non Junior.
E brava. Dici che non vuoi più pensarci, poi te lo vedi dappertutto.
Quando la Hummer di Jack e C.J. gli si avvicinò, il ragazzo iniziò ad agitare le braccia, facendo loro segno di fermarsi.
"Che fa quello?" chiese Jack. "Forse ha bisogno." Rallentò, accostò, fermò l’automobile e abbassò il finestrino: "Serve aiuto?"
"Sì, grazie", rispose il ragazzo, indicando il pick-up che aveva il radiatore aperto. "Per fortuna che siete passati voi. Sono rimasto a piedi, mi si è spento il motore e non riesco più a farlo ripartire."
"Nemmeno io ci capisco molto", ammise Jack. "Però posso provare. C.J., tu resta qui, okay?"
"Okay."
Jack scese, raggiunse il pick-up, e nel giro di un secondo accadde quello che C.J. avrebbe ricordato per sempre come l’incubo peggiore della sua vita: solo che non era un incubo, era la realtà.
Da dietro al pick-up spuntarono altri due ragazzi, di cui uno armato di cacciacopertoni: Junior Thompson. Jack non ebbe il tempo di aprire bocca che i tre gli furono addosso.
"Papà!" gridò C.J., e senza pensare aprì lo sportello e scese dall’automobile, correndo da lui.
"No, C.J.!" gridò Jack, difendendosi come poteva. "Sta’ indietro, scappa!"
Contro i due a mani nude, anche se la lotta era impari, Jack avrebbe forse potuto farcela: ma Junior era armato. Il ragazzo si avvicinò per colpirlo, ma Jack, che se l’era aspettata, gli tirò un calcio al basso ventre, facendolo boccheggiare e indietreggiare.
"Maledetto frocio figlio di puttana", rantolò Junior. Si avvicinò nuovamente a Jack, che questa volta era troppo impegnato con gli altri due, e gli tirò un colpo sulla bassa schiena, non troppo potente, ma sufficiente a farlo finire a terra.
"Papà!" strillò C.J., con le mani sulla bocca. Corse da Junior, che stava per sferrare un altro colpo, si aggrappò al suo braccio destro, fermandolo: "Lascia stare mio padre, figlio di puttana!"
"Questo non è tuo padre", rispose Junior, cercando di scrollarla via. "Mi pareva di avertelo già detto."
"Lascialo stare!" gridò lei, e gli morse il braccio, stringendo più che poteva, cercando di penetrare nel bicipite sotto il giubbotto di jeans.
"AAAAAH!" urlò Junior. "Molla, troia bastarda! MOLLA!"
Prendi, brutto pazzoide figlio di un cane,
gioì C.J., soddisfatta, prima di sentirsi afferrare per la vita e per le braccia e tirare indietro.
Già, erano in tre. Come quasi tutti i teppisti, C.J. lo sapeva bene, Junior non era capace di arrangiarsi da solo e si era portato dietro gli aiutanti.
"No!" gridò, cercando di resistere. "No, stronzi bastardi, lasciatemi!"
Inutile. Con un ultimo strattone, Junior si liberò di C.J., che continuava a dibattersi e strillare e piangere. "Maledetta bastarda", gemette.
Tenendosi il braccio ferito, il ragazzo si chinò su Jack, bocconi a terra. "Ehi, finocchio di merda", l’apostrofò. "Che ci fai con la ragazzina? E’ carina, no?"
"N-non ti permettere", mormorò Jack, girando la testa verso di lui. "Quella è mia figlia."
Junior gli sputò su una guancia. "Come no, è tua figlia come la primavera viene a dicembre."
"Tu lasciala stare, mocciosetto", Jack gli mostrò i denti.
"Non mi sembri nella posizione di dare ordini", l’apostrofò Junior.
"Ma che vuoi, dannazione?" ringhiò Jack.
"Darti una lezioncina", disse Junior. "A te e a quella bastarda. Avete rovinato la mia famiglia. E quel buono a nulla di mio padre non è nemmeno stato capace di vendicarsi come Dio comanda, ha lasciato le cose a metà e si è fatto ammazzare."
Gli occhi di Jack s'ingrandirono: "Che cosa? Tu sei...?"
"Mi hai riconosciuto, vedo", disse Junior. "E’ normale che non ti ricordassi di me, sono passati undici anni. Ci siamo visti solo quel giorno, quando mia madre è venuta a casa tua per scusarsi. Lei si è scusata con te, pensa un po’."
"Junior… Thompson?"
"In persona."
"Maledetto!" con una forza e una prontezza che C.J. non si sarebbe mai aspettata da un uomo ferito, Jack afferrò una caviglia di Junior e tirò, facendolo piombare a terra sul sedere.
"C.J.!" gridò Jack, rialzandosi e correndo verso di lei, tenendosi la schiena colpita. "Lasciatela stare, maledetti bastardi!"
"Dannato finocchio succhiacazzi", ringhiò Junior, rialzandosi e inseguendolo.
"Papà!" gridò C.J., divincolandosi.
Jack raggiunse C.J., trattenuta dagli altri due, e si avventò su di loro. Dopo una breve colluttazione, C.J. si ritrovò le braccia libere, e suo padre la spinse via: "Scappa, C.J., corri!"
"Non ti lascio qui!" singhiozzò lei.
"Prendete quella puttanella", ordinò Junior.
"Corri, vai a chiamare aiuto!" riuscì a gridare Jack, prima che Junior lo colpisse alla testa con il cacciacopertoni, facendolo finire nuovamente a terra.
E C.J. corse.


Grazie 1000 a:

harderbetterfasterstronger: grazie mille, carissima... le tue recensioni mi fanno sempre sbellicare dalle risate! Sono contenta che apprezzi quello che scrivo: dopo la bellezza di nove fic, avevo veramente paura di ripetermi, e mi rendo conto che in alcuni punti l'ho fatto... ma anche la vita, a volte, è ripetitiva, quindi credo di potere essere perdonata. Il pezzo in cui Jack deve fronteggiare la Jameson inizialmente non era previsto, volevo solo nominare l'assistente sociale e basta, poi mi è venuto questo dialogo, e questo nuovo personaggio mi ha talmente presa che ho finito per inserirla anche dopo. Adoro Emily Jameson, adoro il suo scontro con Jack (sono contenta che sia piaciuto anche a te, volevo scrivere qualcosa di tragicomico, e mi sembra di esserci riuscita): lui ha le sue buone ragioni, ma lei deve fare il proprio lavoro; lui è un sognatore, emotivo e linguacciuto, che effettivamente, fosse nato qualche anno più tardi, vedrei benissimo a combattere in prima linea per i diritti degli omosessuali, mentre lei, anche a causa della sua professione, è dura e cinica, il suo sarcasmo spietato. Proprio questo suo comportamento fa però inalberare Jack che, ben conscio di non avere niente da perdere, si lascia andare e risponde con sincerità e ironia: cosa che la colpisce positivamente e la fa decidere per affidargli C.J..
A proposito: in questa storia ti sto facendo salivare poco... sorry, vedrò di rimediare più avanti!!!

Selenina: grazie, grazie, grazie... ho creato un "mondo" alternativo, ma è decisamente più improbabile di quello della Proulx. Ho cercato di non renderlo eccessivamente improbabile, tenendo conto il più possibile del periodo storico e del luogo in cui si svolgono gli avvenimenti... ma via, ci sono cose che non stanno in piedi, me ne rendo conto anch'io. Jack ed Ennis vivono un pò troppo tranquilli, la gente li lascia un pò troppo stare: sono nel Wyoming del 1960-80, non a San Francisco negli anni '90... e quale assistente sociale (a parte la terribile-ma-non-poi-così-tanto Emily Jameson, creata appositamente) affiderebbe mai loro un bambino? Solo che... come ho scritto nell'introduzione della serie, è bello sognare, e su certe questioni ho chiuso deliberatamente gli occhi.
Il piede rotto... avevo un male cane, ma non ero sicura che fosse proprio fratturato, così mi sono fatta coraggio e mi sono fatta due ore e mezzo di autostrada, andando ai 110-120 al massimo (di sicuro non ho preso degli autovelox, hahahahaha). E' stata dura, ma per fortuna c'era pochissimo traffico (e avevo dietro Green Day, Mötley Crüe, Linkin Park e Led Zeppelin, e... sì, lo ammetto, anche Marco Mengoni), altrimenti mi sarei fermata da qualche parte e avrei messo un cartello con scritto SOS!!!. Poi, arrivata a casa, sono andata al pronto soccorso e dalle lastre è venuta fuori una bella fratturina al terzo metatarso: una seccatura che non ti dico, ma poteva andare molto, molto, molto peggio.


Nota: ho deciso di chiamare Tommy Norton in questo modo, e di fargli praticare pugilato, perché il mio Tommaso, Tommy, adora il cartone animato "Magica Magica Emi", che trasmettono in questo periodo su Boing. La protagonista, May, ha un amico più grande che fa il pugile, e io avevo già avuto l’idea di un amico più grande per C.J.: così ho deciso di - ehm - "omaggiare" questo anime. A ben pensarci, in tutti gli anime in cui le protagoniste sono ragazzine c’è un amico più grande di cui sono invaghite: alla faccia dell'originalità (anche mia)...
L’aspetto fisico, comunque, è quello del mio bellissimo bimbo – sigh, cuore di mamma.

Credits: "Restless heart syndrome" è una canzone dei Green Day.

Disclaimer: I personaggi di Jack Twist, di Ennis del Mar e dei suoi fratelli e di Cassie Cartwright, appartengono ad Annie Proulx.
Se qualcuno riconoscesse nella mia storia idee che ritiene di sua proprietà, mi creda se gli dico che non l’ho fatto apposta, e spero non si offenda.
Infine, preciso che questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


   
 
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