Fianchi rotondi
Epilogo
Una decina di giorni dopo, come previsto, Efestione era di nuovo in
piedi, aveva riacquistato colorito e forma fisica, tuttavia la cicatrice era
ancora fresca e il dolore non era del tutto estinto. Camminava lentamente e Alessandro
gli era sempre al fianco, lo sorreggeva quando si
sentiva male, lo circondava di ogni tipo di cure e attenzioni.
- Sarò in forma
perfetta per il banchetto – disse una mattina, mentre sul suo
letto, assieme con Alessandro, cercava di tradurre un papiro persiano –
e, questa volta, starò attento a non bere troppo.
Nel frattempo, una bellissima ragazza di nome
Narda fece capolino nella stanza portando la colazione.
- Bella – commentò
Efestione – è una nuova serva?
- Direi di sì, non
l’ho mai vista prima. Ragazza, aspettami qui, ho
una cosa da darti – e sparì dietro la porta. Tornò qualche
minuto dopo, con un vassoio e due coppe di vino in mano. – Tieni, portala a Bagoas. E, se
vorrai, l’altra è per te.
Narda si piegò in un
lieve inchino – Magnanimo Re, ti ringrazio. – si inchinò anche davanti ad Efestione ed uscì.
Il re si voltò verso
il suo amante – Guarda. I servi, in questo palazzo, sono
così amabili e rispettosi.
- Vino?
- Sì. Ho portato la colazione al re e
ad Efestione, e loro mi hanno offerto queste due coppe.
- Iskander
è magnanimo, te l’avevo detto. –
sorseggiò il vino – Ma sono sicuro che
non potrà mai perdonarci quello che abbiamo fatto. Niente sarà
più come prima, ormai. E spesso, durante la
notte, mi ritrovo a piangere, solo nel mio letto, e pensare alla mia
stupidità. Se non fossi stato così sciocco, ora
potrei ancora dormire con il mio re, potrei ancora stargli vicino, in qualche
modo.
Anche Narda bevve il suo
vino. – Questo vino è veramente particolare. Chissà da dove
viene.
- Hai ragione! Ha un sapore aromatizzato. Sono
sicuro che Iskander l’ha fatto pervenire da una
regione lontana.
E alzò gli occhi
verso Narda, che, a sua volta, lo stava guardando con un’espressione
piuttosto strana. Era forse l’aria mattutina, era forse quella linea di
bistro nei suoi grandi occhi scuri, o quell’abito di lino che fasciava il
suo corpo perfetto, che la facevano apparire
così bella? Ed era soltanto una sua
impressione, o lei lo stava guardando in quel modo? Cos’era quella smania
che sentiva addosso di prenderla e farla sua lì, in quel momento? Lei
rise, imbarazzata, ma sembrava pensare le stesse cose. Cosa
stava succedendo? Perché all’improvviso
l’amato nome Iskander gli
rimandava semplicemente l’immagine di un re? Un re magnanimo, un re clemente e coraggioso, ma che mai avrebbe
potuto perdonare un simile affronto.
Ah, miseri loro, ora capivano tutto. E povero
Bagoas, che avrebbe preferito morire piuttosto che soffrire pene d’amore,
che si struggeva nel suo letto, pensando al suo amato re tra le braccia di Efestione, e Narda, che l’amore mai l’aveva
conosciuto, e che solo ora si rendeva conto di quanto doloroso avrebbe potuto
essere. Quanto desiderava quel bellissimo ragazzo dagli occhi a mandorla,
profumato e dal corpo agile e sinuoso, dai capelli di seta, lunghi e corvini; e
lui, quanto desiderava quella splendida ancella dalle labbra carnose, dalle
gambe lunghe e snelle, dai fianchi rotondi? E quanto
era crudele Eros, che concedeva loro un amore di cui mai avrebbero potuto
godere? Come avrebbe potuto Bagoas sopportare l’ennesima sofferenza
amorosa? Si guardavano ancora, uno sguardo misto tra desiderio e rassegnazione.
Lei si alzò piangendo e uscì,
coprendosi il volto con le mani. Lui si abbandonò sul letto e si
tirò i capelli.
Avrebbe dovuto aspettarselo, da Iskander. Non avrebbe mai potuto perdonarli, era
giusto che fosse andata così, ma avrebbe preferito mille volte morire,
piuttosto che soffrire d’amore. Quella splendida ragazza, così
desiderabile, che ora tanto l’attraeva, come avrebbe potuto amarla? Lui, che per sua natura mai avrebbe potuto amare una donna; e ora
l’avrebbe vista sempre, lei l’avrebbe guardato con occhi
innamorati, e avrebbero desiderato accoppiarsi, ma mai avrebbero potuto farlo.
Perché l’Amore è crudele,
l’Amore fa soffrire, l’Amore l’aveva fatto impazzire, e
quella era la sua punizione. Che senso avrebbe avuto,
ora, la sua vita? Avrebbe ora pianto nel suo letto pensando a quanto gli
sarebbe piaciuto poterla prendere, poterla amare, e
avrebbe pensato a lei, sola nel suo letto.
E lei avrebbe pianto,
pensando a quel bellissimo ragazzo che mai avrebbe potuto amarla, e a quanto
fosse crudele re Alessandro. Non aveva mai provato un sentimento tanto intenso
per un uomo, mai aveva così tanto desiderato
stringerlo così forte da sentirsi parte di lui, e purtroppo non avrebbe
mai, mai, potuto farlo.
La loro vita si sarebbe conclusa tra le mura di
un palazzo, a servire il crudele Iskander,
a struggersi di un amore impossibile.
I festeggiamenti ebbero inizio dopo qualche giorno.
Al banchetto furono invitati tutti, ed
Efestione si risentì del fatto che nessuno gli chiedesse se stesse
meglio.
- Tutti sanno – gli disse
Alessandro, sempre accanto a lui – che ti sei ripreso. Nessuno dubita
delle forze di un uomo come te.
- Sì, hai ragione. Ma,
la cortesia…
Lo sguardo di Alessandro
si spinse in là nella folla, dove vide due splendidi persiani guardarsi
languidamente e, persino da così lontano, poteva avvertire i loro
sconsolati sospiri.
- Guarda là, Efestione. Bagoas è
attratto da quell’ancella.
- Ma non dire
sciocchezze! E’ un eunuco. E, anche se fosse, non riuscirebbe mai a
soddisfarla – e si lasciò sfuggire un
risolino malizioso.
- Hai proprio ragione.
Aristandro si fece loro incontro, e li
salutò con un rispettoso cenno del capo. – Stai meglio, Efestione?
- Sì, grazie. Mi sento pieno di forze.
- Stai solo attento a non esagerare col vino.
– e strizzò l’occhio ad Alessandro,
prima di portarsi la coppa alla bocca.
Quando l’euforia si diffuse tra generali, soldati, filosofi,
storici, architetti, veggenti, schiavi e concubine, il grande
salone sembrò bruciare di fuoco vivo, e nessuno più si
curò di due insignificanti sguardi scuri e malinconici, persi
nell’aria mite della sera di Babilonia.