Nel mio inizio è la mia fine. (East Coker, T. S. Eliot)
E' freddo stanotte...
Tanto, troppo freddo, imperversa fuori e dentro la mia miserabile anima.
Spirali di vento del nord mi avviluppano le caviglie, passando sotto i miei pregiati pantaloni di seta, salendo, sibilanti e pericolose, fino ad irretire tutti i miei sensi, svegliandomi e intorpidendomi allo stesso momento.
Una delle innumerevoli contraddizioni del sottoscritto: il principe dalle due anime.
Stanotte dovrebbe essere il mio grandioso e glorioso inizio, stanotte dovrei sentirmi finalmente il padrone del mondo, degno dell'incarico letale che mi è stato affidato, ma riesco solo a sentire freddo e ad ammirare la superba fierezza della notte, che si rispecchia in quegli occhi cerulei.
E' mozzafiato il panorama da qui: le cime degli alberi della foresta si agitano producendo una musica malinconica e sinistra che riempie l'aria, statica come la situazione attorno a me, e le nuvole si spostano lente secondo il ritmo del vento, dipingendosi del verde riflesso della morte, mentre perfino il lago è una massa immobile e cupa stanotte.
La notte del cambiamento. Immenso.
La notte dell'inizio. Che la guerra faccia squillare le sue trombe.
La
notte della Fine. Della pace costata tanto
sangue.
La
notte della rottura definitiva delle mie due anime che, svegliatesi al
suono della voce del vecchio,ora combattono dentro di me
l’una di fronte all’altra, assumendo contorni e
caratteri sempre più nitidi dopo ogni secondo di
quest’atavica battaglia, fino a che alla mia mente malata non
appaiono come due entità ben distinte: da una parte mio
padre, dall’altra me stesso bambino, il primo si rispecchia
nelle mie parole, il secondo nei miei occhi che del ghiaccio hanno
oramai solo il colore.
La
foresta ulula triste. Come la mia anima.
Mascherata
dall’immagine che gli uomini le hanno dato. Io sono troppo codardo per
strappare quella che hanno donato a me.
Fremente
attende il proseguire della nottata. Io prego solo che tutto
finisca.
Ciò che sento e ciò che dico sono oramai distanti nella loro essenza quanto il bianco e il nero, l’argento e l’oro, Godric e Salazar, e tento in tutti i modi di aggrapparmi alla mia maschera, non argentea ma diafana come la pelle ereditata da mia madre, visto che la mia spina dorsale è oramai frantumata sotto il peso dei dubbi e dei doveri, divisa tra la volontà di reagire e il desiderio di sentirsi amato da un padre che in me ha visto solo uno strumento.
Sorrisi
affettati e frasi di circostanza. Il mio mondo.
Parole
gelide e rimproveri perenni. La mia infanzia
dall’altra parte del velo patinato.
Ero
cresciuto in una nuvola ovattata, abituato ad essere servito e
riverito; avvolto da sete pregiate anche quando le spade gelide formate
dalle parole di mio padre mi trafiggevano l’anima con i loro
commenti sprezzanti, e nemmeno le carezze di mia madre, tremanti,
riuscivano a smuovermi dalla mia apatia.
Poi la scuola, e il dolce sapore del potere e della
notorietà mi hanno reso il pallone gonfiato che apparivo a
tutti, stuzzicandomi il palato in modo sempre più audace e
spinto fino a rendermi il principe incontrastato delle apparenze, dei
lussi e delle trasgressioni.
I primi
apprezzamenti di mio padre. Finti.
La
fatua gloria. Dolce amante.
Amici
veri. Miraggio
odiato per la sua lontananza.
Desideri
inesprimibili. Mi
hanno diviso l’ anima.
E
ogni passo in più sulla via della vita, vista
allegoricamente come l’enorme viale che
dall’entrata della scuola porta ai cancelli, mi faceva in
realtà indietreggiare, e io da una parte ero disgustato da
ciò che facevo, annoiato e perennemente arrabbiato verso il
mondo, e dall’altra mi ostinavo a continuare su quella
strada, l’unica che conoscevo, troppo povero
nell’anima per poter anche solo immaginare in maniera
concreta una via diversa.
Il
bambino nella mia mente si contorce. E
io odio me stesso alla stessa maniera in cui mi amo.
Alzo la bacchetta
verso quel grande uomo. L’ennesima
potenza di tutte le qualità migliori.
Urlo
parole senza senso. Perché quelle
mortifere io non voglio pronunciarle.
Sento
rumori provenire dall’interno, voci concitate dei burattini
del macabro spettacolo della morte e del dolore, spettacolo di cui io
dovrei essere l’ospite d’onore portando via al
mondo della luce la sua fiaccola sempiterna.
I miei occhi schizzano tutt’attorno, impazziti, alla ricerca
di qualche appiglio che non trovo, ovviamente, mentre al suo posto
tutto ciò che mi circonda mi sembra l’allegoria
della morte che si deve compiere per mano mia, e un senso di nausea mi
attanaglia lo stomaco; sto male, eppure non indietreggio, perennemente
ligio a quelle regole paterne nelle quali nemmeno io credo fino in
fondo, ma che sono l’unico modo che conosco per non cadere
nel baratro delle nullità.
Eppure non posso fare a meno di chiedermi se in realtà non sono già una nullità, se l’indietreggiare non mi donerebbe ciò che ho sempre, in silenzio, desiderato. Dubbi destinati a rimanere ciò che sono.
La
porta si spalanca e quelle che prima erano solo voci si concretizzano
sotto la forma degli ‘amici’ di mio padre,
leccapiedi di chi non è altro che un servo privilegiato tra
i tanti.
Loro
non mi temono, loro non vedono in me una via di riscatto dopo lo
sbaglio dell’anno scorso, per loro sono solamente un indegno
ragazzino che ha rubato loro la via della gloria; tutti vorrebbero
essere al mio posto, lo sento nelle parole che mi deridono, lo leggo
nei lampi sarcastici e maligni che zampillano nei loro occhi, ma io non
ho paura, io non posso averne, io devo essere forte: dopo tutto, sono
pur sempre un Malfoy. E un
Black! Direbbe zia Bellatrix.
Fierezza e sfida verso di loro. Malfoy.
Morte dentro di me. Semplicemente Draco.
La loro invidia è linfa per il mio ego e il loro sarcasmo veleno per il mio cuore, io sono un pupazzo appeso nel vuoto, con un braccio verso la salvezza e l’altro verso il baratro. Il mio braccio ora trema e le loro frecce imbevute alla fonte dello scherno vengono scagliate senza pietà verso di me, che mi ritrovo l’anima piegata in due da un peso per l’ennesima volta troppo grande per me.
Apro
le labbra.Non
esce nessun suono.
Racimolo
l’odio. Provo
solo disgusto, verso me stesso.
Sto
per accettare.
La porta
dell’inferno si apre.
Un cigolio, la porta della torre si spalanca, e una figura di nero vestita avanza nel buio illuminato solo dai bagliori verdi che il marchio ancora emana, fiero vessillo della Dea a cui tutti devono sottostare: Morte. Severus è ora vicino a me, ma ho la mente talmente annebbiata da non capire in che posizione si trovi realmente il mio padrino, ho i sensi talmente provati dallo stress emotivo che non riesco a percepire ciò che dice e nella mia mente lampeggiano parole senza senso, pronunziate in tono di commiato dalle voci alternate di tutte quelle figure che erano stati i miei compagni di scuola in quei sei anni: perchè quella vita non sarebbe tornata più.
Perché io
lo sapevo. L’ho
capito appena è arrivato.
Avevo
sprecato il mio tempo. Non potevo più
salvarmi.
La
vita, come l’avevo sempre conosciuta, finiva quella notte, in
quel preciso istante, scivolava via assieme a quel corpo fasciato da
stoffe sempre sgargianti che ora stava cadendo nelle braccia della
Morte che aveva aspettato, sorniona, tutta la sera.
Non
avrei più sorriso, non avrei più deriso, non
avrei più amato, né odiato nessuno, se non me
stesso…
Quella era la fine, era l’inizio…
E
nell’inizio
di quella che doveva essere la gloria,c’era la fine della mia
vita.
Angolo Autrice:
Questa storia ha partecipato al contest GIVE IT A SECOND CHANCE, di Fabi_,vincendo il primo posto e il premio INTROSPEZIONE, con la motivazione ' per essere riuscita a portarci nella sua testa'
In basso metto i Banner,magnifici.
*°*°*°*°*°
Salve!!! Ripropongo questa storia,con un editing migliore.
E' la mia personale visione dei pensieri di Draco sulla torre,e non tiene conto del settimo libro.
Recensite!!! *_* Fatemi sapere cosa ne pensate!
Colgo l'occasione per pubblicizzare le altre Fic. che sto scrivendo:
'E se Harry non fosse figlio unico'
'Quadri,salsedine e memoria'
°*°*°*
Un
bacione!!
LilyBlack