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Autore: Liz    13/05/2010    4 recensioni
Per voi lui non ha tangibilità, è un’esistenza che si fa chiamare Maverick sui forum e nelle chat, e il cui detto è “Sono troppo vecchio per queste stronzate!”.
Vi siete conosciuti per caso, non ne conoscete né l’aspetto né il nome, ma ci parlate da mesi e solo con lui riuscite a sentirvi bene. Suvvia, quella sensazione di totale abbandono, di completa appartenenza e dipendenza… com’era la vita prima di Maverick? Neanche lo ricordate.

Reila odia Evan largamente ricambiata fin dal giorno in cui sono nati; le loro vite persistono così, in questo equilibrio stabile e bilanciato, ormai da anni.
Ma che fare quando si scopre che il proprio amante virtuale, alias “uomo dei sogni”, è proprio Evan?
Ci sono diverse scelte: buttarsi dal balcone, buttare lui già dal balcone, fare finta di nulla o cambiare radicalmente.
Evan sa cosa fare, ma per Reila ognuna di queste opzioni è sbagliata. Che sia il destino a scegliere ancora una volta, quel destino che li ha voluti anche vicini di casa…!
E forse, se ci si impegna, anche nel proprio nemico si può trovare un’occasione per crescere.
>>DAL CAPITOLO 19 [ULTIMO CAPITOLO] "Il cuore di Reila andò a fuoco nel sentire come l’aveva chiamata: “amore”. La bionda alzò il viso raggiante e gli diede un leggero bacio sulla bocca, alzandosi in punta di piedi quanto più poteva per raggiungerlo."
GRAZIE A TUTTI!!
Genere: Romantico, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Se io dovessi morire prima di svegliarmi
è perché tu mi hai lasciato senza fiato.
Perderti è come vivere in un mondo senza aria.
Sono qui da solo e non voglio partire,
il mio cuore non si muoverà, è incompleto.
Se solo ci fosse un modo per farti capire.

[No air – Jordin Spark & Chris Brown]




Capitolo 16-
In primavera

R

 

iuscire a vivere senza rimpianti sarebbe stupendo. Tra 50 anni vorrei essere in grado di guardare al passato senza mai dire “peccato”. Sarebbe davvero… meraviglioso.

~

Due occhi increduli e spalancati si posarono sulla bionda, appena entrò nel locale di Evan.

Selene ed Evan squadrarono esterrefatti Reila, che li guardava sorridente ma dubbiosa, con un’espressione leggermente stupida stampata sul volto.

Selene si portò una mano alla bocca per lo stupore mentre con l’altra indicava i capelli biondi di Reila «Ma… ma perchèèèèèèèèè???!!!»

«Ah…?» chiese Reila senza capire cosa stesse succedendo e senza mutare espressione.

«I capelli!!! I tuoi meravigliosi capelli lunghi!!!» urlò Selene scandalizzata dall’ottusità dell’amica e dalla novità, strattonando il braccio di Evan per fargli notare il cambiamento, come se il moro non l’avesse visto.

Reila si toccò una ciocca di capelli dorati, che da lunghi fin sotto le spalle erano stati accorciati a lunghezza collo, con un taglio a caschetto. La ragazza sorrise dispiaciuta ai due «Mi dispiace Selly, ma era arrivato il momento di cambiare» disse, pronunciando fiera ed orgogliosa le ultime parole.

«E da quando sei così coraggiosa tu?» la prese in giro Evan sorridendo provocando una scherzosa linguaccia sul viso sereno della bionda, mentre Selene ancora piangeva sui capelli tagliati.

Evan la osservò attentamente in quell’espressione così infantile contornata da un taglio di capelli così adulto: poteva tagliarsi i capelli, tingerseli, rifarsi il seno… sarebbe rimasta comunque una deliziosa mocciosa.

Certo è che quel taglio non gli dispiaceva affatto. Anzi…

Reila si avvicinò ai due amici sotto lo sguardo avvolgente di Evan. Si rivolse al ragazzo con un sorriso smagliante e stranamente sicuro di sé, mentre Selene le toccava malinconica la chioma liscia e mutilata.

«Va tutto bene, Evan?» gli chiese poi Reila notando qualcosa di strano negli occhi del ragazzo.

A dire il vero, Evan non stava affatto bene: aveva appena detto addio a suo padre, ma come poteva dirlo così a Reila? Di sicuro si sarebbe preoccupata in modo esagerato inutilmente e forse avrebbe anche pianto… si immaginò la scena con un tenue sorriso.

«A dire il vero Emy mi fa impazzire» le mentì «Non vuole che la lasci e per questo continua a piangere»

Appena Evan vide l’espressione sconvolta sul viso di Reila, pensò che forse sarebbe stato meglio raccontarle la verità; rimase stupito da un’epressione talmente shokkata che quasi metteva agitazione pure a lui. Eppure Reila ed Emy erano abbastanza in buoni rapporti… cosa c’era da essere così spaventati?

Evan decise di non aggiungere altro e Reila venne distratta da Selene, che ancora la rimproverava per i capelli.

Ogni tanto le mandava delle rapide occhiata, ripensando a quello che gli aveva detto il padre.

“Promettimi che ti prenderai cura di lei”.

Non sai quanto vorrei farlo, papà…

 

Qualche ora prima.

Evan squadrò preoccupato Kaleb Williams e il suo volto sempre più grigiastro e secco; osservò le labbra screpolate e ritirate, il collo magro, scorrendo fino alle mani ossute e troppo asciutte, e sentì nel petto qualcosa che lentamente gli scavava il cuore.

A distanza di quattro settimane dall’ultimo infarto, suo padre gli sembrava ormai diventato un cadavere vivente che faceva fatica anche a parlare.

Il termine dato dai medici era ormai scaduto: qualche giorno, forse settimana, e Kaleb Williams si sarebbe spento in quella stanza bianca e verde antisettico, odorosa di antibiotici e disinfettante. Ogni mattina e ogni sera Evan non riusciva a non pensare che forse quel giorno sarebbe stato l’ultimo in cui avrebbe avuto un padre, l’ultima occasione per mettere finalmente le cose in ordine con lui e con sé stesso. Così, appena quel giorno vide che anche la luce dei suoi occhi verdi brillanti stava cominciando a spegnersi realizzò che non voleva dire addio a suo padre con dei rimpianti nel cuore.

Il moro si sedette stanco sulla sedia di fianco al letto del padre e, incapace di guardarlo di nuovo negli occhi, gli chiese come si sentisse.

Il padre, che prima lo aveva accolto con un sorriso affaticato, divenne subito serio «…Evan»

Il ragazzo rispose a quell’appello, timoroso di quello che stava per dire «Sì?»

«…portami fuori, in giardino. Stanno sbocciando i primi fiori, vero?»

Evan annuì, senza saper bene cosa pensare. Con gesti meccanici recuperò la sedia a rotelle a aiutò Kaleb a salirci.

 

Appena uscirono all’aria aperta, lo smeraldo striato delle iridi di Kaleb sembrì rinvigorirsi del cielo azzurro terso e dell’aria primaverile carica di promesse: ma fu solo un bagliore.

Evan guidò la carrozzina di fianco al prato verde appena tagliato, costeggiando cespugli pieni di gemme e alberi da frutto già fioriti di colori pastello.

Kaleb prese un profondo respiro cercando di trattenere dentro di sé il più possibile la sua ultima primavera «Ahh, che meraviglia!» aveva esclamato appena passati sotto la chioma di un albicocco, nella cui ombra si fermarono «Andarsene di primavera… che sfortuna, eh?» disse poi con un sorriso di serena rassegnazione stampato in faccia.

«Papà…» aveva sussurrato Evan da dietro la sedia a rotelle; quasi un rimprovero.

«Sai Evan, mi sarebbe piaciuto vivere in modo che nessuno soffrisse mai» continuò Kaleb osservando il cielo turchino sopra di lui, sorprendendo il figlio per il tono tranquillo della sua voce roca e secca «Me ne rendo conto troppo tardi, purtroppo… ma vorrei che sapessi che non mi hai deluso. Mai. Io sono sempre stato fiero di te»

Evan fu incapace di rispondere; solo, strinse le mani attorno alle maniglie della sedia a rotelle, stupito e al tempo stesso sofferente mentre il suo cuore sprofondava nella carne affetto da mille spilli.

Sospirando Kaleb riprese, stavolta con un’ inflessione più addolorata e franta «Mi dispiace se ho fatto soffrire te e la mamma, sono stato tremendamente egoista: per la vostra felicità ho calpestato voi e la vostra. Perdonami se non sono stato un buon padre»

Kaleb esitò un attimo prima di dire l’ultima frase, ma alla fine ce la fece: quello che aveva sempre voluto dire ad Evan, il suo primo figlio, e che mai aveva avuto il coraggio di spiegare, si rivelava ora così prepotente proprio mentre Kaleb era più debole.

Delle lacrime salate rigarono il viso rugoso dell’uomo, che si fecero scoprire da Evan per un respiro affannato e spezzato troppo sonoro.

«Papà!» aveva esclamato Evan con voce cristallina, appoggiando un mano sulla spalla del padre «Non piangere papà».

Kaleb si commosse a quell’ accento così innocente e sincero: a momenti lo rivedeva bambino, mentre con gli occhi preoccupati lo guardava dal basso e lo pregava di non soffrire più e di insegnargli ad essere forte.

Cosa che lui non aveva mai fatto.

«Evan… sono così felice che tu mi abbia concesso una seconda opportunità. Sono sempre stato fiero di essere tuo padre… volevo solo sapessi questo»

«Papà, parli come se questo fosse un addio» osservò Evan, angosciato. Quasi sentì la bocca di suo padre distendersi in un sorriso amaro «Non è un addio vero? Non mi stai lasciando vero?» lo implorò il moro, sentendo gli occhi bruciare per le lacrime trattenute «Proprio ora… proprio ora che non voglio che tu te ne vada»

Le parole di Evan rimasero sospese nell’aria tra di loro, prive di risposta.

Kaleb Williams si limitò a piegare il capo e dire «… ora rientriamo, comincia a fare freddo»

Evan rimase attonito qualche secondo, poi prese forza e rispinse la sedia a rotelle lungo il percorso fatto poco prima.

 

Quando arrivò il momento dei saluti, Kaleb fermò il figlio ormai sulla porta chiamandolo per nome.

«Salutami tanto Reila» gli aveva chiesto, con voce rotta.

Evan aveva annuito e aveva atteso le altre parole del padre che sapeva sarebbero arrivate.

«Promettimi che ti prenderai cura di lei. Fammi questa promessa. Giuralo» aveva aggiunto al silenzio confuso del ragazzo, che alla fine annuì sicuro.

«Papà?»

«Sì?»

«Ti voglio bene»

Evan si chiuse alle spalle la porta di quella stanza d’ospedale, i suoi colori sterili e suo padre, che poco prima di uscire aveva intravisto sorridere con occhi colmi di gioia.

~

Mentre ancora Reila e Selene stavano chiacchierando allegramente, interpellando ogni tanto Evan occupato a servire alcuni clienti al bar, il cellulare del ragazzo cominciò a suonare nella tasca dei suoi pantaloni.

Scusandosi con gli avventori, il moro rispose alla chiamata sotto gli occhi curiosi di Reila, che notarono preoccupati il volto di Evan cambiare improvvisamente espressione, diventare pallido e sconvolto.

La ragazza potè leggergli negli occhi che qualcosa dentro il suo cuore si era spezzato.

Senza dire nient’altro che un “arrivo subito” Evan chiuse la chiamata, correndo a togliersi il grembiule nero della divisa.

Reila si alzò in piedi «Evan, ma cosa succede?» chiese ansiosa.

Il moro alzò il viso sofferente verso il suo «…papà è morto».

~

Evan, Reila e Selene raggiunsero correndo Erik, immobile davanti alla porta chiusa della stanza dove prima riposava Kaleb.

Reila chiamò forte il suo nome, riconoscendo nei suoi occhi grigi rossi di pianto la stessa espressione che lei aveva assunto davanti al cadavere di Jack; gli si fece incontro decisa e lo abbracciò forte, mentre Erik ricominciava a piangere tremando, ricambiando la stretta dolce ma vigorosa della bionda.

Evan osservò il fratello con sguardo eloquente ed entrò nella stanza, per vedere il padre un’ultima volta, lasciando indietro Selene e Reila, ancora stretta ad Erik.

«Mi dispiace…» gli sussurrò la ragazza, mentre anche i suoi occhi si bagnavano di lacrime.

 

Le nuvole bianche e spumose come panna si rincorrevano placide nel cielo ceruleo, riflettendosi nelle iridi di Evan, di un verde oggi sempre più scintillante per la profonda marea di lacrime trattenute che cullava nel petto.

Sembrava così tranquillo, quel cielo. E quegli uccellini cinguettavano ancora felici, come avevano fatto anche poche ore prima.

Erano le stesse cose che Evan aveva osservato col padre quella mattina, eppure ora sembravano così diverse pur rimanendo sempre uguali…

Il ragazzo si sedette sulla panchina vicino all’uscita dell’ospedale che dava sul guardino, facendo scricchiolare la ghiaia sotto le all star nere; si scompigliò atterrito i capelli neri e sfilò poi il cellulare dalla tasca, raccolse tutto il coraggio che aveva per cercare la parola “mamma” nella rubrica del telefonino e schiacciò il tasto verde.

La voce di sua madre era l’ultima che avrebbe voluto sentire il quel momento, eppure doveva dirgli che Kaleb era morto.

Tuttavia, appena sentì la voce stanca di Debra dalla parte opposta del telefono si rese conto che davvero non sapeva perché stava chiamando sua madre: che cosa si aspettava? Parole di conforto o la prova che a sua mamma un cuore fosse ancora rimasto?

Senza aggiungere nulla, Evan disse subito «Papà è morto»

A quelle parole, brevi ma intense, Debra non rispose: il silenzio vibrante che usciva dal telefonino fece sperare ad Evan che sua madre stesse piangendo, triste anche lei per le perdita dell’ex-marito.

Almeno avrebbero avuto qualcosa in comune… ma come al solito, la voce di sua madre suonò dura e fredda come la roccia «…E tu come fai a saperlo?! Non dirmi che eri in contatto con lui perché…»

Evan strinse i dentri contrito dalla rabbia ed esplose urlando, mentre il volto gli si imporporava.

«BASTA MAMMA! SMETTILA! Esistono anche parole gentili! Anche io…» ma non riuscì a terminare la frase perché ormai aveva realizzato che riporre ancora speranze in sua madre era del tutto inutile.

Non gli aveva mai mostrato affetto: perché avrebbe dovuto cominciare proprio ora?

Trattenendo il respiro Evan chiuse la chiamata, mentre la voce di Debra urlava ancora qualcosa di incomprensibile.

All’improvviso sentì aprirsi la porta, con un rumore ferreo e arrugginito:  nel giardino comparve Reila, che lo guardava ansiosa con gli occhi lucidi di lacrime. «Evan, finalmente ti ho trovato… tutto bene?» chiese con un filo di voce, avvicinandosi al ragazzo.

Come splendevano i suoi capelli alla luce del cielo primaverile. Sembrava un sole, una stella, una luce di salvezza. E quegli occhi brillanti, che lo osservavano con la solita nota ingenua ma dolce.

Evan si alzò, muovendo dei piccoli passi verso di lei, arrivandole a pochi centimetri.

Aveva voglia di riempire quel vuoto che sentiva nel petto, voleva sentirsi completo davvero per la prima volta nella sua vita… provò un’intenso desiderio di abbracciare Reila, che ancora lo guardava preoccupata senza aspettarsi tuttavia una risposta alla sua domanda iniziale: sul viso di Evan il suo stato d’animo era palese.

Il ragazzo spinse le mani attorno al corpo di Reila, appoggiando la testa sulla sua esile spalla. Era come se durante quei mesi Reila fosse diventata parte del suo corpo, quel pezzo che mancava per completare il puzzle, il mattone necessario per sostenere tutto il muro: e avrebbe voluto fagocitarla in modo che non avrebbe mai potuto andarsene da lui come invece avevano fatto tutti. Voleva renderla sua lì, in quel momento, per sentirsi completo e dimenticare per un secondo la morte con l’amore.

Ma si limitò a baciarla lievemente sul collo, mentre la ragazza tratteneva il respiro senza sapere come reagire.

Un bacio, due: Evan non riusciva più a fermarsi.

Con le labbra era arrivato fino alla guancia di Reila, quando lei, per mascherare l’imbarazzo e il batticuore, decise di continuare a parlare «…T-ti ho sentito parlare al telefono…»

Evan la guardò languido per qualche secondo, prima di ricominciare irremovibile a consumarla coi suoi baci.

«… Ho pensato che avessi… bisogno… d’aiuto» balbettò lei, incapace di respirare per il profumo del moro, troppo buono e inebriante perché lei potesse mantenere il controllo.

Evan era intanto pericolosamente giunto alle labbra, che pregustava con occhi ardenti; le si avvicinò ancora di più, schiudendo la bocca e guardandola con occhi sognanti.

«E così sono corsa da te!» esplose Reila, cercando inutilmente di mantenere un tono di voce normale.

Appena Evan, leggermente spazientito, le sussurrò «Scusa Reila potresti stare ferma? » sulla pelle arrossita, la bionda capì che ormai erano arrivati nel punto di non ritorno.

Arrossì violentemente e rimase immobile, in attesa della mossa del ragazzo: stavolta sapeva cosa fare.

Fu così che, chinandosi su di lei e stringendola forte a sé, Evan cominciò a baciarla come solo nei suoi sogni era successo più volte.

 

Reila accolse le labbra di Evan tremante per l’emozione: quanto aveva desiderato quel contatto!

Sentì le braccia del ragazzo avvolgersi attorno alla sua vita, stringerla forte a sé facendole quasi male; ma era un dolore colmo di dolcezza e di bisogno. Sì, nei movimenti lenti e caldi del ragazzo Reila lesse un bisogno infinito di non sentirsi solo.

Reila ricambiò l’abbraccio profondo, allacciando le mani dietro al collo di Evan e così gli permise di approfondire il bacio, sempre più disperato e anelante.

Ma nonostante una fievole vocina nella testa della ragazza le rammentasse il nome di Emy, Reila non riuscì a fare altro che cercare sempre di più la bocca di Evan: ormai il suo corpo e la sua mente si erano annullati. Reila esisteva solo in quel bacio e per quel bacio.

 

 

 

 

 

 


 

Note per riempire lo spazio

 

 

Finalmente il capitolo che tutte stavate aspettando!! (spero J)

Essì, Reila ed Evan finalmente si “dichiarono”… ci sono voluti 16 luuuuunghi capitoli ma alla fine spero ne sia valsa la pena. Sono felice per loro, è mai possibile? XD

Come spero che questo capitolo vi sia piaciuto ^^

Ho troppe speranza, ‘nevvero?

Beh, voi fatemi sapere cosa ne pensate… come faccio  a migliorare senza i vostri consigli? :(

E poi tra poco è il mio compleanno (<3) quindi fatemi questo piccolo piccolo regalo…

 

Tra l’altro la fine non è più così lontana. 4 o 5 capitoli al massimo, credo.

Cavolo anche Soundless sta per finire…

 

Kikka_neko: Mi spiace che tu ti sia trovata in una situazione così brutta ^^ spero che tutto si sia risolto al meglio :D Grazie per i complimenti e l’appoggio, la Reila tascabile è in fase di progettazione!!!

MakyMay: XD grazie! Troppo gentile con al solito, spero che il capitolo abbia seguito le tue aspettative!!

 

 “…così necessaria. Sei come aria… acqua… vitale.”

Alla prossima!!

 

 

 

   
 
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