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Autore: Imaginary82    14/05/2010    5 recensioni
Quante volte mi sono ritrovato sulla bocca dell’inferno? Ho sentito il calore delle fiamme scaldare il mio gelido corpo, ho guardato in basso, attratto dall’enorme distesa di lava incandescente che mi reclamava fumante e odorosa come un’enorme pozza di sangue. Sarebbe stato così semplice e appagante immergersi e soccombere…sprofondare…
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO CINQUE Buonasera...dopo quattro giorni da sogno, in una città magica come Torino, in compagnia della mia meravigliosa dolce metà,  vi posto il sesto capitolo. Si torna indietro, è Edward che ricorda e io spero vivamente che vi piaccia almeno un pochino. Come al solito credo di essermi soffermata su particolari insignificanti, scusatemi.
Ringrazio chi legge,
chi ha messo la storia tra le preferite:
1 - artline 
2 - DIOMEDE
3 - Fiorels 
4 - ilaria2008 
5 - micht82

chi tra le seguite:

1 - Austen95 
2 - Biaa]
3 - Fantasy_Mary88 
4 - Glance 
5 - gnuoba 
6 - hermy90 
7 - jecca92 
8 - Joey88 
9 - lady lilithcullen
10 - marty_chic 
11 - micht82 
12 - Nicosia 
13 - piolet 
14 - poseidonia 
15 - sabribot 
16 - saratokio 
17 - tartis 
18 - thea19 
19 - Twilly 

chi tra le ricordate:

1 - artline 
2 - crazyfred 
3 - damaristich 
4 - PersaNellaFantasia_
5 - Honey Evans 


Amare è sperare: sperare è vivere oltre tomba.
Che è la vita senza speranza? Una gittata di dadi fra le tenebre, fra i deliri.
(Ambrogio Bazzero)



CAPITOLO SEI

 

Non era la sete la sensazione più devastante, ma la consapevolezza di una fine miserrima.

Il succedersi del giorno e della notte faceva da sfondo alla mia immobilità. Cercavo di racchiudermi in una bolla di disperazione muta, escludendo al di fuori di essa le pulsioni del mio corpo oramai esanime.

 

Quando la volontà vacillava, quando l’odore delle vite versate, scivolava fino alle mie incaute narici, voltavo il capo verso lo specchio e bastava quella raccapricciante immagine a spegnere qualsiasi istinto di sopravvivenza, se così si potesse definire la morte che sopravvive alla vita cibandosi di essa.

 

Non vi era tormento nella mia decisione, ma solo la triste coscienza dell’inutilità di essa. Potevo lasciare che il mio corpo venisse sopraffatto dall’assenza di sangue, potevo essere spettatore cosciente, cadavere redivivo, che assiste alla decomposizione della carne, ma non potevo impedire l’abominio della sua esistenza.

 

La forza che permeava le mie membra dopo la trasformazione mi stava velocemente abbandonando, sapevo che se avessi voluto contrastarla,  prima sarei dovuto soccombere a lei, alle sue provocazioni, che alimentavano gli istinti deplorevoli contro cui lottavo costantemente.

 

Quando si avvicinava potevo sentirlo, dolce e pungente, l’aroma delizioso del nettare delle sue vittime.

Nuda, la distesa di candida pelle interrotta da invitanti rivoli scarlatti, scie di vite spezzate, percorsi paradisiaci, che sarebbe stato facile percorrere per raggiungere la dannazione.

 

Quante volte mi sono ritrovato sulla bocca dell’inferno?

Ho sentito il calore delle fiamme scaldare il mio gelido corpo, ho guardato in basso, attratto dall’enorme distesa di lava incandescente che mi reclamava fumante e odorosa come un’enorme pozza di sangue.

Sarebbe stato così semplice e appagante immergersi e soccombere…sprofondare…

 

Ma nella testa risuonava la sua voce:

 

“Siete uno sciocco Edward, prima o poi cederete. Avete  bisogno di nutrirvi. Che spreco logorare il vostro bell’aspetto…”

 

Sprezzante sputava una sentenza che scavava nelle mie viscere come un tarlo.

 

La sentivo rincasare accompagnata da pensieri estranei e lussuriosi, prede soggiogate dall’illusione di essere vittoriosi cacciatori che si pregustavano un lauto bottino. Avrebbero pagato le loro pulsioni con sgorghi di vita, nella consapevolezza ultima di aver goduto assieme al proprio carnefice.

…quei pensieri…la soddisfazione del suo corpo nel lambire la preda, soggiogarla, possederla per poi prosciugarla…

 

Il rituale era sempre lo stesso: sospiri…gemiti…urla strozzate…infine silenzio.

 

Puntualmente, dopo pochi istanti, la vedevo avanzare trionfante e soddisfatta ad alimentare la mia sete…e poi quella volta…

 

…quell’unica volta…

 

Non aveva ancora posto fine all’esecuzione, che mi si era presentata inaspettatamente dinanzi, con le voluttuose labbra intinte di sangue. Nella stanza accanto un flebile battito raggiungeva ardente la mia gola, sentivo i fiotti di ambrosia scarlatta sgorgare fuori da quel corpo sofferente, scosso dalle ultime ondate di vitalità.

Porre fine a tale supplizio sarebbe stata un’opportunità fin troppo generosa, un’occasione che avrebbe camuffato facilmente la mia mostruosità in indulgenza.

 

Non c’era tempo per pensare…dovevo decidere.

 

Lasciare che la sua vita si riversasse sulle candide lenzuola, accompagnata da urla strazianti?

O porre fine al tormento e nutrirmi di essa?

 

La gola bruciava…

 

Edward….avanti…non lascerete che quel calore si spenga! Che inutile spreco”.

 

E poi la scelta.

 

Gli arti risposero più in fretta di quanto pensassi e scoprii di avere più forza di quella che credevo permeasse il mio corpo. Nuovamente fui investito da quella moltitudine di particolari che avevo cercato di chiudere al di fuori di me stesso.

La polvere leggera, che il tempo aveva deposto sulla mia immobilità, scomposta in piccoli frammenti, si sollevava fluttuando nell’aria, ricadendo e depositandosi sulle cose.

Quello, che sicuramente era stato uno scatto repentino, lo percepivo come un movimento a rallentatore, elegante, fluido probabilmente, ma disperato e rabbioso.

 

Un giovane uomo, seminudo e ansante, mi offriva, vermigli, peccato e redenzione.

 

Se avessi voluto, avrei potuto cogliere ogni dettaglio del suo corpo, scorgere ogni venatura che percorreva la sua pelle e, se avessi ascoltato, avrei potuto sentire i suoi ultimi e intimi pensieri.

 

Suppliche urlate? O fievoli e vaneggianti richieste di assoluzione?

 

Ma i miei occhi erano attratti unicamente dal riversarsi oramai debole del suo sangue, la mente volta ad ascoltare ogni nota eseguita da quel flusso invitante.

Cominciai a respirare dapprima freneticamente, per poi compiere lente e profonde immersioni in quell’aroma penetrante e così dannatamente eccitante.

Carezzai con le dita quella minuscola fonte, portandole incauto alle narici, per accertarmi di quanto veritiera fosse quella dolce e raccapricciante visione.

 

Spalancai le fauci e sfoderai le armi…

 

NO!”

 

Di scatto mi voltai all’indietro rimettendomi in piedi e abbandonando per un attimo il banchetto. Non era la sua voce quella che avevo sentito, ma nessun altro era in casa in quel momento.

 

Chi altri oltre me…e lei

 

Fermatevi. Stiamo arrivando!”

 

Chiusi gli occhi e indietreggiai fino a ritrovarmi con le spalle al muro, sconfitto dalla consapevolezza dell’atto infimo che di lì a breve avrei compiuto.

Un odio verso me stesso mi assalì piegandomi le ginocchia. L’arsura si ridestò prepotente, togliendomi quelle poche forze, che l’illusione dell’imminente nutrimento aveva conferito al mio corpo.

Come avevo potuto anche solo pensare di commettere un delitto così atroce?

E poi quella voce…un tintinnio cristallino, come l’infrangersi di acque pure e fresche sulle rocce. Come il rumore dei prismi che appendevo alla finestra da bambino, per creare tremolanti arcobaleni.

Nonostante le parole potessero risuonare solenni, come un monito, vi era in loro una calma e una tranquillità surreali.

Fermare il mio agire dannato non aveva di certo reso minore la mia colpa.

Non avevo ucciso, ma avevo lasciato morire…

Come la sottile differenza tra mentire e tacere la verità.

Guardai quel volto segnato dalla fine, il corpo piegato all’indietro in maniera innaturale, la bocca dischiusa in una smorfia di dolore e gli occhi sbarrati.

In quegli occhi potevo immaginarvi impresso l’orrore del mio volto deformato dalla sete quale immagine ultima di una vita spezzata.

 

Come potevo mettere definitivamente fine a ciò che ero?

 

Mi ricacciai nell’angolo di immobilità che mi ero conquistato col tempo, i pugni stretti,il viso affondato tra le braccia. Evitai di guardarla, evitai di scandagliare la sua mente, conoscevo ogni sua espressione indignata, ogni parola di scherno che avrebbe pensato e poi pronunciato.

 

Quale colpa dovevo espiare?

 

Condannato ad essere un morto, rinato per morire per sempre.

 

Se solo avessi saputo il modo, se avessi conosciuto la soluzione…

 

“Una soluzione esiste, abbiate fede, manca poco”.

 

 Non alzai nemmeno il viso, convinto che quel trillo fosse uno straziante delirio della mia mente degenerata. L’ulteriore supplizio da subire in silenzio.

 

“Edward, guardatemi”

 

Sorrisi…la voce era così chiara e vicina da farmi percepire anche una presenza davanti a me. Probabilmente la fine era vicina…

 

“Destatevi”

 

Sì…parla ancora…

 

“Jasper…aiutami!”

 

Un profondo senso di tranquillità mi invase. Sentii un tocco morbido e tiepido sul viso, come quello della piccola e morbida mano di un bambino.

 

“Aprite gli occhi. Guardatemi, ve ne prego”.

 

Abbandonai il capo a quel tocco e inspirai il soffio dolce e pulito che accompagnava le sue parole. Cullato da sensazioni che non provavo da tempo, decisi di volgere lo sguardo verso colei che mi chiamava.

Aprii finalmente gli occhi, tenendo cautamente basso il viso e fui investito da una profusione di rosa, di una tonalità simile al quarzo.

Ampie volute di seta impalpabile avvolgevano come un bozzolo una creatura che sembrava uscita magicamente da un libro di fiabe.

Esile e minuta, se ne stava accovacciata dinanzi a me…in attesa.

Le braccia sottili spuntavano candide dalle strette maniche del vestito e il pallore era deliziosamente accentuato da nastri color vinaccia, che avvolgevano i gomiti terminando in vaporose cocche e e lunghi lembi.

Con una mano mi sfiorava la guancia e l’altra, immobile in grembo, si mosse per avvolgere la mia ancora furiosamente stretta in un pugno.

Mi lasciai avvolgere da quelle dita affusolate, dalle quali si diramò un’immensa sensazione di sollievo. Quel gesto gentile e delicato fu di un’intensità tale da riuscire ad infondere una flebile speranza di salvezza all’essere senz’anima qual’ero.

Dalla sua mente provenivano solo pensieri leggiadri e puliti. Sentimenti nobili e azioni lodevoli.

 

Chi era quest’angelo?

 

L’opportunità che mi mostrava, l’alternativa che mi offriva, fu come lo scorcio di un paradiso anelato. Un’oasi di pace nel bel mezzo dell’inferno.

Un compenso immeritato per una colpa commessa se non con il corpo, certamente nelle intenzioni.

Agghiacciante si presentò l’immagine di mia moglie. Mi rammentò quanto potesse essere fuorviante un’immagine così bella. Mi ricordai come, contemplando la perfezione, finii con lo scorgere un mostro.

 

Rassegnato alzai il capo…

 

Due occhi grandi, dolci e rassicuranti, mi guardavano calmi.

Fu come lasciarsi avvolgere dai raggi di un sole estivo.

 

In passato, da umano, avevo letto su qualche volume dell’immensa biblioteca di casa Masen, che il topazio è un potente amuleto in grado di preservare dal pericolo. Questa proprietà era conferita alla gemma dal fatto che venisse colorata dai raggi dorati del potente dio del sole Ra.

 

Non poteva esservi descrizione più appropriata per i suoi occhi.

 

Ciglia fitte e nerissime li incorniciavano esaltando ancora di più l’oro colato che li riempiva, il tutto racchiuso in un ovale che emanava una bellezza perfetta. Non vi era traccia di belletto su quel viso, così etereo e incontaminato. I capelli corvini, lucidi e sottili, non erano affatto acconciati all’uso dell’epoca, ma erano corti e tagliati in una maniera alquanto bizzarra, ma ciò non faceva che accentuare la surreale avvenenza di quel folletto.

 

Le strinsi le dita, in un gesto che suggellava un accordo silenzioso.

Mi aveva mostrato una speranza, alla quale decisi di aggrapparmi con ogni forza.

 

Piacevolmente stremato, non riuscii a pronunciare neppure una parola gentile, che potesse esprimere la profonda gratitudine che provavo verso colei che mi aveva teso la mano della salvezza.

 

Ma senza capire né come, né perché, dalla mia bocca prese forma una doverosa supplica:

 

“Lei…non possiamo lasciarla qui”

 

“Non preoccupatevi Edward. Vostra moglie non nuocerà più a nessuno se è questo il vostro desiderio. La decisione che avete preso non è facile, ma vi fa onore”.

 

Quell’affermazione fece spazio ad innumerevoli domande, che per il momento rimasero silenziose dentro di me.

Solo una decisi di rivolgerle, ma prima ancora che potessi esprimerla, lei mi sorrise e disse:

 

“Io sono Alice…Alice Cullen”.

 

Grazie per avermi dedicato un po' di tempo. Se poi voleste lasciare anche un commentino, mi fareste felice, anche critiche, parolacce, imprecazioni...ogni cosa aiuta a capire i propri errori.
Ho scritto una pseudo OS, non che me ne vanti, per carità, so che è pessima, ma verrà ripresa nel prossimo capitolo...ebbene sì, mi cito da sola! la follia non ha limite! Per il lancio dei pomodori, passate da qui.

Austen95: ancora curiosa? Spero di sì, grazie per aver letto lo scorso capitolo e fammi sapere se ti sia piaciuto anche questo.
Mirya: ti ringrazio per i tuoi commenti sempre troppo lusinghieri....paradossalmente mi piace scrivere di più di Edward, anche se non sono assolutamente brava nel farlo, nel rendere le sfumature della sua mente rigida e contorta, ma vabbè.
micht82: grazie, è vero, Edward ha scelto di non essere un mostro, ma ancora non si è trovato di fronte alla sua più grande tentazione!
   
 
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