Storie originali > Avventura
Segui la storia  |       
Autore: cabol    16/05/2010    1 recensioni
Dietro una porta ermeticamente chiusa può celarsi un pericolo misterioso, un favoloso tesoro, un terribile segreto. Aprirla può voler dire trovare tutto questo o chissà cos'altro. Ma certamente ci troveremo sempre l'avventura.
Mille e mille sono le leggende che i bardi raccontano, sull’isola di Ainamar. Innumerevoli gli eroi, carichi della gloria di imprese epiche. Eppure, in molti cantano anche le imprese di un personaggio insolito, che mosse guerra al suo mondo per amore di giustizia.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'I misteri di Ainamar'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 8

Capitolo 8: Notte di paura

Un’ombra si avvicinò al palazzotto di Brook. Si muoveva agile e silenziosa come il vento, completamente ammantata di nero. Giunta quasi di fronte al palazzo, svoltò in una strada laterale e si arrampicò con agilità felina sul tetto di una casa per porsi in osservazione, sdraiato sulle tegole, accanto al comignolo. Le luci della casa del mercante si spensero una dopo l’altra. Restavano solo le luci del museo e le due torce davanti al portone sbarrato.

Probabilmente Brook è nella stanza del tesoro.

Blackwind non aveva smesso un attimo di pensare al mistero di quella stanza. Il rubino era falso così come le antiche grandi anfore valdoriane e le statue del Formensiar. Cosa poteva esserci, allora, di tanto prezioso da proteggere con una porta incantata? Potevano essere le prove dei suoi traffici? Blackwind era ragionevolmente convinto che, dopo che gli orchi ed i briganti dei boschi occidentali erano stati sbaragliati, Brook non avesse cessato i suoi commerci d’armi, limitandosi a cambiare clientela. Ma di che genere di prove poteva trattarsi? Documenti non ce n’erano né armi di alcun genere.

E allora, cosa c’era dietro quella porta?

Scrutava nell’oscurità, gli occhi fissi sul palazzo con tutti i sensi all’erta, cercando di rivedere con la mente la misteriosa stanza del tesoro. Ripensava alla porta, la serratura incantata, le pareti coperte da scaffali, le anfore, le statue antichissime e... false.

Cos’altro c’era?

La mente del ladro corse ancora agli scaffali riempiti di vasi pregiati, anch’essi falsi, che dal pavimento istoriato giungevano fino alla volta a botte. Le immagini scorrevano davanti ai suoi occhi, illuminate dalla debole luce che giungeva dal corridoio.
Potevano esserci dei documenti nascosti fra quei finti tesori? Non gli pareva di aver notato contenitori adatti. Algernon puliva quella stanza tutte le mattine, se in quella stanza c’erano dei documenti segreti, il maggiordomo avrebbe finito per scoprirli. Doveva esserci dell’altro. E proprio non riusciva a spiegarsi il significato di quelle opere d’arte contraffatte.
Ma poi perché prendere tante precauzioni per proteggere dei falsi? E perché tanta cura? Avrebbe potuto essere un museo e non c’era un granello di polvere da nessuna parte. Evidentemente il maggiordomo doveva essere convinto di occuparsi di opere originali.
Aveva più volte parlato con quell’Algernon, sotto diversi travestimenti. L’anziano maggiordomo pareva essere proprio una brava persona ed era difficile credere che potesse essere al corrente delle attività di Brook.

Cosa c’era dietro quella porta?

Ripensò alla strana sensazione che aveva avuto osservando il palazzo dall’esterno. Qualcosa non tornava e, ripensando alla disposizione delle stanze del palazzo, cominciava a sospettare di cosa poteva trattarsi.
La sua attenzione si rivolse per un attimo ai vapori che si levavano dal giardino accanto al palazzo di Brook. Al buio parevano ancora più abbondanti che di giorno. Rabbrividì. L’aria stava diventando sempre più fresca e Blackwind desiderò di potersi immergere in quelle calde sorgenti. Si avvolse più strettamente nel mantello. L’autunno volgeva al termine e presto sarebbe cominciata la brutta stagione, durante la quale le navi cessavano i loro viaggi e Elosbrand entrava in una specie di letargo.
Dagli alberi del giardino di Irlentree una civetta emise il suo caratteristico verso.

***

Elowen si aggirava prudentemente nello splendido giardino del ricco armatore. Vedeva le volute di vapori biancheggiare davanti a lei e il riflesso della luna nelle acque calde delle sorgenti. Si arrampicò su un albero nei pressi della pozza d’acqua. Il vapore l’avvolse un momento e temette di mettersi a tossire. Rapidamente spostò il suo agile corpo fuori dal vapore, balzando silenziosa e agile come uno scoiattolo su una quercia poco distante. Si passò una mano sugli occhi e li sentì bruciare. Guardò la sua mano e la vide sporca di un’impalpabile polvere grigia.
Fuliggine.

Rimase un attimo meravigliata, chiedendosi dove aveva potuto sporcarsi in quel modo. Poi la sua attenzione fu attratta da un movimento nell’ombra. Sul tetto della casa lì accanto, qualcuno si muoveva con estrema prudenza, in silenzio. Qualcuno che osservava con attenzione il tetto dove Blackwind era salito.

***

Una figura nascosta fra le ombre nei pressi del palazzo di Brook scrutava la sua vittima arrivare, silenziosa e prudente. La vittima si muoveva anch’essa fra le ombre ma la vista ereditata dai genitori mezzelfi permetteva alla misteriosa e minacciosa figura di vederla chiaramente.
E questa vide che la vittima si arrampicava sul tetto della casa di fronte e si nascondeva dietro il camino.
Vide che stava osservando il palazzo.
Vide che si sdraiava sulle tegole.
Vide che era assorta e immobile.

Decise di muoversi e sguainò il pugnale.

Una civetta cantò.

Il pugnale avrebbe colpito presto.
Il pugnale avrebbe spezzato un’altra vita.
Il pugnale le avrebbe dato di che vivere bene per un altro lungo periodo.

Una civetta cantò.

Era l’ora di uccidere.

Si spostò rapidamente verso la casa dove la sua vittima attendeva di morire. Si arrampicò sul tetto adiacente e si sporse un po’ per assicurarsi che quel nemico sconosciuto, la vittima condannata, fosse sempre lì, ignaro di tutto, immobile, mentre la morte si avvicinava.
Scivolò sul tetto dove era sdraiata la figura ammantata di nero.
Una civetta cantò.
Giunse al camino. Era buio, vedere qualcosa era estremamente difficile e solo il mantello e il cappello della vittima, leggermente mossi dal vento, ne tradivano la presenza. Sarebbe stato ancora più facile del previsto. Un altro avversario indegno di lei. Preparò il colpo con calma, si avvicinò in silenzio, fino a pochi passi dalla vittima immobile.
Scattò con un balzo e vibrò il fendente mortale.
La lama quasi si spezzò sulle tegole del tetto. La mano sicura si torse per la violenza del contraccolpo e il sicario comprese che aveva accoltellato un mantello appoggiato sul tetto.
Con la coda dell’occhio vide l’elsa dello stocco piombare sul suo capo.
Poi tutto fu buio.
 
***

Brook entrò nel suo studio con una strana inquietudine. Finalmente quella tremenda giornata era giunta al termine. Il colloquio con Sfi’Hak lo aveva irritato oltremodo. Quel maledetto mago lo derideva e umiliava col suo disprezzo. Però aveva bisogno di lui e della copertura che garantiva. Ma anche Brook aveva bisogno di quel mago e dei suoi infernali aiutanti. Senza di loro non avrebbe avuto modo di sviluppare a tal punto il contrabbando d’armi. Però averli così vicino alle sue ricchezze lo preoccupava. Per questo aveva sostituito il rubino. E nessuno avrebbe potuto immaginare dov’era nascosto.
E poi quella donna. Una donna bellissima ma pericolosa come la coda di una viverna. Avrebbe trovato estremamente piacevole frequentarla se non avesse avuto quell’inquietante alone di morte attorno a sé. Però era fra i migliori del suo ramo. Formidabile, efficace e spietata. Aveva accettato l’incarico senza esitazioni. L’avrebbe portato a termine con la sua letale efficienza.
E, infine, il mercenario. Era riuscito a comprarlo ma per un terribile momento aveva temuto che fosse stato sul punto di rifiutare la sua offerta. Se non l’avesse corrotto, Sfi’Hak non avrebbe perdonato quell’errore.
Rabbrividì.
La tenue luce della bugia che teneva in mano tremolò un po’ nel varcare la soglia del suo studio. Chiusa la porta, il ricco mercante si diresse verso la scrivania con passo sicuro. Si avvicinò alla lampada e armeggiò un poco per accenderla. Gli parve di avvertire un leggero odore di vino. Possibile che avesse lasciato una bottiglia aperta?

Click.

Il mercante si voltò bruscamente verso la porta, da dove aveva avvertito nitidamente il rumore di qualcosa che era scattato. Guardò la porta senza capire, poi si accorse che la chiave era scomparsa.
 
«Buonasera, signor Brook».

La voce, tranquilla, leggermente ironica, assolutamente priva di qualsivoglia accento, proveniva dalla poltrona vicina al tavolino, accanto alla porta. Brook girò rapidamente il paralume per vedere meglio. Seduto comodamente sulla poltrona c’era quello che pareva un gentiluomo elegantemente vestito di nero, con il capo coperto da un ampio cappello a tese larghe adorno di una splendida piuma nera. Teneva in mano un calice di vino rosso e, sul tavolino, accanto a lui, una bottiglia e un altro calice parevano attendere un ospite di riguardo.

«Accomodatevi, prego. Questo squisito nettare vi attende già da qualche minuto».

La mano destra di Brook scivolò nascostamente nel cassetto della scrivania, mentre il trafficante d’armi teneva gli occhi fissi sul misterioso ospite.

«Se è la balestra da mano che cercate, temo di averla già presa io. Non datevi disturbo, eccellentissimo signore».

La voce dell’uomo vestito di nero suonava beffarda nel silenzio della stanza. Brook fece uno scatto verso la parete e afferrò il cordone della campana che usava per richiamare la servitù. Lo tirò con forza ma, al primo strattone, l’intero cordone gli cadde addosso, senza che la campana emettesse alcun suono.

«Suvvia, egregio signore, perché volete che qualcuno venga a disturbarci? Accomodatevi a questo tavolo, siamo fra gentiluomini, mi pare».

«Blackwind?».

Il gentiluomo vestito di nero fece un cenno di assenso col capo. Brook ebbe l’impressione che avesse anche sorriso, da sotto quel cappello che gli manteneva il viso in ombra.

«Ho sentito che mi chiamano così e devo dire che non mi dispiace affatto. Accomodatevi. Dopotutto siete il padrone di casa. Assaggiate quest’ottimo vino, signore. È veramente sublime. E poi viene dalla vostra collezione, nell’armadio qui accanto».

Brook rimase un attimo a guardare la figura comodamente seduta la cui mano inguantata gli stava indicando la poltrona accanto alla sua.
Il sicario aveva fallito.
Si sedette, cupo in volto, e prese il calice sul tavolino. Quando lo avvicinò alla bocca, trasalì.

«Morello di Rhest[7], del 325. Splendida annata, mi congratulo per il vostro gusto. Un colore meraviglioso. Sapevate che lo chiamano anche ”rubino di Rhest”?».

Brook non disse nulla ma i suoi occhi dardeggiavano fuoco dal suo volto fattosi improvvisamente terreo. Avrebbe voluto uccidere quell’uomo che continuava a parlargli tanto beffardamente.

«Ovviamente lo sapete. Siete stato quasi sul punto di giocarmi. Purtroppo, la vostra presunzione è seconda solamente alla vostra assoluta mancanza di scrupoli. La bottiglia è poco polverosa, al contrario delle altre. Appena l’ho vista ho immaginato dov’era nascosto il rubino».

«Siete solo un volgarissimo ladro!».

«Di queste parole mi darete soddisfazione a tempo e luogo, signore. Sono un ladro, non lo nego, ma definirmi volgare è un’offesa gratuita. Intanto cessate di agitarvi e accomodatevi su questa poltrona, abbiamo alcune cose da dirci».

Brook eruppe in una sequela di bestemmie e insulti di encomiabile varietà e colore, che coronò con un altrettanto elegante proposito.

«Sono pronto fin d’ora a tagliarvi la testa».

«Non lo metto in dubbio. I modi da boia non vi mancano. E nemmeno l’animo, vedo. Però l’offeso sono io e sceglierò io luogo e ora per regolare i nostri conti. Stasera ho altro da fare, eccellentissimo mercante d’armi».

«Case da svaligiare?».

Brook cercò di dare un tono beffardo alla sua voce ma questa uscì alquanto stridula dalla sua bocca.

«Perché dovrei, se ho già quel che cercavo? O c’è qualcos’altro? Cosa custodisce la stanza del tesoro?».

Brook divenne ancora più pallido e la sua voce più incerta.

«Non so davvero di cosa parliate…».

«Bene, allora vi racconterò una storia, prendendo spunto da questo».

Come per magia, sulla mano inguantata di Blackwind era comparsa una piccola splendida sferula rossa.

«Maledetto ladro! Ridammelo!».

Brook fece per scattare addosso a Blackwind ma si arrestò quasi subito davanti alla punta di uno stocco, fulmineamente sguainato e minacciosamente rivolto verso il suo petto.

«Detesto la violenza ma so difendermi. Ora sedetevi e cercate di mantenere un po’ di contegno, eccellentissimo signore».

«Non osereste uccidermi. Vi siete sempre vantato di non usare la violenza».

«Non intendo affatto uccidervi. Al contrario, vi sto salvando la vita: sappiate che, dietro quella tenda, un mio fidato amico vi tiene sotto tiro con una balestra. Quindi evitate di fare sciocchezze».

Il mercante si voltò verso la tenda e vide che da sotto di essa spuntavano un paio di stivali. Un’insolita piega del tessuto celava a malapena la punta del dardo, rivolta verso di lui.
Brook si lasciò cadere pesantemente sulla poltrona, puntando gli occhi carichi d’odio addosso alla figura paludata di nero. Meccanicamente, prese la coppa di vino e se la portò alle labbra.

«Questo meraviglioso rubino, invece di essere nella inaccessibile camera del tesoro, era curiosamente nascosto in una bottiglia di vino. Nella camera del tesoro c’era un falso, assieme a numerosi altri oggetti d’arte contraffatti. Perché? Mi sembrava poco credibile che fosse solo per sfiducia nei confronti delle difese della vostra casa. Soprattutto se pensiamo a una porta difesa addirittura da un incantesimo».

«Avevo le mie buone ragioni».

Brook sentiva la propria voce come fosse lontana. La vista andava annebbiandosi. Aveva tanto sonno.

«Infatti. E mi chiedevo quali fossero. Perché mai avevate messo tante protezioni su quella porta che non custodiva altro che alcuni pregevoli falsi? Semplice: dovevate evitare che qualcuno scoprisse cosa celava in realtà la stanza del tesoro e d’altra parte sapevate che in quella stanza poteva entrare qualcuno di cui non vi fidavate. Escluso Algernon, nessuno avrebbe potuto oltrepassare la porta blindata, eccetto, forse, il mago che l’aveva incantata. Dunque, era improbabile che poteste temere uno dei due. Doveva essere qualcun altro. Qualcuno che non aveva bisogno di passare dalla porta per entrare».

Brook non aprì bocca. Pareva assolutamente incapace di muovere un solo muscolo, faceva decisamente fatica a tenere gli occhi aperti. Blackwind riprese a parlare.

«Occorrono settantacinque passi per giungere dal museo alla finestra in fondo a questa stanza. Ne bastano una settantina per arrivare alla parete di fondo della stanza del tesoro, proprio qui accanto. Buonanotte, caro mercante. Domani la vostra attività segreta subirà un brutto colpo».

Brook fece un timido cenno di protesta, poi parve arrendersi. Gli occhi si chiusero e il respiro si fece regolare. Non vide Blackwind sfilare la chiave della stanza del tesoro dalla sua borsa.

[7] Città antichissima del nordovest di Ainamar
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Avventura / Vai alla pagina dell'autore: cabol