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Autore: Kiki75    16/05/2010    1 recensioni
Jack ed Ennis hanno adottato la piccola C.J., figlia di Cassie Cartwright. E adesso? (da "I segreti di Brokeback Mountain")
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ennis Del Mar , Jack Twist, Nuovo personaggio
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Come sei veramente
Restless heart syndrome

3 – Ennis

Maggio 1984

Jack e C.J. stavano tardando, è vero, ma Ennis mai si sarebbe aspettato che fosse accaduto loro qualcosa: semplicemente, credeva avessero perso tempo nei negozi e si fossero fermati a mangiare un boccone. Non sarebbe stata la prima volta.
In precedenza, però, lo avevano sempre chiamato, dal locale stesso o da una cabina telefonica. Ora, invece, erano le sette e mezzo e non si erano ancora fatti sentire.
Quando fossero tornati, avrebbe fatto passare loro un brutto quarto d'ora. O meglio: avrebbe fatto passare un brutto quarto d'ora a Jack. Era lui l'adulto, era lui che avrebbe dovuto pensare a chiamare a casa e avvertire del ritardo, e invece a quarant'anni aveva sempre la stessa testa fra le nuvole di quando ne aveva diciannove.
Accidenti a lui.
Alle otto di sera, quando Ennis si era ormai fumato un pacchetto intero di sigarette, indeciso se chiamare la polizia o prendere il furgoncino e andare verso Casper, sperando di incontrare Jack e C.J. per strada, squillò il telefono.
Twist, adesso mi senti, pensò Ennis, in parte sollevato, in parte furioso. Forse Jack e C.J. si erano davvero fermati a mangiare qualcosa, e per qualche motivo a lui sconosciuto non avevano avuto la possibilità di avvisarlo.
"Pronto", disse, con la voce alterata da collera mista ad ansia.
"Signor del Mar?" domandò una voce femminile.
"Sono io", replicò Ennis, colto di sorpresa. "Con chi parlo, mi scusi?"
"Mi chiamo Frances Collins", rispose la voce. "Sono lo sceriffo della contea."
Le gambe di Ennis iniziarono a tremare. Non era Jack, era lo sceriffo, e per di più uno sceriffo donna. "Cosa..." iniziò, non sapendo come continuare.
Calma. Calma, magari vuole solo chiederti gli orari domenicali del maneggio.
"Signor del Mar", disse la Collins. "La chiamo dall'ospedale di Casper. Ora mi ascolti, c'è stato un incidente..."
"Jack e C.J. stanno bene, vero?" l'interruppe Ennis, con la gola chiusa.
"Può raggiungerci qui al pronto soccorso?" domandò lei.
"Come stanno Jack e C.J.?" insisté Ennis, con voce troppo stridula. Quella donna lo stava facendo innervosire, e già aveva di che essere nervoso per conto proprio.
"La bambina è in stato di shock, ma sta bene", si arrese lo sceriffo. "E' stata lei a dirmi di chiamare questo numero."
"E Jack? Come sta Jack?"
"Senta, non le posso dire di più. E' stato picchiato, e..."
"Picchiato?" gridò Ennis. Si accorse di essere scosso da un tremito violento. "Non è stato un incidente, allora. Che è successo?"
"Mi lasci parlare con lui", la voce di C.J..
"Ma..." obiettò lo sceriffo.
"La prego..."
La Collins passò la cornetta a C.J., che mormorò: "En..."
"Piccola, come stai? Stai bene, vero?"
"Io... io sì..." C.J. stava per scoppiare in lacrime. "Ma papà... En, mi dispiace... m-mi dispiace..."
"C.J., che è successo?" esclamò Ennis,
cercando di mantenere la calma e non riuscendoci. "Come sta tuo padre?"
"Junior Thompson ci ha aggrediti", singhiozzò C.J.. "George Thompson Junior... erano in tre... lui aveva un cacciacopertone..."
"Cosa?" Proprio come C.J. un'ora prima, anche Ennis si sentì piombare in un incubo. Non c'era altra spiegazione: quello che stava succedendo non poteva essere reale. Doveva essere un incubo, o uno scherzo... magari una Candid Camera, come alla televisione. Fra pochi minuti Jack e C.J. e quella maledetta sceriffa sarebbero saltati fuori e avrebbero gridato "Scherzetto!", e allora sì che lo avrebbero sentito: se li sarebbe mangiati vivi.
"Avrei dovuto dirvelo", pianse C.J.. "Lui… io non credevo che potesse… non avrei mai creduto…"
"Cosa, C.J.?" domandò Ennis. "Cos’è che non credevi? Come sta tuo padre?"
Lei scoppiò in lacrime disperate, e la Collins le prese il ricevitore dalle mani: "Signor del Mar, la ragazzina è troppo sconvolta. Venga qui al pronto soccorso il prima possibile."
"Mi dica come sta Jack, dannazione!" esplose allora Ennis. Con C.J. si era trattenuto, per evitare di spaventarla più di quanto già non lo fosse, ma con la Collins,
che avrebbe dovuto essere a casa a far la calza anziché giocare ai pistoleri, poteva tranquillamente lasciarsi andare. "Cosa gli hanno fatto? E' vivo, almeno?"
"Signor del Mar", disse lo sceriffo, con calma. "Capisco che sia sconvolto, ma..."
"Cazzo, potrà dirmi almeno se è vivo!"
"E' vivo", si arrese lei. "Ma è grave. Davvero, non posso dirle di più... lo stanno visitando proprio ora."
Ennis si rese conto che l'unica cosa da fare era correre all'ospedale. "Okay, sto arrivando", disse. Buttò giù e si prese la faccia fra le mani. "Cazzo", bisbigliò. "Cazzo. Cazzo. Oh, cazzo."
Di nuovo un Thompson. Prima il padre, ora il figlio.
Peggio che una maledizione.

L'incidente, come lo aveva definito quella dannata sceriffa, era accaduto a poco più di cinque miglia dal ranch, davanti al ponte sul Platte, a pochi metri da dove iniziava il frutteto dei Williams. La Hummer blu di Jack era parcheggiata sul lato opposto della strada, con lo sportello del passeggero aperto, e intorno ad essa, due agenti di polizia, la cui auto era parcheggiata poco distante, stavano facendo i loro accertamenti. Stava iniziando a fare buio, ma c'era luce a sufficienza perché Ennis potesse vedere una grande chiazza rossa sull'asfalto e, poco distante, lo Stetson color crema di Jack, quello che C.J. gli aveva regalato per la festa del papà. Anche il cappello era tutto macchiato.
Cazzo.
Ennis non avrebbe voluto fermarsi, non avrebbe voluto vedere quel sangue troppo da vicino, senza contare che avrebbe dovuto correre in ospedale, ma il suo corpo, come munito di volontà propria, non diede ascolto alla sua mente: fece rallentare il furgone, attraversando la strada, e lo fece fermare proprio di fianco ai poliziotti, tirando giù del tutto il finestrino.
"Scusate..."
"Signore?" fece un agente.
"Che è..." Ennis non riusciva a spiccicare parola. Forse fermarsi era stata una cattiva idea. "Che è successo qui?"
"Lei chi è?" domandò l'agente.
"Io..." Ennis non riuscì a impedirsi di guardare la macchia di sangue sull'asfalto, e il suo stomaco si contrasse. Deglutì. "Io sono... mi chiamo del Mar. Sono il... mi hanno chiamato dall'ospedale... quella è la jeep del mio..." Cristo, se era difficile. "Del mio socio. Jack Twist. Lui e sua figlia... sembra che siano stati..."
"Sono stati aggrediti", confermò il poliziotto.
"Lei sa mica... ha visto niente?" Gesù, sto facendo la figura dell'idiota. "Voglio dire... ha visto Jack? Come..."
"No", fece l'agente. "Noi stiamo solo facendo dei rilevamenti, quando siamo arrivati l'ambulanza era già partita."
"Ah", fece Ennis. "Grazie lo stesso."
"Si figuri. Buona fortuna."
"Grazie", disse Ennis, sollevando una mano in segno di saluto. Ingranò la prima e ripartì sgommando.
Fermarsi era stata una pessima idea.

C.J. era seduta su una panca della sala d'aspetto del pronto soccorso, vicino a quella che doveva essere Frances Collins, alias la sceriffa, che le teneva un braccio intorno alle spalle. Aveva smesso di piangere, ma il suo viso era stravolto e pallidissimo. Quando vide Ennis correrle incontro, si alzò e si rifugiò fra le sue braccia, e riprese a singhiozzare.
"En… En, mi dispiace…"
"Sst… buona, piccola, buona", sussurrò Ennis, stringendola e sentendola fragile e tremante. "Va tutto bene, adesso ci sono io. E' tutto a posto."
"No che non è a posto!" esclamò lei. "Papà… papà è… Junior voleva ammazzarci tutti e due!"
"Calma, C.J.", disse Ennis. "Dov’è tuo padre?"
La Collins si avvicinò. Era una donna alta, sui trentacinque, capelli castani tagliati corti sotto il cappello, niente trucco, spalle larghe, seno inesistente. A completare l'opera, Ennis notò che, dai risvolti delle maniche, fuoriuscivano alcuni tatuaggi, fra i quali un pugnale sull'interno dell'avambraccio sinistro.
Ecco
pensò. Siamo proprio in buone mani.
"Lei è il signor del Mar?" domandò lo sceriffo. "Io sono..."
"Dov’è Jack?" quasi gridò Ennis. Fu spaventato dal suono della propria voce: stava gridando e stava per mettersi a piangere, proprio quando avrebbe dovuto fare coraggio a C.J.. "Come sta?"
"E' ancora dentro", rispose lo sceriffo. "Ci hanno detto di aspettare qui."
"Cazzo, dannazione", sbottò Ennis, e 
C.J. sussultò fra le sue braccia: "L’hanno p-p-picchiato", singhiozzò. "Avevano un cacciac-c-copertoni… e lui mi ha di-difesa… m-ma erano in t-t-tre…"
"C.J…." Ennis le carezzò la testa.
"Mi ha d-detto di scappare", continuò C.J.. "E io sono… s-sono scappata… En, io sono scappata e ho lasciato che papà venisse picchiato!" La sua voce si ruppe, ed Ennis la strinse: "Tranquilla… tu non potevi fare niente. Potevi solo scappare."
Con la coda dell'occhio, vide Frances Collins allontanarsi e raggiungere il suo vice, un uomo corpulento che doveva essere più anziano di lei, in piedi vicino alla macchinetta delle bevande, dall'altra parte della stanza. Quella donna doveva avere guardato un pò troppi film western, e doveva essersi identificata un pò troppo con John Wayne anziché con la bella-da-salvare di turno, ma almeno riusciva a capire quando era il momento di togliersi dai piedi.
"En..." fece C.J., esitante. "Ti ricordi il tipo che mi ha riaccompagnata a casa?"
"Sì", disse lui, intuendo quello che C.J. gli avrebbe raccontato.
"Era George Thompson Junior", disse infatti lei. "L'ho conosciuto quel giorno... ma non credevo che potesse farci… una cosa del genere. Mi ha aiutata con Mark e i suoi scagnozzi, sembrava… sembrava… amichevole. Anche se…"
"Anche se?" la incalzò Ennis.
"Mi ha detto delle cose strane", ammise lei. "Mi ha detto… che papà non è mio padre. Mi ha detto che… che io sarei sua sorellastra. Io sarei la figlia di George Thompson." Poi, guardandolo dritto in faccia: "E' vero, En? E' così?"
"Piccola mia", riuscì solo a mormorare Ennis.
Lei si sciolse dall'abbraccio: "Perché non me l'avete mai detto? Perché?"
"C.J.... avremmo voluto, ma..."
"Perché, Ennis?"
"Perché non sapevamo come dirtelo", ammise Ennis. Era la verità. "Ci sembrava... troppo."
"Cos'aspettavate, che lo venissi a sapere direttamente da quel bastardo?" C.J. era addolorata e arrabbiata.
"No. Ma... oh, piccola, mi dispiace", Ennis non era mai stato bravo con le parole, ma doveva cercare, in qualche modo, di rimediare il danno. "Credevamo che fossi ancora... troppo piccola. Volevamo aspettare ancora un pò... e più aspettavamo, e più dirtelo diventava difficile... e..."
"Dannazione!" esclamò C.J., portandosi rabbiosa i pugni alle tempie.
"Ti capisco, se sei arrabbiata", seguitò Ennis. Più cercava di calmare C.J., più sembrava che lei si innervosisse. Forse avrebbe fatto meglio a tacere. "Ma... non prendertela con tuo padre, per favore. Non è colpa sua. Lui avrebbe voluto dirtelo... ero io che..."
Lei lo guardò, gli occhi ancora pieni di lacrime. "C'è qualcos'altro che mi avete tenuto nascosto?"
"Nient'altro", disse lui.
"Nient'altro?" insisté lei.
"Nient'altro", confermò Ennis.
"Come faccio a crederti, En?" domandò lei. "Come faccio, adesso?"
"Non lo so", sospirò Ennis, rassegnato. "Perdonami, se puoi. E non avercela con tuo padre."
Lei tacque per un attimo, la testa bassa. Poi rialzò lo sguardo: "Guarirà, vero?"
Ennis sentì di nuovo le lacrime salirgli alla gola, agli occhi. Aprì le braccia, accogliente. "Ma certo. E' forte come un toro."
"Sì, lo so", confermò C.J., con gli occhi lucidi. "Mi ha difesa, da solo contro quei tre." si avvicinò ad Ennis, incerta.
"Vieni qui", fece Ennis. Aveva un disperato bisogno di abbracciarla, di farsi abbracciare. "Per favore."
"Il mio papà", mormorò C.J., e si rifugiò di nuovo fra le braccia di Ennis, nascondendo la faccia nel suo petto. "Io gli voglio tanto bene. Non m'importa se non è... il mio vero papà. Sarà sempre il mio papà lo stesso."
Ennis la strinse. Non sapeva più cosa dire.


Pochi minuti dopo, tornò la Collins, accompagnata dal vice. "Va meglio, C.J.?" domandò.
"Sì, Frances, grazie", rispose C.J..
"Senta, signor del Mar", disse lo sceriffo, tendendogli la mano destra e puntandogli addosso un paio di occhi blu. Ennis notò costernato la farfalla tatuata sulla mano, accompagnata da una rosa all'interno del polso, il cui gambo si snodava intorno al braccio come un serpente. Chissà quanti altri ne aveva addosso... e chissà come avevano fatto a eleggerla sceriffo. "Non le sto molto simpatica, questo l'ho capito. Ma
devo farvi qualche domanda, e ho bisogno di tutta la sua collaborazione."
"Avete già trovato quei figli di puttana?" domandò Ennis, stringendole la mano e mettendoci più energia del dovuto. La Collins non si fece intimidire e rispose con una stretta che gli lasciò il segno delle cinque dita.
"E' per questo che dovete raccontarmi quello che sapete", disse poi. "C.J. mi ha già raccontato qualcosa, ma era troppo sconvolta e non ho voluto insistere. Ora però, che c'è anche lei... C.J., te la sentiresti di dirmi tutto quello che è successo, dall'inizio?"  
C.J. annuì. Si sedettero tutti e quattro sulle panche, e
C.J., a volte con calma, a volte con le lacrime agli occhi, raccontò tutti i dettagli di quello che era successo: quando aveva conosciuto Junior Thompson, la sua decisione di non dire niente a casa, il pomeriggio trascorso con Jack a fare compere, e infine l'aggressione di Junior e dei suoi due complici. Dopo che Jack l'aveva fatta scappare, si era messa a correre più veloce che poteva in direzione del ranch, inseguita dai due ragazzi. Aveva quasi raggiunto il campo di grano degli Smith, non ancora mietuto, e aveva pensato di buttarsi in mezzo alle spighe con la speranza di nascondersi, quando aveva notato una Buick arrivare da Edgerton: così si era invece lanciata in mezzo alla strada, sbracciandosi e gesticolando e gridando, e l'uomo al volante, un cinquantenne che stava andando a trovare la sorella insieme al figlio sui venticinque, si era fermato. Quelli che la stavano inseguendo dovevano avere avuto paura, e si erano dileguati nel campo alla loro destra proprio come aveva pensato di fare lei.
"Mi dispiace, En", si era scusata C.J.. "Sono di nuovo salita su con degli sconosciuti."
"Non potevi fare altro", aveva detto Ennis. "Anzi, sei stata molto coraggiosa."
"No", aveva detto lei. "Sono scappata, mentre papà veniva picchiato."
"Invece sì. Hai chiamato aiuto e hai evitato che lo massacrassero."
Tornati sul luogo dell'aggressione, avevano trovato la jeep con lo sportello aperto dalla parte del passeggero, proprio come l'aveva vista Ennis, e Jack a terra bocconi, incosciente, che perdeva sangue da una brutta ferita alla testa: nessuna traccia del pick-up verde, né di Junior Thompson. Come in un film, C.J. si era buttata su suo padre, chiamandolo e piangendo, e mentre l'uomo che l'aveva aiutata cercava invano di calmarla, suo figlio era risalito sulla Buick e, dalla fattoria dei Williams, distante meno di un miglio, aveva chiamato l'ambulanza e la polizia. Dal momento dell'aggressione, erano trascorsi meno di dieci minuti.
"Bisogna che mettiate sotto sorveglianza il ranch", disse Ennis. "E la stanza di Jack.
"
"Purtroppo, non ci sono gli estremi per una cosa del genere", rispose la Collins. "Almeno per ora."
"Sta scherzando?" sbottò Ennis. "Quello squilibrato potrebbe voler terminare quello che ha iniziato, e non c'è dubbio che sia abbastanza fuori di testa per riprovarci."
"En..." fece C.J., stringendosi al suo braccio, spaventata.
"Tranquilla", disse Ennis. "Dì che me lo trovo davanti, e gli faccio ingoiare il pavimento."
C.J. sorrise debolmente.
La Collins sospirò. "L'ospedale è comunque sorvegliato", spiegò. "E per quanto riguarda il vostro ranch, la zona è già tutta sotto controllo, e stiamo lavorando per fare altrettanto con l'abitazione di Junior Thompson e con tutti i luoghi che frequentava abitualmente."
"Quindi, secondo lei non dobbiamo preoccuparci."
"Direi di no", confermò lei, con un sorriso. "Voi preoccupatevi del signor Twist, che a Thompson ci pensiamo noi."
"Speriamo", fece Ennis.
"Allora, noi andiamo", disse la Collins, alzandosi, seguita dal vice. "In bocca al lupo per tuo papà, C.J.", lo sceriffo l'abbracciò. "Vedrai che andrà tutto bene."
C.J. ricambiò l'abbraccio, con gli occhi di nuovo lucidi: "Sì..."
Ennis si era aspettato anche un altro tipo di domande: invece, lo sceriffo non aveva minimamente sfiorato l'argomento. "Scusi", iniziò.
"Sì?" fece la donna.
"Lei... non vuole sapere chi sono io?" domandò Ennis, non senza imbarazzo. "Voglio dire..."
"Lo so già", disse la donna. "C.J. mi ha detto tutto."
"Tutto?" domandò Ennis, mentre C.J. chinò la testa.
"Lei vive con C.J. e suo padre", asserì la Collins, con un sorriso storto. "Ed è socio in affari del signor Twist dal '67."
Ennis deglutì.
"E' il suo unico parente", continuò lo sceriffo. "Ed è l'unico a cui C.J. si possa rivolgere, a parte gli Hamilton, in caso di impedimento di suo padre."
"Bè..."
"Non ci sono documenti che lo certifichino", seguitò la donna. "A parte l'atto di comproprietà del terreno, credo... e naturalmente, l'attaccamento che questa bambina ha nei suoi confronti."
C.J. si guardò i piedi, imbarazzata, mentre Ennis si trovò a corto di parole. Quella donna non era scema, aveva capito tutto, ma faceva finta di niente.
"Grazie", fece Ennis, e le porse la mano.
"Non c'è di che", rispose la Collins, e ricambiò la stretta. "Abbia cura di C.J. e del signor Twist."
"Lo farò."

Ennis e C.J. rimasero ad attendere seduti, l'uno accanto all'altra, nella sala d'aspetto del pronto soccorso. Lui le offrì di prendere qualcosa da mangiare e da bere dai distributori automatici, e lei disse che non aveva appetito, ma accettò di prendere un tè, e mentre beveva, Ennis le raccontò di come avevano conosciuto Cassie, della notte in cui lei aveva tentato di suicidarsi, e della loro decisione (della decisione di Jack) di ospitarla al ranch in cambio di qualche faccenda domestica. Non fu semplice per Ennis, e il fatto che fosse un pessimo oratore non lo aiutò, ma C.J., almeno apparentemente, sembrò capire. Forse era talmente sconvolta da quello che era successo due ore prima da non riuscire ad assimilare appieno il racconto di Ennis, e quando la situazione fosse tornata normale, lo avrebbe tempestato di domande; ma avrebbero affrontato la questione al momento opportuno, se fosse capitato.
Dopo una mezz'ora, arrivò un'infermiera: Jack era stato trasportato nel reparto di terapia intensiva, potevano raggiungerlo là. Era stabile, ma grave: aveva quattro costole incrinate e una fratturata, e contusioni ed escoriazioni dappertutto. Il peggio però era la botta che aveva preso alla testa: dalla TAC risultava un grosso versamento di sangue nel lobo parietale.
"Ma... si rimetterà?" domandò Ennis. "Andrà tutto a posto, vero?"
"Questo lo deve chiedere al primario", fu la laconica risposta.
"Andiamo", fece Ennis.
Raggiunsero il reparto, ed Ennis notò un medico e un'infermiera uscire da una delle stanze.
"Dottore", lo chiamò.
"Sì?"
il medico si voltò. Era un ometto sui cinquanta, con un assurdo papillon a righe blu e rosse invece della cravatta, e una capigliatura grigia e scompigliata che lo faceva somigliare a uno scienziato pazzo.
"Stiamo cercando Jack Twist", spiegò Ennis. "Ci hanno detto che l'hanno ricoverato qui... lei è la figlia."
"E' in questa stanza", rispose il dottore. "L'hanno appena portato."
"Come sta?" domandò C.J., sulle spine.
Il medico esitò: "Signor..."
"Del Mar", rispose Ennis, tendendogli la mano. "Sono un amico di Jack, e suo socio."
"Io sono Sam Kowalski, il primario di questo reparto", rispose il medico, ricambiando la stretta. "Signor del Mar, forse sarebbe meglio che la ragazzina..."
"No", fece C.J.. "Voglio sapere anch'io."
Kowalski guardò Ennis, che annuì: "Se per lei va bene", disse, accennando a C.J., "Va bene anche per me."
"Il signor Twist è molto grave", spiegò allora Kowalski, con aria dispiaciuta: la stessa che tutti i medici assumevano quando dovevano comunicare una brutta notizia ai parenti del ricoverato. "Per ora, non possiamo sciogliere la prognosi. Ha quattro costole incrinate e una fratturata... ma questo è il male minore, purtroppo. Il problema è il colpo che ha preso alla testa, che gli ha provocato una contusione cerebrale, con un grosso ematoma al lobo parietale. Se non inizia a riassorbirsi entro le prossime quarantott'ore, sarà necessario sottoporlo a un intervento chirurgico piuttosto delicato... e in questo caso, dovremo trasferirlo all'ospedale di Cheyenne, perché qui non ci sono le attrezzature necessarie."
C.J. si strinse ad Ennis, e lui le passò un braccio intorno alle spalle, maledicendosi per non averla fatta allontanare.
Il medico dovette notare che stava impressionando la ragazzina, perché cercò di indorarle la pillola: "Non è detto, naturalmente. L'invervento potrebbe anche non essere necessario, e tuo padre sopravvivere e guarire senza problemi. E' un uomo giovane e robusto."
"Ma se guarisse e avesse dei problemi", iniziò Ennis, temendo qualcosa che per Jack sarebbe stato peggio della morte. "Che genere di problemi potrebbero essere? Il suo cervello... non ha sofferto, vero? Non resterà..." la parola che gli veniva in mente era ritardato, ma Ennis non riuscì a pronunciarla, e non solo per evitare di spaventare C.J..
"Questo non lo sappiamo ancora", ammise Kowalski. "Potremo dirlo solo nei prossimi giorni. Comunque... potrebbe soffrire di perdita della sensibilità, o paralisi, soprattutto nel lato sinistro del corpo, e avere difficoltà di movimento e disturbi del linguaggio."
C.J. chinò la testa, ed Ennis si passò una mano sugli occhi: "Cristo."
"Mi dispiace", sospirò il medico. Non c'era altro da aggiungere.
Ennis sentì l'immagine di Earl Bowers, massacrato e sanguinante, affiorargli in testa, ma cercò di scacciarla. Non poteva permettersi di essere debole, c'era C.J. che aveva bisogno di lui.


Jack era sdraiato supino, la testa bendata, una flebo al braccio sinistro, e sembrava addormentato. Il suo viso era tumefatto, escoriato, praticamente irriconoscibile: sembrava quello di un pugile arrivato all’ultimo round senza essere mai riuscito a sferrare un pugno. Jack però aveva combattuto, le sue mani erano gonfie, le nocche escoriate e livide. Aveva difeso C.J., malgrado si fosse trovato solo e disarmato contro tre uomini, di cui uno armato di cacciacopertoni.
In tanti anni, Ennis ormai  l'aveva visto malato o ferito svariate volte (quando aveva partecipato a quei maledetti rodei si era infortunato più sì che no, finendo puntualmente al pronto soccorso), ma mai gli era sembrato così fragile e indifeso.
Forse anch'io sembravo così. Forse tutti sembriamo così, quando siamo in pericolo di vita.
"Jack…"
Jack girò la testa verso la voce, aprì lentamente gli occhi. Quello destro era normale, benché vitreo; quello sinistro invece era ridotto a una fessura in mezzo alla pelle gonfia.
"Mmm...?"
"Sono io", disse Ennis, avvicinandosi, entrando nella sua visuale e carezzandogli il braccio. "Sono Ennis."
"Ci sono anch'io, papà", intervenne C.J., portandosi di fianco a Ennis.
"Ennis", bisbigliò 
Jack, con aria confusa. "Ora... di andare..."
"Piccolo", ripeté Ennis, il cuore gonfio di angoscia. "Mi riconosci?"
"Mi dispiace..." mormorò Jack. "Non volevo... farti... male..."
"Ma cosa sta dicendo?" domandò C.J., spaventata.
"Ti ricordi cos'ha detto il dottore?" disse Ennis, cercando di sembrare calmo. "A causa della botta alla testa e degli antidolorifici, per qualche giorno potrebbe anche dire delle cose senza senso."
"Sì, ma..."
"Non preoccuparti", Ennis tentò di sorridere. "Gli è già capitato dopo una gara di rodeo. Pensa, non mi riconosceva, non ricordava nemmeno il proprio nome. Poi si è addormentato, e quando si è svegliato il mattino dopo, stava di nuovo bene."
Lei non era convinta. "Papà", disse, prendendo la mano di Jack. "Sono io. Sono C.J.."
"Piccolo... coniglietto... scorticato..." biascicò Jack. "Non... non la porti... v-via... prego..."
"Papà", disse lei, stringendogli la mano. "Sono qui, stai tranquillo. Non me ne vado."
"La testa", gemette Jack. "Scoppia..." poi chiuse gli occhi, e sembrò perdere conoscenza.
"En", fece C.J..
"Lasciamolo tranquillo", rispose Ennis. "Lasciamo che si riposi."
"Noi stiamo qui, vero?"
"Non vuoi andare a casa a dormire un pò? Posso chiamare la zia Jan e..."
"No", fece lei, risoluta. "Ho promesso a papà che sarei rimasta. E comunque, non ho voglia di dormire."
"In effetti, nemmeno io."

Ennis chiamò Janice dal telefono a gettoni nella sala d'aspetto, e le spiegò cos'era successo. Lei maledisse i Thompson fino alla centesima generazione e si offrì di andare a prendere C.J. e portarla a casa con sé. C.J. rifiutò di nuovo: preferiva restare in ospedale, almeno finché suo padre non l'avesse riconosciuta.
"In ogni caso, adesso veniamo lì", decise Jan.
"No, meglio di no", fece Ennis. "E' tardi, è già quasi mezzanotte. Aspetta domani mattina, Jan."
"Ennis, sei sicuro? Guarda che..."
"Certo. Non preoccuparti. Io e C.J. ce la caviamo."
La notte passò abbastanza tranquilla: Jack rimase quasi sempre incosciente, solo una volta si portò la mano alla fronte e si lamentò per il mal di testa e la nausea. Ennis e C.J., impotenti e silenziosi, lo vegliarono, seduti ai due lati del letto. Poi, verso le cinque e mezzo di mattina, quando Ennis stava per proporre a C.J. di andare a prendere un caffè e qualcosa da mettere sotto i denti, si accorse che Jack si era nuovamente svegliato e li stava guardando. I suoi occhi erano ancora confusi, ma non sembravano spenti e vitrei come la sera prima.
"Jack", tentò Ennis. "Ehi, mi riconosci?"
"Ennis", rispose Jack. "Ciao. Ciao, principessa." Sorrise, e malgrado la sua voce suonasse fioca e debole, 
Ennis sentì che il cuore gli veniva liberato da un macigno. 
"Ehi, papà", disse C.J., altrettanto sollevata.
"Che è successo?" domandò Jack. "Sono... in ospedale?"
Ennis gli posò una mano sulla testa. "Non ti ricordi?"
"Ricordare... cosa?"
"Junior Thompson ci ha aggrediti", intervenne C.J.. "Io sono riuscita a scappare, ma tu..."
Jack sembrò confuso per un attimo, poi i suoi occhi vennero attraversati da un lampo di consapevolezza. "Gesù", esclamò. "Come stai, C.J.? Non ti hanno fatto niente, vero? Non ti hanno..."
"Io sto bene", rispose lei. "Tu mi hai difesa, non ricordi? Mi hai difesa e mi hai fatta scappare."
Jack ridacchiò debolmente: "Insomma. Mi sono fatto legnare di brutto."
C.J. iniziò a piangere, i pugni sulla bocca.
"Sono così inguardabile?" domandò Jack.

Lei gli prese la mano fra le sue, sempre singhiozzando. "Ti fa tanto male?"
"Un po’… non tanto."
"Il dottore ha detto… c-che la tua faccia tornerà come prima", disse lei, e poi pianse più forte.
"Ehi, principessa… se me lo dici così, non ci credo."
"Scusa… ho avuto… tanta paura", pianse lei.
"Vieni qui, abbracciami", disse Jack, e lei non se lo fece ripetere e l'abbracciò piano.
"Papà, mi dispiace", singhiozzò. "Sono scappata... e ti ho lasciato lì, con quelli..."
"Sst", fece lui, carezzandole la testa. "Te l'ho detto io di scappare, no? Se ti avessero fatto del male, non avrei mai potuto perdonarmelo."
"Per fortuna è passata un'auto", disse lei, sciogliendosi dall'abbraccio e sedendosi sul letto di fianco a lui, tenendogli la mano. "C'erano questo signore e suo figlio che stavano andando a trovare la zia. Li ho fermati e siamo tornati indietro, e Junior e i suoi erano scappati."
"Tu... conoscevi già George Thompson Junior?" domandò Jack.
"Jack, non è il momento", intervenne Ennis. "E' meglio che non ti stanchi. Avremo tutto il tempo per parlare di questa storia quando starai meglio."
"Ennis, per favore", protestò Jack. "C.J., lo conoscevi? E che ti ha detto?"
Ennis sospirò, guardò C.J.: "Tuo padre è testardo come un mulo."
"Conoscevo Junior", ammise C.J.. "E' il tipo che mi ha salvata da Mark e dai suoi scagnozzi. Quella volta, mi aveva detto tutto. Che io sarei la sua sorellastra... e che quel George Thompson, quel bastardo che ha ammazzato mia madre, sarebbe mio padre naturale."
Mentre C.J. parlava, gli occhi di Jack si riempirono di lacrime. "Mi dispiace, C.J.... io... io..." balbettò.
"Stai tranquillo, papà", l'interruppe lei, carezzandogli la mano, rassicurante. "A me non me ne frega proprio niente di quello che ha detto Junior." passò lo sguardo su di Ennis, poi tornò su Jack. "Io quel Thompson non lo conosco, è solo l’assassino di mia madre, e basta. La mia famiglia è un'altra."
Ennis la guardò, stupefatto: in quel momento, C.J. gli sembrò una piccola adulta.
Jack, commosso, era senza parole.
"Il mio vero papà sei tu", riprese lei, sempre rivolta a Jack. Si portò la sua mano al viso, la baciò piano. "Sei il mio papà, e ti voglio tanto bene."
"Anch'io te ne voglio, C.J.", mormorò Jack. "Non sai quanto."
Lei sorrise. "Piuttosto... posso chiederti una cosa?"
"Spara."
"Visto come stanno le cose, volevo chiederti… posso chiamare papà anche Ennis?"
"Ragazzina..." fece Ennis.
"Siete tutti e due i miei papà", spiegò lei. "Nessuno mi ha concepita, ma tutti e due mi avete allevata... senza offesa, ma penso che sia giusto che chiami così anche Ennis."
"Per me sarebbe più che giusto", sorrise Jack. "Sarebbe bellissimo."
"En", disse lei, "Allora, posso chiamarti papà?"
"Non sai quanto lo vorrei", disse Ennis, con il cuore che straripava di gioia. Abbracciò C.J. e C.J. lo strinse: "Papà... papà En."
"La mia piccola", sussurrò lui, ringraziando che lei non lo potesse vedere: aveva di nuovo le lacrime agli occhi, brucianti e salate, ma questa volta erano di felicità e commozione.
"Guardalo, l'hai commosso", commentò Jack quando i due si staccarono, Ennis asciugandosi gli occhi. "Ha sempre desiderato che tu lo chiamassi così, solo che non voleva ammetterlo."
"Non dire fesserie", grugnì Ennis, imbarazzato. Jack sorrise e C.J. ridacchiò.
"Senti, principessa... sto morendo di sete", disse Jack. "Mi porteresti un bicchiere d'acqua?"
"Ma certo, subito", rispose lei, e uscì di corsa.
"E' una brava ragazza", disse Ennis. 
"E' meravigliosa", corresse Jack, e chiuse gli occhi con un sospiro, le labbra compresse in una smorfia di dolore.
"Jack, davvero... come stai?" domandò Ennis. Adesso erano soli, potevano parlare tranquillamente senza il timore di preoccupare C.J..
"Ho male dappertutto", rispose Jack. "Faccio fatica a respirare... ma soprattutto mi fa male la testa, mi sembra che me la stiano martellando. Dimmi la verità, Ennis, sono ridotto tanto male?"
Ennis non sapeva cosa rispondergli, così scelse le stesse parole che Jack stesso aveva usato con C.J.: "No... non tanto."
"Ennis."
"
Bè..." Ennis decise di essere sincero: Jack sembrava lucido, e perfettamente in grado di gestire la situazione. "Hai quattro costole incrinate, una fratturata, contusioni dappertutto, e una contusione cerebrale. Il vero problema sembra essere quello... se l'ematoma che hai nel cervello non si riassorbe abbastanza in fretta, dovranno operarti."
"Gesù", mormorò Jack.
"Ma non è detto", cercò di rassicurarlo Ennis, prendendogli la mano. "Anzi, sembra proprio che vada meglio. Ieri sera deliravi, mentre adesso..."
"E... la faccia?" domandò Jack.
"Sembra quella di un pugile sfigato all'ultimo round", disse Ennis, cercando di sorridere, e gli carezzò piano una guancia con il dorso di una mano. "Ma non c'è niente di rotto, tornerà come prima."
"Questa volta ho un pò paura", ammise Jack. "Anzi, no... me la faccio proprio sotto."
"Vedrai che andrà tutto bene. Stai tranquillo."
"L'importante è che C.J. stia bene", disse Jack, chiudendo gli occhi e sospirando profondamente. "Avrei preferito morire, piuttosto che facessero del male a lei."
"Jack..."
Jack riaprì gli occhi, guardò Ennis. "Sai Ennis, l'unico pensiero che avevo in testa era, Questa volta no. Questa volta, se doveva succedere qualcosa a qualcuno, doveva succedere a me. Questa volta non potevo permettere che facessero del male a qualcuno a cui tengo tanto. Piuttosto... quel Junior Thompson..."
"E' matto come suo padre", sentenziò Ennis.
"Voleva vendetta", disse Jack. "Diceva... che io e Cassie e C.J. gli abbiamo distrutto la famiglia."
"Non che ci fosse molto da distruggere."
"Già. Ma dov'è ora?"
"Non si sa. La polizia lo sta cercando, lui e i suoi due complici. Quando quei bastardi hanno visto che arrivava gente, se la sono data a gambe."
"Oh, Signore", fece Jack, portandosi una mano alla fronte. "E se quello psicopatico volesse riprovare a..."
"Non preoccuparti", lo interruppe Ennis. "Lo sceriffo dice che possiamo stare tranquilli. L'ospedale è sorvegliato, e anche la zona intorno al ranch."
"Ennis, stai attento", disse Jack. "Guardati le spalle, e non lasciare mai sola C.J.. Quello è completamente fuori di testa.
Aveva due occhi da far paura."
"Tranquillo, piccolo", Ennis gli strizzò l'occhio. "Se me lo trovo davanti, gliene do tante da farlo rinsavire."
Jack ridacchiò, imbarazzato. "Io non ne sono stato capace."
"Sei stato molto coraggioso, invece."
"Nah", sbuffò Jack. "C.J. è stata coraggiosa. Io le ho prese e basta."

Jack si riaddormentò, e per tutta la mattina continuò ad alternare momenti di incoscienza a momenti di delirio. Alle nove arrivarono Janice e Matthew: Jan si offrì di dare il cambio a Ennis, che aveva bisogno di riposare, ma lui volle restare fino a quando non fosse tornata la Collins ad aggiornarlo sulle ricerche di Junior, mentre C.J. si rassegnò a tornare al ranch con Matt.
Un'ora dopo, mentre Jack dormiva, arrivò lo sceriffo con il suo vice,
Joe Sutcliffe. Dopo le presentazioni, la Collins domandò subito come stava Jack, accennandogli con la testa.
"Non bene, purtroppo", fece Ennis. "Ha una contusione cerebrale, e se non inizia a riassorbirsi entro domani dovrà essere operato."
"Mi dispiace", disse la Collins.
"Ogni tanto, riprende conoscenza", spiegò Ennis. "Ma per lo più, se ne sta qui a dormire, o dice cose senza senso."
"Signor del Mar", disse lo sceriffo. "Mi dispiace. Davvero."
Ennis si strinse nelle spalle: A me, di più. "Piuttosto, lei invece ha buone notizie?"
"In parte", ammise lo sceriffo. 
Junior Thompson era ancora latitante, ma qualcosa di buono era successo: i suoi due complici, Christopher Warner e Brad Armstrong, quella notte erano stati sorpresi a rubare un'automobile dalla rimessa della fattoria degli Harper, poco distante da quella di Jack ed Ennis. Il signor Edward Harper, un arzillo ottantenne, aveva sentito il cane abbaiare in modo strano, così aveva imbracciato il fucile, era uscito e aveva sparato due colpi in aria mentre i due se la filavano a tutto gas con la sua Mercedes. Harper aveva chiamato la polizia, che era già in allerta e non ci aveva messo molto ad arrivare: e dopo un breve inseguimento, i due erano stati presi e messi in galera.
Warner e Armstrong, noti a Riverton per scippi e furti vari, avevano ammesso la loro colpevolezza per l'aggressione a Jack e C.J., ma avevano dichiarato di non essere affatto amici di Junior. Erano semplicemente due avventori dell'Hemingway Café, dove il ragazzo lavorava come aiuto cuoco: se l'avessero aiutato, Junior aveva promesso loro un lauto compenso, ma non aveva rivelato loro in cosa consistesse esattamente il suo piano.
"Ci aveva detto che voleva dare una lezioncina a un frocio che gli stava sulle palle", aveva spiegato Warner, forse per alleggerire la propria posizione. "Se avessi saputo che lo voleva ammazzare, e che voleva fare la stessa cosa con una bambina, non avrei mai pensato di partecipare, neanche per tutto l'oro del mondo."
"Okay", convenne Ennis. "Ma quand'è che riuscirete a prendere quello psicopatico?"
"Presto", rispose la Collins. "Stiamo sorvegliando tutti i luoghi in cui potrebbe decidere di rifugiarsi, abbiamo diffuso delle foto segnaletiche, e Thompson non è un delinquente abituale, di sicuro farà un passo falso."
"E se non lo facesse?" Ennis non era tranquillo. Guardò Jack, incosciente, la testa fasciata, il viso gonfio e tumefatto. "Dovete fare in fretta, quello voleva ammazzare..." si fermò: stava per dire qualcosa che non sarebbe piaciuto alla Collins. Al diavolo, anche a lui non piaceva quello che lei gli stava dicendo, così terminò: "Il mio compagno e mia figlia."
Lei sollevò un sopracciglio: "Che il signor Twist sia il suo compagno lo sapevo", ghignò. "Ma da quando C.J. è diventata sua figlia?"
"Mi dica piuttosto quand'è che metterete dentro quel figlio di puttana", ribatté Ennis.
"Ennis", fece Jan.
"Signor del Mar", si arrese la Collins. "Gliel'ho detto, lo stiamo cercando con tutti i mezzi possibili. Siamo andati a casa sua, e... insomma, forse abbiamo capito il motivo della sua rabbia."
"Motivo?" sbottò Ennis. "Non c'è motivo per tentare di ammazzare una persona."
"Non ho detto che lo giustifico", disse la Collins.
"E allora?" fece Ennis. "Cos'è successo a quel povero ragazzo per farlo schizzare fuori di testa e decidere di accanirsi sulla mia famiglia?" 
"Junior Thompson non è mai stato un delinquente abituale", spiegò lo sceriffo. "E' sempre stato un ragazzo fin troppo tranquillo, non sembrava covare alcun tipo di rancore verso di voi."
"Sono proprio i più tranquilli che esplodono", commentò acida Jan, ed Ennis annuì.
"Pare proprio di sì", confermò la Collins. "Due anni fa, sua sore
lla più grande si è sposata ed è andata ad abitare a Buffalo con il marito, mentre Thompson e la sorella più piccola sono rimasti a Riverton con la madre. L'anno scorso, però, sua madre si è ammalata di cancro, e in meno di tre mesi è morta. La sorellina di tredici anni è andata a vivere con la sorella più grande e il marito, mentre Thompson è voluto rimanere a Riverton, da solo, nella casa di proprietà della madre, mantenendosi con il lavoro di aiuto cuoco all'Hemingway Café."
"E allora, questo dovrebbe giustificare la sua pazzia?" domandò Ennis.
"No", fece lo sceriffo. "Ma come ha detto la signora Hamilton, può darsi che la sua rabbia si sia talmente accumulata che, infine, è letteralmente esplosa. Ho parlato con le sue sorelle... sembra che da piccolo venerasse suo padre, e quello che è successo undici anni fa lo ha sconvolto oltre misura. La morte della madre, poi, è stata un colpo tremendo. Le era molto affezionato, e riteneva suo padre colpevole per la sua malattia. Era convinto che si fosse ammalata a causa di tutta la sofferenza che lui le aveva provocato."
"E allora perché se l'è presa con noi?" sbuffò Ennis. "Perché suo padre è morto, e non poteva più prendersela con lui?"
"Forse", convenne la Collins. "Glielo chiederò quando l'avremo preso."
"Voglio chiederglielo io", disse Ennis, duro, e non ebbe bisogno di voltarsi per sentire su di sé lo sguardo ammonitore di Jan.

Quando lo sceriffo e il suo vice se ne andarono, Ennis si risolse di andare al ranch a fare una doccia e una dormita, poi verso sera sarebbe tornato per dare il cambio a Janice per la notte. Finché Jack non fosse stato fuori pericolo, non voleva lasciarlo solo.
Lo salutò con un lieve bacio sulla bocca, e Jack non reagì.
"Jan, mi raccomando", disse Ennis. "Chiamami, qualunque cosa succeda."
"Tranquillo", rispose lei. "Tu riposati."
Arrivato al ranch, Ennis trovò Matt e Don Wroe ad accoglierlo. C.J. si era fatta una doccia, aveva mangiato un boccone e ora stava riposando nella sua stanza, mentre Matt aveva spiegato la situazione a Don, e insieme avevano organizzato il lavoro per quel giorno.
"Ennis, come va Jack?" domandò Don, con sincera preoccupazione. "Matt ci ha detto che se l'ematoma che ha in testa non si riassorbe, dovranno trasferirlo a Cheyenne per operarlo."
"E' così", fece Ennis. "Potrebbe rimanerci sotto i ferri... o potrebbe anche rimanere... ritardato... da ieri sera, è stato coerente solo per una mezz'oretta, questa notte, e poi..." sentì pungere le lacrime, e le ricacciò indietro, passandosi l'avambraccio sugli occhi. Non poteva piangere, non adesso, non davanti a Don e Matt. Avrebbe pianto dopo, da solo.
"Coraggio", disse Matt, e gli batté una spalla. "Andrà tutto bene."
"Matt..."
"Jack è una roccia", confermò Don. "Vedrai che non ci sarà bisogno di operarlo, e si riprenderà perfettamente."
Ennis sentì le lacrime traboccare, e non fu capace di trattenerle. "S-scusate", disse, con una mano sulla bocca, e si precipitò su per le scale, singhiozzando. Si rifugiò in bagno, e sempre piangendo, come un fiume in piena, si spogliò e fece una lunga doccia, cercando di tenere la mente sgombra e non riuscendoci: chissà perché, continuava a venirgli in mente Earl Bowers, massacrato da Randy Jackson: solo che quello sdraiato a terra, sanguinante, non era Earl Bowers, era Jack: e colui che lo picchiava non era Randy Jackson, bensì George Thompson Junior.

Erano quasi le sette di sera: ora di tornare da Jack. C.J. volle andare con Ennis, e lui acconsentì, a patto che promettesse di tornare indietro con Jan e trascorrere la notte nella fattoria degli Hamilton.
"Okay", disse C.J.. "Prima di andare, però, dammi cinque minuti. Voglio andare a salutare i cavalli... oggi non ci sono andata, ero troppo stanca."
"Va bene, ma fai presto", fece Ennis, e mentre C.J. usciva, ebbe una folgorazione.
La Beretta 92 che tenevano chiusa a chiave nel terzo cassetto della scrivania, nello studio, da quando George Thompson senior si era intrufolato in casa.
Poteva metterla nel borsone che conteneva gli effetti personali di Jack e portarla con sé. Giusto per difendersi nel caso quello schizzato di Thompson junior ci avesse riprovato.
Giusto per difendersi. Non voglio ammazzarlo, non ci penso neanche. Io non sono un assassino.
Ne sei sicuro? Se Junior Thompson provasse a finire Jack o a fare del male a C.J. e tu fossi presente, con una pistola in mano o anche senza, sei proprio
sicuro che non avresti voglia di farlo fuori?
Ennis deglutì. Forse l'idea di portarsi la Beretta era pessima.
Ma se quello psicopatico ci avesse riprovato, una pistola a portata di mano avrebbe fatto parecchio comodo.
Solo per difenderti, pensò Ennis, raggiungendo lo studio. E comunque, vedrai che non ti servirà nemmeno. Di sicuro, è già scappato e non pensa neanche lontanamente di riprovarci. 
Ennis prese la chiave dal primo cassetto, ma proprio quando stava per infilarla nella serratura del terzo, squillò il telefono.
"Pronto", rispose Ennis.
"Signor del Mar?" la voce della Collins. "Sono Frances Collins. Tutto bene lì?"
"Una cosa giusta", fece Ennis. "Io e C.J. stiamo per tornare in ospedale da Jack. Nessuno ci ha chiamato, quindi suppongo che le sue condizioni siano..."
"Dov'è C.J.?" lo interruppe la Collins, sbrigativa.
"E' andata nelle scuderie", rispose Ennis. "Senta..."
"Mi ascolti, signor del Mar", disse lei. "Prenda la ragazzina e si chiuda in una stanza che ritiene sicura. Io e Joe stiamo arrivando lì."
"Perché, che diavolo..."
"Dieci minuti fa abbiamo ritrovato il pick-up di Junior Thompson. Era nascosto in mezzo al grano, dove il vostro terreno confina con quello dei Dickens."
"Oh, Cristo", sibilò Ennis. C.J. era nelle scuderie, da sola: tutti gli operai erano già andati via.
IdiotaL'hai lasciata andare da sola, con quel pazzoide ancora in giro.
"Stia calmo", disse la Collins. "Non è detto che Thompson voglia..."
Ennis buttò giù. Eccome che la Beretta gli sarebbe servita: se Thompson si fosse ripresentato e avesse anche solo provato a sfiorare C.J., non avrebbe esitato a sparargli
.
Provò ad aprire il terzo cassetto, ma si accorse che non era chiuso a chiave.
E questo cosa...?
Lo aprì di scatto, e per un attimo rimase esterrefatto, come inebetito, la bocca aperta, gli occhi spalancati.
La pistola non c'era.
Quel bastardo è qui in casa.
Ennis alzò la testa, come se qualcuno lo stesse osservando dalla porta.
Sulla soglia non c'era nessuno.
Calma. Magari Jack l'ha spostata perché temeva che C.J. potesse giocarci.
Ma no, te l'avrebbe detto. E C.J. sa bene che non si gioca con le armi.
Quello schizzato è qui da qualche parte, con la mia pistola.
E C.J. è là fuori, da sola.
"Thompson", disse Ennis, avviandosi verso la porta per raggiungere C.J., guardandosi intorno, attento a ogni minimo rumore. "Vieni fuori, maledetto bastardo."
Dai, piantala con le paranoie, che non c'è nessuno. Come avrebbe fatto a entrare, secondo te? Non ci sono segni di scasso da nessuna parte.
Ennis si portò una mano alla bocca: non c'erano segni di scasso, perché Thompson poteva essere entrato tranquillamente da una finestra.
La sera prima, per l'agitazione e la fretta di correre all'ospedale, aveva dimenticato di chiudere le finestre al piano di sotto: sia gli scuri che i vetri erano rimasti aperti tutta la notte, e se n'era accorto Matthew quella mattina.
Idiota. Idiota al cubo. Idiota all'ennesima potenza.
"Papà!" lo strillo di C.J. dalle scuderie gli arrivò chiaro, anche se attutito dalla distanza. "Papà, aiuto!"
Poi uno sparo. E un altro.
"C.J.!" gridò Ennis. Si precipitò fuori dallo studio, attraversò il corridoio e si fiondò alla porta sul retro. Uscì e corse verso le scuderie. 
Un altro sparo.
"C.J!" ripeté Ennis.
"Papà!" di nuovo C.J..
Per fortuna che potevamo stare tranquilli, pensò Ennis. Maledetta sceriffa dei miei stivali.
Raggiunse le scuderie e spalancò un battente della porta.
Dentro, era tutto un casino. Per difendersi da Junior Thompson, che le stava puntando contro la Beretta, C.J. gli aveva tirato addosso tutto quello che poteva: dalle selle, alle fruste, ai secchi per l'acqua, al fieno dei cavalli, e infine lo stava minacciando con il forcone, la schiena appoggiata alla parete. A destra e sinistra, i diciotto cavalli nitrivano e sgroppavano, terrorizzati e nervosi.
Quando aveva sentito la porta aprirsi dietro di lui, Junior si era voltato. Aveva fieno fra i capelli, sui vestiti.
"Junior Thompson", ringhiò Ennis.
"Papà", fece C.J., fra le lacrime.
"Tu sei Ennis del Mar", disse Junior, puntandogli la pistola. "Bene. Non pensavo di farti niente, ma dal momento che sei qui..."
Junior sparò, ma Ennis era preparato. Mentre il ragazzo parlava, aveva calcolato la distanza che li separava, ed era sicuro di potercela fare. Spiccò un salto e gli volò addosso, prendendogli il polso destro e sviando il colpo: la pallottola finì nel soffitto di legno, mentre Ennis e Junior rotolavano sul pavimento.
"Papà!" gridò di nuovo C.J.. "Papà, stai attento!"
Junior non era forte, Ennis se ne rese subito conto. Uno come lui, un ragazzo di città che lavorava come aiuto cuoco e al massimo faceva qualche flessione per tenersi in forma, poteva essere forte solo con un'arma in mano, e spalleggiato da due complici. A mani nude non valeva una cicca: ma il problema era la pistola. Junior non ne voleva sapere di mollarla, e se un colpo fosse partito accidentalmente e avesse raggiunto C.J....
Non pensarci. Pensa a disarmarlo, piuttosto.
Ennis riuscì a mettere il ragazzo sotto di sé, inchiodandolo a terra con il proprio peso, le ginocchia sulle sue braccia. Lo prese per il collo della camicia e gli sbatté la testa sul pavimento, una, due, tre volte.
"Brutto figlio di puttana!" gridò, accecato dal furore. "La prossima volta, prenditela con chi si può difendere!"
Junior stava per perdere conoscenza, e lasciò la pistola. Ennis, ormai fuori di sé, gli sbatté la testa sul pavimento un'ultima volta, poi iniziò a tempestarlo di pugni: "Vai all'inferno, maledetto bastardo! Vai all'inferno!"
Sentì C.J. che lo chiamava, che gli diceva di smetterla, ma la sua voce gli arrivò indistinta, come da lontano: Ennis ormai non pensava ad altro che picchiare Junior Thompson. Quel figlio di puttana non meritava nemmeno di finire in galera: avrebbe meritato di finire come Jack, incosciente in un letto d'ospedale, livido ed escoriato, con la testa fracassata e le costole rotte.
Il pensiero di Jack gli fece mancare il fiato. Jack, che l'aveva aiutato a diventare un uomo migliore, che gli aveva fatto capire che a volte, se si combatte con tutte le proprie forze, i sogni possono anche diventare realtà... cos'avrebbe detto se avesse saputo quello che stava facendo a Thompson?
Questo bastardo ha mandato a puttane tutti i nostri sogni, si giustificò Ennis, alzandosi in piedi e asciugandosi il sudore. A terra, Junior Thompson sembrava svenuto. Ha ridotto Jack in fin di vita, e se anche sopravvive, potrebbe rimanere...
Ennis sentì le lacrime pungergli gli occhi, traboccare dalle palpebre e scorrergli sulle guance.
"Bastardo", singhiozzò, tirando un calcio nelle costole a Junior. "Che ti aveva fatto Jack? Che cazzo ti aveva fatto, eh?"
"Papà!" gridò C.J., prendendolo per un braccio.
Cos'è, del Mar, vuoi che tua figlia ti veda ammazzare un uomo?
Ennis tirò un ultimo calcio a Junior, ma senza più troppa convinzione.

"Papà, basta..." singhiozzò C.J., tirandolo per il braccio. "Smettila..."
Lui si voltò, la guardò.
"Ti prego..." pianse lei.
"C.J...." Ennis la prese fra le braccia, a sua volta incapace di trattenere le lacrime.
La rabbia che provava contro Junior Thompson bruciava più che mai, ma ammazzandolo di botte non avrebbe risolto niente; anzi, si sarebbe abbassato al suo livello, diventando un assassino. E con che coraggio avrebbe potuto guardare in faccia Jack e C.J.? "Stai bene, piccola?"
"S-sì..."
"Sst", fece Ennis, carezzandole i capelli scompigliati. "Sst... coraggio... fatti coraggio, è finita..."
"Non è finita per niente", disse Junior, dietro di lui, ed Ennis si sentì gelare. Gli dava la schiena e non poteva vederlo, ma fu sicuro che il ragazzo si fosse già rialzato e tenesse la pistola in pugno, perché sentì il rumore del cane che si caricava. "Giù!" gridò, buttandosi a terra, sopra C.J., stringendola fra le braccia e tendendo i muscoli della schiena e delle spalle per proteggerla.
Junior sparò. 
Cazzo, stavolta mi ha preso,
pensò Ennis.
Poi, un tonfo dietro di sé
"Papà...?" fece C.J..
"Signor del Mar, tutto bene?" la voce della Collins.
Ennis aprì gli occhi, incredulo. Si sollevò sui gomiti, si voltò. Dietro di lui, Junior Thompson era a terra, bocconi, immobile, e perdeva sangue da una ferita alla schiena.
Non era stato lui a sparare.
Da una delle finestre, la sceriffa, con in pugno la pistola ancora fumante, e Sutcliffe accanto, gli domandò di nuovo: "Tutto okay?"
"Potevate arrivare prima, accidenti a voi", ribatté Ennis.  

Giugno 1984

Jack si era appisolato, ed Ennis non riusciva a smettere di guardarlo. A due settimane dall'aggressione,
le ecchimosi erano ancora tutte nere e bluastre e marroni, ma il gonfiore si era attenuato, e le escoriazioni cicatrizzate. Di quel passo, entro altri quindici giorni il suo viso sarebbe tornato quello di prima.
Anche le sue condizioni fisiche erano migliorate: la seconda TAC aveva evidenziato che il versamento di sangue si stava riassorbendo, e non c'era stato bisogno di alcun intervento chirurgico. Inoltre, i suoi momenti
di lucidità avevano iniziato ad allungarsi, facendosi più frequenti, e l'unico problema di cui sembrava soffrire erano dei forti attacchi di emicrania, una o due volte al giorno, accompagnati da formicolii al braccio sinistro. Kowalski gli aveva assicurato che si sarebbero ridotti per intensità e frequenza, sebbene difficilmente sarebbero scomparsi: e in ogni caso, se quello era l'unico strascico causatogli dalla contusione cerebrale, poteva benissimo ringraziare Dio, la Vergine Maria e tutti gli Angeli e i Santi.
Junior Thompson invece non era stato altrettanto fortunato: il colpo sparato dalla Collins gli aveva raggiunto il cuore, ed era morto in pochi secondi.
Lo sceriffo aveva deciso di sparare anziché intimare a Junior di buttare la Beretta, poiché visto quello che stava succedendo, aveva temuto che Junior non le avrebbe dato ascolto: e tutto considerato, se qualcuno doveva rimetterci la pelle, era meglio che toccasse a quello psicopatico.
Certo che è andata bene anche a me, non poteva fare a meno di riflettere Ennis, quando ripensava a quei momenti concitati. Sono ancora qui, sono vivo, C.J. sta bene, e Jack si sta riprendendo alla grande. Senza contare che Junior Thompson non ci darà più fastidio... e non sono stato io ad ammazzarlo. 
Carezzò il viso di Jack, in via di miglioramento, e non poté fare a meno di pensare che, nonostante tutto, era ancora bellissimo.
Era sempre stato bello, Jack: di una bellezza elegante, come se fosse stato un attore famoso invece di un mandriano, di un cowboy da rodeo.
Era... sexy.
Ennis arrossì fra sé: che diavolo stava pensando?
Bè, è il tuo ragazzo. E' naturale che ti piaccia. Cos'è, te ne accorgi solo ora, dopo quasi ventun anni che lo conosci?
L'unica altra persona con cui avesse mai fatto qualcosa di definibile come sesso era stata Alma Beers. Alma aveva i capelli rossi e gli occhi verdi, era carina e minuta, con il seno piccolo ma sodo e un bel culetto, ma non aveva mai pensato a lei in quel modo: non aveva mai pensato che fosse sexy. Tutt'altro: le poche volte che era riuscito ad accarezzarla e farsi accarezzare, ne aveva sì ricavato un'erezione, ma aveva sempre pensato: Tutto qui?
Forse, aveva considerato, non era mai stato granché soddisfatto da quello che facevano, perché quello che facevano era ben poco. Ma d'altro canto, non aveva nemmeno mai insistito nell'andare oltre perché, tutto sommato, non gliene importava poi troppo.
Per essere sinceri, non gliene importava un beneamato accidente.
Jack invece... era tutta un'altra storia. Gli era piaciuto fin da subito, fin da subito lo aveva trovato tremendamente sexy, al diavolo quella maledetta parlantina.
Più di una volta, durante le prime settimane sulla Brokeback, guardandolo o anche solo pensando a lui, aveva sentito uno strano calore alla pancia, e alla notte, da solo, spesso si era ritrovato a pensare a cosa gli sarebbe piaciuto fare con lui, a parte badare alle pecore e tenere in ordine il campo base e chiacchierare e bere e fumare: al contrario di quello che aveva fatto e che avrebbe potuto fare con Alma, questo sembrava interessargli parecchio: a lui, ma soprattutto alle sue parti intime.
Se si era impedito di lasciarsi troppo andare a questo genere di fantasie, era perché la sua ragione lo aveva ammonito di continuo: Non va bene. Non va affatto bene.
Poi c'era stata quella notte. Jack aveva preso l'iniziativa, niente più che portarsi la sua mano sulla patta dei jeans e stringersi a lui, e questo era bastato a fargli perdere la testa e prenderlo con violenza, in preda a un desiderio, a un bisogno, che non gli avrebbe mai dato pace se lasciato insoddisfatto.
E la notte successiva, quando Jack aveva fugato tutti i dubbi e le sue paure, almeno momentaneamente... com'era stato dolce. Lo aveva coccolato con una dolcezza che nessuna persona aveva mai riservato a Ennis. Ed Ennis quella volta aveva fatto l'amore con lui cercando di ricambiare la sua tenerezza, la sua passione, cercando di farsi perdonare per la brutalità della notte precedente.
Aveva mai guardato altri uomini?
Che razza di domande sono queste?
Poteva ammettere di avere desiderato Jack fin dall'inizio, okay, ma questo era un discorso che non gli piaceva, e non intendeva arrovellarcisi. 
Ti piacciono gli uomini. Dai, ammettilo.
Non è vero. Se ho guardato qualcun altro oltre a Jack, è stato solo... bè, per un motivo concreto. Perché aveva una bella macchina, o era bravo a cavalcare, o riusciva a scolarsi una bottiglia intera senza sembrare ubriaco.
O magari aveva due belle spalle larghe, o un bel culo più rotondo di quello di Jack. Coraggio, del Mar... non è così?
Queste sono calunnie. Io non ho mai pensato di scoparmi qualcun altro.
Va bene. Tu ami Jack e non lo tradiresti mai, hai i tuoi sani principi, eccetera eccetera, bla bla bla, ma non cambiare discorso.
Con Alma non erano certo scintille, e da quando hai conosciuto Jack non hai mai guardato una donna, quelli che ti è capitato di guardare sono sempre e solo stati uomini.
Senza considerare che se Jack avesse osato flirtare con degli uomini anziché solo con delle donne, come aveva sempre fatto, Ennis non gliel'avrebbe lasciata passare liscia: l'avrebbe considerato come un tradimento in piena regola, anziché come un gioco fastidioso, ma tutto sommato innocente.
E se un uomo avesse osato mettere gli occhi su Jack, come aveva fatto quel maledetto Jimmy Maddocks...
E' ora che tu lo ammetta: sei un finocchio.
Sarai anche un finocchio fedele, ma sei un maledetto finocchio, punto e basta.
"Papà?" lo chiamò C.J..
"Cosa?"
"A cosa pensavi?"
"A niente", mentì lui. "Solo... che sono un pò frastornato. Ma sono anche contento."
"Anch'io. Tornerà tutto come prima, vero?"
"Certo", confermò lui.
"Sai, vorrei chiederti una cosa", iniziò lei. "Ma puoi anche dirmi di no se non vuoi, e non ne parleremo più."
"Sputa."
"Hai presente quando papà mi ha raccontato di quando vi siete sposati?" domandò lei. "E mi ha detto che non serve un anello per sentirsi legati a chi si ama?"
Ennis annuì.
"Bè, io ho avuto l'impressione che lui, in realtà, un anello lo vorrebbe."
"E' così", ammise Ennis, troppo spiazzato per riuscire a mentire.
"Sei tu che non lo vuoi, vero papà En?"
Ennis avvampò: "Non ti sfugge proprio niente, eh?"
"Sei tu che sei prevedibile", ribatté C.J..
Ennis sospirò. "Hai ragione. Jack ha sempre desiderato che indossassimo qualcosa di simile a due vere nuziali... ma io non volevo. Pensavo che fosse... troppo."
"Troppo, cosa?"
"Troppo... troppo, e basta", disse Ennis. Neanche lui sapeva come spiegarsi. "Eravamo due uomini, ci eravamo fatti un ranch insieme e ci lavoravamo insieme, e ci vivevamo insieme senza donne...e allo stesso tempo, cercavamo di far credere che non eravamo altro che amici. Capisci? Indossare anche due fedi sarebbe stato... troppo."
"Per te, forse", l'apostrofò lei.
"No, non capisci", disse lui. "Sarebbe stato come ostentare che..."
"Allora, forse", replicò C.J.. "Quando avete iniziato a vivere insieme. Adesso, che t'importa? Tutti sanno che siete una coppia."
"C.J.!"
"E' la verità", insisté lei. "E io credo che un paio di anelli uguali sarebbe un bel regalo per papà, quando lo dimetteranno."
"Ascolta, C.J.", disse Ennis. "Hai detto tu che posso chiudere il discorso, se voglio."
"Uhm... sì."
"Allora, chiudiamolo."
C.J. lo guardò, delusa.
"Almeno per adesso", cercò di rimediare Ennis, sentendosi in colpa. "Intanto ci penserò."
"Quando?" domandò lei, ironica. "Fra altri diciassette anni?"
Lui si vergognò profondamente: chissà perché, quella bambina, che ora poteva chiamare sua figlia, a volte sembrava essere la voce della sua coscienza.
"Presto, piccola. Te lo prometto."


 
Grazie 1000 a:

harderbetterfasterstronger: se sei arrivata alla fine di questo lunghissimo capitolo, avrai visto che le cose si stanno sistemando... da un lato, volevo riprendere le tematiche del romanzo/film, ma dall'altro mi 
dispiace un sacco avere fatto finire Jack di nuovo in ospedale, dopo l'aggressione di Hackman in "Thunderbird". Non avrei mai potuto ucciderlo, né sfigurarlo o peggio... anch'io gli voglio troppo bene! Piuttosto... non so cosa tu immaginassi, ma hai indovinato: Superennis in qualche modo entra in azione, anche se riesce a fermarsi prima del patatrac. Adoro Jack, ma Ennis è il personaggio del quale preferisco scrivere: è contorto, si contraddice in continuazione e le sue reazioni sono più che prevedibili, ma a volte ha dei colpi di testa mostruosi... e mi diverto troppo a metterlo in imbarazzo, tanto che devo stare attenta a non farlo scadere nel caricaturale.

Nota: cavolo, questo è stato faticoso da scrivere... sapevo quello che doveva succedere, ma l'avrò revisionato un migliaio di volte.
Mi piaceva troppo l'idea di uno sceriffo donna, dall'aspetto androgino, che ovviamente Ennis, maschilista fino al midollo, non può che disprezzare. Per i tatuaggi, mi sono ispirata ad alcuni dei miei...

Credits: "Restless heart syndrome" è una canzone dei Green Day.

Disclaimer: I personaggi di Jack Twist, di Ennis del Mar e dei suoi fratelli e di Cassie Cartwright, appartengono ad Annie Proulx.
Se qualcuno riconoscesse nella mia storia idee che ritiene di sua proprietà, mi creda se gli dico che non l’ho fatto apposta, e spero non si offenda.
Infine, preciso che questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


   
 
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