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Autore: cabol    16/05/2010    2 recensioni
Dietro una porta ermeticamente chiusa può celarsi un pericolo misterioso, un favoloso tesoro, un terribile segreto. Aprirla può voler dire trovare tutto questo o chissà cos'altro. Ma certamente ci troveremo sempre l'avventura.
Mille e mille sono le leggende che i bardi raccontano, sull’isola di Ainamar. Innumerevoli gli eroi, carichi della gloria di imprese epiche. Eppure, in molti cantano anche le imprese di un personaggio insolito, che mosse guerra al suo mondo per amore di giustizia.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I misteri di Ainamar'
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Capitolo 10: la spada e la magia

Sfi’Hak era estremamente concentrato. Richiamò alla mente le parole arcane dell’incantesimo e, nel pronunciarle, avvertì l’immenso potere magico che lo pervadeva e scaturiva dalle sue mani protese su una scure dalla lama meravigliosamente istoriata. Questa parve quasi tremare, investita dalla magia, e prese a rifulgere come impregnata da una luce gelida e intensa. Poi, lentamente, il fulgore diminuì d’intensità, fin quasi a scomparire.
Il mago allungò la mano sulla lama e rabbrividì al contatto col metallo diventato freddo come il ghiaccio. Un sorriso soddisfatto comparve sul suo piccolo volto malevolo.
 
«Bene! Anche questa è fatta».

«Grande potere, maestro! Io porto scure in deposito».

Uno dei nani grigi si era avvicinato al tavolo dove il mago operava i suoi incantamenti e aveva rivolto la parola a Sfi’Hak in un comune rozzo ma efficace, insieme a un sorriso stentato di untuosa piaggeria. In realtà gli sarebbe piaciuto piazzare quell’arma esattamente fra i tatuaggi che ricoprivano il capo rasato del crudele piccolo mago. Il nano sopportava il continuo sarcasmo di Sfi’Hak solo per il timore del potere di quel piccolo uomo e per la lunga consuetudine a servire un padrone. Lui e i suoi compagni erano stati venduti ai maghi di Uytolgoth dai loro precedenti padroni elfi scuri e, nel cambio, ci avevano decisamente guadagnato. Ciononostante, covava nei loro animi il desiderio di riconquistare la libertà perduta.

«Attento a non stancarti, mangiasassi. E vedi di tornare subito, c’è ancora parecchio lavoro da fare. Domani il carico partirà e dopo potrete battere la fiacca finché vorrete».

Il mago ignorò lo sguardo d’odio lanciatogli dal nano e concentrò la sua attenzione sugli altri tre schiavi. Stavano lavorando a ritmo sostenuto e, continuando così, c’erano fondate speranze di terminare il lavoro entro l’alba. Poi ci sarebbe stato solo da portare le armi nella stanza del tesoro, nascoste dentro le anfore e le antiche statue. Al resto avrebbe pensato Brook. Almeno in quelle cose era efficiente.
Chissà se è riuscito a eliminare il ficcanaso…
Ne dubitava assai. Erano parecchi i dubbi che nutriva nei confronti del suo alleato cui riconosceva solo il merito di essere ricco, ben introdotto in certi ambienti e sufficientemente privo di scrupoli. Per il resto, meglio lasciar perdere.
Comunque, appena finito quel lavoro, si sarebbe dedicato a sistemare quel ladro importuno e capire cosa stesse macchinando il suo poco affidabile alleato. Più ci pensava, più era certo che Brook gli stava nascondendo qualcosa. E Sfi’Hak non era abituato a permettere ai propri alleati di giocare a carte coperte.

«Allora? Quella spada è pronta? Forza bestiacce, guadagnatevi il pane o metterò mano alla frusta!».

I nani lo guardarono corrucciati ma non osarono far nulla di più di aumentare il ritmo dei loro martelli.
Una splendida spada stava prendendo forma su una delle incudini e pochi istanti dopo, si sarebbe trovata sul bancone del mago.

«Dov’è quell’idiota di Kruk? Quanto ci mette a portare un’ascia nel magazzino? Qualcuno lo vada a cercare!».

Il mago cominciava a innervosirsi per il ritardo del suo assistente e, con lo sguardo, cercava invano di scrutare nel buio del corridoio dove il nano era sparito poco prima. Proprio quando un altro nano stava per andarlo a cercare, Kruk  emerse dal corridoio.

«Ma che diavolo stavi combinando? Ti sei addormentato?».

«Padrone Brook ti cerca, maestro. In magazzino ti attende. Cose gravi, lui dice».

Il nano pareva nervoso, decisamente a disagio.

«Cosa mai potrà esserci di tanto grave da interrompermi mentre sto lavorando? Maledizione a quell’altro idiota! Preparami gli ingredienti per l’incantesimo del fulmine, mangiasassi. Tornerò subito e voglio trovare tutto sul bancone, chiaro?».

Sfi’Hak si diresse verso il corridoio con passo svelto. Arrivato all’imboccatura del passaggio buio, pronunciò una secca parola e una vivida luce azzurrina comparve intorno a uno dei suoi anelli, illuminandogli il cammino.

Spero che Brook abbia un valido motivo per disturbarmi… sennò stavolta lo trasformo davvero in un tacchino. E non è escluso che poi lo faccia arrosto.

Aprì la porta del magazzino senza bussare.

«Allora, che diavolo vuoi?».

«Benvenuto, mago. Ora non fiatare e non provarti a muovere neanche un pelo o sei morto».

Una spada si era poggiata improvvisamente sulla sua gola. Due figure comparvero ai suoi fianchi, emergendo dal buio. Un’altra, completamente vestita di nero, era seduta sullo scrittoio e sorrideva beffardamente.
Sfi’Hak era un uomo abituato a essere temuto e rispettato da chiunque. E sapeva come incutere timore e rispetto. In un lampo si rese conto della situazione e agì come era stato addestrato a fare. Roteò gli occhi e si lasciò cadere al suolo, come se avesse perduto i sensi per lo spavento. I suoi avversari rimasero sorpresi per un attimo, un breve istante che gli permise di attaccare a modo suo. Una parola in una lingua misteriosa e Calyon si trovò completamente avvolto da una ragnatela appiccicosa. Un attimo dopo, il mago rotolò fuori dalla portata di Elowen, si alzò agilmente e puntò la mano destra verso Blackwind. Un comando secco e una folgore partì in direzione del ladro. Senza nemmeno guardare il suo avversario, Sfi’Hak si voltò verso Elowen.
La giovane elfa vide il suo nemico che rivolgeva le mani verso di lei e scacciò dalla mente il terrore per la sorte dei suoi amici. Il mago congiunse i pollici ed estese le dita di entrambe le mani. Elowen capì di non avere scampo e, istintivamente, frappose fra sé e l’avversario la lama della spada.

«Così bella! Un vero peccato!».

Ancora una parola arcana e dalle dita delle mani del mago scaturì una vampata che avvolse in pieno la terrorizzata ragazza.
Il sorriso malevolo del mago si spense immediatamente. Elowen, con un’espressione assolutamente stupita, rossa in volto per il calore che l’aveva circondata, non pareva aver subito neppure una minima scottatura. La spada era ancora levata fra lei e il mago e la sua lama pareva ardere come brace. Sfi’Hak riconobbe, ormai troppo tardi, l’arma che la ragazza impugnava. Era una delle sue creazioni meglio riuscite.
Si riscosse. Doveva colpire in un altro modo. Puntò ancora le braccia verso Elowen ma la ragazza era scomparsa. Un attimo dopo, un violento urto alla bocca dello stomaco gli levò il fiato e gli fece capire che la giovane elfa aveva reagito un attimo prima di lui. Poi non capì più nulla.

«Ardis! In nome del cielo, stai bene?».

Il ladro si alzò lentamente sulle ginocchia, col volto fra le mani. Pareva incolume.

«Sì… credo di sì. Sono scattato via in tempo e credo di essere solo un po’ stordito. Che brutto cliente, quel tipo!».

Nel frattempo, Calyon stava finendo di districarsi dai fili appiccicosi che il mago gli aveva materializzato addosso. Sorrideva ma il suo volto era pallido e la voce incerta.

«Credo che dobbiamo la vita alla tua spada e ai tuoi riflessi, bellezza. Anche se non ho capito molto di cosa sia accaduto».

Elowen rimase un attimo soprappensiero. Poi sorrise.

«Per la verità non ci ho capito molto neanche io. Ho visto il fuoco che mi avvolgeva. Ho avuto caldo ma nessun danno. Evidentemente, questa spada protegge dal fuoco, almeno in una certa misura. Quando ho visto che stava per lanciare un altro incantesimo, mi sono buttata addosso a lui e l’ho colpito con una testata. È andata bene, direi».

Blackwind la abbracciò affettuosamente.

«Complimenti, amica mia. Se siamo vivi è solo grazie a te».

Un gemito li fece voltare. Il piccolo mago stava riavendosi. Calyon non si fece pregare. In un salto fu accanto al pericoloso avversario e, con un poderoso calcione, lo rispedì nel mondo dei sogni. Dopodiché si dette da fare per legarlo e imbavagliarlo.

«Padrone è vinto. Liberi noi siamo?».

Kruk era comparso sulla soglia della stanza, seguito dai suoi compagni. La sua voce era incerta e guardava il mago con un misto di odio e terrore. Blackwind si voltò verso di lui.

«Sì. Ti ho dato la mia parola. Non avete più un padrone, ora. Al contrario, è lui vostro prigioniero. Siete liberi».

Il nano appariva alquanto diffidente. Aveva vissuto troppi tradimenti per potersi fidare della parola di qualcuno. Si avvicinò al mago ancora privo di sensi con la prudenza che avrebbe avuto maneggiando un serpente velenoso. Controllò il bavaglio e i legacci che imprigionavano Sfi’Hak, poi, soddisfatto, si caricò sulle spalle il suo ex-padrone e raggiunse i suoi compagni che lo attendevano nel corridoio.

«Ricorderò te, se incontrerò ancora. Tu ha rispetto di noi. Noi rispetto di te. Addio».

«Addio. Yavië vi protegga».

Un attimo dopo, i nani scomparvero letteralmente. Era un potere innato della loro razza, quello di rendersi invisibili. Come il loro orgoglio e la volontà indomita che condividevano con tutte le razze di nani. Calyon li osservò sparire, poi si rivolse all’amico.

«Non sarà un rischio lasciarli andare? Sono pur sempre dei nani grigi!».

«Non so. Ho avuto la netta sensazione che siano sì pericolosi ma non particolarmente sleali. Inoltre, una razza orgogliosa come la loro non tollera facilmente la schiavitù».

«A proposito Ci pensi alla faccia del mago quando si sveglierà? Non credo che sarà troppo contento».

«Questa è la cosa che più mi tormenta. Non vorrei che quel mago dovesse rimpiangere di non essere stato ucciso da noi».

Elowen si avvicinò sorridendo al giovane ladro e gli posò affettuosamente una mano sulla spalla.

«Non credo che lo tratteranno in modo più disumano di quanto lui abbia trattato loro. Inoltre, Kruk è stato irremovibile. Quel mago gli aveva fatto patire troppe umiliazioni».

Anche Calyon si rivolse all’amico con un sorriso e una strizzata d’occhio.

«Senza trascurare il fatto che, se fosse stato per lui, noi tre saremmo già morti… Ora che si fa?».

«Ce ne andiamo. Abbiamo scombinato abbastanza gli affari del rispettabile signor Brook, direi. Ci siamo meritati una bella dormita. La partita è chiusa».
  
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