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Autore: cabol    16/05/2010    1 recensioni
Dietro una porta ermeticamente chiusa può celarsi un pericolo misterioso, un favoloso tesoro, un terribile segreto. Aprirla può voler dire trovare tutto questo o chissà cos'altro. Ma certamente ci troveremo sempre l'avventura.
Mille e mille sono le leggende che i bardi raccontano, sull’isola di Ainamar. Innumerevoli gli eroi, carichi della gloria di imprese epiche. Eppure, in molti cantano anche le imprese di un personaggio insolito, che mosse guerra al suo mondo per amore di giustizia.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I misteri di Ainamar'
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Capitolo 11: risvegli

Si ridestò al lieve chiarore di una candela. La mano corse alla testa dolente. La bocca era amara. Le dovevano aver fatto bere un narcotico. Si appoggiò sul morbido materasso e scostò le coltri. Si sentiva tutta scombussolata, il mondo intorno a lei pareva muoversi e dondolare. Eppure era su un comodo letto e indossava una splendida vestaglia di seta. Cercò di ricordare. Il buio, la vittima, il pugnale… il polso le doleva ancora. E la testa… cosa l’aveva colpita? Cos’era accaduto? Cosa ci faceva in quel letto? Dov’erano i suoi abiti? Dov’erano le sue armi?

«Gran brutto mestiere per una gran bella ragazza».

Una voce armoniosa con una nota beffarda le fece capire che non era sola in quella stanza.
Le parve di intravedere una figura vestita di nero, seduta nei pressi del letto. Da sotto un cappello a tese larghe, scorse due occhi brillanti fissi su di lei. Un inspiegabile brivido le percorse la schiena. Cercò il suo pugnale senza trovarlo e questa cosa le sembrò orribilmente frustrante. Si sentiva inerme. Da tanti anni si era liberata da quella odiosa sensazione e sperava di non doverla provare mai più. La mano sfiorò la seta che la fasciava e un moto di paura la colse.

«Chi mi ha spogliata?». La sua voce tremava.

«Ha davvero importanza? Di cosa ha paura un’assassina?».

La nota beffarda suonò insopportabile.

«Se mi hai toccata con le tue mani schifose…».

«Gran bella ragazza, ma decisamente volgare».

La voce era diventata più dura.

«Cosa rende schifose le mani di una persona? Esiste davvero qualcosa di schifoso per chi lorda le sue mani di sangue innocente? Di cosa ha paura un’assassina?».

La voce aveva perso ogni nota beffarda e si era fatta tagliente. I profondi occhi verdi brillavano nel buio.
Un nuovo brivido le corse per la schiena. Aveva scelto di diventare quel che era per liberarsi dai lacci della povertà, per non cedere se stessa, per essere temuta e rispettata dopo anni di terrore. Come osava giudicarla quell’uomo? Cosa le aveva fatto mentre era incosciente? Avrebbe voluto balzargli addosso e portare a termine in suo compito eppure non osava. Doveva capire. Doveva sapere chi era quell’avversario che l’aveva beffata così abilmente. Doveva guardare dentro quegli occhi verdi.

«Non ho paura di morire. Uccidimi o ti ucciderò io».

Quegli occhi verdi afferrarono saldamente i suoi, con la forza di una catena e la dolcezza di un bacio. La ragazza ebbe il terrore di non riuscire a distogliere lo sguardo.

«Neanch’io ho paura di morire. Non per questo invito gli altri a uccidermi. Peraltro, se per vincere devo uccidere, preferisco perdere. Ma non è questo il caso. Non oggi, perlomeno».

«Sei troppo vigliacco per uccidere?».

«Forse. O forse non abbastanza. Comunque, la tua vita non è affatto in pericolo, rassegnati».

La voce aveva ripreso il suo tono beffardo.

«La tua sì, miserabile…».

«Sempre più maleducata, ragazza mia. Posso sapere cosa ti ho fatto per meritarmi tanto astio?».

Rimase un po’ sorpresa da quella domanda. Non provò a ribattere ma restò in silenzio mentre la melodiosa voce tenorile continuava a parlare.

«Non ti conosco e credo che tu non conosca me. Possibile che un po’ d’oro possa scatenare tanto  odio verso qualcuno che, per te, è un perfetto sconosciuto? Sai almeno il mio nome?».

Non lo sapeva. Sapeva solo che le avevano dato l’incarico di uccidere l’uomo che quella sera si sarebbe aggirato nei dintorni di quella casa. E che quella voce melodiosa, tranquilla e beffarda la stava facendo impazzire di rabbia.
No. Effettivamente non aveva altro motivo valido per odiare quell’uomo all’infuori del fatto che l’aveva beffata e sconfitta.
E del fatto che non prendeva affatto in considerazione l’idea di ucciderla.
Era un comportamento irragionevole. E umiliante. Evidentemente riteneva che non potesse costituire un reale pericolo e lasciarla viva non gli pareva un’imprudenza.

«Taci? Va bene, posso capire. Comunque, sappi che è stata una mia cara amica a spogliarti delle armi e rivestirti da donna. Le mie mani schifose ti hanno solo trasportato qui. Con rispetto, s’intende».

Ancora quella nota beffarda ma c’era uno strano calore in quella voce.

«Puoi stare tranquilla perché non ti capiterà nulla. Siamo salpati per Soltë, con l’ultima nave della stagione».

«COSA?»

La sua mente riprese lucidità. Quel senso di instabilità non era legato alla botta in testa. Era il rollio di una nave in movimento. Era l’esilio dopo una bruciante sconfitta. Eppure non era arrabbiata. Almeno, non quanto si sarebbe aspettata.

«Purtroppo non posso trattenermi a farti compagnia in questa crociera, ho affari urgenti a Elosbrand. Sarai trattata con ogni riguardo. Mi dispiace farti svernare laggiù ma non intendo correre dei rischi stupidi. C’è una borsa, vicino al tuo letto. Contiene abbastanza oro da permetterti di vivere per un bel po’ senza ammazzare innocenti. Se invece non sai stare senza versare sangue e in primavera avrai ancora tanta voglia di uccidermi, potrai tornare. Ti aspetterò».

La figura vestita di nero si alzò, la salutò con un elegante inchino e si voltò per allontanarsi. La ragazza si sentì assalire dal panico. Avrebbe voluto fermarlo, chiedergli di lasciarla tornare a terra con lui, giurare che non avrebbe più tentato di fargli del male.
Si trattenne.

«Chi devo cercare, quando tornerò a Elosbrand?».

Il gentiluomo vestito di nero si voltò. I suoi occhi verdi la trafissero un’altra volta. Stavolta c’era un velo di malinconia sul suo sorriso.

«Chiedi di Blackwind. Qui mi conoscono tutti… almeno in un certo senso».

***

Luce. L’alba?
La testa gli doleva particolarmente. E anche la schiena non era messa meglio. Si rese conto di essere seduto su una poltrona. Perché?
Lentamente nella sua mente tornarono i ricordi confusi della sera precedente. Una sensazione di panico si fece strada nelle sue viscere, torcendogli violentemente lo stomaco.

Blackwind. Il vino era drogato!

Avrebbe voluto alzarsi di scatto e chiedere aiuto ma gli tornò in mente il misterioso complice del ladro, nascosto dietro la tenda. Aguzzò lo sguardo, senza fare movimenti bruschi. Le punte degli stivali erano sempre lì e così quella maledetta balestra, puntata verso di lui. Non poteva ancora fare nulla. Poteva solo continuare a guardare la tenda che nascondeva il suo misterioso carceriere.
Si era nuovamente addormentato. La luce ora era intensa. Doveva essere mattino inoltrato. Quel maledetto era sempre lì. Sempre con quella balestra rivolta verso di lui. Ma non si stancava mai? Come poteva essere stato tante ore immobile a sorvegliarlo? Quale misteriosa disciplina poteva dargli tanta forza? Brook era frastornato. Con chi aveva a che fare? E cos’era accaduto quella notte?
Doveva assolutamente scoprirlo e si rese conto che non avrebbe potuto restare ancora a lungo in quella posizione di scacco. Era un uomo coraggioso e decise che era giunto il momento di rischiare il tutto per tutto.
Lentamente, in assoluto silenzio, fece scivolare la sua mano lungo il bordo del bracciolo. Impiegò alcuni lunghissimi minuti a trovare ed afferrare il bicchiere che l’aveva drogato. Avrebbe avuto una sola occasione e non poteva farsela sfuggire. Prese attentamente la mira, e calcolò con precisione tutti i movimenti che gli avrebbero permesso di saltare addosso al suo misterioso guardiano.
Improvvisamente scattò: lanciò il bicchiere verso la punta della balestra e si scagliò giù dalla poltrona. Vide il calice infrangersi e la balestra cadere. Esultò selvaggiamente e balzò contro il misterioso individuo, deciso ad abbatterlo.
Si schiantò contro il muro.
Riprese conoscenza dopo un tempo indefinito. Era sdraiato fra cocci di cristallo. Poco più in là c’era la balestra. La tenda che aveva mascherato il suo guardiano era parzialmente abbattuta e le punte degli stivali continuavano a spuntare da sotto di essa. Finalmente comprese.
Il misterioso individuo che lo aveva vegliato tutta la notte era un paio di vecchi stivali e una balestra appoggiata sul davanzale.
Una violentissima e roboante salva di bestemmie echeggiò per il palazzo dell’eccellentissimo signor Brook.
  
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