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Autore: cabol    18/05/2010    1 recensioni
Dietro una porta ermeticamente chiusa può celarsi un pericolo misterioso, un favoloso tesoro, un terribile segreto. Aprirla può voler dire trovare tutto questo o chissà cos'altro. Ma certamente ci troveremo sempre l'avventura.
Mille e mille sono le leggende che i bardi raccontano, sull’isola di Ainamar. Innumerevoli gli eroi, carichi della gloria di imprese epiche. Eppure, in molti cantano anche le imprese di un personaggio insolito, che mosse guerra al suo mondo per amore di giustizia.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I misteri di Ainamar'
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Capitolo 14: rivincita

La nave veleggiava placidamente nel chiarore mattutino, la prora rivolta a nordest, sfruttando la brezza fresca che soffiava da ovest, increspando lievemente la superficie azzurra del mare. Il capitano Stark guardava con l’affetto di un padre verso la propria creatura, le vele gonfie di vento e il sartiame teso fin sulla cima degli alberi. Era un uomo alto e robusto, dai lineamenti gradevoli e dai modi leggermente arroganti. Quel genere di arroganza che fa perdere la testa alle donne. E di ciò era particolarmente fiero.
Ancora poche ore e avrebbero rivolto la rotta decisamente verso occidente. Se il tempo non fosse cambiato, e tutto faceva presagire che non sarebbe accaduto, entro una settimana sarebbero arrivati in vista di Nolarbar, il grande porto dell’isola di Soltë, la più grande delle isole orientali. E finalmente si sarebbe liberato della passeggera.
Nulla contro le donne, per carità. Soprattutto se sono belle e pagano bene. Però sulla terraferma. A bordo portano sventura. Anche se pagano bene e sono belle.
Guardò, oltre la murata di babordo, la linea sottile della terraferma che si allontanava lentamente. Presto si sarebbero visti i primi picchi dei monti del Kaardir e quello sarebbe stato il segnale di volgere la rotta verso oriente. Anche perché costeggiare quella regione poteva essere decisamente poco igienico.
 
«Buongiorno, capitano».

Una voce dolcemente musicale lo fece voltare. Beata Telgëa, com’era bella! Un corpo perfetto avvolto da una splendida veste di seta verde, un ampio spacco della quale mostrava una gamba perfettamente tornita, inguainata in una calza di seta che spariva dentro un elegante stivaletto appena sopra la caviglia. Il viso era splendido, con lineamenti regolari, una bocca sensuale e altera, due occhi nerissimi e ammalianti, una cascata di splendidi capelli d’oro.
Il capitano Stark dimenticò immediatamente tutte le superstizioni marinare e pregò ardentemente che quel viaggio potesse durare ben più di una settimana e, magari, trasformarsi in qualcosa di estremamente piacevole.

«Bu-buongiorno milady. O-onoratissimo di avervi a bordo della mia nave. Sono il capitano Stark e sono completamente al vostro servizio».

Il capitano, che aveva già un paio di mogli in porti diversi, avrebbe voluto aggiungere “anima e corpo” ma temette di essere troppo audace e giocarsi stupidamente un’occasione straordinaria. Il tempo non gli sarebbe mancato e avrebbe avuto tutte le possibilità di mettere a frutto i suoi talenti seduttivi.

«Grazie, capitano. È un… piacere conoscervi. Sono Lady Lavinia Florence».

Il capitano la guardò perplesso. Si sbagliava, o aveva sottolineato la parola “piacere”?

«Il piacere è mio, milady. Spero che questo viaggio possa essere di vostro gradimento».

«Sono certa che voi abbiate tutte le qualità per rendere decisamente… piacevole questo viaggio».

Il tono della parola “piacevole” e lo sguardo della ragazza lasciavano decisamente poche possibilità d’equivoco e il signor Stark si sentì girare la testa, mentre i suoi ormoni si distribuivano impetuosamente in ogni recesso del suo corpo.

«Spero che la cabina sia di vostro gradimento, milady».

Ormai era in ballo, decise di lanciare l’amo e vedere se l’impressione che l’atteggiamento di quella splendida donna gli aveva dato era corretta o se si stava facendo pericolose illusioni. L’istinto (o la vanità) gli diceva che la ragazza stava provando a sedurlo e lui non intendeva opporre troppa resistenza se davvero era lei a condurre il gioco.

«Oh, capitano, è veramente splendida. Però, ora che me lo chiedete, c’è un cassetto che non si apre… potreste aiutarmi?».

Abbocca!

Il capitano Stark era già al settimo cielo. Raggiunse l’ottavo quando sentì cingersi la vita dal braccio della giovane splendida dama che lo condusse verso il castello di poppa. Precipitò nel più profondo degli abissi quando, appena entrati nella cabina, si accorse che il suo pugnale era nella mano della donna e premeva pericolosamente contro il suo pomo d’Adamo.

«Che pena voi uomini. Uno sgonnellìo, un po’ di moine e non capite più nulla. Ora, mio affascinante capitano, farete calare a mare la lancia e mi farete l’onore di scortarmi a riva. Senza scherzi o la vostra carriera di seduttore e di marinaio troverà una fine ingloriosa».

Era sempre bellissima ma la crudeltà del suo sorriso e la durezza della voce non lasciavano adito a dubbi sulle capacità di quella donna di mettere in pratica le sue minacce.
Mezzora dopo, una lancia con a bordo il capitano e la bellissima dama si staccava dalla nave, rapidamente messa all’ancora, seguita dagli sguardi perplessi di quasi tutto l’equipaggio.
L’agile imbarcazione toccò terra un’ora dopo e il capitano Stark, rosso di sudore e di un misto fra ira e umiliazione, guardò la sua passeggera gettare una borsa sulla spiaggia e scendere con un balzo felino.

«Buon viaggio, capitano. Vi assicuro che questo è stato il viaggio per mare più… piacevole della mia vita. Come amante non so come siate ma, come rematore, avete un futuro».

Il furente capitano Stark riprese a remare, senza dire una parola, allontanandosi dalla riva con formidabili colpi di remo, resi ancor più efficaci dal furore che gli torceva le viscere.

Le donne, a bordo, portano sventura.

Non aveva più alcun dubbio. Non ne avrebbe accettate mai più sulla sua nave, nemmeno se l’avessero coperto d’oro.
Ovviamente, l’idea di essere stato di una stupidità disarmante non gli passo neppure un attimo per la mente.

La ragazza lo guardò allontanarsi, poi prese la borsa e si diresse verso l’interno. Dopo un centinaio di metri si fermò e tagliò la gonna col pugnale, scoprendo entrambe le splendide gambe e guadagnando una maggiore libertà di movimento. Si allontanò verso le colline con passo fermo e rapido. Il pugnale assicurato in vita e un sorriso gioioso sulle labbra sensuali. Solo gli occhi erano duri e spietati come l’acciaio.
Non temeva affatto quelle campagne selvagge. Difficilmente avrebbe incontrato qualcuno o qualcosa più pericoloso di lei. La chiamavano Oleandro Nero, il fiore bellissimo e letale. Camminò ore senza minimamente fermarsi, sempre avvolta in quegli abiti ingombranti ma che avrebbero spinto eventuali predoni a tener bassa la guardia davanti a una ragazza bella e sola, a spasso sulle colline.
Si fermò in un piccolo villaggio per mangiare qualcosa e cercare di procurarsi una cavalcatura. L’oro, grazie a quell’odioso individuo che l’aveva beffata, non le mancava. Riuscì a rifocillarsi ma nessuno possedeva animali di taglia superiore a quella di una pecora. Rinunciò e riprese la marcia.
A metà del pomeriggio due briganti (o, forse, solo due contadini ubriachi) l’avvicinarono con apprezzamenti pesanti e, visto che lei non li considerava nemmeno di striscio, tentarono di metterle le mani addosso. Caddero in pochi secondi, con la gola squarciata da due colpi di quel pugnale che quella splendida creatura adoperava con veramente rara rapidità ed efficacia.
Al tramonto, le mura di Elosbrand si stagliarono davanti ai suoi occhi freddi e determinati. Mezz’ora dopo entrava in città, diretta verso il quartiere nobiliare.
Era l’ora della rivincita.

  
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