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Autore: Stray    29/08/2005    2 recensioni
E se Takagi, per una volta, ne combinasse una giusta? E' una fic su Takagi e Sato, perchè in giro non se ne trova neanche una! Siate carini e commentate, please!
Genere: Romantico, Azione, Song-fic, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Miwako Sato, Wataru Takagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo VI – Touch

Capitolo VI – Touch

 

“Ma come?! E io che pensavo di dover assistere ad un moribondo… e invece ti trovo qui a ridere e scherzare!”

Questo fu il commento di disappunto di Yumi, che entrando nella stanza di Takagi, lo trovò in compagnia della Squadra dei Giovani Detective, intenti a farsi raccontare, quasi come fosse un film d’azione, la sparatoria del cantiere abbandonato.

Gli unici a starsene tranquilli erano Conan e Ai, che di tanto in tanto cercavano di tranquillizzare i loro compagni, per lasciare a Takagi un po’ di respiro.

Infatti nonostante il ragazzo si stesse rimettendo con una velocità da record, era passata solo una settimana dall’operazione che gli aveva salvato la vita, e la spesse fasciature che gli ricoprivano il petto e la mano destra ne erano la prova evidente.

Ogni tanto poi, Takagi doveva interrompere il suo racconto per riprendere fiato, quando la ferita non ancora del tutto guarita, ricominciava a dolergli, rendendo il respiro più difficoltoso.

Yumi entrò nella stanza d’ospedale proprio durante una di  queste pause forzate, e notando la stanchezza del suo collega, prese la palla al balzo e si intromise nel racconto dando dimostrazione delle sue capacità di narrazione… e della sua assurda fantasia!

Insomma alla fine della vicenda, i bambini pendevano dalle sue labbra e Takagi poté riposarsi per qualche minuto.

“…e alla fine, il cattivo e la sua banda furono uccisi dal nostro eroe, grazie al suo potentissimo raggio-laser…”

“Yumi! Ma da dove salta fuori adesso, questo raggio-laser!?”

“Immaginazione, Takagi. Una narratrice di talento come me, deve saperla usare alla perfezione…”

Takagi sospirò, sconfitto, mentre i bambini ridevano. All’improvviso, Conan si intromise nel racconto, non riuscendo a trattenere oltre la domanda che da un pezzo voleva fare.

“E l’organizzazione a cui apparteneva quell’uomo, che fine ha fatto?”

Yumi torno con i piedi per terra.

“Non se ne sa più nulla… ma la polizia sta raccogliendo informazioni per aprire un’indagine.”

Anche Takagi diventò serio. Soprattutto quando vide l’espressione carica di rabbia di quello che sempre meno sembrava un bambino di sei anni.

Conan esplose.

“Dovete fare in fretta! Quelli sono capaci di sparire nel nulla senza lasciare tracce dietro di loro, a costo di uccidere, e…!”

Il bambino si zittì, impallidendo letteralmente davanti allo sguardo attento e indagatore di Takagi su di sé. Subito tentò di cambiare discorso.

“Ehm… Noi dobiamo andare, non è vero ragazzi? Ciao, Takagi.”

Uscì quasi correndo, cercando di non incrociare il suo sguardo con quello del ragazzo.

Raramente, Takagi aveva quell’espressione.

E il più delle volte, significava che il suo istinto di ‘sbirro’ stava per mettersi seriamente all’opera.

Ma Conan, davanti a quello sguardo che chiedeva a chiare lettere “Chi sei tu, veramente?”, stava scappando. Si era scoperto troppo, per aiutare Takagi, si era spinto fino al limite della sua condizione di bambino.

E il risultato era fin troppo chiaro: Takagi sospettava qualcosa.

Conan lo aveva sottovalutato una volte, non era il caso di ripetere l’errore…

Seguito a ruota dai suoi piccoli amici, il bambino uscì dall’ospedale. Ai gli si affiancò, guardandolo fisso.

“Stai perdendo la calma.”

“Lo so! E’ solo che…”

“…E’ solo che, se non trovano al più presto qualche informazione sull’Organizzazione, noi on avremo più piste da seguire, ora che Gin è…”

La bambina deglutì, presa da un momentaneo e improvviso brivido. Conan, intuendo il suo disagio, finì quella frase fatale al suo posto.

“E’ morto, Ai. E’ morto davvero: non può più farti nulla.”

La bambina si sforzò di sorridergli, ma il risultato fu una piega amara che trasformò il suo sorriso in una maschera.

“Lo so… Lo so.”

‘Come un incubo’ pensò Conan, osservando la reazione dell’amica. ‘Proprio come un incubo, che lascia sempre un velo di paura,sottile come un ricordo, anche dopo il risveglio.’

Non trovò il coraggio necessario per dirle che anche il suo cuore, come quello di  lei, stentava ancora a liberarsi da quella paura.

 

 

 

Dopo aver seguito con lo sguardo dalla finestra, i bambini che si allontanavano lungo la strada, Yumi si rivolse a Takagi.

“Allora, come stai?”

Il ragazzo scoppiò a ridere.

“Vediamo…Mi hanno appena operato, le ferite non sono ancora guarite, ogni respiro è una tortura, quindi… Sì, mai stato meglio!”

Yumi gli lanciò un’occhiataccia.

“Fa’ poco lo spiritoso! In centrale siamo tutti in pensiero per te…”

“Tutti?”

Yumi sorrise, nel notare lo sguardo attento del ragazzo. Era fin troppo ovvio che cosa Takagi volesse veramente chiederle: ‘Anche lei?’

Ridendo, lo rassicurò.

“Tutti.”

Sospirando, Takagi si appoggiò allo schienale del letto. Era un po’ stanco e Yumi se ne accorse.

“Senti, fatti una bella dormita, sei distrutto! Io intanto vado a prendermi un caffè.”

E senza lasciare al ragazzo possibilità di replicare, uscì dalla stanza.

Takagi decise di seguire il consiglio: In fondo era davvero esausto, dopo aver passato il pomeriggio con le forze della natura più devastanti del mondo (ovvero Yumi e i bambini!)!

Non appena chiuse gli occhi, si rese conto che non avrebbe faticato molto ad addormentarsi.

O almeno, così credeva…

 

 

 

Era rimasta davanti alla porta di quella stanza per più di un quarto d’ora, tanto che molte delle infermiere cominciavano a guardarla con curiosità.

Ma lei questo non poteva saperlo, perché stava pensando.

Così, nel tentativo disperato di prendere una decisione, Sato si era addentrata nell’intricato mondo dei suoi pensieri, ignorando tutto ciò che le stava attorno.

Tutto tranne quella porta.

C’erano solo lei e quella porta.

Doveva solo decidere se aprirla o meno.

Quanto sei disposta a rischiare?

La sua mano si mosse da sola, afferrando la maniglia lucida e spingendola verso il basso, ruotando il polso. Con uno scatto che continuò a rimbombarle a lungo nelle orecchie, la porta si aprì lasciandola entrare nella stanza bianca.

Le prime cose che catturarono violentemente il suo sguardo, furono le fasciature che avvolgevano il petto e la mano destra di Takagi.

E subito, quel grido che conosceva fin troppo bene,rimbalzandole nella testa, la rintronò a tal punto che dovette appoggiarsi al muro, per non cadere.

E’ COLPA TUA! SOLO COLPA TUA!!

Sato lasciò passare qualche secondo per riprendersi.

Poi, si avvicinò al letto dove Takagi dormiva, osservando i lineamenti del ragazzo distesi nel sonno, ma così simili a quando…

Scacciò quel pensiero dalla sua testa, avvicinandosi ancora un poco, fino a sfiorare con la punta delle dita il bordo delle lenzuola.

Quanto sei disposta a rischiare?

Si sedette vicino al letto e appoggiò la sua mano su quella fasciata del ragazzo.

Lentamente.

Rischiava di perderlo, ecco la verità. Rischiava di soffrire ancora.

Rischiava di perdere il controllo, di vedere tutte le sue difese sbaragliate, perché era questo che sentiva, nello stargli vicino.

Rischiava di piangere, di scoppiare in lacrime come una bambina, perché sapeva benissimo che davanti a lui non avrebbe più potuto trattenersi.

Rischiava di mostrarsi fragile, indifesa, a volte inutile, a volte solo umana.

Perché davanti a lui, non sarebbe stata più capace di fingere.

Istintivamente chiuse gli occhi, concentrandosi sul calore che nasceva da quelle mani, l’una sull’altra. Sato non sapeva bene perché, ma quel calore, il respiro lento di lui, regolare e tranquillo, quel silenzio così naturale… avevano il potere di calmare, almeno per un poco, le urla nella sua testa e quella domanda decisiva, a cui non aveva ancora trovato risposta.

 

 

 

Non poteva essere stato un sogno.

Takagi continuava a guardarsi intorno, cercando di mettere a fuoco l’intera stanza.

Eppure era stato così reale… quel tocco così leggero e indeciso, così lento e cauto da non averlo svegliato!

Ma aveva lasciato traccia di sé, un tepore tranquillo, un profumo familiare di cui cercava di ritrovare traccia nell’aria della stanza…

Un profumo così familiare!

No, quel tocco gli era sembrato talmente vero e talmente fragile, che non aveva avuto il coraggio di aprire gli occhi, di muovere un muscolo per paura che potesse sparire.

Ma alla fine era svanito lo stesso, lasciandosi dietro una scia di dubbio, come un sogno da dormiveglia.

Quando Yumi rientrò nella stanza, lo trovò ancora assorto nei suoi pensieri.

“Sei riuscito a dormire? Che hai?”

“Nulla…” Si affrettò a rassicurarla Takagi.

“Era solo un sogno…”

 

 

 

 

 

  
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