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Autore: Atreius    18/05/2010    6 recensioni
Un flash nei ricordi di Peter Minus, un piccolo insignificante dettaglio, prima ancora dei Malandrini, prima di Voldemort. Perchè tutti, anche Peter Minus, sono stati bambini.
Genere: Commedia, Comico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Peter Minus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TOOTHPASTE

Peter era sdraiato a pancia in su nel suo letto, fermo, con gli occhi fissi sul soffitto. Le dita grassocce correvano lungo il lenzuolo bianco, disegnando piccoli cerchi.
Asfodelo, il suo gatto fulvo, gli saltò sulle ginocchia, cominciando a fare le fusa, strusciando il muso sulle mani del padroncino. Peter si girò su un fianco, per guardare il calendario sul suo comodino. Il gatto protestò, per essere stato scalzato dalla sua comoda posizione, ma Peter lo ignorò, mettendosi a sedere.
La data del giorno successivo, sul calendario, sottolineata con inchiostro magico, riluceva, implacabile mandando bagliori rossastri in tutta la stanza in penombra.
“Domani compirò undici anni.” Sentenziò, mentre il labbro inferiore cominciò a tremargli leggermente. Undici anni senza aver mostrato la benché minima inclinazione per la stregoneria. Si abbracciò le ginocchia, sconsolato.
Aveva meno di quattro ore per sprizzare un incantesimo qualsiasi, una magia qualunque, ma, constatò il ragazzo con amarezza, quello che non gli era riuscito in così tanti anni, non poteva di certo accadere in poco tempo.
Sollevò incerto il pesante libro di incantesimi che, in preda alla disperazione, aveva rubacchiato dallo studio di suo padre, cercando di imparare qualcosa, e lo sfogliò. Ormai ne conosceva le pagine a memoria, le aveva provate davvero tutte: si era perfino messo in pericolo, cosa assai ardita per uno come lui, ma non era successo proprio niente, anzi, aveva guadagnato solo ferite, lividi, escoriazioni e, soprattutto, tanti scapaccioni da sua madre.
“Forse sono un magonò. Anzi, sicuramente.” Mormorò in tono piatto, riportando Asfodelo sulle sue ginocchia, il quale, tutto contento, vi si acciambellò immediatamente, fissandolo con aria interrogativa.
“Come vorrei essere al tuo posto, Asfy. Domani tu non sarai una vergogna per nessuno, se non arriverà nessuna lettera da Hogwarts.” Proseguì, soffiando sul muso dell’animale.
Peter pensò che sarebbe stato meglio non ricevere alcuna lettera, e vivere per sempre in uno stato di dubbio, che permetteva una remota speranza, piuttosto che una in cui era confermata la sua teoria.
“Ti immagini la scena, Asfy? ” Recitò il ragazzo, solennemente, facendo il verso alla lettera che aveva visto ricevere a suo cugino Alfred, l’anno prima.
Come l’aveva invidiato, quel giorno! Era rimasto chiuso nella sua stanzetta per ore, apatico, continuando a rigirarsi tra le mani la missiva del cugino, domandandosi quel che avrebbe provato lui, se mai l’avesse ricevuta. Una lacrima solitaria rigò il volto del ragazzino, che si ripulì col dorso della mano, tirando rumorosamente su col naso. Ora basta piangere, domani avrebbe dovuto rassegnarsi e ricominciare daccapo.
“Ho sentito di ottimi corsi di Magia per corrispondenza, potremo provare con quelli, no Asfy?” Disse, ma senza convinzione.
Asfodelo, quasi comprendendo il padroncino, annuì vigorosamente col capo, mentre Peter si infilava il suo solito pigiama azzurro a righine rosse, con le iniziali ricamate sul taschino il lettere dorate.
Aprì piano la porta, per non svegliare i suoi genitori, andando in bagno.
Afferrò il tubetto di dentifricio, spremendolo sulle setole dello spazzolino, ma non uscì nulla. Peter constatò che era quasi finito, così lo arrotolò con cura, sperando di raccoglierne il fondo, e premerlo verso l’alto, ma anche questa volta, non uscì proprio nulla.
Già frustrato per la sua inettitudine magica, Peter imprecò con astio, arrabbiandosi. Il suo umore peggiorò notevolmente quando intravide che sua madre aveva riposto le scatolette nuove di dentifricio nel ripiano alto del bagno.
Come da manuale, Peter era quasi certo che nel bagno mancasse anche il solito sgabello che usava per raggiungere lo scaffale, e si girò a cercare una conferma, che, puntuale come un orologio svizzero, arrivò: al posto del seggiolino, si trovava un’enorme pianta verde brillante, dai fiorellini azzurri uguali al colore del tappeto del bagno.
Il ragazzo fu tentato di afferrarla e di tirarla fuori dalla finestra, ma si trattenne, pensando che probabilmente sua madre, scopertolo, avrebbe lanciato lui fuori dalla finestra, e la cosa non era consigliabile, dato che non possedeva uno straccio di magia che gli avrebbe attutito la caduta.
Scocciato, si arrampicò sulla vasca da bagno, restando in bilico sul bordo. In quella precaria posizione, Peter allungò una gamba, poggiandola sul lavandino, che scricchiolò sotto il suo peso. Un brivido freddo attraversò la sua schiena, mentre si ritrovava tutto sudato, con la canottiera di cotone incollata alla pelle, in modo alquanto fastidioso.
Allargò le braccia, cercando di trovare un certo instabile equilibrio, e quando si sentì abbastanza sicuro, allungò la mano destra, sporgendosi verso il tubetto di dentifricio, che sporgeva fuori dal ripiano, quasi sfidandolo.
Le sue dita tozze sfiorarono la plastica della confezione, più volte, facendola girare, col risultato di spingerla ancora più indietro lungo la mensola.
Peter, paonazzo, si arrabbiò sul serio, e con uno scatto d’ira, dimentico della sua solita prudenza, con un ruggito saltò sul lavandino, che cedette sotto di lui, facendolo franare sul pavimento con un tonfo sordo, che, con ogni probabilità, risuonò in tutta Londra.
“Peter, ma che diamine fai?” Ululò sua madre, comparendo all’improvviso sulla porta, preoccupata.
Dolorante e arrabbiato, senza dentifricio e con un lavandino addosso che lo schiacciava, Peter scoppiò in un pianto isterico, condensando in quelle lacrime calde tutta la delusione che aveva accumulato in undici anni senza magia.
I suoi genitori, vedendolo in quello stato penoso, decisero di non infierire, preferendo sistemare il tutto con un “Reparo” la mattina successiva, lontano dallo sguardo sconfortato del figlio.
Lo presero di peso e lo trascinarono nel letto, restando con lui fino a che il sonno, pesante e russante, non sopraggiunse a calargli le palpebre.

L’alba filtrò attraverso le spesse tende di velluto giallo della camera di Peter, lasciando che un raggio di luce dispettoso si insinuasse sotto le coperte del ragazzo, che boccheggiò, in una muta imprecazione, rotolandosi nel letto.
“Ahia!” Gracchiò, con la voce impastata dal sonno, sentendo qualcosa di appuntito pungerlo a livello dello sterno. Sulle prime, Peter pensò fosse uno dei tanti lividi causatogli dalla sua spettacolare caduta in bagno, e si massaggiò distrattamente il punto dolente, trattenendo a stento un’esclamazione stupita.
Fece scorrere la mano lungo il taschino del pigiama, con circospezione. Sembrava che qualcosa di lungo e appuntito fosse stato riposto nella tasca, ma Peter era certo di non averci infilato proprio nulla, la sera precedente. Curioso, infilò la mano nella tasca, estraendo quello che sembrava proprio essere...
“Un tubetto di dentifricio!” Gridò, stupito, balzando in piedi sul materasso. La sua mente correva veloce, rapida cercando di formulare un pensiero coerente: in tasca non aveva messo nulla, il dentifricio era finito, si era arrabbiato, si era arrampicato, non era riuscito a prenderlo, si era arrabbiato davvero tanto, poi era caduto, e si era arrabbiato ancora di più, ma non era riuscito comunque a prendere il tubetto. Non aveva proprio idea di come quel tubetto si fosse trovato nel suo taschino, sembrava che ci fosse finito...
“Per magia!” Sussurrò il ragazzo, a mezza voce, incredulo rigirandosi il dentifricio per le mani. Senza nemmeno capire bene quel che stava facendo, il ragazzo saltò giù dal letto, schiacciando per errore la coda di Asfodelo, che soffiò, irato, piantandogli le unghie nei talloni. Peter, non se ne curò nemmeno, anzi, in preda ad uno stato di incosciente felicità, si fiondò in cucina, sorprendendo i genitori nella colazione.
“Dentifricio!” Ululò, mostrando trionfante lo scatolino a suo padre, che per poco non si strozzò col caffè, per lo spavento.
Peter si arrampicò su una sedia con un saltino, continuando a sventolare l’astuccio, senza smettere di gridare “Dentifricio!”.
Sua madre, scioccata e preoccupata dall’idea che il figlio, dopo la tanto rovinosa quanto suggestiva caduta, avesse perso qualche rotella, cercò di riportarlo a terra, ma fu quasi atterrata da una palla piumata che si era fiondata all’interno della cucina, lasciando una lettera fra le mani di un attonito Peter.
Il ragazzo, con mano tremante, l’aprì, strizzando gli occhi fino a ridurli a due fessure e lesse.
“Caro Signor Minus,
con la presente missiva, Le comunichiamo che lei è ufficialmente iscritto alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts...”
Peter non fece in tempo a finire di leggere la lettera, che cadde a terra, perdendo i sensi per la felicità, riuscendo a leggere il post scrittum finale solo due ore dopo.

“PS: Converrà con me che non tutti i mali vengono per nuocere, né tutti i tubetti di dentifricio vuoti, vero Signor Minus?
Nella speranza di una pronta guarigione dei suoi lividi,
Albus Silente.”

  
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