She got a ticket to ride
(But she
don’t care)
Faceva
molto freddo fuori quella mattina, un freddo insolito nelle latitudini
in cui sorgeva Los Angeles, eppure come tutti gli inverni che si
rispettassero un poco di gelo doveva pur sempre presentarsi in ogni
angolo del mondo.
Proprio
per questo motivo, ed anche perché essendo sabato poteva
dormire quanto voleva senza esser disturbata, Katie se ne stava
accoccolata nel sul bel
lettuccio imbottito di piumoni e lenzuola calde, con gli occhi chiusi
ed i capelli che formavano una aureola scura intorno al suo viso,
distesa in una meravigliosa estasi.
Chi
aveva il coraggio di alzarsi da quel meraviglioso giaciglio mentre
fuori impazzava la tormenta (si fa così per dire)?
Solo
due pazzi come sua madre e Fernando potevano.
Infatti
stavano girando per casa già da due ore, chi spolverando,
lavando e pulendo, chi sdraiata sul divano in soggiorno a vedere i
cartoni animati della mattina.
Katie
si rigirò al pensiero della madre: andava per i
quarant’anni ed ancora si guardava i Looney Tunes!
Lei
invece tra non molto avrebbe compiuto quattordici anni e Willie il
Coyote che tentava di acchiappare con qualunque mezzo a disposizione
Road Runner sfrecciante per la strada rappresentava solo un ricordo
della sua breve infanzia, nel complesso spensierata ma tormentata da
fantasmi sconosciuti che si erano presentati a lei solo molto tempo
dopo.
Si
rigirò bruscamente su sé stessa per scacciare il
ricordo di sua madre che la stringeva a sé, piangendo per
tutto quello che aveva passato e per l’odio che provava verso
suo padre.
Non
l’aveva mai conosciuto né aveva visto sue
fotografie ma non voleva immaginarselo: avrebbe visto soltanto dolore.
E
macabra soddisfazione.
All’improvviso
Katie si sentì chiamare dabbasso da una voce particolarmente
acuta e scocciata che lei riconobbe come quella di quel ficcanaso di
Fernando: non capiva ciò che le stava urlando ma comprese
che si trattava di qualcosa d’importante, di solito non si
sgolava per una stupidaggine qualsiasi.
Per un
po’ non osò muoversi dalla posizione in cui stava
dolcemente rannicchiata assaporando la gioia di poltrire sotto le
coperte fino all’ora di pranzo ma alla fine, spinta dal
desiderio di conoscere il messaggio di Fernando ed anche
perché la sua voce insopportabile le stava perforando i
timpani, si alzò con molta calma dal suo giaciglio, si
grattò la testa e borbottando scese le scale barcollando,
usando più l’olfatto che la vista,
poiché amando moltissimo la cucina del maggiordomo
(naturalmente quando non preparava le tortillas e la salsa guaca mole)
ed avendo sperimentato vari modi di cucinare la torta di mele arrivando
alla conclusione che quella di Fernando era la migliore, avrebbe potuto
riconoscere il suo profumo anche tra milioni.
Quando
però si affacciò alla porta della cucina
assaporando già con il naso la sua colazione si accorse che
lui non era lì, bensì in soggiorno e stava
chiacchierando probabilmente al telefono con qualcuno di cui lei
ignorava l’identità.
Si
avvicinò con cautela, fremendo di curiosità, e
stava per appostarsi dietro una colonna portante della stanza per
spiare la spia che questa si girò di scatto verso di lei e
la investì con un gran sorriso mischiato a sollievo, che
però non la convincevano per niente.
“Oh
eccola qui! Finalmente si è alzata la nostra piccola peste,
spero di non averla fatta aspettare molto, ma come ben sa i giovani
hanno il sonno pesante e Katie non è da meno! Okay, ora
gliela passo, non si preoccupi…”
Abbassò
la cornetta e fece segno a Katie di avvicinarsi.
Lei
eseguì l’ordine seppur un po’ scettica
nei riguardi dello sconosciuto che stava conversando con Fernando
poiché non conosceva qualcuno di così importante
a cui dava del “lei”.
O
meglio uno c’era ed il suo presentimento si faceva via via più grande.
“Dice
di essere un tuo amico, anche se dalla voce non si direbbe.
È da quasi un quarto d’ora che ti aspetta e non ha
dato segni di cedimento. Posso
fidarmi?” le disse Fernando porgendogli la cornetta.
“Ma
sì, Fernando, chi vuoi che sia? Sai
che non frequento brutta gente, almeno non ancora”rispose
Katie scocciata.
“Oh
allora possiamo sperare nella nascita di una nuova teppista!”.
“Peccato
che già lo sia. Allora,
vuoi toglierti di mezzo?”
“Ai
suoi ordini, sergente!” Fernando si raddrizzò e
partì a passo di marcia verso i piani superiori, dando di
tanto in tanto un’occhiatina a Katie nel soggiorno.
Lei
non gli badò e si rivolse invece al suo interlocutore che
preoccupato per il suo silenzio la stava aspettando all’altro
capo del filo.
“Scusatemi
ma stavo parlando con il mio maggiordomo, non la smette di rompere le
palle neanche di mattina”.
“Vi
capisco, ne conosco fin troppa di gente ficcanaso. Ma non mi è sembrato molto
antipatico, sinceramente”.
“Lo
sa essere molto bene, non si preoccupi. Comunque
perché mi avete chiamato proprio oggi?”.
“Perché
oggi è sabato e da ciò che mi risulta non andate
a scuola”.
“E
questo cosa
centra?”
“Centra eccome. Ecco, volevo
chiedervi… Se non avete nulla da fare naturalmente questa
mattina…”
“Non
si preoccupi, non ho impegni importanti stamattina”.
“Bene,
allora vi va di… Venire a casa mia tra mezz’ora?
Tanto non abito lontano da voi, ci metterete poco per
arrivare… Allora?”
“Beh
ecco… Non so, devo chiedere prima a mia madre, non voglio
che si faccia investire da un taxi perché sono sparita di
casa sotto il suo naso, e sinceramente non la vedo dell’umore
adatto per una domanda del genere…”
“Comprendo
il viscerale amore che provate per
vostra madre, assolutamente. Ma ho bisogno della vostra presenza, di
parlarvi e di vedervi. Soprattutto vedervi. Vi
giuro che non vi tratterrò molto e ritornerete a casa prima
dell’ora di pranzo, mi basta solo un vostro
sguardo”.
“E
da quando tutto questo romanticismo? Le ricordo che non sono la sua
fidanzata, bensì sua alunna
e voi siete l’insegnante
giovane ma intransigente che purtroppo non posso cacciar via dalla
scuola perché la sua furbizia non me lo permette. Però una cosa positiva ce
l’avete e cioè non sopportate le regole, proprio
come me; e visto che abbiamo questo particolare in comune accetto la
vostra proposta”.
“Non
mi piace il ragionamento che avete fatto ma sono contento lo
stesso”.
“Okay,
anche io allora lo sono. Bene, allora
tra mezz’ora… A casa vostra?”
“Esatto.
Sapete già dove abito,
vero?”
“Sì,
non mi ci vorrà molto se prendo un taxi. Ed ora scusate ma vado a prepararmi, a
dopo”.
“A
dopo, signorina Katherine”.
Johnson
riattaccò e Katie mise giù il ricevitore.
Non
era la prima volta che il suo professore di matematica la richiedeva
come confidente e psicologa e si stava abituando alle sue telefonate a
tutte le ore, talvolta disturbate dagli urli di un bambino piccolo che
reclamava i suoi bisogni fondamentali e non la smetteva fin quando non
raggiungeva il suo scopo.
Tuttavia
Katie non mostrava nervosismo né stanchezza, anzi si
divertiva a consigliare un tipo così diverso da lei come Joe
e la sua soddisfazione cresceva quando constatava che i suoi consigli
erano stati veramente utili a lui.
Non
perse neanche un secondo a lavarsi, vestirsi e far colazione ed in meno
di un quarto d’ora era già per strada, ben coperta
dalla testa ai piedi, sbracciandosi per fermare un gentilissimo taxi
che le avrebbe risparmiato tanta strada ed inutili fatiche, ma
fortunatamente ce n’era sempre uno
disposto ad accompagnarla a destinazione: il tassista infatti era un
suo vecchio amico e spesso gli ritornavano alla memoria come nuovi i
ricordi di lei e dei suoi pestiferi amichetti che scappavano con il
fiatone dentro la sua vettura da qualche vecchio signore colpito da una
delle loro malefatte o da un poliziotto dalla faccia paonazza dal
manganello volante.
Con
questa scusa perdeva addirittura venti minuti a girare in tondo ad alla fine Katie si congedava
molto gentilmente, dicendogli che doveva andare e lui dispiaciuto si
fermava e la accompagnava per un tratto fino all’imbocco
della via in cui abitava il professore.
Lei si
incamminava con un ronzio formidabile nelle orecchie ma ancora
abbastanza lucida da conversare con Joe.
Percorreva
le lunghe file di case con una certa meraviglia tutte le volte.
Non
sapeva neanche che ci fosse una zona così silenziosa e
sgombra di criminali come quella in cui vivevano Joe e suo figlio:
sembrava di essere in qualche pulita ed ordinata capitale del Centro
Europa, anche i gatti erano più grassi e puliti di quelli
che si incontravano continuamente nel viale in cui viveva Katie,
l’erba e gli alberelli delle aiuole crescevano più
alti ed erano continuamente potati da mani esperte.
Le
case non erano alte più di tre piani ed incastrate una vicino all’altra
come pezzi di un bizzarro puzzle e trasmettevano l’idea del
calore e della fratellanza più di quella
dell’asfissia.
L’abitazione
di Joe si trovava nelle prime file e non era facile individuarla
poiché era una delle più piccole; un utile
contrassegno però era la mitica cassetta per la posta rossa
con tanto di bandierina che come uno strano fungo gigante sbucava dal
terreno in prossimità della porticina di legno della casa.
Katie
diede un sospiro di sollievo quando la riconobbe, impaziente si mise a
correre fino ad arrivare sullo zerbino dove si pulì per bene
gli stivali ed infine bussò in attesa di una risposta:
dapprima sentì dei passi affrettati dirigersi verso la
porta, qualcuno che inciampava, si rialzava come se non si fosse fatto
niente e proseguiva con più scioltezza verso la sua meta ed
infine la serratura che scattava, lo scuro legno che lasciava spazio
all’azzurro degli occhi di Joe ed al suo sorriso cui solo il
sole poteva tener testa.
Katie
si sentì il bisogno di andare in bagno
anche se c’era stata quindici minuti prima:
forse l’azzurro le stimolava la diuresi.
“Benvenuta,
signorina Katherine. Spero di non
avervi fatto attendere molto”.
“Non
si preoccupi, signore,
è tutto a posto. Buongiorno!”
Ed
aveva anche urgente bisogno di un calmante, anzi di un anestetico.
“Buongiorno.
Vi sentite bene, vi vedo un po’ troppo euforica…”
“Oh
non si preoccupi, sto benissimo! Davvero!”
Una
buona dose di morfina.
“Sicura?”
“Sicurissima!
Allora, rimaniamo qui a morirci di freddo oppure entriamo?”
“Oh
accidenti, avete ragione! Scusatemi,
entrate pure”.
Joe si
tolse dall’uscio per farla passare e lei, titubante come
tutte le volte, entrò nella casa del suo insegnante: era
così piccola che il primo piano fungeva da atrio, soggiorno
e cucina, mentre al secondo piano dovevano esserci almeno due stanze ma
questo Katie non lo sapeva poiché non c’era mai
stata. I mobili e l’arredamento erano semplici
così come chi vi abitava, di un legno scuro e fuori moda,
gli unici elettrodomestici erano un frigorifero, una piccola
televisione che avrà avuto sì e no quindici anni
ed un telefono anch’esso molto vissuto, con i numeri stampati
sui tasti che quasi non si vedevano più ed il cavo consunto.
Gli
unici oggetti completamente integri erano l’attaccapanni
dinnanzi alla porta, il massiccio divano di pelle scarlatta appoggiato
al muro di destra ed una bellissima macchinina colorata appartenente
sicuramente al piccolo John posizionata sul tavolo davanti ai fornelli,
così come gli scarabocchi ed i pastelli sparsi per tutto il
pavimento, anch’essi colorati e preziosi.
Katie
ancora non riusciva a comprendere come un bimbo così piccolo
avesse tali capacità: quando aveva un anno lei non sapeva
neanche cosa fossero dei fogli e dei colori mentre il figlio di Joe
ormai era diventato un esperto del campo.
Ma il
padre ribadiva che la sua era tutta intelligenza.
Erano
invece meno colorate e preziose le pile di documenti e compiti in
classe che Joe si portava a casa e controllava mentre intanto si
occupava della casa e del bambino.
Katie
camminava lentamente in mezzo a tanta bellezza: i disegni di un bambino
all’apparenza non hanno alcun significato ma analizzandoli
per bene si coglie appieno ciò che gli adulti ignorano da
tempo e non saranno più in grado di comprendere.
Stonavano
alla perfezione con le due torri bianche ed intatte sulla cui cima
stavano un paio di occhiali da lettura rettangolari ed una stilografica
che rendevano le torri ancora più austere.
Si
guardò intorno, indecisa tra il mettersi seduta sul divano
oppure aspettare l’invito del padrone di casa, nel frattempo
strizzandosi le mani in grembo.
Il suo
respiro già affannoso si bloccò quando Joe si
voltò verso di lei guardandola innocentemente.
Sembrava
un bambino, proprio come suo figlio.
“Perché
non vi siete ancora accomodata? Che
ci fate ancora lì in piedi?”
“Oh…
Stavo… Stavo guardando le opere di John!”
Raccolse
uno dei fogli dal pavimento attraversato per tutto il suo perimetro da
una serie di strisce colorate accostate senza logica da una mano
malferma, eppure per Katie a modo suo possedeva carattere.
“Sono
contento che vi piacciano. Un artista prolifico come lui ha il diritto
di far conoscere le sue opere al mondo intero ed essere giudicato
secondo precisi criteri. Comunque ce ne sono di più belli,
se vuole vederli…”
“Oh
non si preoccupi, faccio da sola!”
Si
accucciò per terra e stava esaminando il secondo foglio
quando le sorse spontanea una domanda.
“A
proposito dov’è John?”
“È
di sopra, in camera. Sta ancora dormendo, e per di più sul
mio letto! Io non ero così
dormiglione da piccolo”.
“Avrà
preso sicuramente dalla madre”.
“Sua
madre si alzava tutti i giorni all’alba ed andava a dormire
alle due di notte. Se non doveva
andare a qualche festa, naturalmente”.
“Allora
è un bimbo che ha capito tutto della vita”.
“Penso
proprio che voi abbiate ragione, Katie! È
un vero furbacchione!”
“Per
quanto lo può essere un bambino di un anno e cinque
settimane”.
“Oh
ma lui è molto
più avanti dei suoi coetanei! Mi immagino
quando andrà a scuola… Diventerà
sicuramente un ribelle…”
Il
pensiero di un teppista come figlio non piaceva a Joe: pensava che
sarebbe diventato uno di quei genitori esauriti e certe volte anche
depressi che non riescono a contenere la mancata libertà dei
figli e finiscono per aiutarli a tal punto che essi si sentono oppressi
e scappano di casa delle volte senza far ritorno.
E
nonostante John fosse ancora piccolino per metter sotto sopra la
città, l’ansia per il futuro cresceva.
“Non
quanto me, almeno”.
Katie
sapeva benissimo a cosa andava incontro pronunciando quella frase: il
suo insegnante l’avrebbe certamente consolata e coccolata
fino alla nausea al fine di farle cambiare idea ma ormai sapeva che in
certi momenti la sua bocca ragionava da sola, senza l’aiuto
del cervello.
Non
poteva farci nulla.
“Non
dite più cose del genere, avete capito? Voi non siete una
ribelle, signorina Katherine! Siete
solo…”.
“Solo cosa? Non ci sono altri
aggettivi per descrivermi!”
“Ed
invece sì! Siete così testarda che non riuscite a
comprendere quando qualcuno vi sta aiutando o vuole aiutarvi, lo
prendete solo per una fastidiosa intrusione nella vostra vita! Voi non siete ribelle… Siete libera”.
“Non
mi pare che ci siano differenze…”
“Ce
ne sono, eccome.
Guardate mio figlio, Katherine, guardate ciò che lascia al
suo passaggio senza rendersene conto. So che i bambini hanno delle
libertà in più rispetto ai grandi ma ogni bambino
è diverso, e perciò ce ne sono di tranquilli, di
irrequieti, di obbedienti, di dispettosi, di lunatici, di abitudinari,
di teneri, di indifferenti.
E ci
sono anche i bambini liberi.
Si
prendono i loro spazi e non vogliono esser disturbati se non quando
sono loro a cercare te.
Sì,
sono poco ortodossi, ma è la loro natura che glielo impone,
così come voi da bambina eravate libera da ogni catena che
potesse opprimervi. E lo siete tuttora.
Non
sopportate che qualcuno vi comandi perché ritenete che vivendo liberi si viva meglio.
Tutto qui.
Io non
sono stato capace di liberarmi prima che mio padre mi avvincesse nella
sua morsa ma ho sempre sperato incontrare qualcuno che fosse diverso da
me, per trasmettermi un po’ quel suo amore per la
libertà impareggiabile.
Difatti
ho incontrato mia moglie, e nostro figlio ora è proprio come
lei. Libero.
Ed io
non posso essere più che felice per lui! Crescerà
libero e sarà un uomo libero, come io ho sempre sognato di
essere.
Sarà
tutto ciò che non sono stato io, sarà tutto
ciò che avrei soltanto potuto immaginare.
IMAGINE.
Sarò
Libero... in lui.
Non
siate così dura con voi. Non
serve a nulla, ve lo posso dire io”.
Se
Katie avesse controbattuto anche un monologo così disarmante
come quello che le aveva appena regalato Joe sicuramente il loro strano
litigio sarebbe continuato per molto tempo.
Ma lei
non voleva vederlo soffrire per una senza speranza come lei, aveva
già tanti di quei problemi a cui provvedere.
Si
alzò dal freddo pavimento tremando come una gelatina alla
frutta e gli mise una mano sulla triste spalla; lui non si ritrasse e
la guardò con la potenza di un microscopio, minima in
confronto a quella che esercitavano gli occhi di Katie nei suoi.
Come
è di natura negli esseri umani gli occhi scuri sono un
carattere dominante, gli occhi chiari
invece recessivo: non c’era verità
più palese per sottolineare l’indole dei due,
poiché uno sguardo cupo e tempestoso non potrà
mai essere sottomesso da uno sguardo chiaro e docile.
Però
c’era sempre quel grigio minaccioso a sporcare la
tranquillità dell’azzurro primaverile ma non molti
lo notavano: Katie nonostante conoscesse ciò che avevano
visto quegli occhi non riusciva a comprendere cosa nascondessero in
realtà.
Il
grigio rimaneva sempre indecifrabile, muto come la lapide di uno
sconosciuto, e proprio come se si trovasse in un cimitero il suo corpo
si illanguidiva per l’impotenza, una sensazione che non aveva
mai provato prima, e che ora stava scavando ancor più
profondamente in lei e si sostituiva alla sua naturale forza, ormai
completamente inutile.
E
più passava il tempo in compagnia del suo insegnante e del
suo bimbo più si sentiva inadatta a loro: aveva una vita fin
troppo felice.
Non
aveva mai provato sulla sua pelle ciò che aveva provato sua
madre e si riteneva fortunata per questo.
Aveva
un amico ed un confidente magnifico, un altro amico permaloso e pignolo
ma estremamente sincero ed una madre appiccicosa ma simpatica.
Aveva
da sempre desiderato un padre ma dopo aver scoperto quale razza di
figlio di puttana fosse non dava più importanza alla sua
figura: viveva così bene senza di lui e le sue morbose manie!
Invece
Joe… Cosa possedeva Joe? Un figlio che si esprimeva a
monosillabi che seppur carino ed intelligente non poteva essere usato
come strumento del padre per sfogarsi di tutte le sue pene interne.
Un’infanzia
per certi versi negata, una giovinezza sregolata e spezzata per sempre.
Nessun
amico.
Distolse
gli occhi da quelli dell’uomo: la loro profonda passione la
facevano rabbrividire più del gelo della casetta, e quelle
sue pupille solitarie come isole nell’oceano non la
rassicuravano.
Lui
però la prese delicatamente per il mento e la
riportò sulla sua isola deserta, sul suo oceano tempestoso
che rifletteva le nuvole di una tempesta perenne.
Come
la prima volta che vide quegli occhi vi annegò senza neanche
ribellarsi alle onde alte e soffocanti, provando piacere nel suo totale
abbandono, un piacere indescrivibile.
Katie
non conosceva molti piaceri terreni ed alcuni non riusciva ad
apprezzarli, ma quello dal quale si era lasciata trasportare era
assolutamente il migliore ed il più appagante di tutti.
Non
aveva mai incrociato occhi simili.
Perderli
sarebbe stata la sua fine.
Un
urlo la fece ritornare a riva, abbattuta e bagnata: proveniva dal piano
di sopra e la sua intensità accennava a non diminuire.
Joe,
premuroso com’era nei confronti del figlio, salì
di sopra per non lasciarlo solo nel lettone e Katie rimase in mezzo
alla stanzetta come una stupida: con tutti i momenti che
c’erano proprio quando stava per raggiungere
l’apoteosi John doveva svegliarsi e frignare
affinché il suo paparino gli facesse un po’ di
coccole prima di scendere in cucina e mangiare la pappa da bravo
bambino?
Katie
sbuffò: e dire che i bambini al di sotto dei due anni erano
i suoi preferiti proprio perché non davano fastidi!
John
però, da come aveva potuto constatare varie volte, era un
tipetto molto particolare.
Era
molto carino, con degli occhi scuri e dolci ed una nuvola di capelli
biondissimi attorno alla testolina sempre in movimento, le guancie
tonde e rosse come due mele che stonavano con il candore della sua
pelle e dei suoi capelli.
Nonostante
la bellezza quasi angelica che possedeva questo bambino il suo
comportamento simile a quello di un allegro hippie dei tempi andati le
dava noia, e non sarebbero bastati tutti i bei discorsi di suo padre a
convincerla sulla dolcezza e bontà di suo figlio,
perché la dolcezza e la bontà di John si
fermavano al suo aspetto fisico.
Quando
Joe discese le scale con John in braccio che si era miracolosamente
calmato e la osservava con curiosità, Katie si
avvicinò e cominciò a carezzargli i ciuffi
argentei, facendo attenzione a non impigliarci le unghie altrimenti gli
urli del piccolo sarebbero arrivati in Paradiso e le sue orecchie pure.
John
sembrava gradire il trattamento e fece per sbracciarsi verso Katie
quando il padre lo riprese sotto la sua ala protettrice ammonendolo
dolcemente: lui ci rimase molto male, quando l’amichetta del
papà gli faceva le coccole gli stava simpatica.
Anche
Katie era molto dispiaciuta.
Dopo
che ebbe avuto il permesso da Joe, poté sistemare John sul
divano scarlatto e giocare con lui, mentre il padre svolgeva le sue
abituali mansioni scolastiche.
Continuarono
così fin quando Joe si stancò di correggere
compiti e volle parlare un po’ con Katie, e lei non le
rifiutò questo piacere.
Quando
lui non aveva particolari problemi da risolvere, sia di geometria che
quotidiani, chiamava la ragazzina per farsi quattro chiacchiere e far
divertire sia lui che John, e senza che nessuno dei tre se ne
accorgesse passavano tranquillamente le ore; fortunatamente quel giorno
Katie si lasciò guidare dal suo stomaco e seppe che era
giunta l’ora di ritornare a casa.
Joe le
chiese anche se voleva rimanere a pranzo da lui ma lei disse che non
poteva assolutamente, poiché il governatore
della casa esigeva che lei mangiasse solo quello che
cucinava lui invece di “schifezze che solo gli americani
potevano inventarsi”, e perciò Katie si
imbottì di malavoglia, salutò il professore e suo
figlio e si incamminò verso casa.
E
mentre proseguiva con il ticchettio dei
stivali come unica compagnia il tenero calore del sole
d’inverno le illuminò il viso ed il suoi abiti
scuri e non la lasciarono per tutto il tragitto verso casa, come se
volessero ricordarle qualcosa che lei aveva stupidamente dimenticato.
Oppure
per dirle semplicemente che anche lui, il Sole, era lì a
sostenerla, nel freddo e solitario inverno.
E con questa
bella atmosfera romantica chiudo il mio undicesimo capitolo!!^_^
Sconvolti
eh?XD Beh, fortunatamente ho avuto pochissimo da fare di questi tempi e
mi sono potuta dedicare di più alla mia storia, e poi da
questo momento fino a non lo so xD i capitoli saranno più
corti, così non vi annoiate a leggervi venti o venticinque
pagine di capitolo!xD
Comunque
bentornati sulla mia storia!!*_*
Spero che il
fatidico capitolo dieci vi sia piaciuto, in prova contraria sarete
severamente puniti con
Prima dei
ringraziamenti devo darvi un po’ di spiegazioni (come al
solito!xD) : innanzitutto
per molto tempo approfondirò di più il rapporto
tra Katie e Joe che se per voi può essere totalmente inutile
per me e per la storia non lo è
affatto!!ù___ù Infatti se non si fossero mai
conosciuti non avrei mai potuto continuare la storia!xD Inoltre
sarà grazie a loro che Michael dirà finalmente a
Fiordaliso che razza di sorpresa ha in serbo per lei, perciò
tenete Efp sempre aperto e drizzate le antenne!!^^
Vi chiedo
inoltre di avere un po’ di pazienza perché Michael
ritornerà ed in perfetta forma!!
(Anche se lui, maledetto, ha una
fisico pazzesco!*__*)
Poi molti si
chiederanno: ma cosa cavolo significa il titolo del capitolo?? Bene, ho la risposta alla
vostra domanda!!ù__ù
Naturalmente
per chi non è fan dei grandi Beatles non conosce la canzone
“Ticket To
Ride” ,
sappiate però che parla di una ragazza che ha un biglietto
per andar via ma non le importa, semplicemente questo!! (Molto complesso il significato
eh?XD) Ed è ovvio che mi riferisca a Katie!!^^
Bene, ed ora
passiamo ai ringraziamenti!!
Visto che ci sono tante mie fan che ancora non hanno recensito e non mi
hanno fatto saper nulla le ringrazio tutte
insieme con l’augurio che si ricordino di me
nella valanga di storie che popolano la loro mente!!XD
Poi un
ringraziamento a parte lo meritano la mia collega, Mrs Cartney
alias GioTanner (che ha anche
commentato..<___<)
la quale mi ha aiutato a scegliere il titolo per il
capitolo… (A dir la verità c’ho pensato
da sola ma mi andava di ricordarla!!XD) Brava Romina, continuami ad
aiutare e ti regalerò una scatola di biscotti per
cani!!ù__ù *A Cuccia!!*
Ah e poi
è stata lei a suggerire quel pezzettino alla fine del
discorso del prof sulla differenza tra l’essere
ribelli e l’essere liberi, un chiarissimo
riferimento a Imagine
del grandissimo ( e soprattutto bellissimo!XD) John Lennon, che io amo
incommensurabilmente!(Fateci caso, tutti i buoni li ammazzano e quelli
che dovrebbero andare all’inferno con tutte le scarpe invece
rimangono qui a romperci le palle!! Ma si può??ù__ù)
Comunque
grazie di tutto, Picci!!^__^ Tra non molto spaccheremo
Efp noi due, e sai a cosa mi riferisco!!* faccina ammiccante* ^__^
Poi la mia
dolcissima maritina Bad_Mickey
alias MissProngs
per la sua recensione a telefono, poiché non ha mai tempo
per connettersi a Internet!!
Poverina, ti capisco, una donna impegnata come te ha tutta la
comprensione possibile da una donna pigra come
me!ù__ù Complimenti vivissimi, ti voglio bene
Orsola e ricorda che io sono sempre qui per te, e non solo io!! Ah, tutti noi aspettiamo il
tuo ritorno, sii forte..^_^
Oh e poi ho
finito!!XD
“E
noi chi siamo, i figli dell’oca bianca??”
“Oca
bianca? Oca bianca?? DOVE, DOVE???”
“È
un modo di dire,
George”
“Ah…
Bene” *George si incantuccia mogio mogio
in un angoletto con lo stomaco che brontola come una locomotiva*
“Non
preoccuparti, George, qui
ci sono persone molto peggiori di te!”
“Ah
e chi sarebbero queste persone?”
“Tu
ad esempio!!”
“I-io??”
“Sì,
tu!”
“E
perché proprio io?”
“Perché
il tuo naso è indecente!!”
“Oh
senti chi parla!!”
“Il
mio naso è bellissimo!”
“Certo,
ed io sono
“Non
immischiare
“Io
parlo della Regina quando e come mi pare!”
“Questa
l’hai voluta, nasone!!”
*John e Ringo
iniziano a scazzottarsi da tutte le parti, il punto più
colpito dai pugni di John è proprio il naso di Ringo!!*
“Oh
santo cielo calmatevi voi due!!”
*Claudia
allontana i due combattenti con una forza innata nelle braccia che non
sa nemmeno da dove è sbucata*
“Ragazzi,
state calmi per favore, devo salutare le mie fan!!
Dopo potrete parlare con calma ma, vi prego, comportatevi bene!! Paul,
ci pensi tu a guardarli?”
“Con
molto piacere!!”
“Bene,
posso andarmene tranquilla!!”
Oh Veronica,
è dura vivere con quattro tipi del genere, più
una pazza ninfomane che si diverte a stuzzicare il povero
Michael… Cioè, i miei gusti musicali fanno
veramente a cazzotti tra di loro!XD
“Vorrai
dire loro fanno a cazzotti!!”
“Beh,
il concetto è simile, Paul…”
“Già…”
*Paul strizza gli occhi e ragiona su ciò che ho appena detto*
Che tipi
ragazzi!! Però
li amo tutti, indistintamente!!^_^
Beh,
è arrivato il momento di salutarci, Bamboli e Cuccioli, vi
auguro vista l’occasione un buon fine di anno scolastico,
questi sono gli ultimi giorni, cercate di tener duro come sto facendo io!!^__^
A presto ed
ancora tanti saluti dalla vostra….
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.*.Looney!!*.*.