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Autore: Looney    18/05/2010    1 recensioni
Voi credete agli angeli? Bene, se avete risposto sì a questa domanda allora non poteva essere meglio. La storia in questione narra appunto di un angelo meraviglioso, costretto a sopportare la vita, che viene salvato per caso da una ragazzina umana dal cuore d'oro nella sua stessa identica situazione, diventandone così il migliore amico. Lei non sa però che il piccolo angelo da quel momento in poi ha un grande debito da saldare ed a distanza di ventuno anni dal loro primo incontro si presenta di fronte a lei con una misteriosa sorpresa, la quale ricompenserà la donna della sua fedeltà nei confronti dell'angelo. E allora voi chiederete, cosa c'è di strano in tutta questa storia? Gli angeli non possono fare regali agli esseri umani? Certo che possono. Ma i regali degli angeli non sono come i nostri... Bene, dopo questa breve presentazione spero di aver infuso un po' di suspense in tutti voi, questa storia sarà abbastanza lunghetta e coloro che si impegneranno nel leggerla lo devono sapere per non cadere in uno stato di trance nervoso!!XD è robetta leggera, non preoccupatevi per questo, ma mooolto interessante, fidatevi!!;) Come titolo ho usato una canzone meravigliosa che amo moltissimo, Will You Be There appunto, ma non c'è un legame preciso con ciò che andrò a raccontare nella FanFiction, mi ispirava la canzone tutto qui!!^^ E naturalmente il co-protagonista indiscusso sarà il nostro splendido Michael, attorniato da personaggi bizzarri ed una ambientazione decisamente particolare... Curiosi, eh??^^ Se avete coraggio iniziate a leggere il primo capitolo!!**
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Will You Be There '
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                                 She got a ticket to ride 

 

                                   (But she don’t care)

 

 

 

Faceva molto freddo fuori quella mattina, un freddo insolito nelle latitudini in cui sorgeva Los Angeles, eppure come tutti gli inverni che si rispettassero un poco di gelo doveva pur sempre presentarsi in ogni angolo del mondo.

Proprio per questo motivo, ed anche perché essendo sabato poteva dormire quanto voleva senza esser disturbata, Katie se ne stava accoccolata nel sul bel lettuccio imbottito di piumoni e lenzuola calde, con gli occhi chiusi ed i capelli che formavano una aureola scura intorno al suo viso, distesa in una meravigliosa estasi.

Chi aveva il coraggio di alzarsi da quel meraviglioso giaciglio mentre fuori impazzava la tormenta (si fa così per dire)?

Solo due pazzi come sua madre e Fernando potevano.

Infatti stavano girando per casa già da due ore, chi spolverando, lavando e pulendo, chi sdraiata sul divano in soggiorno a vedere i cartoni animati della mattina.

Katie si rigirò al pensiero della madre: andava per i quarant’anni ed ancora si guardava i Looney Tunes!

Lei invece tra non molto avrebbe compiuto quattordici anni e Willie il Coyote che tentava di acchiappare con qualunque mezzo a disposizione Road Runner sfrecciante per la strada rappresentava solo un ricordo della sua breve infanzia, nel complesso spensierata ma tormentata da fantasmi sconosciuti che si erano presentati a lei solo molto tempo dopo.

Si rigirò bruscamente su sé stessa per scacciare il ricordo di sua madre che la stringeva a sé, piangendo per tutto quello che aveva passato e per l’odio che provava verso suo padre.

Non l’aveva mai conosciuto né aveva visto sue fotografie ma non voleva immaginarselo: avrebbe visto soltanto dolore.

E macabra soddisfazione.

All’improvviso Katie si sentì chiamare dabbasso da una voce particolarmente acuta e scocciata che lei riconobbe come quella di quel ficcanaso di Fernando: non capiva ciò che le stava urlando ma comprese che si trattava di qualcosa d’importante, di solito non si sgolava per una stupidaggine qualsiasi.

Per un po’ non osò muoversi dalla posizione in cui stava dolcemente rannicchiata assaporando la gioia di poltrire sotto le coperte fino all’ora di pranzo ma alla fine, spinta dal desiderio di conoscere il messaggio di Fernando ed anche perché la sua voce insopportabile le stava perforando i timpani, si alzò con molta calma dal suo giaciglio, si grattò la testa e borbottando scese le scale barcollando, usando più l’olfatto che la vista, poiché amando moltissimo la cucina del maggiordomo (naturalmente quando non preparava le tortillas e la salsa guaca mole) ed avendo sperimentato vari modi di cucinare la torta di mele arrivando alla conclusione che quella di Fernando era la migliore, avrebbe potuto riconoscere il suo profumo anche tra milioni.

Quando però si affacciò alla porta della cucina assaporando già con il naso la sua colazione si accorse che lui non era lì, bensì in soggiorno e stava chiacchierando probabilmente al telefono con qualcuno di cui lei ignorava l’identità.

Si avvicinò con cautela, fremendo di curiosità, e stava per appostarsi dietro una colonna portante della stanza per spiare la spia che questa si girò di scatto verso di lei e la investì con un gran sorriso mischiato a sollievo, che però non la convincevano per niente.

“Oh eccola qui! Finalmente si è alzata la nostra piccola peste, spero di non averla fatta aspettare molto, ma come ben sa i giovani hanno il sonno pesante e Katie non è da meno! Okay, ora gliela passo, non si preoccupi…

Abbassò la cornetta e fece segno a Katie di avvicinarsi.

Lei eseguì l’ordine seppur un po’ scettica nei riguardi dello sconosciuto che stava conversando con Fernando poiché non conosceva qualcuno di così importante a cui dava del “lei”.

O meglio uno c’era ed il suo presentimento si faceva via via più grande.

“Dice di essere un tuo amico, anche se dalla voce non si direbbe. È da quasi un quarto d’ora che ti aspetta e non ha dato segni di cedimento. Posso fidarmi?” le disse Fernando porgendogli la cornetta.

“Ma sì, Fernando, chi vuoi che sia? Sai che non frequento brutta gente, almeno non ancora”rispose Katie scocciata.

“Oh allora possiamo sperare nella nascita di una nuova teppista!”.

“Peccato che già lo sia. Allora, vuoi toglierti di mezzo?”

“Ai suoi ordini, sergente!” Fernando si raddrizzò e partì a passo di marcia verso i piani superiori, dando di tanto in tanto un’occhiatina a Katie nel soggiorno.

Lei non gli badò e si rivolse invece al suo interlocutore che preoccupato per il suo silenzio la stava aspettando all’altro capo del filo.

“Scusatemi ma stavo parlando con il mio maggiordomo, non la smette di rompere le palle neanche di mattina”.

“Vi capisco, ne conosco fin troppa di gente ficcanaso. Ma non mi è sembrato molto antipatico, sinceramente”.

“Lo sa essere molto bene, non si preoccupi. Comunque perché mi avete chiamato proprio oggi?”.

“Perché oggi è sabato e da ciò che mi risulta non andate a scuola”.

“E questo cosa centra?”

Centra eccome. Ecco, volevo chiedervi… Se non avete nulla da fare naturalmente questa mattina…

“Non si preoccupi, non ho impegni importanti stamattina”.

“Bene, allora vi va di… Venire a casa mia tra mezz’ora? Tanto non abito lontano da voi, ci metterete poco per arrivare… Allora?

“Beh ecco… Non so, devo chiedere prima a mia madre, non voglio che si faccia investire da un taxi perché sono sparita di casa sotto il suo naso, e sinceramente non la vedo dell’umore adatto per una domanda del genere…

“Comprendo il viscerale amore che provate per vostra madre, assolutamente. Ma ho bisogno della vostra presenza, di parlarvi e di vedervi. Soprattutto vedervi. Vi giuro che non vi tratterrò molto e ritornerete a casa prima dell’ora di pranzo, mi basta solo un vostro sguardo”.

“E da quando tutto questo romanticismo? Le ricordo che non sono la sua fidanzata, bensì sua alunna e voi siete l’insegnante giovane ma intransigente che purtroppo non posso cacciar via dalla scuola perché la sua furbizia non me lo permette. Però una cosa positiva ce l’avete e cioè non sopportate le regole, proprio come me; e visto che abbiamo questo particolare in comune accetto la vostra proposta”.

“Non mi piace il ragionamento che avete fatto ma sono contento lo stesso”.

“Okay, anche io allora lo sono. Bene, allora tra mezz’ora… A casa vostra?”

“Esatto. Sapete già dove abito, vero?”

“Sì, non mi ci vorrà molto se prendo un taxi. Ed ora scusate ma vado a prepararmi, a dopo”.

“A dopo, signorina Katherine”.

Johnson riattaccò e Katie mise giù il ricevitore.

Non era la prima volta che il suo professore di matematica la richiedeva come confidente e psicologa e si stava abituando alle sue telefonate a tutte le ore, talvolta disturbate dagli urli di un bambino piccolo che reclamava i suoi bisogni fondamentali e non la smetteva fin quando non raggiungeva il suo scopo.

Tuttavia Katie non mostrava nervosismo né stanchezza, anzi si divertiva a consigliare un tipo così diverso da lei come Joe e la sua soddisfazione cresceva quando constatava che i suoi consigli erano stati veramente utili a lui.

Non perse neanche un secondo a lavarsi, vestirsi e far colazione ed in meno di un quarto d’ora era già per strada, ben coperta dalla testa ai piedi, sbracciandosi per fermare un gentilissimo taxi che le avrebbe risparmiato tanta strada ed inutili fatiche, ma fortunatamente ce n’era sempre uno disposto ad accompagnarla a destinazione: il tassista infatti era un suo vecchio amico e spesso gli ritornavano alla memoria come nuovi i ricordi di lei e dei suoi pestiferi amichetti che scappavano con il fiatone dentro la sua vettura da qualche vecchio signore colpito da una delle loro malefatte o da un poliziotto dalla faccia paonazza dal manganello volante.

Con questa scusa perdeva addirittura venti minuti a girare in tondo ad alla fine Katie si congedava molto gentilmente, dicendogli che doveva andare e lui dispiaciuto si fermava e la accompagnava per un tratto fino all’imbocco della via in cui abitava il professore.

Lei si incamminava con un ronzio formidabile nelle orecchie ma ancora abbastanza lucida da conversare con Joe.

Percorreva le lunghe file di case con una certa meraviglia tutte le volte.

Non sapeva neanche che ci fosse una zona così silenziosa e sgombra di criminali come quella in cui vivevano Joe e suo figlio: sembrava di essere in qualche pulita ed ordinata capitale del Centro Europa, anche i gatti erano più grassi e puliti di quelli che si incontravano continuamente nel viale in cui viveva Katie, l’erba e gli alberelli delle aiuole crescevano più alti ed erano continuamente potati da mani esperte.

Le case non erano alte più di tre piani ed incastrate una vicino all’altra come pezzi di un bizzarro puzzle e trasmettevano l’idea del calore e della fratellanza più di quella dell’asfissia.

L’abitazione di Joe si trovava nelle prime file e non era facile individuarla poiché era una delle più piccole; un utile contrassegno però era la mitica cassetta per la posta rossa con tanto di bandierina che come uno strano fungo gigante sbucava dal terreno in prossimità della porticina di legno della casa.

Katie diede un sospiro di sollievo quando la riconobbe, impaziente si mise a correre fino ad arrivare sullo zerbino dove si pulì per bene gli stivali ed infine bussò in attesa di una risposta: dapprima sentì dei passi affrettati dirigersi verso la porta, qualcuno che inciampava, si rialzava come se non si fosse fatto niente e proseguiva con più scioltezza verso la sua meta ed infine la serratura che scattava, lo scuro legno che lasciava spazio all’azzurro degli occhi di Joe ed al suo sorriso cui solo il sole poteva tener testa.

Katie si sentì il bisogno di andare in bagno anche se c’era stata quindici minuti prima: forse l’azzurro le stimolava la diuresi.

“Benvenuta, signorina Katherine. Spero di non avervi fatto attendere molto”.

“Non si preoccupi, signore, è tutto a posto. Buongiorno!”

Ed aveva anche urgente bisogno di un calmante, anzi di un anestetico.

“Buongiorno. Vi sentite bene, vi vedo un po’ troppo euforica…

“Oh non si preoccupi, sto benissimo! Davvero!”

Una buona dose di morfina.

“Sicura?”

“Sicurissima! Allora, rimaniamo qui a morirci di freddo oppure entriamo?

“Oh accidenti, avete ragione! Scusatemi, entrate pure”.

Joe si tolse dall’uscio per farla passare e lei, titubante come tutte le volte, entrò nella casa del suo insegnante: era così piccola che il primo piano fungeva da atrio, soggiorno e cucina, mentre al secondo piano dovevano esserci almeno due stanze ma questo Katie non lo sapeva poiché non c’era mai stata. I mobili e l’arredamento erano semplici così come chi vi abitava, di un legno scuro e fuori moda, gli unici elettrodomestici erano un frigorifero, una piccola televisione che avrà avuto sì e no quindici anni ed un telefono anch’esso molto vissuto, con i numeri stampati sui tasti che quasi non si vedevano più ed il cavo consunto.

Gli unici oggetti completamente integri erano l’attaccapanni dinnanzi alla porta, il massiccio divano di pelle scarlatta appoggiato al muro di destra ed una bellissima macchinina colorata appartenente sicuramente al piccolo John posizionata sul tavolo davanti ai fornelli, così come gli scarabocchi ed i pastelli sparsi per tutto il pavimento, anch’essi colorati e preziosi.

Katie ancora non riusciva a comprendere come un bimbo così piccolo avesse tali capacità: quando aveva un anno lei non sapeva neanche cosa fossero dei fogli e dei colori mentre il figlio di Joe ormai era diventato un esperto del campo.

Ma il padre ribadiva che la sua era tutta intelligenza.

Erano invece meno colorate e preziose le pile di documenti e compiti in classe che Joe si portava a casa e controllava mentre intanto si occupava della casa e del bambino.

Katie camminava lentamente in mezzo a tanta bellezza: i disegni di un bambino all’apparenza non hanno alcun significato ma analizzandoli per bene si coglie appieno ciò che gli adulti ignorano da tempo e non saranno più in grado di comprendere.

Stonavano alla perfezione con le due torri bianche ed intatte sulla cui cima stavano un paio di occhiali da lettura rettangolari ed una stilografica che rendevano le torri ancora più austere.

Si guardò intorno, indecisa tra il mettersi seduta sul divano oppure aspettare l’invito del padrone di casa, nel frattempo strizzandosi le mani in grembo.

Il suo respiro già affannoso si bloccò quando Joe si voltò verso di lei guardandola innocentemente.

Sembrava un bambino, proprio come suo figlio.

“Perché non vi siete ancora accomodata? Che ci fate ancora lì in piedi?”

“Oh… Stavo… Stavo guardando le opere di John!”

Raccolse uno dei fogli dal pavimento attraversato per tutto il suo perimetro da una serie di strisce colorate accostate senza logica da una mano malferma, eppure per Katie a modo suo possedeva carattere.

“Sono contento che vi piacciano. Un artista prolifico come lui ha il diritto di far conoscere le sue opere al mondo intero ed essere giudicato secondo precisi criteri. Comunque ce ne sono di più belli, se vuole vederli…

“Oh non si preoccupi, faccio da sola!”

Si accucciò per terra e stava esaminando il secondo foglio quando le sorse spontanea una domanda.

“A proposito dov’è John?”

“È di sopra, in camera. Sta ancora dormendo, e per di più sul mio letto! Io non ero così dormiglione da piccolo”.

“Avrà preso sicuramente dalla madre”.

“Sua madre si alzava tutti i giorni all’alba ed andava a dormire alle due di notte. Se non doveva andare a qualche festa, naturalmente”.

“Allora è un bimbo che ha capito tutto della vita”.

“Penso proprio che voi abbiate ragione, Katie! È un vero furbacchione!”

“Per quanto lo può essere un bambino di un anno e cinque settimane”.

“Oh ma lui è molto più avanti dei suoi coetanei! Mi immagino quando andrà a scuola… Diventerà sicuramente un ribelle…

Il pensiero di un teppista come figlio non piaceva a Joe: pensava che sarebbe diventato uno di quei genitori esauriti e certe volte anche depressi che non riescono a contenere la mancata libertà dei figli e finiscono per aiutarli a tal punto che essi si sentono oppressi e scappano di casa delle volte senza far ritorno.

E nonostante John fosse ancora piccolino per metter sotto sopra la città, l’ansia per il futuro cresceva.

“Non quanto me, almeno”.

Katie sapeva benissimo a cosa andava incontro pronunciando quella frase: il suo insegnante l’avrebbe certamente consolata e coccolata fino alla nausea al fine di farle cambiare idea ma ormai sapeva che in certi momenti la sua bocca ragionava da sola, senza l’aiuto del cervello.

Non poteva farci nulla.

“Non dite più cose del genere, avete capito? Voi non siete una ribelle, signorina Katherine! Siete solo…”.

Solo cosa? Non ci sono altri aggettivi per descrivermi!

“Ed invece sì! Siete così testarda che non riuscite a comprendere quando qualcuno vi sta aiutando o vuole aiutarvi, lo prendete solo per una fastidiosa intrusione nella vostra vita! Voi non siete ribelle… Siete libera”.

“Non mi pare che ci siano differenze…”

“Ce ne sono, eccome. Guardate mio figlio, Katherine, guardate ciò che lascia al suo passaggio senza rendersene conto. So che i bambini hanno delle libertà in più rispetto ai grandi ma ogni bambino è diverso, e perciò ce ne sono di tranquilli, di irrequieti, di obbedienti, di dispettosi, di lunatici, di abitudinari, di teneri, di indifferenti.

E ci sono anche i bambini liberi.

Si prendono i loro spazi e non vogliono esser disturbati se non quando sono loro a cercare te.

Sì, sono poco ortodossi, ma è la loro natura che glielo impone, così come voi da bambina eravate libera da ogni catena che potesse opprimervi. E lo siete tuttora.

Non sopportate che qualcuno vi comandi perché ritenete che vivendo liberi si viva meglio. Tutto qui.

Io non sono stato capace di liberarmi prima che mio padre mi avvincesse nella sua morsa ma ho sempre sperato incontrare qualcuno che fosse diverso da me, per trasmettermi un po’ quel suo amore per la libertà impareggiabile.

Difatti ho incontrato mia moglie, e nostro figlio ora è proprio come lei. Libero.

Ed io non posso essere più che felice per lui! Crescerà libero e sarà un uomo libero, come io ho sempre sognato di essere.

Sarà tutto ciò che non sono stato io, sarà tutto ciò che avrei soltanto potuto immaginare.

IMAGINE.

Sarò Libero... in lui.

Non siate così dura con voi. Non serve a nulla, ve lo posso dire io”.

Se Katie avesse controbattuto anche un monologo così disarmante come quello che le aveva appena regalato Joe sicuramente il loro strano litigio sarebbe continuato per molto tempo.

Ma lei non voleva vederlo soffrire per una senza speranza come lei, aveva già tanti di quei problemi a cui provvedere.

Si alzò dal freddo pavimento tremando come una gelatina alla frutta e gli mise una mano sulla triste spalla; lui non si ritrasse e la guardò con la potenza di un microscopio, minima in confronto a quella che esercitavano gli occhi di Katie nei suoi.

Come è di natura negli esseri umani gli occhi scuri sono un carattere dominante, gli occhi chiari invece recessivo: non c’era verità più palese per sottolineare l’indole dei due, poiché uno sguardo cupo e tempestoso non potrà mai essere sottomesso da uno sguardo chiaro e docile.

Però c’era sempre quel grigio minaccioso a sporcare la tranquillità dell’azzurro primaverile ma non molti lo notavano: Katie nonostante conoscesse ciò che avevano visto quegli occhi non riusciva a comprendere cosa nascondessero in realtà.

Il grigio rimaneva sempre indecifrabile, muto come la lapide di uno sconosciuto, e proprio come se si trovasse in un cimitero il suo corpo si illanguidiva per l’impotenza, una sensazione che non aveva mai provato prima, e che ora stava scavando ancor più profondamente in lei e si sostituiva alla sua naturale forza, ormai completamente inutile.

E più passava il tempo in compagnia del suo insegnante e del suo bimbo più si sentiva inadatta a loro: aveva una vita fin troppo felice.

Non aveva mai provato sulla sua pelle ciò che aveva provato sua madre e si riteneva fortunata per questo.

Aveva un amico ed un confidente magnifico, un altro amico permaloso e pignolo ma estremamente sincero ed una madre appiccicosa ma simpatica.

Aveva da sempre desiderato un padre ma dopo aver scoperto quale razza di figlio di puttana fosse non dava più importanza alla sua figura: viveva così bene senza di lui e le sue morbose manie!

Invece Joe… Cosa possedeva Joe? Un figlio che si esprimeva a monosillabi che seppur carino ed intelligente non poteva essere usato come strumento del padre per sfogarsi di tutte le sue pene interne.

Un’infanzia per certi versi negata, una giovinezza sregolata e spezzata per sempre.

Nessun amico.

Distolse gli occhi da quelli dell’uomo: la loro profonda passione la facevano rabbrividire più del gelo della casetta, e quelle sue pupille solitarie come isole nell’oceano non la rassicuravano.

Lui però la prese delicatamente per il mento e la riportò sulla sua isola deserta, sul suo oceano tempestoso che rifletteva le nuvole di una tempesta perenne.

Come la prima volta che vide quegli occhi vi annegò senza neanche ribellarsi alle onde alte e soffocanti, provando piacere nel suo totale abbandono, un piacere indescrivibile.

Katie non conosceva molti piaceri terreni ed alcuni non riusciva ad apprezzarli, ma quello dal quale si era lasciata trasportare era assolutamente il migliore ed il più appagante di tutti.

Non aveva mai incrociato occhi simili.

Perderli sarebbe stata la sua fine.

Un urlo la fece ritornare a riva, abbattuta e bagnata: proveniva dal piano di sopra e la sua intensità accennava a non diminuire.

Joe, premuroso com’era nei confronti del figlio, salì di sopra per non lasciarlo solo nel lettone e Katie rimase in mezzo alla stanzetta come una stupida: con tutti i momenti che c’erano proprio quando stava per raggiungere l’apoteosi John doveva svegliarsi e frignare affinché il suo paparino gli facesse un po’ di coccole prima di scendere in cucina e mangiare la pappa da bravo bambino?

Katie sbuffò: e dire che i bambini al di sotto dei due anni erano i suoi preferiti proprio perché non davano fastidi!

John però, da come aveva potuto constatare varie volte, era un tipetto molto particolare.

Era molto carino, con degli occhi scuri e dolci ed una nuvola di capelli biondissimi attorno alla testolina sempre in movimento, le guancie tonde e rosse come due mele che stonavano con il candore della sua pelle e dei suoi capelli.

Nonostante la bellezza quasi angelica che possedeva questo bambino il suo comportamento simile a quello di un allegro hippie dei tempi andati le dava noia, e non sarebbero bastati tutti i bei discorsi di suo padre a convincerla sulla dolcezza e bontà di suo figlio, perché la dolcezza e la bontà di John si fermavano al suo aspetto fisico.

Quando Joe discese le scale con John in braccio che si era miracolosamente calmato e la osservava con curiosità, Katie si avvicinò e cominciò a carezzargli i ciuffi argentei, facendo attenzione a non impigliarci le unghie altrimenti gli urli del piccolo sarebbero arrivati in Paradiso e le sue orecchie pure.

John sembrava gradire il trattamento e fece per sbracciarsi verso Katie quando il padre lo riprese sotto la sua ala protettrice ammonendolo dolcemente: lui ci rimase molto male, quando l’amichetta del papà gli faceva le coccole gli stava simpatica.

Anche Katie era molto dispiaciuta.

Dopo che ebbe avuto il permesso da Joe, poté sistemare John sul divano scarlatto e giocare con lui, mentre il padre svolgeva le sue abituali mansioni scolastiche.

Continuarono così fin quando Joe si stancò di correggere compiti e volle parlare un po’ con Katie, e lei non le rifiutò questo piacere.

Quando lui non aveva particolari problemi da risolvere, sia di geometria che quotidiani, chiamava la ragazzina per farsi quattro chiacchiere e far divertire sia lui che John, e senza che nessuno dei tre se ne accorgesse passavano tranquillamente le ore; fortunatamente quel giorno Katie si lasciò guidare dal suo stomaco e seppe che era giunta l’ora di ritornare a casa.

Joe le chiese anche se voleva rimanere a pranzo da lui ma lei disse che non poteva assolutamente, poiché il governatore della casa esigeva che lei mangiasse solo quello che cucinava lui invece di “schifezze che solo gli americani potevano inventarsi”, e perciò Katie si imbottì di malavoglia, salutò il professore e suo figlio e si incamminò verso casa.

E mentre proseguiva con il ticchettio dei stivali come unica compagnia il tenero calore del sole d’inverno le illuminò il viso ed il suoi abiti scuri e non la lasciarono per tutto il tragitto verso casa, come se volessero ricordarle qualcosa che lei aveva stupidamente dimenticato.

Oppure per dirle semplicemente che anche lui, il Sole, era lì a sostenerla, nel freddo e solitario inverno.

 

 

 

E con questa bella atmosfera romantica chiudo il mio undicesimo capitolo!!^_^

Sconvolti eh?XD Beh, fortunatamente ho avuto pochissimo da fare di questi tempi e mi sono potuta dedicare di più alla mia storia, e poi da questo momento fino a non lo so xD i capitoli saranno più corti, così non vi annoiate a leggervi venti o venticinque pagine di capitolo!xD

Comunque bentornati sulla mia storia!!*_*

Spero che il fatidico capitolo dieci vi sia piaciuto, in prova contraria sarete severamente puniti con la Pena Capitale del Solletico..*___*

Prima dei ringraziamenti devo darvi un po’ di spiegazioni (come al solito!xD) : innanzitutto per molto tempo approfondirò di più il rapporto tra Katie e Joe che se per voi può essere totalmente inutile per me e per la storia non lo è affatto!!ù___ù Infatti se non si fossero mai conosciuti non avrei mai potuto continuare la storia!xD Inoltre sarà grazie a loro che Michael dirà finalmente a Fiordaliso che razza di sorpresa ha in serbo per lei, perciò tenete Efp sempre aperto e drizzate le antenne!!^^

Vi chiedo inoltre di avere un po’ di pazienza perché Michael ritornerà ed in perfetta forma!! (Anche se lui, maledetto, ha una fisico pazzesco!*__*)

Poi molti si chiederanno: ma cosa cavolo significa il titolo del capitolo?? Bene, ho la risposta alla vostra domanda!!ù__ù

Naturalmente per chi non è fan dei grandi Beatles non conosce la canzone “Ticket To Ride” , sappiate però che parla di una ragazza che ha un biglietto per andar via ma non le importa, semplicemente questo!! (Molto complesso il significato eh?XD) Ed è ovvio che mi riferisca a Katie!!^^

Bene, ed ora passiamo ai ringraziamenti!! Visto che ci sono tante mie fan che ancora non hanno recensito e non mi hanno fatto saper nulla le ringrazio tutte insieme con l’augurio che si ricordino di me nella valanga di storie che popolano la loro mente!!XD

Poi un ringraziamento a parte lo meritano la mia collega, Mrs Cartney alias GioTanner (che ha anche commentato..<___<) la quale mi ha aiutato a scegliere il titolo per il capitolo… (A dir la verità c’ho pensato da sola ma mi andava di ricordarla!!XD) Brava Romina, continuami ad aiutare e ti regalerò una scatola di biscotti per cani!!ù__ù *A Cuccia!!*

Ah e poi è stata lei a suggerire quel pezzettino alla fine del discorso del prof sulla differenza tra l’essere ribelli e l’essere liberi, un chiarissimo riferimento a Imagine del grandissimo ( e soprattutto bellissimo!XD) John Lennon, che io amo incommensurabilmente!(Fateci caso, tutti i buoni li ammazzano e quelli che dovrebbero andare all’inferno con tutte le scarpe invece rimangono qui a romperci le palle!! Ma si può??ù__ù)

Comunque grazie di tutto, Picci!!^__^ Tra non molto spaccheremo Efp noi due, e sai a cosa mi riferisco!!* faccina ammiccante* ^__^

Poi la mia dolcissima maritina Bad_Mickey alias MissProngs per la sua recensione a telefono, poiché non ha mai tempo per connettersi a Internet!! Poverina, ti capisco, una donna impegnata come te ha tutta la comprensione possibile da una donna pigra come me!ù__ù Complimenti vivissimi, ti voglio bene Orsola e ricorda che io sono sempre qui per te, e non solo io!! Ah, tutti noi aspettiamo il tuo ritorno, sii forte..^_^

Oh e poi ho finito!!XD

“E noi chi siamo, i figli dell’oca bianca??

“Oca bianca? Oca bianca?? DOVE, DOVE???

“È un modo di dire, George”

“Ah… Bene” *George si incantuccia mogio mogio in un angoletto con lo stomaco che brontola come una locomotiva*

“Non preoccuparti, George, qui ci sono persone molto peggiori di te!”

“Ah e chi sarebbero queste persone?”

“Tu ad esempio!!

“I-io??

“Sì, tu!”

“E perché proprio io?”

“Perché il tuo naso è indecente!!

“Oh senti chi parla!!

“Il mio naso è bellissimo!”

“Certo, ed io sono la Regina!!

“Non immischiare la Regina in affari di questo genere!!

“Io parlo della Regina quando e come mi pare!”

“Questa l’hai voluta, nasone!!

*John e Ringo iniziano a scazzottarsi da tutte le parti, il punto più colpito dai pugni di John è proprio il naso di Ringo!!*

“Oh santo cielo calmatevi voi due!!

*Claudia allontana i due combattenti con una forza innata nelle braccia che non sa nemmeno da dove è sbucata*

“Ragazzi, state calmi per favore, devo salutare le mie fan!! Dopo potrete parlare con calma ma, vi prego, comportatevi bene!! Paul, ci pensi tu a guardarli?”

“Con molto piacere!!

“Bene, posso andarmene tranquilla!!

Oh Veronica, è dura vivere con quattro tipi del genere, più una pazza ninfomane che si diverte a stuzzicare il povero Michael… Cioè, i miei gusti musicali fanno veramente a cazzotti tra di loro!XD

“Vorrai dire loro fanno a cazzotti!!

“Beh, il concetto è simile, Paul…”

“Già…” *Paul strizza gli occhi e ragiona su ciò che ho appena detto*

Che tipi ragazzi!! Però li amo tutti, indistintamente!!^_^

Beh, è arrivato il momento di salutarci, Bamboli e Cuccioli, vi auguro vista l’occasione un buon fine di anno scolastico, questi sono gli ultimi giorni, cercate di tener duro come sto facendo io!!^__^

A presto ed ancora tanti saluti dalla vostra….

 

                                                                          * .*.Looney!!*.*.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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