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Autore: cabol    18/05/2010    1 recensioni
Dietro una porta ermeticamente chiusa può celarsi un pericolo misterioso, un favoloso tesoro, un terribile segreto. Aprirla può voler dire trovare tutto questo o chissà cos'altro. Ma certamente ci troveremo sempre l'avventura.
Mille e mille sono le leggende che i bardi raccontano, sull’isola di Ainamar. Innumerevoli gli eroi, carichi della gloria di imprese epiche. Eppure, in molti cantano anche le imprese di un personaggio insolito, che mosse guerra al suo mondo per amore di giustizia.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I misteri di Ainamar'
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Capitolo 16

Capitolo 16: la beffa

Il nostromo pareva decisamente alterato e passeggiava su e giù per il magazzino, brontolando rumorosamente. Era un uomo massiccio, non molto alto, dai radi capelli biondi che andavano sempre più ingrigendo. Il volto, dalla carnagione giallastra denotava chiaramente il suo pessimo umore: le folte sopracciglia erano aggrottate e gli occhi piccoli erano ridotti a fessure.
Il comandante della “Lanterna Gialla” lo osservava perplesso, spostando spesso lo sguardo sugli altri marinai che parevano appoggiare le tesi del sottufficiale. Era un uomo alto e magro, dai lineamenti affilati che ricordavano un po’ una faina. Le argomentazioni del nostromo non lo avevano affatto convinto e l’oro promesso da Brook lo allettava ma si rendeva conto di essere in una posizione difficile.
Seduto su una cassa, lì nei pressi, Brook era furente. Paonazzo in volto, lanciava sguardi irati alla ciurma e alla giovane donna che, pallidissima, sedeva con le mani giunte e gli occhi bassi accanto a lui.
 
«Le donne a bordo portano disgrazia. Il comandante siete voi ma io devo ricordarvelo capitano, giacché parete essere accecato dal miraggio dell’oro. In fondo al mare l’oro non serve!».

Il nostromo si rivolgeva al suo capitano, forte dell’appoggio della maggior parte della ciurma, composta da marinai coraggiosi e senza scrupoli ma profondamente superstiziosi.

«Maledetto gallinaccio, lo volete capire che questa ragazza è il nostro lasciapassare più sicuro?».

«Signor Brook, cercate di ragionare. Il nostromo parla a nome dell’intero equipaggio e non mi sembra un buon viatico per la nostra spedizione partire con tanto malumore a bordo».

Le parole pacate del capitano incoraggiarono il nostromo che si affrettò a sottolineare le sue convinzioni.

«Signor Brook, finché si tratta di opere d’arte o merci di contrabbando, non mi interessa affatto cosa portate a bordo della nostra nave. Ma, se si tratta di donne, io non posso stare zitto. Le sottane devono stare sulla terraferma. Anche se sono belle!».

«Ma lo sapete quanto sarebbe disposto a pagare il padre di questa ragazza, per riaverla? Io dico almeno ventimila monete d’oro. E, se ve lo dico io, potete crederci!».

A queste parole, la giovane impallidì ulteriormente, guardando con occhi sgranati quello che aveva creduto un appassionato spasimante e che, invece, la aveva portata via dalla sua casa con la violenza.

«E, di grazia, perché proprio ventimila?».

Tutti si voltarono. Dal fondo del magazzino un’elegante figura vestita di nero avanzava con passo fermo, nella voce una nota beffarda.
Brook balzò in piedi.

«Blackwind! Prendetelo! Duemila monete d’oro a chi lo cattura!».

«Fermi!». La voce di Blackwind tuonò autoritaria nell'ampio locale, fermando un attimo i marinai, mentre lui continuava ad avvicinarsi tranquillamente.

«Capitano, permettete che mi presenti. Mi chiamano Blackwind, passavo da queste parti e non ho potuto fare a meno di udire le voci sommesse del vostro nostromo e del signor Brook…».

Qualcuno dei marinai sghignazzò, considerando il gran vociare che avevano fatto quei due fino ad allora.

«… Mi dispiace tanto sentir litigare due personcine così ammodo, dunque ho pensato che ci sarebbe una soluzione per togliervi da queste ambasce».

«Cosa intendete dire?».

«Che compro io la ragazza. Qui e ora. Così potrete imbarcarvi senza altre preoccupazioni».

La giovane Irlentree, a quelle parole, parve rianimarsi e cominciò ad osservare quello sconosciuto con estrema attenzione e trepidazione. Era la salvezza o un destino ancora peggiore? Il capitano trasecolò.

«State scherzando?».

«Affatto. Signor nostromo, avete la bontà di avvicinarvi?».

Il nostromo guardò il suo comandante che annuì con il capo, poi guardò Brook che pareva volerlo incenerire con lo sguardo, dunque sorrise soddisfatto e si avvicinò allo sconosciuto.

«Vi intendete di pietre preziose, immagino».

«Un po’…». Rispose il marinaio, intimidito.

«Bene, cosa mi dite di questo rubino?».

Nella mano inguantata di Blackwind era comparso, come per magia, l’Occhio della Regina, il favoloso rubino sottratto a Brook. Il nostromo impallidì e si avvicinò per guardarlo meglio.

«Ma è… è… stupendo! Vale una fortuna!».

«Sì, ma non riuscireste a rivenderlo. Però potete farlo tagliare in due o tre gemme che vi renderanno almeno il doppio delle ventimila monete d’oro di cui parlava il signor Brook».

Il signor Brook si avvicinò al capitano col volto in fiamme.

«Maledetto! Capitano, prendetelo! Avrete la gemma e anche il riscatto!».

«Non fate sciocchezze, capitano. Vi offro una scappatoia onorevole. Io prendo la ragazza, voi la gemma e vi potrete imbarcare senza problemi. In caso contrario, devo avvisarvi che l’edificio è circondato dai miei uomini e che molti potrebbero farsi male. Potrei prendere la ragazza con la forza ma detesto la violenza».

«State cercando di giocarmi?».

«Come preferite. L’alternativa è imbarcarvi senza il gioiello e con la donna».

Un brusio si levò dai marinai. La cupidigia e la superstizione li portavano naturalmente a considerare con molto favore l’offerta di Blackwind. Il nostromo si avvicinò al capitano.

«Capitano, mi sembra un’offerta ragionevole».

«Va bene, Blackwind. Accetto. Datemi il rubino».

«Quando la ragazza sarà qui, accanto a me. La scorterete voi, capitano, e metterò io stesso la gemma nella vostra mano, potete fidarvi della mia parola».

Il capitano si avvicinò alla ragazza che lo seguì senza dire una parola, come una sonnambula.

«Scelta saggia, capitano, eccovi il rubino e addio».

Brook si lanciò con la spada sguainata verso l’avventuriero ma fu immediatamente bloccato dai marinai più vicini.

«Eh no! Maledetto bastardo non te la caverai così facilmente! Ridammi il rubino!».

Il capitano lo guardò con aria severa.

«Brook, non insistete a fare sciocchezze. Imbarchiamoci subito. Voi avete le vostre ricchezze e il vostro carico, noi una ricca ricompensa e questo signore la ragazza».

«La ragazza! Ah cagnaccio! Ora ti faccio vedere io!».

L’eccellentissimo signor James Brook si esibì in una sequela di bestemmie che sorprese anche molti dei marinai presenti. Il capitano si fece minaccioso.

«Ora basta, Brook. Oppure vi lascio sul molo».

«Addio, signori, è stato un vero piacere».

Blackwind, giunto alla porta del magazzino, si allontanò a passo svelto nella nebbia del porto, quasi trascinando la ragazza per il braccio e lasciando Brook a discutere animatamente con il capitano, sotto gli occhi soddisfatti del nostromo.

«Venite signorina Irlentree, sarà meglio sbrigarci. Non siamo ancora al sicuro».

«Ma… i vostri uomini?».

«Sono due. Valgono tanto oro quanto pesano e dovete dire loro grazie se vi abbiamo trovata e vi ho potuta sottrarre a quei pirati, ma sono solo due. E quelli fra poco ci verranno dietro».

«E perché? Non li avete pagati?».

«Ehm… non crederete che abbia lasciato un  rubino di quel valore nelle mani di quella gente? L’ho sostituito con una copia proprio mentre lo consegnavo al capitano».

«Cosa?».

«Chi la fa l’aspetti. Il falso è opera dello stesso vostro spasimante, signor James Brook».

«Non nominatemi quel mostro! Credevo fosse venuto a prendermi per portarmi in qualche posto meraviglioso, come i cavalieri eroici… invece ha quasi ammazzato la mia cameriera che mi sconsigliava di andare con lui. Aveva ragione. Gli servivo solo da ostaggio».

«Ma non ha considerato le superstizioni dei marinai. Così mi ha offerto l’occasione giusta per liberarvi».

«Allora… non devo considerarmi una vostra proprietà?».

Blackwind scoppiò a ridere nel vedere l’aria sollevata della ragazza che stava rapidamente riprendendo colore.

«Assolutamente no, signorina. Siete libera come l’aria… però cerchiamo di muoverci o saremo nei guai. Temo si siano accorti del mio giochino di prestigio».

Urla e maledizioni giungevano dalla direzione del magazzino ed era chiaro che i marinai si stavano riversando sulle tracce dei fuggitivi.

«Peccato, però…». Mormorò la ragazza, apprestandosi a seguire l’avventuriero vestito di nero.

Si affrettarono nei vicoli del porto, finché due ombre non emersero dalla nebbia. Erano Calyon ed Elowen. Per l’occasione, Calyon sfoggiava uno splendido cappello a tese larghe e un mantello nero ed Elowen era vestita come una dama, in modo abbastanza simile alla giovane Irlentree.

«Eccoci! Grazie, amici miei».

«Andate. Ora faremo da esca per un po’ e li porteremo a spasso per il porto. Quando si accorgeranno dell’errore sarà troppo tardi».

«Venite signorina, vi riaccompagno a casa. Amica mia, hai fatto quel che ti avevo detto?».

Elowen sorrise, ammiccando.

«Alaum è pronto. L’ultimo atto può andare in scena».

  
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