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Autore: cabol    18/05/2010    1 recensioni
Dietro una porta ermeticamente chiusa può celarsi un pericolo misterioso, un favoloso tesoro, un terribile segreto. Aprirla può voler dire trovare tutto questo o chissà cos'altro. Ma certamente ci troveremo sempre l'avventura.
Mille e mille sono le leggende che i bardi raccontano, sull’isola di Ainamar. Innumerevoli gli eroi, carichi della gloria di imprese epiche. Eppure, in molti cantano anche le imprese di un personaggio insolito, che mosse guerra al suo mondo per amore di giustizia.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I misteri di Ainamar'
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Capitolo 17

Capitolo 17: la trappola

La nebbia avvolgeva le stradine di Elosbrand, rendendo indefiniti i contorni delle abitazioni, delle taverne e dei magazzini ed attutendo i suoni e gli odori del porto, quasi deserto a quell’ora tarda. In genere, quei pochi suoni e luci che turbavano il silenzio ed il buio della notte provenivano dalle ultime bettole ancora aperte, a opera di marinai ormai preda dei fumi dell’alcol. Quella notte, però, una piccola folla di uomini percorreva i vicoli e le strade tortuose, alla luce di numerose torce, accompagnata da rabbiose espressioni di frustrazione e sconcerto.
 
«Maledizione! Avrei giurato di averli visti svoltare da questa parte! Eppure non possono essere scomparsi».

Un marinaio dal fisico tarchiato guidava la piccola ciurma, affiancato da un giovane uomo di alta statura, elegantemente vestito, dall’apparenza di un ricco mercante o di un avventuriero. Un giovane uomo dallo sguardo furente.

«Nostromo, siete sicuro di sapere dove ci state portando?».

«Maledizione a voi, Brook! Se conoscete il porto meglio di me, guidateci! In fondo quel bastardo ha fregato voi tanto quanto noi. Forse anche di più».

Il mercante avvampò in viso e la sua mano corse alla lunga spada che cingeva al fianco.

«Pezzo d’idiota! Ora vi faccio…».

Una voce interruppe il litigio.

«Eccoli! Laggiù, verso il molo!».

Due figure erano passate davanti alle luci di una taverna ed erano chiaramente apparse come un uomo con un mantello scuro e una dama in abiti eleganti.

«Avanti! Prendiamoli!».

L’intera ciurma si gettò all’inseguimento dei due che, immediatamente, si erano messi a correre per le stradine del porto, diretti verso il molo.

«Forza! Non lasciamoli scappare!».

Corsero dietro ai due fuggitivi, guidati da fugaci ombre emerse dalla nebbia, talora simili a un uomo ammantato, talaltra a una donna avvolta in sete pregiate. A volte, quando la nebbia frustrava i loro occhi, dovevano fermarsi per ascoltare i passi della coppia, nella speranza di non perdere nuovamente le loro prede.
Dopo un tempo indefinibile, dilatato dalla nebbia e dall’ansia, i passi degli inseguiti condussero i marinai e il mercante sul molo. Grida trionfali eruppero quando videro emergere dalla nebbia la sagoma della “Lanterna Gialla”.

«Ascaris li ha accecati! Sono in trappola!».

«Circondateli! Non facciamoli scappare!».

La coppia fuggitiva si era fermata nei pressi di uno dei due Falconi dal quale penzolava ancora una delle casse di opere d’arte destinate a essere imbarcate sulla nave.
I marinai circondarono agevolmente i due che si erano addossati all’argano della macchina da carico e che apparivano senza via di scampo. L’uomo sguainò una lunga spada.

«Chi siete? Banditi forse? Qui, in mezzo alla città?».

«Non fare il furbo, Blackwind. Siete in trappola!».

«Cosa? Non so chi cerchiate, signore. Non conosco quel nome. Di certo non è il mio».

Brook sghignazzò soddisfatto. Il suo nemico non aveva più scampo e quei patetici tentativi lo divertivano.

«Non ci faremo giocare un’altra volta. Gettate le armi o per voi sarà la fine».

«Ma insomma! Sono una dama e quest’aggressione la pagherete assai cara!».

Una lama di gelo spezzò le certezze del mercante. Quella non era affatto la voce della giovane Irlentree. Fu preso da un sospetto atroce. Possibile che si fossero sbagliati?

«Portateli qui!».

«Ma… questi non sono quei due!».

Il nostromo, che si era avvicinato alla coppia, si voltò stupefatto verso gli altri marinai.

«Maledizione! E allora perché scappavano?».

«Cosa avreste fatto voi, se vi foste visto correre addosso una torma di brutte facce armate e minacciose?».

Brook era basito. Come diavolo poteva essere accaduta una cosa del genere? Una voce limpida e potente, simile al suono d’una canna d’organo, proveniente da dietro le sue spalle, lo fece trasalire.

«Cosa succede qui, a quest’ora? Fatevi riconoscere, nel nome di Mirpas, o vi porteremo  tutti in prigione!».

Dalla nebbia emerse l’alta figura di un uomo in armatura completa, con la spada in pugno e un grande scudo sul quale campeggiava l’emblema di Mirpas. Si avvicinava con passo fermo e cadenzato, mettendo bene in evidenza lo stemma che lo qualificava come un campione del Signore dell’Armonia. Dietro di lui veniva un folto drappello di armati che portavano le insegne della Guardia di Elos.
Qualcuno dei marinai fu preso dal panico e tentò di fuggire, immediatamente bloccato dai mercenari. Il paladino si avvicinò al gruppo di Brook. Dalla visiera alzata, due brillanti occhi color dell’oro si fissarono sul mercante.

«Ebbene, chi siete signore? E questi marinai armati?».

«Sono James Brook, mercante d’arte, e questi marinai sono armati solamente per proteggere le preziose opere d’arte che vengono caricate sulla nave. Io protes…».

Fu interrotto da uno schianto terribile. Qualcuno aveva tolto il fermo dell’argano e il carico del Falcone si era schiantato al suolo. Brook impallidì a quella vista. I due fuggitivi erano ancora nei pressi dell’argano, con un sorriso soddisfatto sul volto.

«Sir Alaum, capitano, venite a vedere».

Una guardia si era avvicinata ai resti della cassa schiantata al suolo e stava sollevando una scure, evidentemente raccolta da quel che restava del carico. Il paladino si diresse verso i rottami, mentre un mormorio allarmato si levava fra i marinai. Insieme a un ufficiale della Guardia, Alaum si mise a esaminare le statue e le anfore fracassate.

«Bene, bene. Sono queste le opere d’arte signor Brook? Fate aprire le altre casse, capitano, credo che queste non siano le sole sorprese che ci riserverà questo carico».

Brook riprese colore. Le guardie intorno a lui stavano osservando le armi che venivano raccolte da quel che restava della cassa, sforzandosi di penetrare la nebbia con lo sguardo, e non gli prestavano molta attenzione. Decise che non poteva farsi sfuggire quell’occasione.
La spada del mercante saettò colpendo la guardia più vicina e Brook scattò oltre il cerchio dei mercenari, fuggendo fra la nebbia e le stradine del porto.

«Prendetelo! Capitano, non fatevelo sfuggire!».

La voce di Alaum tuonò nella nebbia, col suo caratteristico timbro metallico, pervasa da un’autorità che pochi avrebbero osato discutere. Immediatamente, un drappello di mercenari corse dietro al mercante, guidati dall’ufficiale.

«Sergente, mettete agli arresti l’intero equipaggio di quella nave e perquisite il carico».

Una massiccia figura si staccò dal gruppo delle guardie e si avvicinò al paladino.

«Subito, signore. Bella retata, signore!».

«Sergente Waster, devo avvertirvi che detesto gli adulatori. E che le opere d’arte sono verosimilmente false, dunque evitate di intascarvi qualcosa. Lo scoprirei. E non vi piacerebbe».

Il grosso sottufficiale corse immediatamente a eseguire gli ordini, senza più proferire una sola parola. Il paladino si avvicinò ai due amici, nei pressi dell’argano.

«Ciao, Calyon. Siete stati veramente in gamba. Soprattutto tu, mia cara».

Elowen si inchinò graziosamente, mentre Calyon abbracciava il vecchio amico.

«Splendido lavoro, Sir Alaum, le mie congratulazioni».

«Fai poco lo spiritoso, mezzo furfante. Non voglio sapere come avete fatto a scoprire questa faccenda. Piuttosto, dov’è il re dei malandrini?».

«Ha accompagnato miss Irlentree dall’augusto genitore ma dovrebbe essere qui a momenti».

«Lo immaginavo. Dove c’è una gonna, il nostro amico è sempre nei paraggi…».

Rise, di un riso sonoro e lieve, mentre gli occhi color dell’oro si illuminavano nel fissarsi sul sorriso di Elowen.

«Va bene… lo aspetteremo ancora un po’, ma potrebbe aver trovato qualcosa di meglio da fare. Se non arriva me lo saluterete voi».

***

Brook correva a perdifiato fra i vicoli. Conosceva bene quei paraggi ed era abbastanza certo di essersi liberato dei suoi inseguitori. Dopo averli portati a spasso nei dedali della parte più vecchia e malridotta del porto, si era nuovamente diretto verso il molo, dove le barche dei pescatori stavano rientrando dalla nottata di lavoro e presto sarebbe cominciata la vendita del pesce. Ormai non gli restava altra via di fuga che il mare ed era certo che avrebbe saputo convincere uno dei pescatori a portarlo da qualche parte, dove sarebbe stato al sicuro.
Dietro di lui l’eco dei passi degli inseguitori si era spenta da un po’, dunque riteneva di essere ragionevolmente al sicuro. Almeno per quel tanto che gli occorreva per salpare con uno dei pescherecci. Si ricompose e riprese l’apparenza del ricco mercante, apparenza che gli avrebbe facilmente fatto trovare l’imbarco che desiderava. Stava per avvicinarsi al molo quando una figura vestita di nero gli sbarrò la strada.

«Non dimenticate qualcosa, eccellentissimo signor Brook?».

Il mercante avvampò e snudò la spada. La sua voce tremava per la rabbia e l’odio.

«Sei un uomo morto, bastardo schifoso!».

«Come già vi avevo detto, avrei preteso soddisfazione dei vostri insulti, signor rapitore di ragazzine. È giunto il momento di regolare la questione».

Con grande calma e sempre sorridendo, Blackwind sguainò lo stocco, disponendosi in guardia. Brook caricò violentemente, menando un terribile fendente che, però, trovò solamente l’aria. Immediatamente provò un altro attacco, ancora senza trovare l’avversario. Il mercante contava sulla sua forza, indubbiamente maggiore, e sul peso della sua arma che avrebbe potuto spaccare facilmente quella del suo rivale. Questi, fino ad allora, si era solo lievemente spostato, evitando l’impeto del mercante e limitandosi a cambiare guardia. Brook, invece, nei suoi assalti senza costrutto era arrivato quasi a cadere su un carretto carico di pesce. La poca gente presente sul molo si stava accorgendo di quanto accadeva e si stava avvicinando. Qualcuno, al vedere balenare le armi, si mise a chiedere aiuto.

«Troppa foga, Brook. Rischiate di farvi male».

Brook non rispose alla voce beffarda del suo avversario ma si esibì in un paio di finte, seguite da un violento affondo. Questa volta, Blackwind non si scansò ma parò con un movimento semicircolare, verso l’esterno, colpendo la punta della lama avversaria con il “forte”[10] della sua e portando l’arma di Brook all’esterno. In questo modo, la difesa di Brook si era aperta e Blackwind vi penetrò rapidamente, con una piroetta che concluse con una secca gomitata sul volto dell’avversario.
Brook barcollò all’indietro, sorpreso dalla mossa del ladro, arrivando sul bordo del carretto. Un affondo di Blackwind lo costrinse a una goffa parata che finì per fargli scoprire nuovamente la guardia. Un violento calcio lo raggiunse al volto, facendolo cadere all’indietro, sul carretto, in mezzo ai pesci.

«Mi ritengo soddisfatto, eccellentissimo signor Brook. Addio».

Brook udì le parole del suo avversario come in un sogno. Vedeva tante facce avvicinarsi curiose, formando un capannello di volti, occhi, rughe e bandane. Un curioso olezzo di pesce gli solleticava le nari. Lentamente, il mercante cercò di scuotersi. Poi udì una voce.

«Alzatevi signor Brook. Siete in arresto».

Quelle parole ebbero l’effetto di un secchio d’acqua sul mercante che si sollevò su un gomito, cercando di liberarsi dei pesci e riprendere un minimo di dignità. A parlare era stato un ufficiale della Guardia di Elos, un biondino baffuto che aveva l’aria di essere appena stato promosso al suo grado.

«Arrestate Blackwind, piuttosto. Io sono uno dei più stimati cittadini di Elosbrand!».

«Siete accusato di traffico d’armi e di aver ferito gravemente una guardia. Seguitemi immediatamente, senza opporre resistenza».

Brook riprese il colorito paonazzo e si rizzò sulle ginocchia.

«Esigo di parlare col capitano Ernest Tyron!».

Il giovane ufficiale lo guardò incuriosito.

«E perché, scusate?».

«Sono certo che garantirà per me. Sono un cittadino onesto, io».

L’ufficiale scoppiò a ridere.

«E perché mai il capitano Tyron dovrebbe garantire per voi, se non vi ha mai visto finora?».

«Il capitano Tyron mi conosce bene!».

«Ne dubito fortemente, signor Brook. Prova ne sia che voi chiedete di lui avendolo di fronte. Io sono il capitano Ernest Tyron».

Brook spalancò gli occhi, farfugliò qualcosa, poi li roteò e cadde riverso in mezzo ai pesci, privo di sensi.


[10] Il “forte” di una lama è la parte più vicina all’elsa, più robusta e meno elastica. Contrapponendolo alla punta dell’arma avversaria, si crea una leva favorevole, capace di equilibrare eventuali differenze di forza fra i duellanti.
  
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