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Autore: SissiCuddles    19/05/2010    1 recensioni
Ho ufficialmente deciso di autocondannarmi a morte. Ebbene sì, questa è la terza fanfiction che scrivo in questo periodo. Questa fanfic però è diversa dalle altre. La sto scrivendo con più calma e tranquillità. Spero vi possa piacere. Vi avviso di nuovo: non è una delle mie classiche fanfiction a mio parere. Ridico che contiene spoiler riguardanti il prossimo finale di stragione. Io ve l'ho detto due volte ora tocca a voi. Ah, dimentivavo: il titolo è "The Bitter End" in quanto la fine sarà amara, ciò significa, niente lieto fine.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Greg House, Lisa Cuddy
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo breve, scusate!

The Bitter End

Capitolo 4: Help Me Parte I

Princeton Plainsboro Teaching Hospital. Ufficio del Primario del Primario. Ore 17:45
Si  fermò qualche secondo fuori dalla porta dell’ufficio di Cuddy. Lo studio era aperto, ma le tende erano tirate per nascondere ciò che succedeva all’interno. Puntò il bastone sulla porta ed entrò, come al solito, senza bussare.
Cuddy gli dava le spalle. La tuta blu scuro le copriva le gambe, mentre la camicia rosa le copriva il busto. Nel sentire la porta aprirsi, si voltò e lo vide camminare verso di lei.
“Un edificio è crollato, ci sono feriti, parto con la squadra di soccorso”
“La cosa non mi interessa. Tieni”
House le porse un involucro ocra, lei lo prese senza dare attenzione a ciò che poteva contenere. Aprì la busta e ne estrasse il pesante contenuto. Osservò la copertina del libro, e la accarezzò lentamente, come se facesse arte di un veccio ricordo. Lesse con attenzione ciò che vi era scritto: “Introduzione alle malattie dell’addome acute” di Ernest T. Cuddy.
“Il mio bisnonno…”
“E’ solo un vecchio libro…”
Cuddy lo guardò sorpresa mentre House timidamente gesticolava.
“Aprilo…”
A Lucas E Lisa  per un nuovo inizio…Greg
A Cuddy si gelò il sangue delle vene. I suoi polmoni cominciarono a farle male quando si accorse che non stava respirando. Rilesse quelle righe, scritte con la calligrafia dell’uomo che le stava di fronte in quel momento. Le lesse attentamente per una decina di volte, ma le parole sfuggivano alla sua attenzione, girovagavano nella sua mente senza una meta precisa. Era confusa, tra l’ennesima confusione causata da uno che poteva sembrare il gesto più normale in una circostanza del genere. Ma quella non era una circostanza normale, come non lo erano quelle due persone che si contendevano lo sguardo. Cuddy ruppe il silenzio, fu l’unica ad esserne in grado.
“Cosa sarebbe questo? Un modo per darci la tua benedizione”
House la guardava quasi dolcemente, come se il suo lato umano si fosse fatto rivivo nuovamente nella sua anima confusa. La osservava. Vedeva le sue rughe d’espressione e le apprezzava. Avrebbe voluto fare un commento, per farla arrabbiare e innervosire, invece rimase a fissare quelle linee che marcavano la sua pelle e che la rendevano ancora più bella. House fece un respiro profondo, ripensando al discorso che già si era preparato. Perché per le poche volte che si trovava con lei, lui doveva già programmare tutto o avrebbe fatto scena muta, preso dalle emozioni e dalle delusioni.
“E’ un grande passo quello che stai per fare. Voglio solo congratularmi con te, con voi due. Lo so che può essere vista come la cosa più stupida, ma…”
Cercò di moderare il suo tono di voce, cercò di renderlo il più vero e cordiale. Più vero, pensava di poter autoconvincersi che quello a cui Cuddy stava andando incontro sarebbe stato il meglio per lei. Una vita senza di lui. Lei sarebbe andata a vivere con Lucas, non avrebbe avuto più tempo per lui. Lo avrebbe ritenuto uno dei suoi dipendenti, ma dopotutto lui era uno dei suoi dipendenti. Lui non era più speciale per lei, ma ancora lo sperava.
“Come fai a saperlo?”
Cuddy non smise di fissarlo. Rigirava il libro nelle sue mani, mentre con lo sguardo ripercorreva per l’ennesima volta i lineamenti del visi del diagnosta. Ormai li conosceva a memoria. Avrebbe potuto descriverlo nei minimi particolari. Solo gli occhi, non poteva descriverli. Quegli occhi erano solo i suoi, non aveva mai trovate le parole giuste per descriverli. Si era solo limitata a perdersi dentro quell’immenso oceano di pensieri.
“Ho le mie fonti qui in ospedale e la voce gira da un po’ di tempo. Se le mie fonti sono corrette, beh. congratulazioni”
Cuddy si girò dandogli nuovamente le spalle, cercò velocemente di rivestirsi, ma le risultò impossibile. House la aiutò.
“Grazie…”
House notò il suo tono di voce. Ora cercava di evitarlo. Biascicò quel grazie e non alzò più lo sguardo finchè non lo superò di qualche passo.
“Problemi in paradiso?”
“No, tutto è incantato come al solito”
Cuddy uscì dalla porta, lasciando il diagnosta a contemplare l’ufficio vuoto. Lanciò un ultimo sguardo alla scrivania e al libro che giaceva chiuso sul margine. Prese le chiavi della sua moto dalla tasca. Avrebbe scoperto quale era il problema di Cuddy. Avrebbe scoperto a cosa era dovuto il suo comportamento così distante. L’avrebbe  potuta aiutare, se lei lo avesse voluto, se lui ne fosse stato capace.

Luogo del crollo. Ore 20:00
House spense il motore della sua Honda. Intorno a lui regnava il caos. Gente che urlava, piangeva e si dimenava nel buoi. Rantoli di terrore, gente folle dalla paura che si accasciava al suolo perdendo conoscenza. Allargò il suo campo visivo. Cercò una tuta blu scuro, tra le altre. I soccorsi erano giunti già da un pezzo, ma lui imperterrito cercava Cuddy. La vide fasciare il braccio di un uomo sulla quarantina.
Lei alzò lo sguardo per incontrare quello di lui. Aspettò che si avvicinasse. La sua voce, si fece largo oltre le urla.
“House, abbiamo bisogno di una mano qui.”
Gli indicò la fila di persone sedute in parte ad una delle ambulanze. Volti pieni di sangue, braccia rotte. Gemiti di dolore.
“Come può aiutare uno zoppo?”
“Non giocare la carta dello zoppo. Hai due mani, puoi aiutare”
Il diagnosta si allontanò da lei, camminò lentamente portando con se uno stetoscopio. Si sedette di fronte ad una donna sulla ventina. Il sangue secco le macchiava la fronte fino alla guancia. Lo sguardo spento cercava di percepire ogni singolo movimento in parte a lei.
“Come ti chiami?”
La donna non gli rispose, ma rimase a fissarlo impaurita.
“Sai dove sei?”
Rimase a fissarlo senza dire una parola.
“Mi riesci a sentire?”
Niente. Rimase immobile.
“Cuddy, questa deve essere portata in ospedale.”
“Tutti vanno portati in ospedale”
“Se non va subito in ospedale il suo cervello fuoriescerà dal suo cranio”
“Mettila sulla prima ambulanza pronta a partire, ma sia chiaro: tu rimani qui!”
Dopo aver aiutato uno dei paramedici a caricare la ragazza sul veicolo, House si avvicinò di nuovo a Cuddy.
“Ci sono problemi con Lucas?”
“Possiamo parlarne in un altro momento. Magari più tardi?”
Cuddy riprese a medicare il paziente, mentre House testava i riflessi di questo.
“Adesso è passato un po’ di tempo. Allora c’è qualche problema?”
“No, nessun problema. E’ tutto ok. Anzi, direi che va tutto più che bene”
Gli sorrise, come per convincerlo. Ma Cuddy sapeva che non avrebbe dovuto convincere lui, ma avrebbe dovuto convincere se stessa.
“Allora perché questo tuo comportamento strano?”
“House, aspetta.”
Si girò verso uno dei medici alle sue spalle, gli disse qualcosa e poi afferrò House per un braccio e lo portò lontano dal caos.
“House, quando tu mi hai dato il libro, non pensavo fosse un regalo per, come posso dire, darmi il benvenuto in una nuova casa, ma pensavo fosse un regalo per il mio matrimonio”
Il diagnosta rimase a guardarla. Si perse nell’espressione del suo viso. Era seria, non lo stava prendendo in giro. Era sincera.
“L’anello…”
“E’ nel mio ufficio.”
“Ma prima non…”
“Sapevo che sarei venuta qui, perciò l’ho lasciato nel cassetto. E’ successo l’altra sera.”
“Ok…”
House si allontanò, lasciando Cuddy a fissarlo. Con ogni passo si allontanava da lei e dalla realtà circostante. Non sentiva alcun rumore, la sua mente era concentrata su quella strana emozione. Si sedette sui resti di un muro crollato. Trattene il respiro per qualche secondo poi respirò profondamente. Sarebbe cambiato tutto da quel momento. Lui sarebbe stato il Dr House, lei la Dr Cuddy. Niente battibecchi, niente scherzi. Solo lavoro. Solo richieste improvvise, urla e poi lui se ne sarebbe tornato nel suo ufficio con un nuovo esame da fare pur di accontentare il primario e non perdere il posto.
Perso nei suoi pensieri, vide Cuddy massaggiarsi le tempie e raggiungerlo.
“Avrei preferito che tu lo sapessi in un altro modo”
“Pensavo tu non volessi dirmelo”
“Non sarebbe stato giusto”
Rimasero in silenzio per qualche minuto. Lui rimase seduto, mentre Cuddy camminava di fronte a lui in cerchio.
“Credo che dovremmo tornare a lavoro. Le persone non escono dalle macerie da sole”
Cuddy annuì sommessamente e si allontanò. House si alzò, ma qualcosa lo fece fermare. Sentì un rumore sordo. Come lo sbattere di metallo contro altro metallo.
“Cuddy, c’è qualcuno qui sotto”
“Cosa?”
“Ho detto che c’è qualcuno qui sotto”
“Come fai a saperlo?”
Di nuovo quel rumore. Questa volta più forte tanto da far sobbalzare Cuddy.
“Chiamo la squadra”

   
 
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